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giovedì 4 febbraio 2016

Sailing to Nowhere - To the Unknown

#PER CHI AMA: Power/Hard Rock
Un marinaresco monologo di violino accompagna il corso di un veliero nell'infinità dell'oceano. Le placide onde marine cominciano ad infrangersi con crescente intensità sullo scafo: sarà una notte burrascosa. Con la tempesta sopraggiungono anche i pirateschi riff di Andrea Lanzillo, chitarrista e songwriter dell gruppo, che ci introducono nel brano opener “No Dreams in My Night”. Questi 7 minuti di “notte senza sogni”, mettono subito in mostra qualità e peculiarità dei romani Sailing To Nowhere: l'aggressività conferita dall'ottimo lavoro di Lanzillo alla sei-corde e dalle cavalcate in doppia cassa di Giovanni Noè, arriva sempre a sfociare in chorus fortemente melodici, anche se spesso questi energici sprazzi di potenza vengono fin troppo sovrastati. L'impianto melodico della band rappresenta infatti (da buoni italiani), la sua caratteristica dominante, con le linee vocali di Veronica Bultrini e Marco Palazzi (rigorosamente in pulito) e cori quasi epici che rimangono fissi in testa all'ascoltatore fino alla fine dell'album. Brano che incarna alla perfezione tutto ciò è sicuramente la seconda traccia, "Big Fire", che possiede senza dubbio i chorus più orecchiabili del disco, insieme alla semi-ballad "Lovers On Planet Earth", sempre sostenuti da un sound azzeccato che riesce a metterli in risalto nella giusta misura. Molto pregevoli anche le parti di tastiere: suoni semplici ma assai azzeccati e, soprattutto, gli viene conferito il giusto spazio: non vengono limitate solamente ad “accompagnamento”, ma in diverse occasioni si fanno largo nel sound ed emergono con dei buoni passaggi strumentali (vedi per esempio nell'opener track). Questo senza comunque mai esagerare e sfociare nella monotonia, come spesso accade in questo genere, per quegli onnipresenti tappeti di archi, che, se eccessivi, portano alla noia e di conseguenza non vengono valorizzati. Fila spedita invece (dopo che le atmosfere si erano smorzate con la più lenta "Strange Dimension"), l'omonima traccia "Sailing to Nowhere", la quale sembra rappresentare lo spirito dei sei navigatori, compagni in questo viaggio senza meta, che incontra riff potenti e un drumming incalzante dall'inizio alla fine. Come ultima song, troviamo inaspettatamente una cover di una canzone pop, ovvero “Left Outside Alone” di Anastacia, riarrangiata però in chiave metal, o meglio, in chiave Sailing To Nowhere. Come da loro stessi affermato infatti, seppure si tratti di un brano che non c'entra con l'album, fa parte in qualche modo della storia del gruppo, dato che era un brano che veniva da loro utilizzato come riscaldamento in sala prove. Si conclude dunque in questo modo il primo full-length dei Sailing To Nowhere, gruppo che negli ultimi tempi sta riscuotendo un discreto successo all'interno del panorama metal italiano, grazie soprattutto alla release di questo lavoro. I “navigatori” della capitale si sono presentati al pubblico con il loro suono melodico, non sempre apprezzato dai puristi del metallo, ma che comunque rappresenta una diffusa branchia del genere. In ogni caso l'album è ben realizzato, si percepisce che è frutto di un lavoro che ha richiesto lungo tempo e grande collaborazione fra tutti i componenti (ed anche di un'ottima produzione). La prima prova per l'ensemble romano ha mostrato di che pasta sono fatti, ma aspettiamo nuove notizie dall'oceano, per osservare come evolverà il percorso stilistico di questi marinai! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Bakerteam Records - 2015)
Voto: 75

venerdì 16 ottobre 2015

Tuomas Holopainen - The Life and Times of Scrooge

#PER CHI AMA: Soundtrack strumentali
'The Life And Times Of Scrooge' è la prima release da solista in casa Holopainen, ispirata dalla saga a fumetti che narra le avventure di Scrooge Mc Duck (scritta ed illustrata da Don Rosa), a cui si propone di fare da colonna sonora. Proposito pienamente realizzato, grazie alle apparentemente illimitate idee del mastermind/leader dei Nightwish, che con la collaborazione del maestro Pip Williams, danno vita ad una soundtrack che riesce a trasportare l'ascoltatore sulle fredde rive del Klondike, in cerca della tanto agognata fortuna. Orchestrazioni e cori impeccabili mettono in luce tutto il talento compositivo del musicista finlandese, che coinvolge anche un vocalist d'eccezione come Toni Kakko (Sonata Artica), il quale apporta il proprio tocco di classe alle lyrics, nonostante si tratti di un disco per lo più strumentale. Ricco di idee, ispirato ed espressivo in ogni suo pezzo, quest'album rappresenta l'ennesima conferma delle capacità di Tuomas e del suo buon momento di forma, che dopo i recenti successi con la band madre, i Nightwish, si ripresenta al pubblico con un altro pezzo da novanta. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Nuclear Blast - 2014)
Voto: 80

domenica 27 settembre 2015

Hollow Haze - Countdown to Revenge

#PER CHI AMA: Power Sinfonico
I vicentini Hollow Haze, capitanati dal chitarrista fondatore Nick Savio fin dal 2003, hanno da poco pubblicato il loro sesto album in studio, ‘Memories of an Ancient Time’, il quale sta riscuotendo un discreto successo. Tuttavia, quello di cui andiamo a parlare oggi è il precedente full-length della band, quel ‘Countdown to Revenge’, pubblicato nel 2013, che forse rappresenta il loro lavoro migliore. La formazione degli Hollow Haze del 2013 vede dietro al microfono il signor Fabio Lione, veterano della scena power italiana (Rhapsody of Fire, Vision Divine, Labyrinth), che sicuramente rappresenta una spinta in più per il gruppo veneto. Punto di forza di ‘Countdown To Revenge’ è la collaborazione anche con la Wintermoon Orchestra di Simone Giorgini, che apporta una interessante innovazione nel sound della band, amalgamando la potenza delle composizioni di Nick Savio ad azzeccate orchestrazioni sinfoniche, le quali fortunatamente non rubano mai la scena, ma vanno ad inserirsi nel sound dei nostri senza appesantirlo troppo. Lo si può percepire già dalla cavalcata iniziale “Watching in Silence”, che si presenta con un pomposo intro orchestrale fino all'ingresso della band che ci travolge con la sua accelerata, a cui partecipa anche l'orchestra che sembra non mollare mai la presa, andando a creare uno dei passaggi più belli del disco. Le atmosfere sinfoniche ci accompagnano fino alla fine del brano (e anche per tutto l'album), in cui possiamo apprezzare anche un ottimo assolo di chitarra, che mette in luce le doti tecniche di Savio. Il disco prosegue con il tipico sound power-moderno dell’ensemble veneto, sempre accompagnato dalla Wintermoon Orchestra e arricchito dalla voce del grande Fabio (che qui si è occupato anche della stesura dei testi) che ci accompagna fino all'interessante suite che dà il nome all’album, per poi concludere con la strumentale “The Gate To Nowhere” che ci riporta alla dimensione iniziale. Un altro ottimo passaggio a favore per la formazione vicentina, che con quest'album mette a segno l’ennesimo colpo per farsi largo nella scena, valorizzati peraltro dal sempre ottimo lavoro di produzione da parte di Sascha Paeth, sicuramente uno dei produttori in circolazione più in gamba in assoluto che rende questo disco uno spettacolo di suoni. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Scarlet Records - 2013)
Voto: 80

