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domenica 13 aprile 2014

The Orange Man Theory - Giants, Demons and Flocks of Sheep

#PER CHI AMA: Death/Grind, Brujeria
Al ritrovamento di questo album nella mia cassetta postale, ero particolarmente contento causa il fatto che in uno storico e defunto locale live del vicentino, trovavo perennemente in bagno il loro adesivo con sottoscritto "Satan Told me I'm Right" (ed un gruppo con uno slogan del genere non può che starmi simpatico). Dopo il primo approccio con questa loro opera però, ho cambiato decisamente la mia opinione. Ciò che mi rende più astioso l'ascolto di questo terzo album della band romana sono principalmente i suoni, causa una voce preponderante su tutto, un'infima chitarra ed un basso enormemente distorto; la produzione però non è scarna e zanzarosa, bensì freddamente chirurgica e molto (troppo) carente di basse frequenze, anche su volumi sostenuti. A ciò purtroppo si aggiunge l'impasto sulle frequenze causato dal basso e dalla chitarra che non permette di cogliere facilmente i tecnici fraseggi dei due, oltre che dalla batteria, resa estremamente secca dalla produzione, della quale però si riescono ad apprezzare pienamente i notevoli giochi ritmici. Dal punto di vista compositivo, le tracce sono per lo più rapide e grooveggianti, ad eccezione di "If I Could Speak", un sapiente mix di grindcore, death metal moderno, un pizzico di noise e strutture southern rock. Altro punto fermo del songwriting sono gli innumerevoli cambi di tempo e le adrenaliniche aperture che occupano l'opera nella quasi totalità. 'Giants, Demons and Flocks of Sheep' è un disco molto vario, che troverà terreno fertile tra gli amanti della musica estremamente movimentata ed aggressiva; personalmente, sarei molto curioso di vederli live con un buon impianto a supporto. Li aspetto. (Kent)

(Subsound Records - 2013)
Voto: 65

sabato 12 aprile 2014

Grown Below - The Other Sight

#PER CHI AMA: Post-metal, Isis
A distanza di quasi 3 anni dalla mia recensione di 'The Long Now', ecco ricapitarmi tra le mani, per mia somma gioia, il secondo full length dei belgi Grown Below. E confermo immediatamente le sensazioni positive che ebbi nel 2011, dopo l'ascolto della opening track, "New Throne". Il quartetto di Anversa ha centrato nuovamente l'obiettivo. Otto minuti e più di atmosfere sognanti all'insegna di un sound post-, a tratti rock e in altri più marcatamente metal, di influenza Isis, si sveleranno infatti all'ascoltatore. Il disco parte aggressivo con delle chitarre massicce e ipnotiche, che ben presto cedono il passo ad un suggestivo e notturno break centrale; l'effetto che lascia è quello di passeggiare tra le strade deserte di una città, la notte, in un mix di solitudine e libertà. Qui la voce pulita di Matthijs (capace anche di scorribande growl e scream) regala senza dubbio potenti vibrazioni. "My Triumph" attacca con la tribalità del suo drumming magnetico, un caldo basso in sottofondo, una chitarra che timida lascia qualche segno nell'etere e poi di nuovo la suadente voce (a tratti esaltante) del frontman belga. Ma questo lo sapevamo già, l'avevo già scritto in occasione del loro debut. Il sound minimalista dei Grown Below si alterna con quello più roboante dei nostri anche se in questa release maggiore spazio viene lasciato ad una componente dark acustica come nella strabiliante seconda metà di "My Triumph", forse la traccia più riuscita dell'album e quella che lascia intravedere ottime prospettive in chiave futura. "Phantoms" si dischiude offrendoci seducenti frammenti di musica oscura, tipicamente figlia del post rock moderno che ha il pregio di cedere anche a sfuriate elettriche da brividi. E per questo, ho la pelle d'oca alta un dito. "Reverie" è un altro esempio della classe del 4-piece di Anversa: ancora sonorità ammalianti, tenui e rilassate che esploderanno ben presto in nebulose tempeste metalliche che in questa traccia arriveranno addirittura a sfiorare il funeral doom nel finale. Ottimo ritorno questo 'The Other Sight', per una band da cui ora mi aspetto il salto di qualità definitivo. (Francesco Scarci)

