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martedì 26 giugno 2018

Evanescence - Synthesis

#PER CHI AMA: Gothic Rock
L'affaticato intrecciarsi di efferate orchestrazioni gonfie di pathos e un drum n' bass drammaturgico proposto nella programmatica "Never Go Back" in apertura, sintetizza appropriatamente intenti e conclusioni evolutive di un album progettualmente confuso e straordinariamente povero di idee. Al di là dei pochi, maldestri tentativi di ricontestualizzazione (nell'epocale "Bring me to Life", ora dotata di una base elettronica che pare scritta da Michael Cretu in persona, ci si limita a rimuovere maldestramente il controcanto rap. Perché poi? A voi dispiaceva così tanto?), piuttosto che usare l'orchestra per fare quelle cose per le quali di solito ci si procura un'orchestra, per esempio esplorare un po' la dinamica verticale delle armonizzazioni (canzoni come "Going Under" avrebbero in questo senso un potenziale vertiginoso), si preferisce attenuare tutto e limitarsi conferire preminenza alle evoluzioni ipereuclidee dei vocalismi (sovente troppo) Turuniani di A-L (la scialba "Hi-Lo" o "Lacrymosa"). "Imaginary" è pasticciata fin oltre l'orizzonte variopinto del ridicolo e, sempre a proposito di ridicolo, l'inedita "Imperfection" sembra scritta da Janet Jackson. La creatività della band che ha (forse involontariamente) riscritto l'estetica del nu-goth appare sempre più evanescente, e la band medesima sembra più interessata a dollarose reunion e a fluttuare nell'iperuranio dorato delle band-ahimè-diventate-troppo-famose-troppo-presto-per-combinare-qualcosa-di-diverso-da-un-bell-accidente-di-niente, che a suonare per davvero. (Alberto Calorosi)

(Sony Music - 2017)
Voto: 45

http://www.evanescence.com/

When Due - Pendolo

#PER CHI AMA: Electro Rock strumentale
Nella introduttiva "Eka" individuerete senza difficoltà qualcosa dei Chemical Brothers meno cerebrali, o più precisamente dei Chemical Brothers meno decerebrali. Il beat elettronico si fa più incalzante, fino a pervenire in prossimità dei caleidoscopici confini del trance, poi nuovamente rarefatto, generando così un turbinante novero di climax consecutivi (in questo senso "Dvau" e "Trayas" pervengono a risultati analoghi partendo da presupposti del tutto differenti), e infine massimamente incalzante nella conclusiva "Pañca", il momento senz'altro pù spacy dell'intera suite. Cinque movimenti, i cui titoli sono la numerazione medesima, ma in lingua sanscrita, a comporre un periplo sonoro emotivamente elettrificato e tubolare. Chemical Brothers, ma anche Propellerheads, Basement Jaxx e Death in Vegas. Quella roba che da buoni rocchettari integerrimi e macrobiotici vi curavate di disapprovare pubblicamente salvo poi ascoltarvela di nascosto persino da voi stessi sul limitare dei 90's. (Alberto Calorosi)