http://www.hollowhaze.com/

martedì 30 giugno 2015

Avoral - War is Not Over

#FOR FANS OF: Power Metal, Sacred Steel, Dragonhammer, Heimdall
From the always-fertile Power Metal soil in Italy, these newcomers offer a strong debut that any fan of the genre should appreciate. Eschewing the cheesiness so rampant in the genre, instead we get a more harder-hitting punch from a rampaging Traditional Metal spawning ground while still keeping this one firmly rooted in the Power Metal mold with the blazing melodies, furious riffing and power-packed drumming that all flow through the majority of Italy’s Power Metal acts. Utilizing the technically-proficient guitar-work that retains Neoclassical-styled melodies running freely throughout the music here also keeps this properly in the Italian vein, employing a generous symphonic quality to the music that offsets the melodic quality for lively, up-tempo music with quality melodic tones and bouncy rhythms that sounds truly grandiose. While what’s accomplished here is nothing new under the sun and certainly showcases the low-budget production job here with a weak vocal mix that really reduces his power, especially against the guitars, there’s far worse acts out there attempting this style that there’s a lot to like here just for the decidedly retro approach to the material. Intro ‘Ivory Gates’ works a series of strong galloping mid-tempo rhythms into blaring drum-work and dynamic riffing that incorporates plenty of screaming leads, epic marches and varying tempos for a stand-out intro here, while the far-more-dynamic ‘Unwanted Treason’ blazes forth with more technically-challenging sweeping riff-work, plenty of speed and the dynamic double-bass drumming that continues the hallmarks of the genre incredibly well. The power-packed ‘Take the Power’ starts with light, lilting guitar-work before turning into a ravenous barn-burner full of dynamic riffs, tight rhythms and powerful drumming keeps this one storming along nicely and offers plenty to like overall. ‘Ill Rise Again’ switches this out for more of a mid-tempo operatic approach that holds off the rampaging metal in favor of a more direct Trad-Metal approach that works nicely yet doesn’t match the rest of the flowing music on display. The instrumental ‘Dark Caves Melody’ serves as an appropriate breather with the light guitar work, pounding drumming and jaunty rhythms that make for quite an effective stop-gap between the two epics to follow. The first of these, ‘Journey to the Glory’ offers more of that traditional Italian Power Metal style with blazing speed-driven leads, bombastic rhythms, pounding drumming and the kind of energy that remains a part of the importance of the scene, while the title track is pure, simple speed-driven Italian Metal with ravenous riffing, blazing melodies and jaunty rhythms that allow the over-the-top melodies plenty of space to go for the bombastic that gives this one such a strong overall mark. Again, not the most original out there but certainly a lot of fun regardless. (Don Anelli)

(Club Inferno - 2015)
Score: 85

domenica 14 giugno 2015

Eltharia - Innocent

#PER CHI AMA: Power/Progressive, Symphony X
Arriva da Grenoble, Francia, questo quintetto di musicisti che da alle stampe il loro secondo album (il primo risale addirittura al 2004), dal titolo 'Innocent'. Dediti ad un rodatissimo mix di generi “classici”, gli Eltharia ci propongono un power/prog metal che ricalca gli standard del genere, come insegnano i maestri Symphony X su tutti. Degli statunitensi possiamo ritrovare infatti la padronanza tecnica, una gran voce, le melodie, ma forse un po' meno di potenza. 'Innocent' infatti rimane piuttosto delicato, con un buon tiro, assolutamente di classe; i cinque transalpini hanno optato durante la registrazione del disco, per l'uso della drums machine, che conferisce a tutto l'insieme quel senso di freddezza che ne penalizza ahimé il risultato finale. Piuttosto, avrei scelto un session man, ma la drum machine proprio no. Nonostante questo difetto, il disco nel complesso regge bene i suoi 56 minuti di durata, snodandosi agilmente tra 11 tracce che hanno il pregio di non annoiare mai, ma anzi di appassionare col passare degli ascolti grazie ad uno scorrere leggero, non troppo impegnativo, che cresce col tempo e finisce per valorizzare un songwriting alla fine, davvero degno di nota. Sui gusti del gruppo, in tema di artwork, avrei invece qualcosa da ridire: la copertina, a mio parere è immonda, e con il logo, poco comprensibile, devono essere assolutamente rivisti. Passando invece alle cose positive, i brani che vanno segnalati ci sono, eccome: l'opener “Third World War”, la catchy title track, la bella tosta “Faster Than the Reaper” e “Black Hole”, riescono a costruire un quadro completo di quello che il gruppo ha da proporre. In complesso, 'Innocent' è un buon lavoro, ben scritto e ben suonato, da parte di un gruppo sicuramente da tenere in considerazione e seguire, anche sulla loro pagina Facebook che sembra ben curata e aggiornata. Carissimi Eltharia, comunque bravi, ma alla prossima uscita vi aspetto curioso e fiducioso...mi raccomando, una bella copertina questa volta!!! (Claudio Catena) 

(Self - 2014) 
Voto: 75 

Loro sono gli Eltharia e si ripropongono, dopo diversi cambi di formazione (dal 2001 ad oggi), con questa seconda uscita (uscita ormai sul finire del 2014), dopo l’esordio discografico datato 2004. La veste in cui ci si presentano con questo 'Innocent', è sicuramente quella di una tecnica compositiva ed esecutiva migliorata nel tempo e consolidata con l’esperienza. Non si può certo dire che ci venga proposto qualcosa di innovativo rispetto a quelli che sono gli standard ormai assodati, anzi il sound consolidato della band richiama subito alla mente capisaldi storici, come i Kamelot. Pulizia sonora e vocale, eccezion fatta per la nona track, "Black Hole", dove compare qualche sprazzo growl ed un appesantimento generale del suono; tastiere (fin troppo) ridondanti condiscono il tutto, ma senza forzare gli schemi. A questo proposito va invece riconosciuta la pregevole interpretazione del drummer-fondatore Benjamin Nicolino, che propone una buona alternanza di tempi e fill di batteria diversificati, che ogni tanto sfociano in stacchi quasi prog, con "Sweet Madness" che si erge su tutti i brani. Altro aspetto che si può notare è l’affronto di tematiche più umane, “attuali”, abbandonando le leggende di antichi regni e spettri, protagonisti nelle liriche del precedente album, di stampo più epic e astratto. Niente da dire infine sulla produzione autonoma, eseguita in modo più che soddisfacente. La band transalpina dunque, seppur debba ancora lavorare molto, mostra con questa prova una notevole dose di entusiasmo: ci sono delle buone premesse per fare meglio in futuro! (Emanuele "Norum" Marchesoni) 

Voto: 65

giovedì 28 maggio 2015

Tezza F. - The Guardian Rises, Part 1

#FOR FANS OF: Power/Prog Metal
Rummaging through underground power metal acts is like treading on thin ice. You may discover a hidden gem such as I have with the likes of Fogalord and Dragon Guardian - or you may end up subjecting yourself to 45 minutes of dull and badly-produced drek like Skylark. Fortunately, Italy's one-man band, Tezza F, is one of the latter. Though having never heard his first full-length album, the quality of metal on show for this EP is nothing if not promising. Yes, you heard! A one-man power metal band! This minimal form definitely benefits the outcome of this release. It's clear that Fil Tezza, its sole member, is playing things by his own rules, whilst totally relishing and savouring every note. This is a man who loves what he does - and what he does best is worship the Falconers and Vision Divines that went before him; using these influences to create his own brand of melodic power metal. The production is admittedly superb. It's hard to fathom how major mainstream acts like Metallica are still struggling to secure a decent sound quality when humble artists such as Tezza can achieve such a crystal clear timbre on their meagre budget. The drums are crisp, the guitars are full and rounded, the leads are clear and the vocals sit comfortably at the forefront. Tezza understands how an EP should be structured. There is no wasted space here, just a well thought-out tracklist consisting of original material. Even the 2-minute introductory title-track feels necessary and substantial - its declamatory tones paving the way for the bombast to follow. "The Sign of the Holy Cross" may not have been the best choice of opener considering its march-like tempo. The soaring hymn "Jolly Roger", or the galloping "Wildfire" would fare better. But the brevity of this EP allows all tracks to be highlighted in their own right. With the addition of some quirky compositional devices (the growled vocals in particular were a lovely additional element) Tezza F has proved that he has major potential in the Italian power metal scene. 'The Guardian Rises, Part 1' is the correct way to push your band's name forward whilst remaining stylistically loyal. Well done, sir! (Larry Best)