(Slow Burn Records - 2013)
Voto: 80

Grieving Age - Merely the Fleshless We and the Awed Obsequy

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Esoteric
Perplesso… molto perplesso. Posso solamente definirmi così dopo l’ascolto provante di questo doppio CD, che rappresenta la seconda opera studio dei Grieving Age, sestetto di ragazzoni arabi… eh, già, arabi! Peccato che, se non lo avessi letto sul booklet, mai lo avrei pensato, andando a collocarli mentalmente in tutt’altra geografia, dato lo spirito doooom che pervade questo disco. Quanto appena affermato può apparire un plagio bello e buono nei confronti di altre recensioni sul medesimo album e gruppo perfettamente consultabili in rete, ma vi assicuro che si tratta solo della logica considerazione spuntata nella mia mente dopo aver completato con notevole sforzo questa maratona pesantissima della durata di ben due ore. Tutto in quest’album è lungo, troppo lungo: il titolo, i titoli dei singoli pezzi, il minutaggio, lo sconforto del recensore di turno. Scordatevi qualunque riferimento al Medioriente: qui si entra in un tunnel marcio in caduta libera, che ben presto si apre in un vero e proprio abisso di melma e fastidio, giacché questa è la prima sensazione che ha evocato nelle mie orecchie il pezzo d’apertura, tale “Merely the Ululating Scurrilous Warblers Shalt Interminably Bray”; e di raglio si tratta, in definitiva, perché il cantato del buon Ahmed a questo assomiglia, sporco, sgraziato e lacera-corde vocali, ma anche monotono e un po’ troppo spesso senza variazioni di sorta. Questo vale pure per le sonorità e tutto quello che rappresenta l’incedere dei cinque (SOLO cinque) pezzi che compongono l’intera opera. Ma è necessario essere onesti: i ragazzi sanno il fatto loro e di sicuro non ci troviamo di fronte a pivelli o musicisti della domenica, perché sulla tecnica esecutiva non si può discutere. I singoli strumenti suonano come dovrebbero suonare in ogni album funeral doom che si rispetti e la scelta di non appoggiarsi a troppi tappeti sonori, magari ridondanti, aggiunge valore (e toglie speranza) al tentativo di ricreare una landa sonora desolata e desolante, al limite del sulfureo. D’altro canto, va da se che quasi due ore di musica, spalmate in sole cinque canzoni, relega questo album ad una sorte da “lavoro di nicchia”, dedicato ai più temerari, musicalmente disperati o masochisti proni a torture lente e prolisse. Non vi è nulla di male nel produrre monoliti di tale entità, a patto di essere in possesso di un’ispirazione tendente al divino ma, nonostante tutta la buona volontà profusa dai Nostri, l’obiettivo non è stato raggiunto. La sensazione è spesso di smarrimento sonoro, dove risulta facile perdersi e confondersi sul che cosa si stia ascoltando, così come quale sia il pezzo o addirittura il CD inserito nel lettore. In parole povere, è facile perdere il segno e, ahimè, il rischio di deconcentrarsi è molto alto. A parere di chi scrive, questo rappresenta solo un demerito. In definitiva, cosa dire? Assolutamente non da ascoltare in auto o durante cazzeggi vari, perché la dose di attenzione da dedicare al lavoro è notevole. Se si tratta di un mezzo passo falso o di un capolavoro incompreso, lo lascio a voi come quesito. Per quel che può valere (molto poco), il consiglio che mi sento di dare è uno solo: accorciare, accorciare e snellire. Dopo ne possiamo riparlare… (Filippo Zanotti)

(Solitude Productions - 2013)
Voto: 60

Fate Control - Random Survival

#PER CHI AMA: Swedish Death, In Flames, Soilwork, Slipknot
Freschissimo di stampa, arriva sul mio “tavolo anatomico” questo dischetto, pronto ad essere sezionato e analizzato in tutte le sue parti. Subito un elogio alla casa discografica che accompagna il supporto da un bel libretto di presentazione con tanto di lettera personalizzata; anche per quello che riguarda l'artwork, ci si imbatte in un curatissimo digipack di alto blasone. Quante volte, però, la qualità del contenitore non rispecchia quella del contenuto? Molte, forse troppe...ma vi anticipo subito che, fortunatamente, questo non è uno di quei casi. Il sestetto della vicina Confederazione Elvetica è al suo debutto su CD, da segnalare nel 2012 l'uscita online del singolo “Knockout”, pezzo comunque contenuto in questa release; usciti indenni da qualche cambio di line-up, il gruppo entra in studio, sempre nel 2012, per registrare questo disco. La gestazione è stata piuttosto lunga, considerando che le tracce sono 9, non contando il minuto “d'atmosfera” della intro. Ultramoderni, perfettamente calati nei panni dettati dagli ultimi trend in campo metal, i Fate Control sanno il fatto loro e si muovono sinuosi tra riferimenti agli ultimi In Flames, agli inarrivabili Meshuggah e agli ormai famosi Soilwork; dopo qualche recensione, forse avrete imparato a conoscermi, non è certo il genere che preferisco, ma la qualità va riconosciuta sempre e premiata. Il disco scorre impetuoso, solido, praticamente perfetto sotto il punto di vista formale; i suoni sono spettacolari (da grande band, merito di Daniel Bergstrand, produttore delle band sopraccitate), gli strumenti sono padroneggiati con mestiere, l'uso delle vocals miscela parti in scream e growl alle più confortanti clean, che occupano il ruolo di protagoniste considerando la totalità delle linee vocali. Nulla da dire, in negativo, ci mancherebbe. Nulla da dire, purtroppo però, di estremamente positivo. La famosa “Terra di mezzo” sembra aver attirato questa release, nel senso che questo 'Random Survival' non si muove dal guano che lo intrappola; lo spunto per spiccare un grande salto in alcuni momenti c'è eccome, ma questo grande salto non avviene durante lo scorrere dei minuti. Ricordiamoci che stiamo parlando di un debutto e quindi, forse anche troppo prematuramente mi aspettavo quel qualcosa in più; il disco ad un ascolto superficiale, sembra essere migliore di quando, invece, ci si concentra e si vuole andare a fondo. La struttura di tutte le tracce è sempre la stessa: belle intro, strofe incazzate e serratissime, ritornelli di ampio respiro e molto orecchiabili rigorosamente in clean vocals; una formula collaudata ok, ma che tende ad appiattire il tutto. Comunque, nel complesso la qualità si sente, va solo migliorato il songwriting di quel tanto che basta a far venire fuori tutta la personalità del gruppo; sono certo che con qualche “chilometro” in più, anche questo aspetto verrà sistemato. La testa ve la farà muovere comunque parecchio questo CD e preparatevi per le top del lotto: senza dubbio “E.K.I.A”, dove qualcosa mi ha ricordato i Lacuna Coil, la più classica “Fukushima” , la già citata “Knockout” e la migliore di tutte (ovviamente per chi scrive), quella “You Shall Fall” che da sola alza di un punto la valutazione complessiva del disco (complice la presenza di Bjorn "Speed" Strid). Il mosaico Fate Control richiede ancora qualche tessera da smussare e sistemare al meglio, ma nell'insieme i ragazzi svizzeri hanno fatto un buon lavoro; la strada è ancora lunga e tortuosa, ma con questa tabella di marcia i nostri arriveranno senza troppi patemi abbastanza lontano per guardarsi alle spalle, ed accorgersi della tanta e bella strada percorsa. Curiosissimo, li aspetto alla prossima prova che dovrà confermare quanto di buono c'è su 'Random Survival' e, se possibile, migliorarlo. (Claudio Catena)

