#PER CHI AMA: Blues Rock, Nick Cave, Father John Misty |
T. K. Bollinger, da Melbourne, è un losco figuro che nelle foto mostra quell’eleganza old style allo stesso tempo fascinosa e inquietante di un Captain Beefheart, con tanto di cappello piumato e barba da mormone. Il nostro uomo si porta dietro il suo blues come un fardello doloroso quanto necessario e calca i palcoscenici ormai da una decina d’anni, prevalentemente in formato acustico, in solitaria. I That Sinking Feeling sono l’incarnazione del suo nuovo progetto, una vera e propria band (oltre al leader, voce e chitarra, ci sono R.S. Amor al basso e Vis Ortis dei Megikah alla batteria), che pubblicano ora il loro primo full lenght dopo l’EP 'The Roots of Despair' del 2011 con 9 brani frutto di tre anni di lavoro. Fin dal titolo, 'A Catalogue of Woe' scopre le carte e si propone di mettere in fila canzoni che sono brandelli di emozioni forti, squarci nell'anima torturata e inquieta del suo autore. Il blues è senz'altro la parola d’ordine. Blues per come lo potevano intendere una ventina d’anni fa i Bad Seeds di Nick Cave, la cui presenza in termini di influenze è decisamente tangibile. Una delle caratteristiche prominenti del suono dell’album è la voce di Bollinger, il cui timbro particolare – sorta di via di mezzo tra Nick Cave, Father John Misty e un Anthony meno teatrale - caratterizza fortemente i brani, grazie anche al supporto di una strumentazione asciutta ed essenziale. Chitarra, basso e batteria hanno un suono secco ed elettrico, capace di assecondare il leader tanto nel dipanarsi dei suoi blues sepolcrali, dove sanno mettere a nudo le inflessioni quasi soul che ogni tanto la sua voce rivela, quanto di sostenerlo laddove il suono si fa più rock, cupo e rumoroso. Presi singolarmente, i brani sono tutti di ottimo livello, a cominciare dall’opener “Betting on Your Dying Day”, quasi scarnificata nella sua dolente essenzialità, o la solenne “Nothing is Always Certain”, dove vengono evocati i Bad Seeds più innodici. La scaletta viene poi squassata dal (gradito) frastuono di brani come “Tortured by a Racialised Folk Devil” o “That Which Does Not Kill Me, Gives Me Cancer”, fieramente e oscuramente rock, per poi trovare forse il suo apice nel quasi-gospel da brividi “Where You There When They Crucified My Love?”. Da menzionare anche l’elegante “Rich Man’s Heaven”, e la sinuosamente soul “Wearing Down My Devotion”. Impossibile poi non soffermarsi sui testi, un viaggio doloroso e personale dritto al cuore di storie dure, che tuttavia lasciano intravedere la possibilità di una redenzione, che non viene però dall'alto, quanto da dentro. Perché, per dirla con l’autore, c’è sempre la possibilità che “ the shit in life can become the compost for new growth”. Disco davvero bello, toccante e fragoroso allo stesso tempo. (Mauro Catena)
(Yippie Bean - 2014)
Voto: 80