(Heart of Steel Records - 2015)
Voto: 85

venerdì 24 aprile 2015

Sonic Prophecy - Apocalyptic Promenade

#FOR FANS OF: Heavy/Power, early Primal Fear
More tales of warriors, kings, legends and dragons? Yes please! Sonic Prophecy, a sextet of Americans, are forging their path through our beloved genre in their own way. Nothing they're doing may be considered particularly innovative or original, but then what is these days? However, some of their techniques and compositional devices are somewhat quirky, especially considering their nationality. One thing's for sure, their entry for 2015 is nothing if not huge! At a whopping 1 hour 13 minutes, Sonic Prophecy are making sure there is quality stashed somewhere in that quantity. The production isn't quite spectacular - the guitar tone is a bit mellow, and a little engulfed by the bass (that's a first!). But fortunately, the folk instruments and Shane Provtgaard's mid-pitched vocals are well mixed. These two aspects are probably the stars of"Apocalyptic Promenade". Provtgaard has a warm, welcoming voice - and is able to portray a sense of storytelling through the fantastical lyrics. The folk instrumentation is a sheer delight, acting as the multi-coloured sprinkles on this cake of power metal. Regarding their debut album, "A Divine Act Of War", this new effort has slightly dampened the conventions they had previously established; lacking such energetic hymns as "Call To Battle" or the crunching headbangers like "Heavy Artillery". On "Apocalyptic Promenade", the youthful vibrancy is missing and songs feel dragged out to far longer than they're worth. Circa 2011, you could confuse this band for a young Primal Fear, but circa 2015, they seem more like latter day Judas Priest. This is by no means a negative remark, but it does sap a little of the energy out of their songwriting. There are plenty of positives scattered about this album though. Choosing to open your album with a 13-minute epic is a risky move, but "Oracle of the Damned/The Fist of God"is such a well-composed, structurally sound piece of metal, it proved a totally worthwhile decision. This helps set up the narrative characteristic of the album which, thankfully, holds steadfast throughout. The majority of tracks on "Apocalyptic Promenade" are mid-tempo and average around 6:30 each. The swaying waltz of "Legendary" and the brooding melodies of "The Warrior's Heart" are definitely the stand-outs that thrive in this structure. Rather than an up-tempo gallop through a fantasmic land of dragons and warriors, this feels more like a calm amble across a meadow of long grass. A ... promenade, if you will? Nothing about it is unpleasant or outright bad - there are plenty of sweeping melodies and grandiose ideas. It would just be a refreshing change if they were to return to the celestial ways of their debut. (Larry Best)

(Maple Metal Records - 2015)
Score: 55

lunedì 20 aprile 2015

Desert Near the End – Hunt for the Sun

#PER CHI AMA: Power/Thrash, Iced Earth, Kreator
Non conoscendo la band in questione, mi sono addentrato nei meandri della rete per scovare qualche notizia in più; i Desert Near the End (che abbrevierò come DNTE) sono un gruppo greco dedito ad un Power/Thrash bello potente, attivi con questo nome dal 2010 ma i cui membri militavano in altre formazioni già fin dal 2007. Musicisti con una notevole perizia tecnica, i nostri danno alle stampe verso la fine del 2014, questo full lenght (seconda uscita ufficiale della loro carriera) per l'etichetta Total Metal Records. Non posso che iniziare a parlare dell'artwork del lavoro, che a mio parere, poteva essere di gran lunga migliore e soprattutto più curato; vi confesso che ho avuto tra le mani demo con copertine più belle e più originali. Tralasciando comunque quest'aspetto, vorrei parlarvi della musica contenuta in questi 49 minuti; tra le influenze più palesi per il trio ellenico, ci sono sicuramente i grandi (almeno per me, diciamo fino ad una decina di anni fa) Iced Earth, uno dei miei grandi amori nella scena metal. Tutte le composizioni dei DNTE pagano infatti dazio a Matt Barlow e soci, così come in alcuni frangenti si possono scorgere influenze di thrash teutonico (Kreator su tutti) nelle linee melodiche delle chitarre. Da qui giungo subito alla prima conclusione: l'originalità non è certo il punto forte del gruppo greco. Ho ascoltato parecchio il disco, tanto che posso tranquillamente affermare che non si tratta di un lavoro brutto in senso assoluto, ma è altresì vero che non siamo davanti ad un lavoro che ci fa urlare al miracolo. La musica proposta si tiene sulla linea della sufficienza, le mazzate arrivano dritte a bersaglio, il disco è suonato e registrato bene, i suoni sono limpidi e cristallini, ma anche in questo campo ricalcano fin troppo da vicino le produzioni degli americani Iced Earth (in alcuni passaggi sembra di essere alle prese con un loro cd). Le otto canzoni proposte passano via senza colpo ferire, tutte abbastanza innocue sotto il punto di vista compositivo, anche se suonate molto bene e devo ammettere, anche molto potenti. La batteria costruisce tappeti di doppia cassa notevoli, il basso sempre molto presente e il riffing veemente, rendono le tracce però, un po' tutte uguali tra loro. Dal via con “Storm on My Side”, forse il miglior pezzo del lotto, si passa per atmosfere più rilassate con “Morning Star”, per poi continuare con la potenza di “Road to Nowhere”, facendo una pausa per rendere omaggio ai leggendari Blind Guardian con “Easter Path”. La corsa si conclude con gli otto minuti di “A Distant Sun”, sicuramente il mio pezzo preferito. In conclusione, un disco onesto, non certo un capolavoro; ma auspico per gli ellenici si tratti di un disco di transizione. Bisogna assolutamente allontanarsi dagli stilemi compositivi ed esecutivi degli Iced Earth, per non sembrare davvero una loro cover band; non è certo colpa di Alexandros Papandreou se il timbro somiglia così tanto a quello di Barlow, ma per carità, cantare con la sua stessa enfasi e con gli stessi accenti, mi sembra davvero troppo. Per il resto, un plauso ai musicisti che fanno il loro lavoro egregiamente. Aspetto i DNTE al prossimo appuntamento, sperando in una maggiore personalità compositiva, perché se così non fosse, sarebbe davvero un peccato. Tenetevi a debita distanza dalla Terra Ghiacciata!!! (Claudio Catena)

(Total Metal Records - 2014)
Voto: 60

domenica 19 aprile 2015

Omainen - Shades of Grey

#PER CHI AMA: Power Thrash, Nevermore, Testament
La Francia è attiva su tutti i fronti: l'abbiamo apprezzata poc'anzi con il math rock dei Quadrupède, in passato con i deliri estremi di Blut Aus Nord e Deathspell Omega, e anche grazie alle sonorità shoegaze di Alcest o Les Discrets. Credo fermamente che il paese dei cugini transalpini, rappresenti oggi come oggi, il luogo numero uno al mondo dove fare musica, musica con la M maiuscola. I ragazzi di oggi arrivano dalla capitale con un sound che si rifà al thrash dei Nevermore. 'Shades of Grey' è il loro roboante debutto, uscito nell'ultimo scorcio del 2014. Nove brani in tutto che vi potranno catturare per lo spessore energico delle loro chitarre. La title track, nonché anche opener del disco, mette immediatamente in chiaro le intenzioni dei nostri: il classico thrash metal melodico e schiacciasassi, grazie all'ottimo rifferama del duo composto da David e Matt, coadiuvati da Damien al basso e Rudy alla batteria. Cyril completa infine il quadro, ponendosi alla voce con la stessa attitudine di Warrel Dane nei già citati Nevermore, ma con risultati non altrettanto eccellenti. Quel che risulterà chiaro è che gli Omainen picchiano come dei forsennati e questo gli piace parecchio, ma ne costituisce un limite. Peccato infatti che un buon assolo non ne arresti la furia; tant'è vero che ho rischiato di cadere quasi immediatamente sotto i ferocissimi colpi inferti dall'ensemble francese. "New Breath" prosegue all'insegna della stessa monoliticità di fondo incontrata nella prima traccia, con un sound forse un po' troppo rigido nei propri confini musicali e con il vocalist a cantare un po' troppo per i miei gusti. Fortunatamente l'act di Parigi capisce la necessità di inserire delle varianti nel proprio sound e un paio di buoni assoli ne spezzano efficacemente la ripetitività. Con "The Great Deceit", la band diventa ancor più dinamica, sembra che impari, brano dopo brano, dai propri errori contribuendo a rendere il suono più variegato e poliedrico, grazie a ripetuti assoli che rendono il tutto più gradevole. Certo, con un Cyril un po' più intonato ed espressivo, le cose funzionerebbero anche meglio, ma si sa, lo spazio per il miglioramento è infinito. Il rullo martellante degli Omainen prosegue anche con le successive tracce, confermando punti di forza (una ritmica granitica e ottimi assoli) ma anche di debolezza (la voce è da rivedere, cosi come pure un'eccessiva staticità all'interno di schemi fin troppo definiti che rischiano di tediare chi ascolta). "When Nothingness Comes" suona al limite del doom, strizzando l'occhiolino addirittura ai Candlemass, "Rest in Violence" ha un'inclinazione più rock oriented, anche se poi il fragoroso riffing spacca che è un piacere con delle spigolose chitarre di scuola Testament. Un fugace intermezzo acustico e tocca a "The Source of All" prendere in mano le redini del disco per una portare a una degna conclusione questo 'Shades of Grey'. I suoni inflessibili della band continuano a collocarsi in un solido thrash metal assai robusto, in cui largo spazio viene concesso al potente drumming. Il disco chiude con altri due pezzi, di cui "Faultless Though Guilty" è la classica semi-ballad in stile Bay Area, che conferma luci ed ombre di una band che ha il dovere morale di migliorarsi, progredire alla ricerca di una propria personalità, sistemando qua e là un po' di cosine nella propria proposta. Coraggio. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 60