(Self - 2014)
Voto: 70

venerdì 11 aprile 2014

April Weeps - Outer Calm, Pain Within

#PER CHI AMA: Death/Gothic, Tristania, Trail of Tears
La Slovacchia non è solo un'ottima fucina di band brutal death; i giovani April Weeps ce lo confermano con il loro debut del 2013, 'Outer Calm, Pain Within', una 11-track di suoni gothic death. "Sacrificial Rite" apre robustamente questo loro debutto, contraddistinto da una sezione ritmica bella potente, coadiuvata dal grosso vocione di N, presto affiancato dai soavi vocalizzi di una dolce (e sembrerebbe anche molto carina) donzella, Marta. Facile pertanto intuire che questo dualismo vocale servi a rendere più abbordabile la proposta del 7-piece di Dunajská Streda. Nella seconda track, "Dream-Master", salgono in cattedra, al fianco della coppia indemoniata di asce, anche le tastiere di Stronghold, in un pezzo veloce e lineare, il cui punto debole risiede ahimè, nella performance della bella Marta, fuori dal contesto sonoro dei nostri. Capisco che la band miri a seguire le orme di act quali Trail of Tears o Tristania (peraltro, entrambi gli ultimi album delle due band norvegesi, sono peccaminosi), ma manca ancora qualcosa, quel qualcosa che tuttavia sembra emergere nella terza "Buried", che anche sul fronte vocale del gentil sesso, mi convince appieno. Ottime e ammiccanti le linee melodiche delle chitarre, che tuttavia non sembrano cedere a nessun tipo di compromesso. Echi gotici si miscelano a epiche galoppate, prese in prestito dal melodeath dei Children of Bodom. L'album scivola veloce, complici anche le non siderali durate dei pezzi, che si assestano sempre sui 4 minuti e mezzo. La title track ha un iniziale mood oscuro, ma poi il pezzo evolve, con le chitarre che si rincorrono in progressivi vortici di colore e partiture di musica classica. "Forever Falling" è la classica song dove si vogliono mettere in luce a tutti i costi, le qualità della vocalist, in una sorta di semi-ballad indolente, dove neppure il growling di N riesce a salvarne l'esito conclusivo, reso tuttavia interessante per lo splendido assolo finale. Insomma, avrete capito che non sono il fan numero uno della giovane fanciulla slovacca anche se giungo alla conclusione che la sua timbrica la si odia o la si ama. Purtroppo rientro nella prima categoria, ma non mi lascio traviare e quando mi metto all'ascolto della lunga e ipnotica "Shards" (bello il giro di basso iniziale, molto AtomA nel suo approccio), decido di assegnarle la palma di mia song preferita dell'album. Tenebrosa, vibrante e coinvolgente, il giusto compromesso tra il gothic alla Nightwish e il death metal dalle venature doom. Stranamente il disco inizia a decollare da questo punto in poi con una serie di pezzi non affatto male: la liturgica "Waiting for the Sun", la malinconica "In a Hurry" o la devastante "Positive Energy", mitigata solo dalle eteree vocals di Marta, responsabile invece della tremenda riuscita di "Faded Memory". A chiudere il disco ci pensa lo straziante pianoforte di "Pass Away", che dimostra una quanto mai apprezzabile maturità del combo slovacco dal punto di vista del songwriting, ma che mostra qualche ingenuità da smussare. Un comunque piacevole esordio. (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
Voto: 70

mercoledì 9 aprile 2014

Vangough - Between the Madness

#PER CHI AMA: Progressive Metal, Dream Theater, Opeth
I Vangough vengono dagli Stati Uniti, e propongono un progressive rock dall'anima davvero coinvolgente e passionale, ma anche sperimentale e vario, merito sicuramente del vasto background dei musicisti che hanno creato quest'album, 'Between The Madness', terzo full-lenght della band. Quest'impressione permea l'intero lavoro, che porterà l'ascoltatore a percorrerlo tutto d'un fiato attraverso le sue 12 tracce, legate da un concept profondo e ben strutturato. E impressione è forse la parola più adatta a descriverne le modalità d'ascolto, dove la musica diventa luce e colore come anche ombra e monocromia. I pezzi sembrano nati dall'estro di un pittore che dipinge in melodie, armonie e ritmo sulla tela della partitura ed è originale il tocco dell'artista. Il concept album di questa band fa ripercorrere un atto dopo l'altro le passioni e le sofferenze umane. Attraverso la voce narrante del vocalist, che sa come infondere al suo ottimo timbro colori dolci così come aggressivi, attraverso una sezione strumentale che merita di essere analizzata nel particolare oltre che nell'insieme, che è quanto di più espressivo e magnetico la vera musica possa dare. 