(Almendra Music - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/whendue/

lunedì 25 giugno 2018

Hadeon - Sunrise

#PER CHI AMA: Progressive, Porcupine Tree, Dream Theater
Direttamente da Udine ci arriva 'Sunrise', disco d’esordio dei progsters Hadeon, band attiva dal 2014, ma che esce solo a fine 2017 per la prima volta con un full-length. Già a primo impatto mi colpisce la meditata attenzione ai dettagli, a partire dal bellissimo booklet, che vanta una grafica eccezionale: una texture simil-cuoio (magistralmente disegnata) fa da copertina al “diario” musicale degli Hadeon, o meglio al quaderno di appunti, vista la tematica dell’album. Il concept è infatti un racconto che esplora da diversi punti di vista, disturbi e malattie che colpiscono l’uomo moderno, raccontate in prima persona dai personaggi rappresentati nei brani. Certo, una tematica piuttosto cupa e particolare, che però è riferita non tanto alla presentazione del dolore in sé, bensì alla ricerca di se stessi attraverso il dolore, con la necessità dell’essere umano di superarlo e porvi rimedio. Tutto questo concept è musicato dai friulani con sonorità prog, molto ricche di richiami melodici e passaggi sperimentali, derivanti dalle più diverse lande del metal e non solo. Le composizioni del chitarrista e fondatore Alessandro Floreani, pur ancorate ad un sound metal-progressive, spaziano infatti in diverse dimensioni, dalla contaminazione elettronica di synth nell’opener “Thoughts’n’Sparks”, che dopo un intreccio centrale di assoli chitarra-tastiere, sfocia in un passaggio quasi free-jazz, finanche a sonorità più cattive, arricchite da fugaci passaggi di growl vocals. Le influenze dell’ensemble, come da loro stessi affermato, sono per l’appunto molteplici, a partire dai mostri sacri del prog come Yes e Marillion, fino a band più affini per sonorità agli Hadeon, ovvero Porcupine Tree e i Dream Theater del 21esimo secolo (in particolare con qualche richiamo a 'Systematic Chaos'). Mi sento di aggiungere un ulteriore paragone con una band che ben conosco e che ho automaticamente associato al gruppo di Udine dopo un primo ascolto, ovvero i veronesi Methodica: sotto certi aspetti associabili sia come sonorità che per ricerca compositiva. Devo dire che 'Sunrise' rappresenta davvero un ottimo esordio per gli Hadeon: le composizioni sono tutte ricche di idee messe in campo con un’attenzione strategica, anche nei brani più complessamente strutturati come “I, Divided” e “Sunrise” (che supera i 10 minuti). Il condimento è rappresentato naturalmente da molteplici tecnicismi, sia ritmici che strumentali, con un gran numero di sezioni solistiche. Un album che mi ha piacevolmente sorpreso, profondamente curato nel particolare. Tutta la dedizione che la band ha impiegato nella realizzazione del disco si nota, eccome. E dopo questo debut, la strada non può che essere spianata, dato il grande potenziale dimostrato da questo gruppo! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

martedì 19 giugno 2018

Bible Black Tyrant - Regret Beyond Death

#FOR FANS OF: Post Metal/Sludge, Yob, Neurosis
An album filthier than the nether regions of a three dollar lady of the evening, hard at work over Fleet Week in Norfolk, Virginia, Bible Black Tyrant brings a brash and densely infectious noise akin to the sludge seeping from twixt the illicit worker's legs that incubates in its fetid fecundity and ravages a population with plague and progeny alike. In contrast to the namesake of the state in which her underground business operates, her tang is corrupted by the abuse and unrestrained voracity of the lowly yet it is impressive in its epidermal malleability and her constitution's resistance to its own incubation of potential epidemic.

Featuring fluid flows of 'Celestial' sludge throughout the album, especially noticeable when the guitar grain melts and eventually isolates the drums, similar to a breakdown in “Glisten”, this album incubates its own deleterious concoction that remorselessly punishes a listener and leaves him curious as to what more substance may issue from such seemingly interminable captivity. However, Bible Black Tyrant refrains from indulging the bounce and hardcore leanings of Isis in favor of drawing out its oppressive march. The closest moment to a hyper speedy passage is in the disorienting first moments of the title track where the feedback and resonance of a guitar nearly sounds like a lo-fi blast beat which the band then admonishes the listener for entertaining such a notion by scraping strings and slamming the squeaking gate of freedom to draw him back into this dreary penitentiary. In stark opposition to the general flow of a the average album, this title track is merely a minimalist ambient piece separating two segments of creeping and undulating terror as the mechanism of control relishes its reign and resists revolution throughout this audial arc.

