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sabato 14 febbraio 2015

Kubark - Obedience

#PER CHI AMA: Alternative/Post Rock, A Perfect Circle, A Swarm of the Sun
Sono un fan dei Kubark e non lo nascondo, ciò non toglie però che non possa muovere delle critiche alla band nostrana. Sono rimasto infatti un po' deluso per la minimalista cover cd che ritrare la band in una spettrale fotografia in bianco e nero, e per un riduttivo booklet interno con i testi delle canzoni. Che diavolo, tanto mi aveva entusiasmato il precedente EP, dalla coloratissima copertina dai risvolti urbani, che questo 'Obedience' mi ha lasciato un po' di amarezza in bocca. Per carità, i contenuti del dischetto (7 le tracce qui comprese) potranno farmi anche travalicare le mie considerazioni puramente estetiche. E allora passiamo all'ascolto attento delle song incluse in 'Obedience', tracce tutte assestate sui 3-5 minuti, tanto da far arrivare il cd alla mezz'ora scarsa di musica (altra critica, non me ne vogliate ragazzi). Il disco apre con "Phantom" e la sua rabbiosa carica elettrica che viene stemperata quasi immediatamente da una ritmica soffusa, in cui il basso di Enrico Crippa assurge a ruolo di assoluto protagonista, mentre pian piano crescono gli altri strumenti fino all'arrembante finale. Con "Bleach" vengo catturato dal sensualissimo carisma vocale di Andrea Nulla, una delle voci che più prediligo nel panorama italiano e che potrebbe tranquillamente prestare la sua voce a qualche band più blasonata d'oltreoceano. La song è lenta e suadente, dotata comunque di un'umoralità mutevole che si palesa in una nervosa sezione ritmica curata dal drumming sempre preciso di Federico J. Merli e dalla sei corde di Elia Mariani. Rumori più o meno indefiniti aprono "Blind Games", mi sembra quasi di essere in una qualche torneria di provincia. La musica qui è meditativa, intimista, contraddistinta da una profonda malinconia di fondo, valorizzata dalla performance vocale del sempre bravo Andrea. "Find the Cost of Freedom" è la traccia più lunga del disco ma anche quella che maggiormente si perde in un prolisso ed onirico prologo ambient. Finalmente la traccia decolla e il dualismo chitarra/basso raggiunge il suo apice nelle note di questa song, con i suoni dei due strumenti che sembrano accarezzarsi avvicendevolmente. Eccolo il brivido che andavo cercando, quell'emozione che scaldasse il mio cuore, la song straziante (anche nei suoi brevissimi contenuti lirici), la song perfetta. "Song of May" appartiene a quelle tracce che fanno l'occhiolino tanto alle band statunitensi (A Perfect Circle) quanto a quelle nord europee (A Swarm of the Sun, The Isolation Process) dove il genere sta dilagando a macchia d'olio: l'animosità del brano mostra una certa irrequietezza di fondo dimostrata anche dai vocalizzi più incazzati di Andrea. "Obedience Class" è un altro bel pezzo mid tempo che sfocia nel finale in un post metal di "isisiana" memoria, e mostra un peculiare fascino che potrebbe aprire le porte a una internazionalizzazione della band italica. Chiude il cd una interlocutoria "Shut You Down", una song che poteva essere sviluppata in altro modo e che alla fine mi lascia frustrato e infelice, perché avrei gradito un altro paio di brani che potessero finalmente placare la mia irrequieta esistenza. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Kubark