È davvero difficile spiegare quest'opera senza toccare uno per uno i brani che la compongono: l'opening track, "Afterfall", cattura per il suo carattere cangiante e la scorrevolezza della linea vocale, che qui è resa dal vocalist particolarmente sentita e sofferta. Complici anche un ottimo arrangiamento della parte ritmica strumentale e una grande varietà di spunti tematici che, toccando tutti gli strumenti, mantengono viva l'attenzione su un pezzo che sicuramente rompe il ghiaccio in maniera più che decisa ed efficace. Profondo e angosciante il songwriting, che riesce, con parole poetiche, a descrivere la sofferenza di un uomo e una donna, compagni di vita, dopo una grande perdita, quella di un figlio. Il testo dipinge con vivide immagini e desolate sfumature la disperazione di queste due anime, fino alla preghiera finale, che ha nel suo crudo realismo una potente forza evocativa. 

L'album prosegue con "Alone", brano che mescola con gusto ed efficacia atmosfere diverse e contrastanti. Dopo il raffinato intro, il brano si fa teso e potente: chitarre ritmiche distorte eseguono incollate al basso un riff possente, subito seguite da una precisissima linea di batteria, in un gioco di controtempi che ricorda i colleghi Meshuggah per le ritmiche, che vengono presto variate e alternate a escursioni chitarristiche. Introdotta da vocalizzi sul precedente tema inizia quasi subito la prima strofa, che cambia totalmente le carte in tavola. Il cantato si fa più suadente di ciò che ci si potesse aspettare e la prima strofa si presenta descrittiva: vicoli illuminati di notte dai lampioni, un'atmosfera onirica e cupa come la solitudine del protagonista. Il tutto circondato da una musica che va oltre il genere proposto dal gruppo, in un coinvolgente giro di basso di Jeren Martin che si staglia su una batteria dal groove eccentrico, sovrincisioni corali poste nei punti giusti che dialogano con il solista e un leggero accompagnamento di piano sullo sfondo. Dopo un cambio ritmico vi è una sezione strumentale che contiene una delle parti più espressive e commoventi dell'album, dove una chitarra leggermente distorta, quasi jazz, è accompagnata solamente dal piano elettrico, su cui poggiano anche gli archi, per un gioiello strumentale che ricorda le suggestioni fusion del John Petrucci solista, per un brano che può senza dubbio esser considerato un masterpiece. 

Il concept si sviluppa con "Separation", pezzo nelle cui lyrics si aggiunge rabbia alla sofferenza, dove il male si scontra con il bene e il protagonista chiede disperatamente aiuto tra le convulsioni del suo animo morente. Brano che fonde una forte anima rock, specie nei suoi maestosi chorus, con tendenze avantgarde, lunatiche e instabili, in particolare nelle sezioni strumentali. La trama si avvia verso sentieri tortuosi con "Infestation", un capitolo dell'album piuttosto oscuro e carico di significati simbolici. Nel testo infatti, sono presenti alcune allusioni bibliche, mescolate a spunti personali dai molteplici picchi di genio. Dal punto di vista musicale il brano si presenta come una semi-ballad dalla struttura generalmente tripartita, con una sezione strumentale centrale molto vicina per stile a gruppi prog metal quali i Dream Theater. "Schizophrenia" è un pezzo molto più diretto dei precedenti e anche il testo abbandona qualsiasi filtro mettendo allo scoperto emozioni terribili ormai raffreddate nell'animo di chi le ha vissute. Si presenta come un pezzo vario e dai molti spunti interessanti: la parte introduttiva comincia nervosa e piena e si calma poi nella prima strofa, dal sottofondo melodico quasi inquietante, per poi tornare possente in un continuo gioco di alternanza tra parti calme e acustiche e parti piene e corali ad arrangiamento pieno. Il pezzo, dopo le ultime riprese dei temi principali si scatena in un magistrale assolo dalla forte connotazione conclusiva, con un finale che sfuma in un fade out che accompagna al brano strumentale successivo. 

Brani come la title track trascinano in un mondo dal sapore esotico e ultraterreno, riuscendo solamente con chitarra acustica, violino e violoncello a creare quell'aura misteriosa e lucente che talvolta solo la musica strumentale può evocare. Grande gusto classico in una struttura compositiva aperta dove il bellissimo tema proposto dal violino (di Justus Johnston) viene poi ripreso dal violoncello (di Jose Palacios). Il tutto è accompagnato da una chitarra acustica dal grande riverbero armonico in una variazione e riproposizione di una melodia che riporta alla mente perfino suggestioni rimandanti alla musica slava, complici soprattutto l'uso di scale modali e intervalli eccedenti da parte degli strumentisti ad arco. Questo è l'unico lavoro composto a quattro mani da Withrow e Martin. Uno strumentale che segna idealmente uno spartiacque tra la prima parte dell'album e la seconda, ridonando calma e un barlume di idilliaca spensieratezza all'ascoltatore per il proseguimento del viaggio interiore. 

Oramai la metamorfosi interiore è avvenuta, "Vaudeville Nation" si presenta con un testo cinico e sarcastico, a tratti perfino distruttivo e sprezzante, il cui testo di riferimento è 'Il Signore delle Mosche', di William Golding. Dal punto di vista musicale questo brano si presenta tra i più vicini al genere progressive metal, basandosi su riff davvero possenti e un'atmosfera cupa data soprattutto dalle roboanti chitarre ritmiche sposate a un basso e una batteria che lasciano poco spazio a divagazioni per concentrarsi su un ruolo molto più d'impatto. "O Sister" colpisce dritto nel segno, lasciando semplicemente inebriati di questa esperienza a fine brano. Un pezzo che prende una strada diversa rispetto ad altri capitoli di quest'album, accostando al sentiero sperimentale una ricerca più diretta al cuore dell'ascoltatore. Così per la musica come per le lyrics. Questa canzone è un'elegia, un tributo commosso all'anima di una sorella che se n'è andata via, verso il mare dell'infinito... Così la musica abbandona ogni pretesa terrena e si racchiude nella sua più discreta semplicità accompagnando un canto dolce e disperato al tempo stesso; seguendone l'andamento emotivo. 