Much of 'Regret Beyond Death' is large, lumbering, and jerky with very few moments that combine such spastic contortions and relentless stomping in order to naturally move and flow. The oppressive atmosphere, a constant weight of grain upon one's ears that overcomes conscience and sense of self alike, seems to have no rhyme or reason except to torture and control the listener's thoughts, creating suffocating and delirious expectations as though the trials of a gulag meant not to mine prosperity for a society but to reduce the reproduction of its most wretched refuse. However, when such a combination of rhythm and riff does finally breach these prison walls, what eventually glides through the atmosphere is a greatly welcome moment that flows like fresh water after a drought. The album is unnerving until finally falling into a comfortable groove in “Wilderness of Steel and Stone” as a busy Sabbath style guitar followed by slow and hard cymbal pounding and a chanting chorus of 'the king of the slaves' takes over. Finally a flowing guitar riff on which to build rather than simply oppressing without any present design clears the air and a fresh feeling of freedom inspires an eruption of revolution, as though a mortal coil sheds like snake skin and rapture is achieved in the breaking of chains.

For a band named after a line in “The Legend of Sleepy Hollow”, a short story by Washington Irving featuring the ever-menacing Headless Horseman, there is an apparent horror throughout 'Regret Beyond Death' that seems to usher in a revolt against its confinement after “New Verse Inferno”, sweeping away its own oppressors. Recorded in different locations in the northwest and West Coast, the ensemble comes together well with its abrasive guitar layering, shouted vocals, and bassy percussion that brings grainy cycling in “A Terror to the Adversary”, cracking string whips in “The Irony”, and an almost psychedelic crunch in “The Standard”. A brash swinging in “Instead Of” will pick up its rhythm in order to better bash its own head into pavement while the grip of the hostile treble monopolizes the mix with its relentless reverberations.

Like the climbing guitar tones in “A Terror to the Adversary”, reeking of filth in spite of its undertone of grungy, almost reverential cries to become an anthem, 'Regret Beyond Death' yearns to become something better, but the crushing pain of existence and the weight of tyranny is impossible to truly overcome. The hints of a story arc help the album progress, but the endless deprivation throughout the album make for a release marred by its own misery. It will be interesting to see if Bible Black Tyrant may be able to escape its Hell and subjugate its oppressors, relishing its own revenge after enduring such a ravenous reign, but for now the band seems to be nurturing an uprising that quickly may be quashed. (Five_Nails)

(Argonauta Records - 2018)
Score: 65

https://bibleblacktyrant.bandcamp.com/releases

lunedì 18 giugno 2018

Sons of Alpha Centauri - Continuum

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock
A chi pensava che la band fosse definitivamente scomparsa dalle scene, ecco che i Sons of Alpha Centauri spiazzano tutti e tornano alla ribalta ad oltre dieci anni di distanza dal precedente lavoro. 'Continuum' è il titolo del nuovo album della band inglese, contenente otto song strumentali, aperte dalla spettrale "Into the Abyss", una breve song dal piglio post-rock affidata interamente ad un giro di sola chitarra. Poi, ecco "Jupiter", una traccia che sembra muoversi tra blues rock, post e progressive, in una melliflua song che si muove timidamente tra chiaroscuri elettrici. Decisamente più aggressiva "Solar Storm" che, al pari di una tempesta solare, si lancia in una roboante cavalcata stoner/post metal che trova nel suo corso un break atmosferico in stile Riverside, capace di mitigare la veemenza del quartetto britannico. Con "Io" le cose tornano ad adombrarsi, affidandosi ad una ritmica compassata in cui il problema principale è, come spesso accade, la mancanza di un vocalist in grado di conferire maggiore dinamicità ad una proposta che rischia alla lunga ahimè di annoiare. E cosi, questo brano non decolla realmente mai e procede stancamente fino a "Surfacing for Air", un intermezzo di quasi due minuti che introduce a "Interstellar", un pezzo notturno, che parte in sordina e fatica ad emergere almeno fino a due terzi quando i toni si fanno finalmente più aspri. Sebbene abbia una durata minore rispetto alle precedenti, non arrivando nemmeno ai tre minuti, "Orbiting Jupiter" è una song interamente suonata al pianoforte, sicuramente piacevole ma non poi cosi coinvolgente. Si arriva ai minuti conclusivi di "Return Voyage" che ci consegnano gli undici minuti finali di questo 'Continuum', in una traccia che tra parti atmosferiche e squarci elettrici, ha modo di rievocare lampi dei Pink Floyd, con la sola differenza che la band più famosa del mondo, poteva contare anche sulla performance di un cantante dietro al microfono. Qui c'è ancora parecchio da lavorare per togliersi di dosso scomodi paragoni con i maestri del psych/space rock ma anche e soprattutto con l'alternative dei Tool. Peccato, dopo dieci anni mi sarei aspettato qualcosa di decisamente superiore. Per ora è solo un album carino come ce ne sono tanti in giro. (Francesco Scarci)

