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#PER CHI AMA: Post rock, Alternative, Sigur Ros, Mogwai, Radiohead |
Mentre guardo il cielo minaccioso fuori casa mia e mi preparo ad affrontare la famigerata “big snow” prevista da tutti gli esperti meteo, non potrei trovare miglior colonna sonora dell’opera omnia di questo combo svedese, scoperto di recente (benchè il loro debutto sia datato 2009) con il loro secondo album, 'Agartha', e al quale mi sembra doveroso dedicare una piccola, ma spero esaustiva, monografia. È musica evocativa, quella dei quattro di Nyköping. Di coltri bianche che tutto inghiottono, di nebbie solide, cieli candidi e nuvole veloci. È del 2009 il loro primo, sorprendente demo, che viene poi di fatto ripubblicato come 'The Ghost of Thirtythree'. Un disco che, al di là di qualche (poche, per la verità) ingenuità e nonostante un suono non proprio scintillante, mette in fila una decina di composizioni emozionanti, che cambiano ed evolvono solenni come i cieli del nord. Ancora indecisi su cosa diventare da grandi, se i Sigur Ros o i Mogwai, gli Ioseb si destreggiano da par loro tra chitarre stratificate, batterie quasi marziali e pianoforti dilatati, realizzando brani in un delicato crescendo dal respiro quasi sinfonico, sui quali una voce sottile si adagia come la neve appena caduta. I brani sono spesso lunghi, a volte oltre i dieci minuti, ora più rarefatti come la pastorale “C/o Night”, ora più enfatici e “grattuggiati” come “The Sea et Al” con i suoi muri chitarristici eretti all’improvviso. L’impressione è quella di avere tra le mani un diamante grezzo in grado di determinare una sintesi tra i Radiohead ed una via nordica al post-rock. Passano quattro anni perché il seguito, 'Agartha', veda la luce. E l’impressione è che siano stati anni di lavoro duro e consapevole di sottrazione, asciugatura, certosina cura. E così, degli Ioseb del debutto, 'Agartha' finisce per essere quasi un distillato: sei brani, nessuno dei quali supera di molto i 5 minuti, per nemmeno mezz’ora di durata totale. Il suono è ora curatissimo, quasi cristallino, l’inglese è stato abbandonato a favore della lingua madre, i brani sono spogliati di tutti gli orpelli e ogni lungaggine è bandita. Tutto, da “Det Röda Tornet”, strumentale d’apertura, alla coda di “O Swedenborara! O Rosencreutzare!”, riscaldata da chitarre acustiche ed ottoni, appare perfettamente centrato nel posto esatto in cui dovrebbe essere. Le barricate chitarristiche vengono ridotte al minimo e controllate da una ritmica nervosa, come una tensione che corre sottopelle senza mai esplodere, e si toccano vette di poesia quasi commovente nella stupenda “Det Femte Inseglet”, come un notturno di Chopin che si avviluppa in spirali rock sferzate da venti gelidi e bufere di neve, mentre una dolcissima melodia sembra voler indicare la strada verso casa. Se con 'The Ghost of Thirtythree' hanno raccontato l’inverno del grande nord, con 'Agartha' gli Ioseb fanno una cosa molto più difficile: ovvero cristallizzare il momento dell’inizio del disgelo, l’istante esatto in cui dal ghiaccio si forma la prima goccia d’acqua. Sarebbe da archiviare come poco di più di una curiosità 'Remixed; The Ghost of Thirtythree', uscito sul finire dello scorso anno solo in formato digitale, se non fosse che, a fianco a 6 diversi remix di un paio di brani del primo album in versione elettronica più o meno algida e rarefatta, si trova anche l’inedita “It’s Allright”, brano fortemente elettronico e quasi danzereccio. Semplice divertissement o possibile indizio di una direzione futura? Nota post-recensione: la “big snow” alla fine si è rivelata una solenne, piovosa bufala. Non così, per fortuna, la musica degli Ioseb, in grado di imbiancare qualsiasi paesaggio nel tempo di una manciata di giri di lancette. Consigliatissimi. (Mauro Catena)
(The Ghost of Thirtythree: 75 - Ippolit - 2009)
(Agartha: 80 - Ippolit 2013)
(Remixed; The Ghost of Thirtythree: 60 - Digital release - 2013)
http://ioseb.net/