La traccia "Thy Flesh Consumed", strumentale come "Between The Madness", trascina per la sua sperimentalità e per l'uso di effetti coinvolgenti e ben resi dall'eccellente lavoro di editing. Vi son presenti affascinanti suggestioni che strizzano l'occhio ai canadesi Unexpect sotto alcuni aspetti (come l'uso delle dissonanze, dell'effettistica, dei violini e del netto e disorientante uso di contrasti dinamici e timbrici). "Useless" riprende alcune tematiche di "Vaudville Nation" ma a livello musicale se ne distacca, proponendo una visione più varia anche in termini stilistici. Addirittura propone all'inizio uno stile quasi funk, con un basso in primo piano, una batteria elettronica e un parlato a più incisi leggermente sussurrato. "Depths of Blighttown" è un pezzo strumentale sinfonico, dall'intro quasi "medievaleggiante" in alcuni spunti armonici, mentre le melodie rivelano un'attrazione per il cromatismo. La parte successiva, introdotta da pizzicati agli archi, espone invece il tema principale, che appare come una variazione della figurazione a due note presente ai violini in "Thy Flesh Consumed". Il pezzo si presenta però, a differenza di quest'ultimo, dalla struttura a ripetizione e variazione tematica (più simile a "Between the Madness"); con una intensificazione nell'orchestrazione, che qui con molte sovrincisioni simula la presenza di un'orchestra vera e propria, al procedere del brano strumentale. 

La track conclusiva, "Corporatocracy", si presenta come un brano cinico nel testo e ipnotico nelle soluzioni strumentali. Il pezzo si fonda infatti su una ripetizione sempre nuovamente arrangiata del riff acustico iniziale (che sotto l'aspetto armonico e dell'incedere cromatico ricorda l'uso delle chitarre negli Opeth) e il quanto mai geniale giro di batteria eseguito da Kyle Haws. Un brano che abbandona qualsiasi ricerca di orecchiabilità per puntare su altro, cioè il coinvolgimento quasi ossessivo dell'ascoltatore in spire musicali avvolgenti, ostinate. Importanti e caratterizzanti sono le percussioni, presenti in questo pezzo in modo più fondante che in altri e influenzanti per approccio anche i giri di batteria intesa in modo classico. Anche il cantato non presenta una linea vocale ben definita, essa segue infatti in questo caso l'incedere musicale, un brano in conclusione non banale, dato che il pezzo finale di un full-lenght ha sempre l'onere di lasciare un'impronta del tutto. Il nuovo album dei Vangough, 'Between The Madness', è l'ultimo progetto in studio di una band che s'impone come una delle più coraggiose, eccentriche e versatili nella scena dell'Oklahoma, e sicuramente crescerà ancora in importanza e popolarità, traendo forza dal contributo e l'esperienza dei migliori musicisti sul campo. Un album consigliabile a chiunque voglia ascoltare un'ottima musica dai contenuti concettuali che manifestano i più reconditi e oscuri sentimenti umani. Un lavoro mirabile e stupefacente, che non fa perdere mai l'interesse all'ascolto e trasporta in un mondo simbolico ma vicino a chiunque sappia ascoltare e capire le cose con apertura e profondità. (Marco Pedrali)

(Self - 2013)

Voto: 95

Hamferð - Evst

#PER CHI AMA: Dark/Doom, Cathedral, Type O Negative
Chi di noi non ha mai sentito parlare delle Fær Øer Islands? Se non altro per qualche coincidenza di girone tra la nazionale italiana e la corrispettiva nazionale faroese, per quello che riguarda nazionalpopolari cronache pallonare; ma una nazione non infinitamente grande come le Fær Øer ha già sfornato un paio di gruppi metal degni di nota, tra i quali mi piace citare i classicheggianti TYR e perchè no, anche questi Hamferð. Il gruppo protagonista della recensione di oggi, ha vinto un concorso per band metal al celeberrimo festival Wacken nel 2012, vincendo un contratto con la storica etichetta metal Nuclear Blast. Ascoltando 'Evst' ho capito chiaramente il perché: la classe signori, la classe...questa sconosciuta in ambito metal da troppo tempo. Iniziando l'analisi più approfondita di questo lavoro, mi soffermo, come mia abitudine (o mania, come preferite) sulla confezione del cd, un digipack classico con un artwork raffinato e oltremodo “scuro”, caratteristica che rende difficile la lettura dei testi sul libretto (poco male, i nostri scrivono i loro testi in lingua faroese, poco comprensibile) e che aiuta a creare quell'atmosfera malsana che cerca di introdurci al meglio al sound proposto. La formazione è formata da sei elementi (se vi può interessare su Youtube trovate anche un video live girato in una cattedrale e mandato in onda dalla tv faroese!!!) in cui spicca il cantante e mente del gruppo, dotato, oltre che di una bellissima voce, anche di ottime capacità di composizione. Che dire, la musica è un doom metal di ottima fattura, i ritmi sono lenti, le atmosfere cupe; i suoni, meravigliosi, frutto di un ottimo lavoro fatto in studio. Le voci, spettacolari clean vocals si alternano a un growling mai troppo marcato e che evita di rendere il tutto troppo stucchevole. Dopo 2-3 passaggi nel mio stereo, 'Evst' ha rischiato di diventare il mio disco preferito da un bel po' di tempo a questa parte; dopo altri tre ascolti lo è diventato. Mai come in questo caso, un ascolto del genere proposto, può aiutare più di mille parole; potrei affermare che mi ricordano i Cathedral, imbastarditi dai più decadenti Type O Negative, a loro volta influenzati dai Sabbath più oscuri. Quel che è certo è che non si tratta di musica per tutte le occasioni, la definirei piuttosto “musica per giornate grigie” oppure “note per il crepuscolo”, ma poco importa. Notevoli tutte le composizioni (sei in tutto) che si assestano su durate medio/lunghe, che danno il meglio di loro stesse se ascoltate in cuffia (provare per credere). Non voglio dare giudizi sui singoli musicisti, tutti autori di un ottima prestazione, perché in questo caso più che in altri avrebbe poco senso: qui tutti viaggiano nella stessa direzione creando un monolite sonoro che lascia un solco ben definito sulla sua strada. In testa ed in coda alla scaletta le due meravigliose creazioni che fanno gridare al miracolo; l'iniziale title track e la conclusiva “Ytst”, due vere e proprie gemme. Sinceramente non pensavo di potermi trovare di fronte ad un lavoro di tale portata, da un gruppo per me semisconosciuto; solo parole di elogio per questi ragazzi, autori di un lavoro che si piazza tra i primissimi posti della mia playlist personale. Mai come in questo caso, ascolto più che consigliato. Obbligatorio. (Claudio Catena)