(H42 Records/Electric Valley Records/Robustfellow - 2018)
Voto: 65

https://sonsofalphacentauri.bandcamp.com/album/continuum

Les Lekin - Died With Fear

#PER CHI AMA: Psych/Post Rock, Godspeed You! Black Emperor
Il secondo album dei Godspeed You! Black Emperor di Salisburgo si apre con una obnubilante galoppata interiore, assolutamente ed emozionalmente lisergica. Basso e batteria indistricabilmente avvinghiati, la chitarra come una sorta di delirante propaggine onirica. Ombre di nuvole meccaniche tratteggiano il profilo semantico dei suoni. Qualcosa a metà tra il Neil Young di 'Change Your Mind' e gli Ozric Tentacles di 'Erpland'. A passo uno. Rigorosamente a passo uno. Nel prosieguo, la riverberante "Inert" appare invece più post/something, tumultuosa ma dialetticamente centrifuga. Diametralmente opposta, seppure altrettanto post qualcosa, la successiva "Vast", sillogistica, persino circolare tanto nella melodia quanto nella dinamica sonora. L'epos si innalza, lentissimamente ma inesorabilmente, nella conclusiva "Morph", sonicamente desertica eppure volonterosamente tersa e nevrile, protesa verso la deliquescenza del (lunghetto, ammettiamalo) climax finale. Ascoltate questo disco, strafatti di peyote, mentre immaginate voi stessi che saltellate da un cactus all'altro tentando di sfuggire ad una fittissima pioggia di tarantole azzurrognole. (Alberto Calorosi)

