#PER CHI AMA: Progressive Metal, Dream Theater, Opeth |
I Vangough vengono dagli Stati Uniti, e propongono un progressive rock dall'anima davvero coinvolgente e passionale, ma anche sperimentale e vario, merito sicuramente del vasto background dei musicisti che hanno creato quest'album, 'Between The Madness', terzo full-lenght della band. Quest'impressione permea l'intero lavoro, che porterà l'ascoltatore a percorrerlo tutto d'un fiato attraverso le sue 12 tracce, legate da un concept profondo e ben strutturato. E impressione è forse la parola più adatta a descriverne le modalità d'ascolto, dove la musica diventa luce e colore come anche ombra e monocromia. I pezzi sembrano nati dall'estro di un pittore che dipinge in melodie, armonie e ritmo sulla tela della partitura ed è originale il tocco dell'artista. Il concept album di questa band fa ripercorrere un atto dopo l'altro le passioni e le sofferenze umane. Attraverso la voce narrante del vocalist, che sa come infondere al suo ottimo timbro colori dolci così come aggressivi, attraverso una sezione strumentale che merita di essere analizzata nel particolare oltre che nell'insieme, che è quanto di più espressivo e magnetico la vera musica possa dare.
È davvero difficile spiegare quest'opera senza toccare uno per uno i brani che la compongono: l'opening track, "Afterfall", cattura per il suo carattere cangiante e la scorrevolezza della linea vocale, che qui è resa dal vocalist particolarmente sentita e sofferta. Complici anche un ottimo arrangiamento della parte ritmica strumentale e una grande varietà di spunti tematici che, toccando tutti gli strumenti, mantengono viva l'attenzione su un pezzo che sicuramente rompe il ghiaccio in maniera più che decisa ed efficace. Profondo e angosciante il songwriting, che riesce, con parole poetiche, a descrivere la sofferenza di un uomo e una donna, compagni di vita, dopo una grande perdita, quella di un figlio. Il testo dipinge con vivide immagini e desolate sfumature la disperazione di queste due anime, fino alla preghiera finale, che ha nel suo crudo realismo una potente forza evocativa.
L'album prosegue con "Alone", brano che mescola con gusto ed efficacia atmosfere diverse e contrastanti. Dopo il raffinato intro, il brano si fa teso e potente: chitarre ritmiche distorte eseguono incollate al basso un riff possente, subito seguite da una precisissima linea di batteria, in un gioco di controtempi che ricorda i colleghi Meshuggah per le ritmiche, che vengono presto variate e alternate a escursioni chitarristiche. Introdotta da vocalizzi sul precedente tema inizia quasi subito la prima strofa, che cambia totalmente le carte in tavola. Il cantato si fa più suadente di ciò che ci si potesse aspettare e la prima strofa si presenta descrittiva: vicoli illuminati di notte dai lampioni, un'atmosfera onirica e cupa come la solitudine del protagonista. Il tutto circondato da una musica che va oltre il genere proposto dal gruppo, in un coinvolgente giro di basso di Jeren Martin che si staglia su una batteria dal groove eccentrico, sovrincisioni corali poste nei punti giusti che dialogano con il solista e un leggero accompagnamento di piano sullo sfondo. Dopo un cambio ritmico vi è una sezione strumentale che contiene una delle parti più espressive e commoventi dell'album, dove una chitarra leggermente distorta, quasi jazz, è accompagnata solamente dal piano elettrico, su cui poggiano anche gli archi, per un gioiello strumentale che ricorda le suggestioni fusion del John Petrucci solista, per un brano che può senza dubbio esser considerato un masterpiece.
Il concept si sviluppa con "Separation", pezzo nelle cui lyrics si aggiunge rabbia alla sofferenza, dove il male si scontra con il bene e il protagonista chiede disperatamente aiuto tra le convulsioni del suo animo morente. Brano che fonde una forte anima rock, specie nei suoi maestosi chorus, con tendenze avantgarde, lunatiche e instabili, in particolare nelle sezioni strumentali. La trama si avvia verso sentieri tortuosi con "Infestation", un capitolo dell'album piuttosto oscuro e carico di significati simbolici. Nel testo infatti, sono presenti alcune allusioni bibliche, mescolate a spunti personali dai molteplici picchi di genio. Dal punto di vista musicale il brano si presenta come una semi-ballad dalla struttura generalmente tripartita, con una sezione strumentale centrale molto vicina per stile a gruppi prog metal quali i Dream Theater. "Schizophrenia" è un pezzo molto più diretto dei precedenti e anche il testo abbandona qualsiasi filtro mettendo allo scoperto emozioni terribili ormai raffreddate nell'animo di chi le ha vissute. Si presenta come un pezzo vario e dai molti spunti interessanti: la parte introduttiva comincia nervosa e piena e si calma poi nella prima strofa, dal sottofondo melodico quasi inquietante, per poi tornare possente in un continuo gioco di alternanza tra parti calme e acustiche e parti piene e corali ad arrangiamento pieno. Il pezzo, dopo le ultime riprese dei temi principali si scatena in un magistrale assolo dalla forte connotazione conclusiva, con un finale che sfuma in un fade out che accompagna al brano strumentale successivo.