(Tutl Records - 2013)
Voto: 90

Viverna - S/t

#PER CHI AMA: Epic Black Ambient
Un bel sound quello proposto dai Viverna, una tape costituita da tre canzoni, ben prodotta e curata nella sua veste grafica. I due membri, “XXXIX” (ex Funeral Marmoori, fondatore ed ex Sulfur) e “Magus Ater” (Domine, ex Necromass ed ex Sulfur) propongono tracce ipnotiche e cadenzate senza alcun eccesso e nessun pretesto. Un black metal che si lascia ascoltare, che rispetta l’etica e la poesia che in questo genere musicale dovrebbero essere di primaria importanza. Curiosa e azzeccata la scelta di cantare in latino e di utilizzare testi brevissimi, ripetuti più e più volte come un mantra cosmico. La cassetta si apre con “Sortilegio,” una canzone della durata di più di otto minuti, basata su riff trascinanti, simpatizzanti in un certo senso sonorità “bathoryane”, innestati qua e la da ataviche melodie monocorde, semplici e sobrie, con il testo elementare ma non per questo meno interessante che recita il famoso palindromo: “Rotas Opera Tenet Arepo Sator”. Ascoltando questa prima traccia si respira un aria antica, magica ed arcaica che introduce alla successiva “Ouroboros” seconda solo per ordine cronologico, anche in questo caso si ha una traccia di quasi 10 minuti, ben strutturata e ricca di pathos, melodica ed essenziale, genuina e coinvolgente, in cui l’aspetto vincente è sempre la compostezza della composizione che non eccede in nulla, pur restando su standard qualitativi molto alti. A chiudere questa brillante demo di debutto, “Stella del Mattino” una composizione tastieristica, con un sound a cavallo tra Burzum e Tangerine Dream che emana una grande pace, estatica e cristallina. Trovare un termine di paragone per i Viverna è cosa difficile perché ciò che il duo fiorentino suona è musica dotata di grande personalità; c’è una certa similitudine con il conte Grisnack ma sarebbe limitativo pensare ai Viverna come una Varg-band, la verità è che i Viverna suonano come i Viverna e meritano di essere ascoltati per quel che sono. La qualità audio è molto buona, per lo meno, “viva”, “fresca”, con un suono fisico, presente, organico, vero. L’unica critica che posso e trovo utile muovere, è nei confronti del cantato, abbastanza secco e ruvido, lo avrei preferito sentire alternato ad una voce più spontanea, più selvatica, più libera e declamata, soprattutto nella seconda traccia, “Ouroboros”. Dopo questa piccola critica, in conclusione posso affermare che questa demo è qualcosa di piacevole e molto intrigante, una proposta onesta che lascia presagire molte sorprese per il futuro, per cui consiglio di tenere d’occhio questi Viverna, perché l’onestà nel panorama black metal odierno è merce rara e ricercata. Acquistate questa tape, non ve ne pentirete, garantito! (Alessio Skogen Algiz)