sabato 28 marzo 2015

Orden Ogan - Ravenhead

#FOR FANS OF: Heavy/Power, Grave Digger, Running Wild
Along with the likes of Sabaton, Mystic Prophecy, Blind Guardian, Firewind et al. German powerhouses Orden Ogan have been leading the march of European power metal acts who shun the uber-melodic methods of more light-hearted bands like Freedom Call or Power Quest. Instead, they favour a more direct kick-to-the-throat barrage of heavy riffage within their huge timbre. Orden Ogan have been gradually darkening and beefing up their sound throughout their first 4 albums (previous effort 'To The End' being an apparent peak), but the Teutonic quartet may have hit a creative pinnacle with the epic 'Ravenhead'. I may have fibbed slightly up there; Orden Ogan don't really 'shun' melodic methods. In fact, the melodies woven throughout 'Ravenhead' are some of the finest the genre has ever produced. Each chorus will implant itself in your head after only one listen, and in some cases, chill your spine with the sheer beauty of the intervals between each note (the chorus of "The Lake" being particularly noteworthy). However, they differ from the typical euro-power Helloween clones by employing their arsenal of hefty, grinding riffs which are, at some points, heavier than cannonfire. The middle section of "F.E.V.E.R." and the first twenty seconds of previously-mentioned "The Lake" are enough to snap your neck. The key essence that makes this album so addictive, is the epic male choir which is never underused or ignored. This has been an essential characteristic of Orden Ogan since their very first album, and it has only gotten more impressive and majestic. It turns every chorus into an absolute highlight, as opposed to a repetitive refrain. The production contributes to this element, bringing the choirs to the forefront of the mix, whilst backing it up with a rumbling and colossal bass/drum combination. This album revels in a dark mood and depressing atmosphere, despite the triumphant tone of the choruses. This could be due to the lyrics, the grim but brilliant artwork, or maybe the ever-improving broody vocals of Seeb. But certainly, the closing track "Too Soon" is sure to wash over you with a beautiful sense of melancholy. I think it's important to immerse yourself in the bleak atmosphere 'Ravenhead' emanates, using the powerful melodies and heroic choruses as lamps in the darkness. The only moderately minor qualm about this new release, is that they didn't quite make enough of their name's sake. The intro, as it is named after the band itself, should have been huge - though the theme it expresses is repeated in the following title-track, which is a lovely touch. There's no such thing as a less-than-brilliant Orden Ogan album. "Easton Hope" buffed up the heaviness, "To The End" coated their sound in ice, now 'Ravenhead' brings it to a magnificent peak. The twin guitar attacks are mesmerising, the riffs are hard-hitting, the choirs are massive and "The Lake" is power metal song of the month! Germany does it again. "In the light of a midnight sky, I have found one good reason to die. Take me down to the quiet place, In the lake, where she sleeps in grace..." (Larry Best)

(AFM Records - 2015)
Score: 90

https://www.facebook.com/ORDENOGAN

domenica 8 marzo 2015

Battle Beast - Unholy Savior

#FOR FANS OF: Heavy/Power, Iron Maiden
Battle Beast have made a mark over the last 4 years, that cannot be denied. But I can't shake the feeling they were living under the shadow of more widely-known bands that they happened to tour with, (Delain, Sabaton, etc.). But now, prepare for the Finnish sextet to totally break free with the release of their third full-length. I'll be the first to admit I wasn't expecting anything special - a few gang-shout choruses here, a few keyboard solos there - but Noora and crew have just completely let loose with one hell of a thrill-ride that simply oozes metal in its purest form. Okay, "purest form" may be bending the truth. 'Unholy Savior' is brimming with an OTT attitude, filling every empty space with bells and whistles. But therein lies the magic of this release; it simply does not let go. From the heralding crash of "Lionheart", right through to their hammering cover of Paul Engemann's Push it to The Limit", this is an all-out, balls-to-the-wall, bombast-athon. That's not to say there isn't plenty of variation. Battle Beast are quite adept at ensuring their audiences never throw the 'one-trick-pony' insult at them. Here you will find up-tempo power metal hymns, mid-tempo stomping rockers, beautiful ballads, and even an 80s-inspired disco-esque tune with "Touch in the Night". Each verse, each chorus, each blazing guitar solo...they're all distinguishable from the last, providing much-desired variety and giving this album 100% replay value. The production is absolutely perfect - so full of power and majesty. Bright keyboards shimmer above a full, rounded guitar tone and a real spiky, piercing drum sound. There are excellent performances all round from this group of talented Finns - especially notable in the duel guitar/keyboard solos which simply glow with both technicality and control. But the star of the show is the magnificent mouth of Noora Louhimo. Often confused as the 'gimmick' of this band, her set of pipes stretches to stratospheric levels on 'Unholy Savior'. She is perfectly capable of sweet, lyrical melody - as exemplified on the gorgeous "Sea of Dreams". But she is best observed employing her rough, edgy, but insanely precise high-pitched screams. Hail, Noora! You are the new queen of metal! Picking out highlights from such a consistently phenomenal album is certainly not easy. But the first three tracks pack so much of a wallop, it digs right into the skin of the listener's face, absolutely forcing him/her to bang their heads like it's 1985! Aside from them, the previously mentioned "Sea of Dreams" lulls the listener into a euphoric haze, before being completely annihilated by the explosive "Speed And Danger" (Hmm, that riff sounds familiar...'Metal Militia' anyone?). I challenge you to find a band who sound more enthusiastic, more energetic, more vibrant, more METAL than Battle Beast right now. Here's hoping that this is a sign of things to come - because if Noora and co. carry on this way, they will be utterly unstoppable. Already on the list of 'best of 2015'? Thought so. "Put your pedal to the metal, It's time to rock and ride! Keep the engine roaring, louder than hell!" (Larry Best)