Brani come la title track trascinano in un mondo dal sapore esotico e ultraterreno, riuscendo solamente con chitarra acustica, violino e violoncello a creare quell'aura misteriosa e lucente che talvolta solo la musica strumentale può evocare. Grande gusto classico in una struttura compositiva aperta dove il bellissimo tema proposto dal violino (di Justus Johnston) viene poi ripreso dal violoncello (di Jose Palacios). Il tutto è accompagnato da una chitarra acustica dal grande riverbero armonico in una variazione e riproposizione di una melodia che riporta alla mente perfino suggestioni rimandanti alla musica slava, complici soprattutto l'uso di scale modali e intervalli eccedenti da parte degli strumentisti ad arco. Questo è l'unico lavoro composto a quattro mani da Withrow e Martin. Uno strumentale che segna idealmente uno spartiacque tra la prima parte dell'album e la seconda, ridonando calma e un barlume di idilliaca spensieratezza all'ascoltatore per il proseguimento del viaggio interiore.
Oramai la metamorfosi interiore è avvenuta, "Vaudeville Nation" si presenta con un testo cinico e sarcastico, a tratti perfino distruttivo e sprezzante, il cui testo di riferimento è 'Il Signore delle Mosche', di William Golding. Dal punto di vista musicale questo brano si presenta tra i più vicini al genere progressive metal, basandosi su riff davvero possenti e un'atmosfera cupa data soprattutto dalle roboanti chitarre ritmiche sposate a un basso e una batteria che lasciano poco spazio a divagazioni per concentrarsi su un ruolo molto più d'impatto. "O Sister" colpisce dritto nel segno, lasciando semplicemente inebriati di questa esperienza a fine brano. Un pezzo che prende una strada diversa rispetto ad altri capitoli di quest'album, accostando al sentiero sperimentale una ricerca più diretta al cuore dell'ascoltatore. Così per la musica come per le lyrics. Questa canzone è un'elegia, un tributo commosso all'anima di una sorella che se n'è andata via, verso il mare dell'infinito... Così la musica abbandona ogni pretesa terrena e si racchiude nella sua più discreta semplicità accompagnando un canto dolce e disperato al tempo stesso; seguendone l'andamento emotivo.
La traccia "Thy Flesh Consumed", strumentale come "Between The Madness", trascina per la sua sperimentalità e per l'uso di effetti coinvolgenti e ben resi dall'eccellente lavoro di editing. Vi son presenti affascinanti suggestioni che strizzano l'occhio ai canadesi Unexpect sotto alcuni aspetti (come l'uso delle dissonanze, dell'effettistica, dei violini e del netto e disorientante uso di contrasti dinamici e timbrici). "Useless" riprende alcune tematiche di "Vaudville Nation" ma a livello musicale se ne distacca, proponendo una visione più varia anche in termini stilistici. Addirittura propone all'inizio uno stile quasi funk, con un basso in primo piano, una batteria elettronica e un parlato a più incisi leggermente sussurrato. "Depths of Blighttown" è un pezzo strumentale sinfonico, dall'intro quasi "medievaleggiante" in alcuni spunti armonici, mentre le melodie rivelano un'attrazione per il cromatismo. La parte successiva, introdotta da pizzicati agli archi, espone invece il tema principale, che appare come una variazione della figurazione a due note presente ai violini in "Thy Flesh Consumed". Il pezzo si presenta però, a differenza di quest'ultimo, dalla struttura a ripetizione e variazione tematica (più simile a "Between the Madness"); con una intensificazione nell'orchestrazione, che qui con molte sovrincisioni simula la presenza di un'orchestra vera e propria, al procedere del brano strumentale.
La track conclusiva, "Corporatocracy", si presenta come un brano cinico nel testo e ipnotico nelle soluzioni strumentali. Il pezzo si fonda infatti su una ripetizione sempre nuovamente arrangiata del riff acustico iniziale (che sotto l'aspetto armonico e dell'incedere cromatico ricorda l'uso delle chitarre negli Opeth) e il quanto mai geniale giro di batteria eseguito da Kyle Haws. Un brano che abbandona qualsiasi ricerca di orecchiabilità per puntare su altro, cioè il coinvolgimento quasi ossessivo dell'ascoltatore in spire musicali avvolgenti, ostinate. Importanti e caratterizzanti sono le percussioni, presenti in questo pezzo in modo più fondante che in altri e influenzanti per approccio anche i giri di batteria intesa in modo classico. Anche il cantato non presenta una linea vocale ben definita, essa segue infatti in questo caso l'incedere musicale, un brano in conclusione non banale, dato che il pezzo finale di un full-lenght ha sempre l'onere di lasciare un'impronta del tutto. Il nuovo album dei Vangough, 'Between The Madness', è l'ultimo progetto in studio di una band che s'impone come una delle più coraggiose, eccentriche e versatili nella scena dell'Oklahoma, e sicuramente crescerà ancora in importanza e popolarità, traendo forza dal contributo e l'esperienza dei migliori musicisti sul campo. Un album consigliabile a chiunque voglia ascoltare un'ottima musica dai contenuti concettuali che manifestano i più reconditi e oscuri sentimenti umani. Un lavoro mirabile e stupefacente, che non fa perdere mai l'interesse all'ascolto e trasporta in un mondo simbolico ma vicino a chiunque sappia ascoltare e capire le cose con apertura e profondità. (Marco Pedrali)
(Self - 2013)
Voto: 95