(Self - 2014)
Voto: 75

The Brain Washing Machine - Seven Years Later

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Della serie ottima etichetta, ottimi gruppi! Questa volta tocca ai The Brain Washing Machine (TBWM), padovani di nascita e stoner/rock per vocazione. Il quartetto lancia questo album alla fine del 2013, dopo il successo del primo EP (datato ormai 2006) e conferma quanto atteso. Band solida (un solo cambio di line-up in questi sette anni di attività), numerose esibizioni live (anche a fianco di band di spicco) e molti passaggi in radio per condividere il loro lavoro con il nutrito mondo di desert-addicted. Dodici brani registrati professionalmente e un bel digipack, ti fanno salire la cosiddetta SAS (Stoner acquisition syndrome), patologia riconosciuta a livello mondiale che porta l'amante del genere stoner/doom alla ricerca incessante del gruppo perfetto. Perfetto o no, i TBWM sono cazzuti, bravi e sanno vendersi. Per quanto riguarda i primi due punti nulla da aggiungere, arrangiamenti ad hoc, tanti riff e cura feticista del suono. L'ultimo punto invece potrebbe dividere le folle, nel senso che se cercate un disco che vi aiuti a passare in modo graduale dal pop/rock allo rock/stoner, questo è quello giusto. Se invece siete dei fan smaliziati del genere, troverete questo album un po' troppo ruffiano. Talmente border line da far sorridere, ma chissenefrega. Ascolta e taci. "Seven" è bella carica, una sfonda timpani da gustare appieno con le casse dello stereo che vi rinfrescano da quanta aria muovono a ritmo di una locomotiva che sfreccia nella notte. Brano strumentale, che non sente affatto il bisogno del cantato perché i riff vi parleranno a livello subliminale, prima veloci e poi dimezzati, tutto a beneficio del movimento ritmico della vostra testa. Ecco, diciamo che discreta parte nello stoner lo fanno le chitarre, possibilmente accordate in do e ricche di fuzz. I TBWM hanno optato per suoni meno desertici e più metropolitani, sappiatelo. "Angry Boy" apre con un grande riff di basso, veloce e tagliente che anticipa l'entrata degli altri commilitoni che arrivano subito a dar man forte. Parte ritmica promossa a pieni voti, insieme alla chitarra ci danno dentro come non ci fosse un domani e questo ripaga l'ascoltatore. Il vocalist sa il fatto suo, non è dovuto certo passare da 'X-Factor' e 'Amici' per imparare come si canta da rocker. Per questo serve tanta gavetta e migliaia ore di ascolto dei propri maestri (STP, Jane's Addiction, etc.) "Simple Song" è un'altra gran traccia, in linea con le precedenti e quindi non aggiungo molto altro. Le chitarre sono più grosse e forse sarebbe il suono adatto anche per le altre canzoni. Lo svolgimento è leggermente ripetitivo, si intuisce facilmente il prossimo cambio e questo toglie un po' di gusto all'ascoltatore. Direi che i TBWM sono a buon punto (prodotti dalla GoDown Records), non devono certo farsi abbagliare dai risultati ottenuti sin'ora, ma andare avanti per la propria strada. Infatti potrei dire che qualche aggiustamento al loro stile si può fare, ma poi, serve veramente? (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 70

domenica 6 aprile 2014

B°Tong – Hostile Environments

#PER CHI AMA: Noise/Drone, Alva Noto, Fennesz, Tim Hecker
Prodotto dalla Greytone nel 2013, il nuovo nato nella casa degli esperimenti sonori chiamata B°Tong ci proietta in un vortice cinematografico di sensazioni oscure. Chris Sigdell, musicista elettronico sperimentatore di suoni non convenzionali prodotti da variegati materiali e oggetti (metalli, giocattoli elettrici, etc.), ci conduce alla scoperta di una colonna sonora post atomica ricca di atmosfere siderali piene di spunti di sopravvivenza esistenziale. Lunghe trame musicali ricche d'atmosfera aliena e alienante, gelida ma allo stesso tempo carica d'emozionalità; la sua esperienza maturata sin dal 2005 si fa sentire nella alta fedeltà del suono che non tradirà gli amanti dell'effettistica hi-fi, se poi pensiamo al modo con cui questo alchimista sonico ottiene i suoi sospiri musicali, tutto acquista un doppio valore. Avvolti in un paesaggio degno delle atmosfere di 'Blade Runner', le nove tracce si muovono come una lunga colonna sonora. Legate tra loro alla perfezione, ripercorrono ambienti cari ad Alva Noto, Einsturzende Neubauten, Kilimanjaro Darkjazz Orchestra, Tim Hecker, Fennesz, The Mount Fuji Doomjazz Corporation, Bohren & der Club of Gore, Ryuichi Sakamoto, Brian Eno. Ovviamente, riletti e ragionati in maniera del tutto originale e drammatica, cosparsi di sussulti umani, minimalismo elettronico, grida di animali nella notte, mostri, noise, accenni di notturno sperimentalismo unto e catramoso, Drones, ansia vampiresca da club notturno dei bassifondi, umori tratti da un film decadente e senza via d'uscita, una colonna sonora da ascoltare tutta d'un fiato in stato d'allucinazione perenne, in una buia notte tutta da fissare oltre la finestra, profondamente ignari di cosa sarà il nostro domani. Cadete pure in tentazione, fatevi tentare, trattenete il fiato, c'è posto anche per voi in questa lunga passeggiata malinconica verso l'oblio! Esperimenti di rumoristica e dark ambient d'alto rango! Ascoltarlo è un dovere assoluto!!! (Bob Stoner)