(Tonzonen Records - 2017)
Voto: 80

https://leslekin.bandcamp.com/album/died-with-fear

venerdì 15 giugno 2018

Charming Timur - So Far, So Good

#PER CHI AMA: Experimental Music, Godflesh, Nine Inch Nails
Pronti per entrare in un tunnel di follia? Si perchè con la one-man-band finlandese dei Charming Timur, vi scontrerete con un sound ostico e paragnostico, fatto di suoni psicotici, in una mistura il cui stesso creatore definisce come un incidente aereo che non si limita ad un genere in particolare, ma che in realtà ruota attorno al modern metal, al nu metal e al post-qualcosa. Beh, io lo definirei semplicemente sperimentale, questo perchè quando "You Are Next" irrompe nel mio stereo e innesca il delirio incluso in questa compilation intitolata 'So Far, So Good', rimango piuttosto basito dall'assalto noisy dell'opening track. Suoni abrasivi, voci schizoidi tra il pulito e il cibernetico, una linea melodica completamente disconnessa. Ecco il marchio di fabbrica dell'artista di Helsinki che ci delizia con ben 18 brani votati alla totale sperimentazione sonora, che di certo non starò qui a descrivervi uno per uno. Magari posso citarvi la seconda acida e doomish "A Human Cell", psichedelica quanto basta per dirvi che sono uscito dal suo ascolto quasi avessi assunto una dose massiccia (forse letale) di LSD. E quell'effetto di stordimento prosegue anche nella successiva e più pesante "Dangerous To Self And Others", dove tra voci assimilabili a dei rumori, atmosfere rarefatte e disagiate, suoni cibernetici, si viene inglobati in un mondo futuristico molto vicino a quello sceneggiato in 'Blade Runner'. La voce malinconica e malata del frontman finlandese si lascia maggiormente apprezzare (ma soprattutto criticare per la sua scompostezza e stonatura) in "Our Day Is Beautiful", una traccia musicalmente (non di certo per le vocals) più lineare rispetto alle precedenti, figlia però di certe influenze dei Radiohead. Man mano che si avanza con l'ascolto del disco, si apprezzano i cambi stilistici del folle mastermind, questo perchè i brani arrivano dai vari album inclusi nella discografia dei Charming Timur. Sembrano più metallici pezzi come "(This Day Could Be) My Last" e "Keep You Safe", anche se quest'ultima ha una certa aura eterea, mentre più dark oriented sembra essere "How To Be A Creepy Perv". Il disco alla fine non è quanto di più semplice ci sia da ascoltare oggi, complici sonorità che talvolta sconfinano nell'industrial richiamando Nine Inch Nails o dei Godflesh stralunati (in "Ego Machine" il buon Lohi sfodera anche una voce growl), post punk ("Close"), o addirittura evocando un che dei Placebo in "This Miracle" o degli Smashing Pumpkins in "The Uplift". Se devo eleggere le mie song preferite, ecco che arrivo a "Falling Dawn", complessa, furiosa, abbastanza fuori di testa e con una linea di chitarra in tremolo picking davvero raggelante. In seconda battuta, sceglierei invece "Gone Blaze", un'altra traccia abbastanza selvaggia ma al contempo sperimentale che è riuscita sicuramente a conquistare i miei indifesi padiglioni auricolari. In cosi tanti brani c'è ovviamente qualcosa che non va (oltre alla delirante componente vocale): una produzione non sempre all'altezza o l'uso di una drum machine fredda e distaccata. Insomma, di lavoro da fare ce n'è ancora molto, tuttavia credo che 'So Far, So Good' sia un buon modo per avvicinarsi con cautela alla bizzarra proposta dei Charming Timur. (Francesco Scarci)

mercoledì 13 giugno 2018

Monophona - Girls on Bikes Boys Who Sing

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock/Trip Hop, Portishead
Il quarto album dei Massive Attack lussemburghesi propone una indietronica concettuale, politica e sensibilmente consapevole ("Here After") a tratti indissolubilmente folkeggiante ("The Benefit of the Doubt"), o rocchettara ("Folsom Prison Blues") o ancora cheerleader-parecchio-carina-ma-altrettanto-strafatta-like alla Warpaint ("Lada"), altrimenti collocabile tra il terzo e il quarto album di Björk (non tutto l'album, eh, ma almeno l'opener "Courage" e "Hospitals for Freedom"). Interessanti gli episodi più off, vale a dire l'angrr-triphop di "Tick of a Clock" e la funktoplasmatica "We'll Be Alright" in chiusura, fervida di vocine ultraterrene. Ma a voi, però, sarà per la intensa valenza iconica, sarà che ormai siete diventati un manipolo di vecchi coglioni pseudometallari delle mie ghiandole rinsecchite, a voi, dicevo, vi salta soprattutto all'orecchio la profusione bristoliana di rumorettini off stage: il mescolio di un cocktail in "The Benefit of the Doubt", una lattina stappata in "Courage", il fruscio di vinili nella portishosissima "I Will Be Wrong". Roba che avete già sentito un migliaio di milioni di volte, brontolerete infine. Ma sottovoce. (Alberto Calorosi)