(Nuclear Blast - 2015)
Score: 90

lunedì 12 gennaio 2015

Manilla Road - Out of the Abyss

#FOR FANS OF: Heavy/Epic/Power
I often rant about the undeserved fame of certain artists, whilst other, more worthy acts are left to fade away into obscurity. Thankfully, Kansas' Manilla Road never really 'faded into obscurity' - they just never received the recognition that they rightfully deserve and, even after 37 years, remain criminally underrated. Their 1988 classic "Out of the Abyss" is getting the remastering treatment soon, and though I don't think it needs any polishing, it may do the band good to boost the acknowledgement of such a phenomenal release. With regards to the remastering; the only aspect of this album which could be improved is the production quality. But remember, this was recorded 26 years ago, and the sound is certainly exemplary for the period. Well, what to say about this beast that hasn't already been said? It's a total all-out power/thrash assault. The epic scope of previous Manilla Road albums had been set aside (though not completely) to make way for a more grimy and evil timbre; the fantastical and ethereal lyrics substituted for a bit more blood and gore; and the music itself less melodic, more direct and definitely more thrash-oriented. Speedy numbers like "Black Cauldron", "Midnight Meat Train" and the title track display characteristics that would make the likes of Carnivore or Heathen blush, whilst showing more musical prowess than anything Slayer ever cranked out. The mid-paced stompers like "Slaughterhouse" and "Rites of Blood" are where the 'Road really shine. Mark Shelton's riffs get a lot more room to breathe and almost force the listener to bang their heads, especially in the former track (at the 2:01 mark). Speaking of Shelton: his vocals still have the vibrato and melodic shine that was so present on "Crystal Logic", but he now employs a far grittier scream where necessary - seriously contributing to the evil atmosphere this album exhibits. The real highlight of this album (which is almost worth the price of the album all by itself) is the utterly insane opener, "Whitechapel". This grotesque tribute to Victorian murderer Jack The Ripper is an 8-minute balls-to-the-wall thrash-fest. Keeping the energy level high, the drum rhythms blazing and the riffs vicious whilst remaining musically interesting for this length, is a feat one simply must behold. It remains utterly unjust how such a prolific band, who have released countless albums over their 37-year-career, can still be so overlooked in the metal community. However, Manilla Road have released quality material in their current state for aeons, so whatever their magic formula is, let's hope it does not waver. Now buy this album, you lowly peasant. (Larry Best)

(Shadow Kingdom Records - 2014)
Score: 90

martedì 16 settembre 2014

Geminy - The Prophecy

#PER CHI AMA: Heavy Power, Labyrinth 
Primo lavoro per i genovesi Geminy, in attività dal 2006, che dopo due demo (uno del 2007 - 'The Hidden Door' - e uno del 2010 - 'The King of Gorm') approdano sul mercato con questo 'The Prophecy'. Concept album per i nostri incentrato su un mondo ambientato nel medioevo, con re, foreste, spiriti malvagi, prigionieri, templi e profezie. Il disco, uscito nel dicembre 2012, si apre con la strumentale "Into the Prophecy", dove si può da subito notare l'impronta power-progressive data dalla band. Già con la seconda traccia, "Nordic Sea", si può osservare l'affinità con un'altra band power melodic italiana: i Labyrinth. Il cantato in inglese, con la voce di Francesco Filippone, pulita e tendente all'acuto, bilancia un sound che altrimenti diventerebbe pesante da ascoltare. "Trinity Necklace" ha un'anima più orientata al versante folk, con qualche sprazzo dal ritmo intensificato, ma che poi rientra sui soliti binari, rasentando però il già sentito. Piccola gemma musicale dell'opera è "Abyss" brano “vestito” di una certa cupezza grazie al dualismo pianoforte/chitarre che ne prolungano le note con lunghi assoli. La sveglia arriva con "Empty Streets", puro power con inserti di pianoforte. Arriviamo alla melodia di "Mind Control" dopo una serie di interludi strumentali e mi sale all'orecchio un po' di aria fresca: si cambia musica, con le keys che imitano un carillon e un velato alone di mistero e paura mi avvinghia l'anima, ma purtroppo è una sensazione che dura poco. Poi ancora qualche assolo di chitarra, acuti vocali e quanto già finora s'era sentito. Quest'album vanta due ospiti d'eccezione: Roberto Tiranti dei Labyrinth/Mangala Vallis, vocalist principale della canzone "My Fellow Prisoner", song basata più su un tappeto tastieristico che sulle chitarre. Il secondo ospite è Tommy Talamanca dei Sadist/The Famili, di cui non si può non notare la sua impronta death in "Evil Eye", traccia che riflette la sana grinta del musicista ligure. Con la title track si giunge alla fine del disco, ma non prima di spezzarla in quattro parti (dura 11 minuti), che variano dalle note meste di pianoforte a quelle power, vero trademark dei nostri, per poi tornare a chiudere il tutto con un prolisso assolo di chitarra e note di piano. In conclusione: 'The Prophecy' è il primo lavoro ancora acerbo dei nostrani Geminy, per cui mi sento di dare il mio consiglio personale: aggiungere un po' di sano growl alle vocals, il che renderebbe il tutto più vario e interessante da ascoltare. (Samantha Pigozzo)

(Nadir Music - 2012) 
Voto: 60 

sabato 12 luglio 2014

Noble Beast - S/t

#PER CHI AMA: Power Heavy, Helloween, Blind Guardian 
Non sono propriamente la persona più indicata a recensire questo tipo di musica (lo facevo forse 15 anni fa), ma qualcuno questo sporco lavoro lo deve pur fare. Per gli amanti dell'heavy classic/power, ecco arrivare dal Minnesota una band che promette di sconquassare parecchio la scena, i Noble Beast e il loro debut album fuori per la Tridroid Records. Preparatevi dunque ad affrontare epiche cavalcate com'erano anni che non sentivo, di scuola palesemente Blind Guardian/Helloween, vocals e chorus che ammiccano a 'Keeper of the Seven Keys' fin dall'iniziale "Iron-Clad Angels", per non parlare degli intrecci di chitarre che si snodano e sbizzarriscono in splendidi assoli. Merito delle due asce, Sir Robert (anche voce) e Matt Hodsdon, che ci regalano un sound che, per quanto derivativo dai classici del passato, straborda di energia, e finisce di contagiare anche chi, come il sottoscritto, questo genere l'ha abbandonato diversi lustri or sono. Diavolo, la band di Saint Paul ci sa davvero fare e, combinando possenti riff e notevoli linee melodiche affiancate da una componente corale che si muove tra il viking e il power, finisce per esaltarmi. "Behold the Face of Your Enemy" promette di farvi divertire, non concedendovi un attimo di tregua causa un'infinita sequela di cambi di tempo. In alcuni casi mi sembra che emerga lo spirito vichingo degli esordi degli Einherjer, in altri frangenti ecco fuoriuscire gli insegnamenti di Judas Priest e Iron Maiden. Le influenze dei nostri non finiscono certo qui perché a fianco dei già pluricitati Helloween (echi più o meno forti in "We Burn" e la title track) finiscono per materializzarsi anche influssi nordici (Ensiferum). Mostruosi sotto un profilo tecnico con una menzione d'onore per il drummer, i Noble Beast confermano anche le loro doti compositive attraverso i dieci capitoli contenuti in questo ottimo esordio, che prelude al fatto che in un futuro prossimo, sentiremo parecchio parlare di questi ragazzi. Bravi!