(Greytone - 2013)
Voto: 80

sabato 5 aprile 2014

Blutnebel – Niedergang

#PER CHI AMA: Pagan metal, Belphegor, Rapture, Waylander
Arrivano dalla Sassonia carichi di spirito epico e pagano e portano il nome di Blutnebel, sono attivi dal 2008 e questo dal titolo 'Niedergang' è il loro secondo album autoprodotto. Il quintetto (che non usa tastiere, bene sottolinearlo) gioca le sue carte in un opera divisa in dieci brani dal taglio melodico e di sicuro impatto che non rifiuta i canoni del black metal ma che opta per uno stile diretto e ricco di mid-tempo rendendo le tracce tutte molto appetibili e di stampo chiaramente più classic metal. L'album fila via liscio come l'olio nella sua atmosfera battagliera, il suono è curato a fondo e la registrazione offre un perfetto equilibrio tra gli strumenti per un ascolto ottimale. Si apprezza tutto, dalla voce sprezzante ed agguerrita alle chitarre acustiche, piatti cristallini e basso pulsante, chitarre mordenti e costantemente votate alla melodia, ogni cosa giace al giusto posto. Forse quello che manca è un po' di originalità in più nelle composizioni, ma nell'insieme questo è un album che renderà felici molti black metallers dall'animo epico, con una (pacata) propensione al power metal e amanti di Belphegor, Waylander, Rapture o dei divini Atanatos. Dieci brani ben orchestrati tra loro divisi in momenti di acustica atmosfera, degna di una foresta incantata e folate di metallo fiero e glorioso che trovano un riassunto ideale nel brano centrale strumentale, dal titolo "Zeitenwende" che rispecchia alla perfezione lo stile della band. La seguente "Verdammnis" è una song esplosiva dove la voce rigurgita tutta la sua malignità anche se la massima espressività vocale la si ha con lo start del brano "Geboren in Feuer" dove il vocalist Namon tocca vertici di malvagità notevoli. Un lavoro completo e di carattere anche se un tantino omologato, comunque carico di personalità e soprattutto di comprensibile impatto, di facile assimilazione, caratteristica quest'ultima non da trascurare in questo genere. Supera alla grande la prova dei ripetuti ascolti e offre mille sfaccettature tutte da scoprire ed apprezzare. L'artwork di copertina è ben curato ma poco attraente e ricercato. Album da ascoltare attentamente, ottimo lavoro underground ben riuscito. (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 75

Inferi - The Path of Apotheosis

#FOR FANS OF: Melodic Death Metal, The Black Dahlia Murder, Insomnium, Arsis 
It’s not every day a musical act comes from a completely unexpected climate to wow you with a style made famous by practitioners elsewhere around the globe, but the home of American Country/Western music, Nashville, Tennessee has delivered one of the more rousing, enjoyable, and downright fun albums in the year is this third effort from the recently reactivated US version of Inferi. As soon as you press ‘PLAY,’ the one undeniable influence upon this music is The Black Dahlia Murder in terms of overall attack, riffing patterns and initial scope, but the main part missing here is the bands’ greatest strength in that it’s more traditionally-based Death Metal instead of opting for the Metalcore-infusion BDM specialize in. Instead, these guys infuse their sound with more keyboards, in the process becoming slightly symphonic in places when they launch into keyboard-spotlighted efforts, while focusing on including highly melodic riffs passages over the brutal Death Metal rhythms, which is a key component to the Finnish style of Melo/Death. Still, the dual vocals of hoarse grunts and raspy screams alternating within different lines, technically-complex and high-speed guitar patterns and pounding drum-lines filled to the brim with triggered double-bass fills all seem to come from the Michigan-deathsters playbook, but the additional influences within make this far more impressive and enjoyable. Opener "Those Who From the Heavens Came" gives an impeccable example of what to expect here with a swirling round of keyboards, technical guitar riffs, lumbering bass-lines and utterly impressive round of drumming that barrels over the top of the raging tempos within, as it shifts from quiet, moody reflective pieces with acoustic instrumentation to full-throttle barn-burner and complex, Metalcore-inspired mid-tempo work all within the scope of the epic six-minute length, itself a common trait among many of the songs to push past the six minute running time or come awfully close. That, in a nutshell, might be the albums’ only detriment as the extended running time throughout these songs border on overkill the longer the album runs for the decision to leave the running order at eleven is a bit much for this kind of music, much less the standard issue version like this. Keep it at nine or so and put one of the short tracks as a bonus clip isn’t going to do much to harm this one overall, but eleven songs averaging five-and-a-half minutes takes a lot out of this record. Frankly, the album as a whole is just so enjoyable that it’s only reflection after-the-fact that this becomes noticeable and not during the experience, the music is just that good to really notice. Additionally, the majority of the songs offer something fun to enjoy on an individual basis. "The Promethean Kings" is absolutely dripping with stellar guitar solos displaying incredible musical chops, "A Betrayal Unforetold" is an unrelenting rager of a track with plenty of guitar fireworks to power through and "Wrath of the Fallen One" is a keyboard-laden masterpiece of Symphonic Death Metal bristling with blinding drum-work alongside furious high-speed guitar riffing into an eerie, melodic outro. "The Ophidian Form," "Prelude to a Perilous Fate" and "Destroyer" are all reminiscent of the other, earlier tracks here with minor difference in tempo and rhythm melody, and the final onslaught of epic-length tracks at the back-end manages to hold the fury throughout the majestic lengths and make for a series of fine, up-tempo tracks that really hold the melody and symphonics well deep into an album, giving this band high hopes for the future as one of the pioneers of the genre. (Don Anelli)

(The Artisan Era - 2014) 
Score: 90 

The Pit Tips

Claudio Catena

Fate Control - Random Survival
Motorpsycho - Behind the Sun
Extrema - The seed of foolishness
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Don Anelli

Grave - Endless Procession of Souls
Testament - Dark Roots of Earth
Sodom - Epitome of Torture
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Bob Stoner

Misanthropic art - The Streams of Terror
Orbweaver - Strange Transmissions from the Neuralnomicon
Brian Reitzell & Alex Heffes - Red Riding Hood Soundtrack
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Stefano Torregrossa

The Ultra Electric Mega Galactic - The Ultra Electric Mega Galactic
Soul Coughing - El Oso
The Freeks - Full On
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Francesco "Franz" Scarci

Whispered - Shogunate Macabre
Dirge - Hyperion
Deadly Carnage - Manthe
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Mauro Catena

Motorpsycho - Behind the Sun
Pontiak - Innocence
Jeff Buckely - Sketches for my Sweetheart the Drunk
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Kent

Olive - Extra Virgin
William Basinski - Watermusic II
Franco Battiato - La Voce Del Padrone
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Skogen

Ymir - Hrìmthursar
Salem - Necessary Evil
Nattvindens Grat - A Bard's Tale