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giovedì 7 luglio 2016

T.K. Bollinger - Shy Ghosts

#PER CHI AMA: Rock Blues, Jason Molina
C’è qualcosa di profondo, ancestrale, nella musica di T. K. Bollinger. Come già apprezzato nel suo precedente 'A Catalogue of Woe', del 2014, sembra che l’australiano riesca a canalizzare il proprio dolore in composizioni sofferte, aspre, spesso lunghe, che riescono ad ipnotizzare in modo inesorabile, anche a dispetto di un’apparente uniformità di stile e linguaggio che, in assenza di ispirazione, potrebbe risultare semplicemente noiosa. Rispetto al disco precedente, qui il cantante-chitarrista di Melbourne (che nelle foto appare sempre più una versione minacciosa e solenne di una qualche tipo di mormone) lascia per strada i suoi sodali That Sinking Feeling e fa tutto da solo, amplificando ulteriormente quell’alone magico ed evocativo che la sua musica, e la sua voce, donava al suo ultimo lavoro. Una voce sempre più dolente e peculiare, che ricorda a volte un Antony rurale o addirittura un Morrissey selvaggio, prende il centro della scena, accompagnata da chitarre acustiche, qualche percussione diradata, appoggi di pianoforte e un’elettrica lancinante, sullo stile del Neil Young della colonna sonora di 'Dead Man'. Voce che è assoluta protagonista nei 13 brani, per più di 70 minuti, costruiti a partire da pattern ritmici e armonici semplici e ripetitivi, che Bollinger riesce e declinare di volta in volta in blues straziati, delicate elegie soul e folk gotici caratterizzati da intriganti rimandi ad uno stile quasi gregoriano. I testi, al solito, sembrano voler indagare da più parti la solita vecchia domanda che attanaglia l’uomo nel suo tormento tra fede e ragione, ovvero “perchè la sofferenza esiste?”. La risposta, ovviamente, non è così semplice, e forse va ricercata negli occasionali squarci di speranza che fanno capolino nella cappa plumbea di questo 'Shy Ghosts'. Non è semplice individuare i pezzi migliori, tale è l’equilibrio e il livellamento qualitativo (molto alto) dell’intero disco, ma impossibile non citare almeno il terzetto iniziale composto da “All Seems Lost”, “The Milk of Human Kindness” e “No More”, capace di catturare e trascinare l’ascoltatore nelle profondità degli abissi di un’anima in perenne tormento, o il quasi-dub di “The Limits of What We Can Love”. Difficile dire con precisione cosa sia, ma c’è qualcosa di profondamente magnetico in questo disco, qualcosa che si annida tra le spire e le volute di un’ispirazione assoluta, tra l’oscurità di Jason Molina e l’estatica bellezza dei primi Sigur Ros. Non un album per tutti, e non per tutti i momenti della giornata – o della vita – ma se avete mai fatto conoscenza più o meno diretta con il dolore, in una qualsiasi delle sua forme, non potrete non rimanerne in qualche modo stregati. Minimalista, essenziale, scuro, bellissimo. (Mauro Catena)

(Yippie Bean - 2016)
Voto: 80

https://tkbollinger.bandcamp.com/

mercoledì 25 febbraio 2015

T.K. Bollinger & That Sinking Feeling - A Catalogue of Woe

#PER CHI AMA: Blues Rock, Nick Cave, Father John Misty
T. K. Bollinger, da Melbourne, è un losco figuro che nelle foto mostra quell’eleganza old style allo stesso tempo fascinosa e inquietante di un Captain Beefheart, con tanto di cappello piumato e barba da mormone. Il nostro uomo si porta dietro il suo blues come un fardello doloroso quanto necessario e calca i palcoscenici ormai da una decina d’anni, prevalentemente in formato acustico, in solitaria. I That Sinking Feeling sono l’incarnazione del suo nuovo progetto, una vera e propria band (oltre al leader, voce e chitarra, ci sono R.S. Amor al basso e Vis Ortis dei Megikah alla batteria), che pubblicano ora il loro primo full lenght dopo l’EP 'The Roots of Despair' del 2011 con 9 brani frutto di tre anni di lavoro. Fin dal titolo, 'A Catalogue of Woe' scopre le carte e si propone di mettere in fila canzoni che sono brandelli di emozioni forti, squarci nell'anima torturata e inquieta del suo autore. Il blues è senz'altro la parola d’ordine. Blues per come lo potevano intendere una ventina d’anni fa i Bad Seeds di Nick Cave, la cui presenza in termini di influenze è decisamente tangibile. Una delle caratteristiche prominenti del suono dell’album è la voce di Bollinger, il cui timbro particolare – sorta di via di mezzo tra Nick Cave, Father John Misty e un Anthony meno teatrale - caratterizza fortemente i brani, grazie anche al supporto di una strumentazione asciutta ed essenziale. Chitarra, basso e batteria hanno un suono secco ed elettrico, capace di assecondare il leader tanto nel dipanarsi dei suoi blues sepolcrali, dove sanno mettere a nudo le inflessioni quasi soul che ogni tanto la sua voce rivela, quanto di sostenerlo laddove il suono si fa più rock, cupo e rumoroso. Presi singolarmente, i brani sono tutti di ottimo livello, a cominciare dall’opener “Betting on Your Dying Day”, quasi scarnificata nella sua dolente essenzialità, o la solenne “Nothing is Always Certain”, dove vengono evocati i Bad Seeds più innodici. La scaletta viene poi squassata dal (gradito) frastuono di brani come “Tortured by a Racialised Folk Devil” o “That Which Does Not Kill Me, Gives Me Cancer”, fieramente e oscuramente rock, per poi trovare forse il suo apice nel quasi-gospel da brividi “Where You There When They Crucified My Love?”. Da menzionare anche l’elegante “Rich Man’s Heaven”, e la sinuosamente soul “Wearing Down My Devotion”. Impossibile poi non soffermarsi sui testi, un viaggio doloroso e personale dritto al cuore di storie dure, che tuttavia lasciano intravedere la possibilità di una redenzione, che non viene però dall'alto, quanto da dentro. Perché, per dirla con l’autore, c’è sempre la possibilità che “ the shit in life can become the compost for new growth”. Disco davvero bello, toccante e fragoroso allo stesso tempo. (Mauro Catena)

(Yippie Bean - 2014)
Voto: 80