(Tridroid Records - 2014) 
Voto: 80 

lunedì 16 giugno 2014

Abstraction - End of Hope

#PER CHI AMA: Power Progressive, Dream Theater, Evergrey
Uno scenario post-apocalittico si delinea innanzi allo sguardo. In copertina sembrano rimaste solo le vestigia di un mondo distrutto e abbandonato dall'umanità. Uomo capace sia di questo che di creare un simbolico album, come gli Abstraction han saputo fare con il loro eloquente 'End of Hope'. Il singolo "Wolf" mette a confronto l'uomo con la bestia, la quale è molto meno crudele con i suoi simili di quanto esso non lo sia con i propri. Una città corrotta in cui l'uomo divora l'uomo con la voracità di un lupo, una foresta nella quale la bestia accoglie l'umano che sappia ascoltare il suo libero canto. La chitarra acustica di Kiril Yanev si fa portavoce del tema di una canzone tradizionale bulgara, mentre la leggenda narrata sembra scaturire da antiche storie mai obliate. Una breve sinfonia orchestrale introduce questo pezzo, che si distacca molto stilisticamente dal resto dell'album, richiamando alla mente band quali gli ultimi Wintersun e Blind Guardian. Ma resta un'impressione superficiale, dato che il sound appare più pulito e asciutto e l'organico più minimale, innestando di fatto la band in un genere che sta a metà strada tra il power e il progressive metal. Il pezzo ruota attorno al tema esposto dalla voce narrante di Mladen Medarov nelle sezioni acustiche, contrapposto ai fraseggi di chitarra elettrica di Pavel Serafimov armonizzati dall'altra di Danail Karjilov nelle sezioni strumentali. Interessante è il gioco contrappuntistico tra flauto e cembalo sul tema acustico. A metà brano un coro interpreta la parte del branco di lupi sulla base a marcia già esposta nella strofa precedente, prima dell'arrivo di un virtuosistico assolo di chitarra che anticipa la ripresa, terminante a sua volta con un finale strumentale dalla ritmica serrata e delle code. Allo scattare del secondo brano l'ascoltatore è catapultato negli anni ottanta, con un incipit che sembra un tributo alla celebre "Two Minutes to Midnight" dei Maiden. "Wondering" si presenta come un pezzo dal testo contemplativo, nel quale è manifesta solo in seguito l'amarezza lasciata da un incolmabile vuoto. Una celata rabbia non sfogata ma interpretata dalla musica con una struttura a blocchi e poi triplette nei chorus con tastiere nello sfondo e una sezione di cori nella parte centrale e finale che rappresenta, a causa dell'incerta intonazione, il vero neo del pezzo. Un brano che a tratti ricorda i Bon Jovi degli esordi, in particolare nelle vocals, nel quale viene inserita una sezione strumentale prog che riprende temi ritmici caratterizzanti lo stile dei Dream Theater, complici però un forzato connubio di stili, un cantato non abbastanza sostenuto ed esplosivo e un songwriting non in linea con le atmosfere musicali, si tratta di un capitolo dell'album poco riuscito. La scacchiera è pronta, le pedine di "The Game" cominciano a muoversi. Le prime a spostarsi sono tre e corrispondono ad altrettante stanze nelle lyrics, le quali esplorano sia il punto di vista dei vincitori che dei vinti, nell'eterna lotta tra chi ha potere e chi non ce l'ha. La terza stanza è un chorus, nel quale è interessante lo scambio tra la voce e un contrastante cembalo synth. Questa struttura ripetuta due volte cede il posto, dopo un intermezzo di cembalo, a uno strumentale che ha molti punti in comune con le sonorità e le ritmiche degli Iron ma strizza l'occhio anche al prog nell'uso di controtempi e poliritmie. Il pezzo si chiude dopo un significativo "GAME OVER" che riporta trama e musica all'inevitabile fato. "The Last Man On Earth" è forse una delle immagini più belle ed evocative dell'opera. E proprio di opera metal si tratta, l'intro riporta potenti alla mente le suggestioni dei Rhapsody of Fire. Chitarra acustica e flauto precedono un coro, questa volta dal sapore epico. I neoclassici fraseggi di chitarra solista strizzano l'occhio a Luca Turilli. Le vocals molto dirette e ruvide qui non disturbano perché ogni riff e ogni sezione strumentale risulta perfettamente incastonata, per un pezzo che sicuramente brilla in quest'album come un gioiello. Samples tratte dalla serie tv 'Kingdom Hospital' dialogano attivamente con la musica in questo strumentale "Piece of Life". Non è necessario dilungarsi sulle prime sperimentazione in tal senso da parte di mostri sacri come i Pink Floyd, nei quali musica e suoni diventavano un tutt'uno; precisando che uno tra i primi brani a introdurre registrazioni vocali parlate e attive nella musica fu "Space-Dye Vest" (Dream Theater, Awake, 1994). "Shattered Pieces" incarna appieno nelle tematiche il concetto espresso dal titolo dell'album. Difficile non pensare a band quali gli Evergrey ascoltandone le idee musicali, dove ad atmosferiche linee di piano e archi son contrapposti potenti e decisi blocchi ritmici. E così i pezzi del puzzle che compongono i sogni vengono sparpagliati a ogni scarica strumentale e la voce si fa portante nell'esporre questa rassegnazione, in modo talvolta troppo monocorde. Ottima la sezione solistica di chitarra centrale che anticipa un parlato accompagnato dal piano, punto di luce che trafigge i nembi di un brano vagamente monodico. Le lyrics di "The Righteous Path" abbandonano sentieri piani e sgombri per seguire vie più anguste e simboliche, cosa che finora mancava nel songwriting dalla band, in cui la bellezza delle tematiche veniva troppo spesso impoverita da un'espressione troppo diretta e prevedibile. Inaspettato è il pizzicato introduttivo e il ritmo ad accentuazione irregolare che ne consegue, per uno dei pezzi più progressivi dell'opera e uno dei più caratterizzanti. Spiazzano i ritmi a singhiozzo di Antonio Velkov, essenziale e magistrale dietro le pelli della batteria da inizio a fine album. Stupisce il primo vero intervento solistico di Ivaylo Rashev al basso, che confeziona un intermezzo con imitazione a due voci alle estremità del campo uditivo e un giro ammaliante su una base calma e suadente che ricorda un suo gemello marchiato John Myung nella multiforme "Breaking All Illusions". Questi a loro volta racchiudono una parte vocale doppiata una una voce parlata distorta, che allarga il campo dei narratori del testo. Ma le sorprese non finiscono, alternati al riff tematico più volte esposto in modo ubriacante, vi sono un assolo di tastiera e un altro intermezzo dal sapore contrappuntistico e questo contrasto da equilibrio compositivo al tutto. Ora è il turno di uno dei capitoli concettualmente chiave del concept, "Requiem for a Dead Planet". Poche parole cariche di significato trasportano attraverso futuro e passato, attraverso una musica graffiante, introdotta da acustica e samples create con autentiche registrazioni della NASA. L'inizio è una grande rullata, che si fa portavoce dei singulti di un pianeta morente, le vocals sono dirette ma questa volta supportate da un coro di milioni di voci che l'atmosfera creata dalle tematiche fa credere di percepire, lamenti di esseri morenti. Mai più espressivo è stato un silenzio, quello strumentale, che lascia il posto nei suoi vuoti a una voce, carpita da trasmissioni radio distorte, dialogandovi attivamente. Questo e molto ancora in un brano che crea un alone lunare profetico, sublime come l'immagine sibillina della tragica sorte del mondo nelle ultime pagine de 'La Coscienza di Zeno'. Quando la narrazione musicale e tematica sembra arrivata al culmine della tensione ecco "Same Again", stelo d'erba accarezzato dal vento, affacciato a un precipizio. L'unica ballad dell'opera acquista ancor maggior forza, nel suo esser conclusiva e solitaria. La voce ruvida e diretta del vocalist acquista qui una commovente morbidezza e assieme alla prima traccia costituisce una delle prestazioni migliori di Medarov, che qui duetta con una bella base di piano pad firmata Serafimov, che si apre assieme alla sua voce ad armonie vaste e irraggiungibili da voce e piano presi singolarmente. Un testo d'amore, distanza e separazione, ispirato al film di Danny DeVito 'The War of the Roses' da cui sono estrapolati dialoghi a creare una samples che accompagna tutto il brano. Un episodio che fa pensare, perchè il contesto rende questo brano speciale e in un certo senso dal taglio inaspettato. Gli Abstraction hanno dimostrato in questo lavoro grande maturità compositiva, una non comune capacità strumentale e una sensibilità viva e lungimirante nelle tematiche. Davvero notevole il lavoro di mix e master, come la qualità della registrazione e la pulizia di esecuzione e sound nella parte strumentale. La sezione vocale si presenta spesso non all'altezza di quella strumentale, in intonazione e impatto d'insieme per quanto riguarda i cori; in sostegno ed espressione per quanto riguarda la solista, che suona spesso troppo di gola e poco agile nel muoversi nel suo registro. La band deve ancora trovare un proprio stile, in quanto le varie e variegate idee musicali risentono spesso di troppo manifeste influenze di altri gruppi. Ciò ha però reso possibile un album davvero ricco di idee e pure ben sviluppate. Anche il songwriting possiede questa varietà, tanto da dover precisare come impropria la definizione univoca di concept per quest'album. Simbolico ed evocativo è l'artwork firmato da Ivan Maslev. Non è un caso forse che il nome "Ninfa" che appare sulla nave riporti alla mente il mito greco di Dafne, trasformata in alloro per sfuggire alle lusinghe amorose del dio Apollo. E in albero è tramutata anche questa barca volante, attraccata a un molo fantasma al di sopra del volo dei gabbiani, tema che rimanda alla moderna arca di Noé di cui tratta "Requiem for a Dead Planet", la cui rotta è lo spazio, la conquista di nuove terre da consumare e l'inevitabile fine dell'umanità, fino a un ultimo e definitivo apocalisse. (Marco Pedrali)