martedì 12 giugno 2018

Paragon Collapse - The Dawning

#PER CHI AMA: Doom/Gothic, The 3rd and the Mortal
La Romania ormai ha un sottobosco che pullula di molteplici creature. L'ultima che mi è capitata tra le mani, grazie al supporto della Loud Rage Music, è questa dei Paragon Collapse, quintetto di Iași al debutto con il cui presente 'The Dawning'. Il genere proposto? Presto detto, un doom carico di groove per un ascolto abbastanza agevole, reso ancor più semplice dalla performance di Veronica Lefter alla voce (e violino), per un risultato che scomoda facilissimi paragoni con i The 3rd and the Mortal. La performance della cantante rumena infatti è accostabile a quella della bravissima collega Kari Rueslatten, quando si lanciava nei magnifici e soavi gorgheggi in 'Tears Laid in Earth', primo stratosferico album dell'act norvegese. Quindi, non mi stupirei se anche voi come il sottoscritto, vi lasciaste sedurre dalla musica di questi musicisti, che sin da "The Endless Dream" (il pezzo più bello del disco), tra porzioni acustiche, riffoni doom, parti di violino e vocals eteree, mi acchiappa non poco. Chiaro che l'accostamento con l'ensemble norvegese è talvolta fin troppo palese, tuttavia non mi dispiace immergermi in quelle atmosfere, in taluni casi assai assai lugubri, e godere di cotanta musicalità decadente. D'altro canto, una lunghezza talvolta abbastanza impegnativa dei pezzi, rende francamente meno fruibile il cd. Dopo gli 11 minuti della opening track ce ne sono altri nove li ad attenderci in "The Stream" e, se non siete proprio degli amanti delle sonorità gothic doom, accompagnate da vocals soavi, ecco che il tutto rischia di pesare non poco. Per fortuna, a concedere qualche variazione al tema, ci pensa il violino della brava Veronica, e qualche brano di minor durata che, seppur si riveli più ostico da digerire, offre un sound che rischia addirittura di sconfinare nel prog, come nel caso della strumentale "A Whisper of Destiny". La proposta dei nostri soffre però anche di qualche calo tensivo: "Nirvana" è un po' piattina e per certi versi mi ha evocato gli Ashes You Leave più immaturi. La qualità del disco sembra assestarsi su un discreto livello qualitativo, complici linee di chitarra che talvolta suonano un po' troppo anacronistiche, sebbene possano richiamare anche i Paradise Lost degli inizi. Ci sarebbe bisogno di ben altro per rendere molto più appetibile il disco, anche se la lunghissima "Climbing the Abyss" sembra offrire parecchie variazioni al tema, tra chiaroscuri sonici, intermezzi folklorici e l'oscurità di un suono che sembra divenire via via più buio, abbagliato solamente dagli interventi azzeccatissimi della violinista. Alla sesta song, "A Winter Life", la figura di Veronica dietro al microfono diventa sempre più ingombrante e alla fine rischia di annoiarmi eccessivamente. Avrei dato maggiore spazio agli strumenti, alle fughe atmosferiche, anche alla presenza di un vocalist maschile che potesse porsi da contraltare cantante soprana, e in ultimo avrei dato una maggiore vivacità alle linee di chitarra, come invece accade nella conclusiva, robusta e più ondulatoria "Deliverance". C'è sicuramente ancora molto da lavorare, ma i presupposti per fare bene ci sono sicuramente tutti. (Francesco Scarci)

lunedì 11 giugno 2018

Neuraxis - Trilateral Progression

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind, Cryptopsy, Despised Icon, Cephalic Carnage
Non mi sono ancora ripreso dalla batosta dei Berzerker, che già mi trovo costretto a recensire e farmi maciullare le orecchie da un altro combo dedito al death/grind, ossia i canadesi Neuraxis, band di Montreal attiva oramai dal 1994 e con parecchi album sulle spalle (questo è il quarto di sei). Dopo una breve intro, la rabbia distruttiva del quintetto nord americano si scatena in ogni sua forma: il sound proposto dalla band è un death violento, ma iper-tecnico che sfocia spesso in sfuriate grind, contrapposte ad inserti melodici dal vago sapore scandinavo. Rispetto al passato però, nonostante l’eccelsa tecnica della band e probabilmente al caparbio desiderio di strafare per andare oltre al precedente ed eccellente 'Truth Beyond', ho la sensazione che il combo canadese abbia perso un po’ di smalto e di idee. Non intendo affermare che 'Trilateral Progression' sia un brutto album anzi; però, data la sua estrema compattezza e monoliticità, il combo del Quebec ha perso un po’ di verve e originalità che ne contraddistingueva i passati lavori. Il platter è sicuramente interessante con tutte le sue peculiarità: chitarre tritabudella, voci growl contrapposte a demoniache scream vocals, schegge grind, accenni melodici, inserti techno death che richiamano il sound degli ultimi Death. Quello che alla fine mi lascia un po’ perplesso è quella sensazione, troppo spesso vissuta, di “già sentito” che ammanta l’intero disco. Ad ogni modo, 'Trilateral Progression' riuscirà sicuramente a soddisfare i fan della band canadese perchè, oltre a godere di una splendida produzione, comunque racchiude tutte le caratteristiche di una delle più valide e sorprendenti realtà nell’ambito della musica più estrema accanto ad altri mostri sacri quali sono i Cephalic Carnage... Annichilenti!!! (Francesco Scarci)

