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#PER CHI AMA: Folk Death Progressive, Ne Obliviscaris, Skyclad |
Ma possibile che tutte le band nostrane debbano emigrare all’estero in cerca di fortuna e in Italia ci sia ancora chi punta su realtà straniere con la convinzione che l’esterofilia abbia una cosi grande presa sui fan italiani? Io non ne sarei cosi convinto, pieno supporto alla scena italica. Questa vena polemica iniziale per introdurre quello che è il nuovo cd dei veneto/emiliani Eloa Vadaath, che ha visto i nostri andare in Austria a trovare l’appoggio dell’attenta Noisehead Records, che pare aver creduto in loro. Conosciuti ed intervistati in occasione del loro debut, “A Bare Reminiscence of Infected Wonderlands”, bisso ora che è uscito il sequel di quel lavoro. Ebbene il sound dei nostri mantiene la sua enorme creatività con qualche piccola novità che a mio avviso ora è molto in linea con alcune delle produzioni mondiali più sponsorizzate e sto pensando all’exploit che hanno avuto nell’ultimo anno gli australiani Ne Obliviscaris. Proprio dal progressive sound dell’act australiano, miscelato al black, death e alla musica classica, il sound del combo italico accresce quella che in realtà era già la matrice di fondo della loro proposta. Si perché quando uscì il primo album, i nostri suonavano già questo genere, ma forse il pubblico nostrano non era pronto ad affrontare questi suoni avanguardistici. Ancora una volta vengo investito dal delirante folk death dalle forti tinte progressive del quintetto italico. L’immancabile intro, poi il funambolico violino di Riccardo Paltanin prende per mano i suoi compagni e inizia a dipingere drappeggi color porpora, spennellare paesaggi di un blu intenso e tessere tele di colori tenui e delicati. Mi spiace per gli altri membri della band, ma la mia attenzione è catalizzata quasi esclusivamente dall’esplosività dello strumento ad arco. Non faccio caso nemmeno alle tonalità dell’altro Paltanin, Marco, che insieme a Nicolò Cavallaro, si divide il compito delle vocals, pulite le prime e talvolta poco convincenti, un rabbioso growling invece, quello del giovane bassista. “The Sun of Reason Breeds Monsters” è la terza song che mischia la dinamicità del death metal con ambientazioni dal chiaro sapore rinascimentale, senza tralasciare quel folk rock anni ’70 incarnato alla perfezione dai Jethro Tull. Sebbene la band di Blackpool rimase famosa per l’utilizzo del flauto, lo spirito incarnato dagli Eloa Vadaath potrebbe essere sicuramente avvicinabile a quello dei rockers inglesi, vuoi per il desiderio di donare un tocco etnico e progressivo al proprio sound, e per il caratterizzante utilizzo del violino da parte dei nostri EV. “Vever” è un pezzo magico, assai malinconico ma con un finale da urlo affidato ad uno splendido assolo che avvicina di nuovo i nostri alla fiamma che mosse le band a fine anni ’60. Sia ben chiaro, per chi potesse male interpretare le mie parole, che non abbiamo in mano un disco di rock nel senso più stretto, anzi il contrario, “Dead End Proclama” è un lavoro ad ampissimo respiro, che incorpora nuove influenze, si è dimenticato di alcune vecchie (qui di black metal non c’è più traccia, se non in una qualche sporadica e talvolta fin troppo caotica ritmica serrata), ha messo da parte le influenze nordiche di scuola Opeth e ha costruito col duro lavoro, un sound che riesce quasi ad essere personale al 100%, anche se magari rimangono ancora cose che non mi convincono del tutto. Splendida la title track, ma forse un po’ troppo ricca di cambi di tempo che finiscono per sembrare fin troppo forzati; un mezzo punto in meno anche per la performance vocale di Marco (che a tratti mi ha ricordato il vocalist degli Aneurysm), non ancora a proprio agio in questa nuova veste. È sempre comunque il violino indemoniato di Riccardo a farla da padrone, è quello che fondamentalmente imbastisce la ritmica dell’ensemble, su cui poi poggiano gli altri strumenti. “Relics” è un altro fantastico pezzo, peccato solo che duri una manciata di minuti. “From the Flood” ha una vena iniziale doomish, e la band dimostra di sapersi muovere con una certa disinvoltura in tutti i generi musicali, e di sapermi conquistare per la loro fortissima carica emotiva, le splendide melodie e una enorme raffinatezza nei suoni. Tecnici, brillanti, orchestrali, sinfonici e teatrali, gli Eloa Vadaath si confermano tra le sorprese più gradite di questo primo quarto del 2013, soprattutto quando a risuonare nel mio stereo c’è il mio pezzo preferito dell’album, “Ad Rubrum Per Nigrum”; volete conoscerne il ragione? Fate vostro questo lavoro e ne capirete il motivo. Assolutamente da non perdere. (Francesco Scarci)