(Self - 2014)
Voto: 80

lunedì 20 gennaio 2014

Dragonhammer - The X Experiment

#FOR FANS OF: Power Metal, Rhapsody, Timeless Miracle
Even though flowery Italian power metal tends to be scoffed at a lot by purveyors of more extreme music within metal, I actually kind of like it as a concept. Because it is referred to as "heavy" metal, some may be under the misconception that anything on the lighter spectrum of things within metal should be excluded due to the lack of the same grit or intensity metal is (apparently) SUPPOSED to have. However, I don't really have this preconception coming into music in general, in fact, I seek out the most delicate and beautiful sounding moments in music I can find most of the time. For this reason, I can listen to Rhapsody (of fire?), Balflare and Timeless Miracle among a few select others from time to time and they don't sound nearly as out of place in their poppy, saccharine splendor as they might for someone who primarily listens to black, death and heavier doom. It's also for this reason that my eventual problem with 'The X Experiment' isn't necessarily that it's too syrupy and flowery; no, my issue is actually that the album isn't quite flowery enough. The underlying structure of the album is well-crafted in its own right. The songwriting isn't anything revolutionary, but it makes sense, and that's probably a little more preferable for me when it comes to power metal. The guitars come out in a clean and clear tone and the bass is actually present, although it never comes into its own enough to be overtly recognized either way. The drums are a tad dry and clinical, but it never gets to the point where it really starts to annoy you. On the whole, this album is well put together; sure, there are a lot of references to common songwriting tropes of Italian power metal but, well, this is Italian power metal. What exactly were you expecting? This stuff is about refining and perfecting what's already there, not reinventing the wheel. The cliched nature of the album only becomes a hindrance to its quality when there's no speed and overblown energy to supplement the riffing, and Dragonhammer will only play something of a significantly faster tempo to either provide an enticing (and misleading) introduction, close out a song, or segue into a solo. The riffs frequently sound as if they're struggling to keep up with the drums and/or keyboards and often seem to have to resort to more simplistic riffing measures as a result. A good deal of the meat riffing in the verses is comprised of monotone tremolo with no extra dimensions to it. I'd like to say to say the melodically pleasing but sometimes trite and cliched guitar leads are just the result of an older guitarist comfortably playing below his skill level, but having not heard any of this band's previous albums, These songs don't make me very confident he has the chops to perform anything more intricately composed than 'The X Experiment' to begin with. The extensive focus on slower balladry and ominous, thorough intros by the keyboards into the choruses and solos makes the idea that this album is guitar-based come into question. When you stop making riffs the main feature of my metal, you're gonna start to run into some problems. Fortunately, the keyboards are handled well enough that Dragonhammer can get away with the guitars residing more in the shadows than a listener of this style might be accustomed to. They often provide much more to grasp at in terms of melodies with texture than the guitars do; just examine the beginning of "Escape" to see an example of this. The keyboards will often play the primary melody while the guitars become the rhythmic base. The reliance on the keyboards to carry the songs was a good decision to make, because the verses they craft are much more listenable and memorable than anything the guitars can put out. It's because of these keyboards that some of the choruses on 'The X Experiment' do get stuck in my head from time to time, although saying that they're the only thing making the album catchy would be giving not nearly enough credit to the vocalist. Over the time I've listened to this album, I've gone from thinking he has some good qualities to considering him outright awful to having some sort of weird fascination with his vocals to finally just considering him quirky and interesting but with a few really evident flaws. The natural rasp and vibrato that comes with his voice gives him a bit of character, but he's also really noticeably flat, especially when he goes into his higher register and lets out a wail that necessarily has to be at proper pitch to have its proper effect. Being consistently a half-step underneath the note he's trying to hit, a lot of Max Aguzzi's "big moments" on this album can fall flat as a result. The fact that I know they're supposed to be big moments is a result of good songwriting, but the choruses that get stuck in my head aren't always memorable for the right reasons. Sometimes the vocals stand out because his tone was significantly off, or perhaps it's because of his thick accent and odd lyricism. If we were being true to the pronunciation of the title in the actual song, this album would be titled 'The Sperimen Hex'. It's part of the reason Aguzzi has a somewhat adorable personality as a vocalist, but it also makes it much more difficult to take this album seriously. It's hard not to endlessly flip-flop when it comes to my enjoyment of this album. It's quite the infectious little bugger, but there's just not enough skill and personality present in the music to make it last and the honest enjoyment of the album can be somewhat deterred by how cheesy it is. If you can't get enough sappy ballads and galloping chugs in your life, you'll find 'The X Experiment' quite satisfying as it's a very professionally done album, but I can't bring myself to wholeheartedly recommend this to any group of people other than that. (RapeTheDead)

(My Kingdom Music - 2013)
Score: 50

https://www.facebook.com/dragonhammer

mercoledì 25 settembre 2013

RuinThrone - Urban Ubris

#PER CHI AMA: Power Metal
Dal cilindro del dio del power-progressive-epic-fantasy-cyberpunk-superspadaaduemaniefucilelaser e chi più ne ha più ne metta, sbucano questi italianissimi (romani) Ruinthrone, al loro debutto con il loro primo full-lenght intitolato "Urban Ubris". Velocità, giusto groove, generosi assoli e tante belle mitragliate di chitarra praticamente in ogni pezzo, batteria precisa, tappeto sonoro di tastiera equilibrato e mai stucchevole (a ritagliarsi giusti spazi nell’opening di alcuni pezzi, per esempio), con tanto di ballata finale in stile “bardi moderni”. Fin qui note positive insomma. Va però detto anche quello che, alle orecchie di chi ascolta, risulta meno gradevole ed in particolare è la voce a non rendere al meglio nell’insieme, dando prova di adattarsi adeguatamente e risultando più espressiva nelle parti pulite, ma con un netto calo di resa laddove emerge la voglia di sporcarsi: nelle influenze della band troviamo, tra i vari, Blind Guardian e Symphony X e, non me ne voglia il volenteroso cantante, ma c’è ancora un po’ di strada da percorrere prima di destreggiarsi con assoluta noncuranza tra clean e harsh vocals. Nel complesso il disco scorre via abbastanza velocemente, senza grossi cali di tensione, ma senza far gridare al miracolo e questo, a parere di di scrive, è da attribuirsi soltanto alla scelta del genere proposto, già da parecchio tempo densamente popolato e quindi saturo di soluzioni prese, girate e rigirate in tutte le salse. Tra i pezzi del platter segnalo solamente "Another Cry" e "Chiral Twin", i cui refrain risultano di facile presa già dal primo ascolto. Nel complesso il disco è più che sufficiente, anche se piacerebbe sentire in futuro un cambio di direzione da parte di una band senz’altro di talento, magari verso lidi più personali e abbandonando la terra trita e ritrita del power metal. (Filippo Zanotti)