martedì 24 luglio 2012

Kubark - Kubark

#PER CHI AMA: Post Rock/Alternative, A Perfect Circle, Isis, Russian Circle
E dopo aver recensito il nuovo EP dei To a Skylark, non potevo esimermi dal valutare anche il primo demo dei piacentini Kubark, che abbiamo visto recentemente su queste stesse pagine con l’EP “Ulysses”. Ero curioso di conoscere gli esordi del quartetto emiliano e direi che la mia aspettativa non è stata delusa. Se prendete come punto di riferimento le parole spese dal sottoscritto per il loro ultimo EP, aggiungete un po’ di cattiveria a quel loro sound alternative/post rock, assai vicino alle cose degli A Perfect Circle/Tool, condite il tutto con quel feeling un po’ grezzo tipico dei debutti, dilatate il sound a coprire con soli due pezzi più di 18 minuti, potrete forse capire che cosa intendo. “Autogenic” apre e chiude con quel suo ipnotico e ubriacante avanzare, che finisce con l’ammaliarmi sul continuo ripetere del vocalist “Son of me, son of my eye”, prima che una furia inattesa, esploda dirompente, nel growling finale. “Meat” è il classico trip targato Kubark, cosi come abbiamo avuto modo di ascoltare nelle nuove ultime tracce, in cui il vocalist, non ancora al meglio della sua performance, riesce comunque a trasmettere tutta l’emotività della band, che in questa song sembra viaggiare molto più su coordinate progressive e post rock, in cui a colpirmi maggiormente è il suono pulsante del basso e l’effettistica della chitarra. Si, insomma, questo demo self titled, mi è servito a capire che i Kubark non sono certo degli sprovveduti e che “Ulysses”, non è di sicuro uscito per caso… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 70 
 

martedì 22 maggio 2012

Kubark - Ulysses

#PER CHI AMA: Alternative, Isis, Tool, Lingua
Ricorderò questo 2012 come una delle primavera più calde, musicalmente parlando, perché il quantitativo di ottime cose uscite in questo periodo, si arricchisce di un nuovo gioiello, tra l’altro ancora una volta proveniente dal “Bel Paese”, segno che la crescita musicale nel nostro paese, sta procedendo alla grande. Cosi, dopo l’eccezionale prova dei Sunpocrisy, ecco arrivare una new sensation da Piacenza. Kubark. Curioso affidare il proprio moniker ad un manuale sulle tecniche di interrogatorio per cosi dire pesanti, rivolto ai funzionari e agli agenti della CIA; intrigante anche la cover del cd, cosi come pure le fotografie urbane in bianco e nero, interne al booklet. Insomma un lavoro che si rivela fin troppo intelligente già dal suo packaging esterno. Per non parlare poi di quello che è salvato sui quei magici solchi di questo disco argentato. Kubark, li ricordo ancora una volta. Magnetici. Poetici. Una band che farà la gioia di chi ama sonorità alternative, post, psichedeliche, sludge, crossover o stoner che siano. Questo è un Ep che mi ha fatto vibrare le gambe sin dalla prima nota uscita dagli strumenti di questi ragazzi. “Letdown”, una canzone post rock, assai breve, cupa, che mette in evidenza immediatamente le doti canore del vocalist dell’ensemble emiliano e che si chiude con dei suoni malsani ed altri che sembrano richiamare gli echi extraterrestri del film “Contact”. Poi sulle chiacchiere di due “frivole” ragazze, ecco sprigionarsi il sound dei nostri che oltre a richiamare inevitabilmente gli A Perfect Circle, un altro nome salta fuori dalla mia testa, gli svedesi Lingua, mio vecchio grande amore. Sarà forse per questo che ho adorato immediatamente i Kubark. Italiani, ricordiamolo e andiamone fieri. “Ainsoph” è un brano meraviglioso che si dipana tra scorribande rock, oscure distorsioni di basso, malinconici tocchi di chitarra e ancora quella suadente voce di Andrea. Quante suggestioni nell’ascolto di quest’album si incanalano nella mia testa. Lisergico il finale. Fumosa invece la terza “Love & Preach Hate”: ho quasi la percezione di entrare in un qualche torbido locale di Amsterdam, dove belle donnine danzano attorno ad un palo di lap dance e chiedono un po’ di quattrini per donare un po’ del loro amore. Malati. Inquieti. Forse mi sento un po’ come questi ragazzi ed è per questo che li adoro già. Anche un po’ rozzi comunque, non temete, la band non si fa certo pregare quando c’è da essere un po’ più pesanti. O più delicati e sognanti, come sul finire della terza song, dove sono echi alla The Ocean ad emergere. Un bel basso apre la title track, una traccia dal forte flavour post rock, a dir poco disarmante, che sa come conquistarmi, sedurmi, spezzarmi il cuore e poi gettarmi via, come il più classico dei kleenex. A chiudere questo Ep della buona durata di 30 minuti, ci pensa la bella dolce “Vixi”, che chiude un cd che ha la giusta carica e quelle brillanti intuizioni dalla sua parte, per poter dare a questa ottima band la forza di conquistare anche le vostre piccole anime dannate… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 85