The Berzerker - World of Lies

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Industrial Grind, Cephalic Carnage, Napalm Death
Il terzo album degli australiani Berzerker è un malatissimo lavoro, che ci spara addosso un concentrato di furia estrema terrificante ad alta intensità, in grado di farmi implorare “pietà”!!! 99 schegge impazzite (che costituiscono i 14 brani del cd), 58 minuti di musica feroce, carica di rabbia che polverizzerà in brevissimo tempo le nostre inermi orecchie. Il combo di Melbourne non aggiunge nulla di nuovo a quanto fatto (e quanto farà) nelle precedenti (e successive) release, quindi se amate la musica dei nostri, fatta di ritmiche disumane con blast beats furenti, scream vocals che si alternano a gorgheggi inumani, inserti industrial-elettronici e chitarre più taglienti dei rasoi, beh direi che 'World of Lies' fa certamente al caso vostro. Le 14 songs dell’album si susseguono incalzanti (come sempre sono presenti degli inquietanti dialoghi tra un pezzo e l’altro), lasciandomi tramortito e senza fiato nel buio della mia stanza, con la faccia tumida, come se fossi stato preso a pugni da Mike Tyson in persona e completamente stordito dalla pesantezza schiacciasassi di questo lavoro. Il terrorismo sonoro dei Berzerker termina alla dodicesima traccia: seguono poi quattro minuti e mezzo di silenzio e l’ultima “Farewell”, una lunghissima e oscura song strumentale vicina, stranamente, al sound dei My Dying Bride, che chiude sorprendentemente e degnamente 'World of Lies', la colonna sonora ideale per il mio Armageddon. (Francesco Scarci)

Los Campesinos! - Sick Scenes

#PER CHI AMA: Indie/Alternative/Punk
La poetica sbronzaiol-esistenzial-hooligana (al Renato Dall'Ara, nel 1990 l'Inghilterra acciuffò i quarti di finale di Italia '90 al 119-esimo aggrappandosi al ciuffo di David Platt e, due anni più tardi, pigliò un goal al primo minuto nientemeno che da San Marino: si tratterebbe, secondo Gareth medesimo, di una vivace metafora della natura ondulatoria e beffarda del destino) diventa, complice l'inevitabile contingenza anagrafica dei bandmembers, una frizzante disamina sul ruolo della band medesima all'interno di un contesto musicale fortemente e inevitabilente (e fortunatamente) mutato. Non è così per i suoni, assertivi e conservativi: coretti ooo/ooo britpop alla, uh, The Vines ("Renato Dall'Ara (2008)" (Nessun match, semplicemente l'anno di esplosione/implosione della beautful/doomed supernova Los Campesinos!), batteria punk ("Sad Suppers"), chitarre fuzz, vocina stridula da insetticida e ("The Fall of Home") quello stupido xilofono tedesco chiamato glockenspiel presente in ogni fottutissima sedicente indie-ballad che abbia inquinato l'etere mondiale dal novantadue a oggi compreso. Quello che può succedervi, se vi capitasse di appartenere alla band più modaiola del pianeta, è di ritrovarvi, improvvisamente e senza neanche capire il perché, nella band più fuorimodaiola del pianeta. Non crucciatevi. Bene così. Ascolto distratto e passate oltre. (Alberto Calorosi)