(Buil2kill Records - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/RuinThrone

giovedì 1 agosto 2013

Aeternal Seprium - Against Oblivion's Shade

#PER CHI AMA: Heavy Power, Iron Maiden, Domine
Formatisi nel lontano 1999 a Contado del Seprio (Varese) con il nome Black Shadows, nel corso degli anni i nostri hanno modificato la line-up, mantenendo 3 dei membri fondatori (Leonardo Filace, Matteo Tommasini e Santo Talarico) e accogliendo, 3 anni dopo, il cantante Stefano Silvestrini. Nel 2007 l'act lombardo registra il primo demo, ”A Whisper From Shadows” con il nome Aeternal Seprium, nel frattempo entra un secondo chitarrista arrivando alla formazione odierna. Nel 2009 esce un altro demo ”The Divine Breath of Our Land”, e nel 2011 finalmente esce il primo e vero album, che mi accingo ad esplorare. Si parte con ”The Man Among Two Worlds” e “Vanaglory” di chiaro stampo "iron-maidiano”: vigorosa, ritmata, cantata con tutta l'energia che si ha in corpo. I testi sono sia in inglese che in italiano. Degni di nota sono gli acuti, più e meno prolungati, che conferiscono, in una, una nota di heavy metal più puro; nella seconda, è da ricordare il lungo e magistrale assolo di chitarra verso il terzo minuto. “Sailing Like the Gods of the Sea” si avvicina più al thrash, ma senza mai dimenticare l'influenza di Bruce Dickinson & soci: a volte la portanza vocale è talmente ricca e ingente, che mette la pelle d'oca a sentirla. “Soliloquy of the Sentenced” placa gli animi e diventa più modulata, epica: la batteria suonata con furore, le chitarre accordate più basse offrono toni smorzati che rendono una sensazione più composta. “In Sign of Brenno” a tratti ricorda i primi Metallica, ma sono più che altro piccoli lampi, anziché una vera e propria ispirazione. “Victimula's Stone” si avvale di un bel chorus che dà un maggiore impatto e un'aria più dinamica al tutto. “Solstice of Burning Souls”, alle prime note, sembrerebbe indirizzata verso una melodia più morbida, ma dopo quasi un minuto tutto torna come sempre. Da evidenziare soprattutto la preponderanza della chitarra messa a frutto: fa venire la pelle d'oca. Dicevamo delle parti cantate in italiano: è il caso di “L'Eresiarca”, ballad scritta e cantata nella lingua tricolore. Oserei pure ricordare un che di Marlene Kuntz in questa cantica proprio per il suo stile vocale. Piccole venature medievali si possono cogliere nel corpo di “The Oak and the Cross” e “Under the Flag of Seprium”, un omaggio alla loro terra natia. Si chiude questo mistico viaggio in terre e mondi lontani, pieni di battaglie e cavalieri: una pubblicazione prorompente e vigorosa che ti carica e ti porta ad affrontare meglio una lunga giornata nel segno del metal. (Samantha Pigozzo)

mercoledì 7 novembre 2012

Hypnotheticall - Dead World

#PER CHI AMA: Progressive (tanto), Power (pochissimo)
Gli italianissimi (e vicentini) Hypnotheticall si sono formati nel lontano (o vicino?) 1999, dall’incontro di tre elementi: Francesco Dal Barco (voce), Giuseppe Zaupa (chitarra) e Paolo Veronese (batteria). Dopo l’uscita del demo “In Need of a God?” nel 1999, a pochi anni di distanza ecco che vede la luce anche il primo lavoro (ufficioso, oserei chiamarlo) “Thorns”. Presisi una pausa di riflessione, nel 2005 tornano con dei nuovi membri: Mirko Marchesini (chitarra), che poi rimarrà fino ai giorni nostri. Uscito un altro lavoro nel 2006, e rimaneggiando le vecchie opere, si arriva all’anno in cui altri due elementi entrano nella band: Luca Capalbo (basso) e Francesco Tresca (batteria). Poco prima dell’uscita del vero e proprio album “Dead World”, Paolo Veronese esce dal gruppo. Rimarrà comunque citato nel booklet in quanto autore dei brani. La title track si apre con influenze industrial: suoni distorti, drum machine e aria inquietante. Dopo poco fanno breccia anche archi che aprono la strada alla chitarra forte e chiara. “The Eternal Nothingness of Sin” ha un ritmo incalzante ed aggressivo, mentre la batteria accompagna in modo scandito le parole, con qualche rullata qua e là. Tutta la canzone è un tripudio di batteria e chitarra, mentre la voce di Dal Barco rimane sempre grintosa. Nei ritornelli hanno inserito anche dei cori, che sollevano l’udito da un ritmo che rischierebbe di essere pesante. Verso l’ultima parte il ritmo diventa quasi acustico, rilassato: da li a poco si torna alla grinta iniziale, ma con una vena un po’ più melodica. Il loro primo singolo, “Fear of a Suffocated Wrath”, mostra una vena più melodica rispetto al brano precedente, ma comunque di forte impatto, avvicinandosi più ad un progressive metal condito da qualche scream, molto piacevole da ascoltare e cantare. “No Room to Imagination” cambia le regole in tavola: ritmo veloce, batteria pesante e la voce tornata al livello di “The Eternal […]”. Perfetta per essere cantata live, la song racchiude una perla di assolo di batteria+chitarra che si può trovare in altre band power-melodic: difficile tenere ferma la testa. “Heaven Close at Hand” sfiora leggermente l’industrial, con un intro di chitarra e batteria che ricorda (ma molto vagamente) le ambientazioni delle maggiori band americane. Tutto il brano è un vortice di diversa intensità: se all’inizio era incalzante, durante il cantato rallenta per accompagnarlo, tornando poi veloce e tosto. Degno di nota anche il massiccio uso della batteria in sottofondo. “Hi-tech Loneliness” mi ricorda un po’ gli Incubus, con la voce in primo piano e la chitarra appena pizzicata. Tutta la traccia si sviluppa su questo gioco, creando un ritmo sincopato. Molto interessante è anche l’assolo di chitarra, pieno di passione: un tributo al dio rock di stampo classico, dove la testa si reclina indietro e gli occhi si chiudono, assaporando nota dopo nota. “Lost Children” riprende il sound del singolo, con all’interno una piccola e breve occhiata alla musica mediorientale (a metà brano): si odono infatti note di sitar, e di un altro strumento a corde che viene suonato anche accompagnando la danza del ventre. Chiusa la parentesi arabeggiante, si torna al puro progressive dei Dream Theatre, i quali sicuramente avranno ispirato il nostrano ensemble. Questa è anche la prima canzone che si conclude sfumando, anziché chiudendo direttamente; probabilmente per accompagnare l’ultima traccia, la strumentale, “Bloody Afternoon”. Qui la chitarra torna nuovamente pizzicata ed acustica: mi immagino Zaupa seduto davanti ad un camino, in una giornata fredda e piovosa, mentre imbraccia la chitarra ed inizia a suonarla ispirato dal mood di quel momento; ne esce questa canzone calma e profonda, come racchiusa in un mondo tutto suo. Più che aver ascoltato un album, mi pare di aver fatto un viaggio, esplorando le diverse sfumature che il progressive può dare. Per essere il loro primo lavoro discografico, non è affatto male anche se ha bisogno di svariati ascolti per essere apprezzato pienamente. Ora non resta che aspettare il prossimo lavoro. (Samantha Pigozzo)


(Insanity Records) 
Voto: 75

mercoledì 5 settembre 2012

Eternal Deformity - The Beauty Of Chaos

#PER CHI AMA: Black Symph,/Avantgarde, Dimmu Borgir, Arcturus
Se potessi dare un voto virtuale alle etichette nostrane, beh il primo posto andrebbe sicuramente alla Code666, che da sempre, ha mostrato una certa propensione nell’andare a scovare band talentuose in giro per il mondo, lanciarle ed eventualmente lasciarle andare, a fronte di proposte di più grandi label. Se dovessi fare un paragone con il mondo del calcio, la Code666 sarebbe sicuramente come l’Udinese, club scopritore di fenomeni, pronti ad essere proiettati nel gota del calcio internazionale dai grandi club. Oggi mi spingo nel celebrare le gesta di questi polacchi Eternal Deformity, band dedita ad un black d’avanguardia, che ha ben poco da invidiare ai ben più famosi colleghi. Partendo da un sound all’insegna del death, il quintetto polacco convoglia poi tutta una miscela esplosiva ed intrigante di influenze che non fanno altro che rendere The Beauty of Chaos” accessibile alle grandi masse. “Thy Kingdome Come”, “Lifeless” sono pezzi che si impressionano immediatamente nel mio cervello, grazie ad una graffiante ritmica, melodie ruffiane (dove si odono echi alla Children of Bodom), aperture progressive (ben più palesi in “Pestilence Claims No Higher Purpose”), e vocals che si dipanano tra il growling, lo screaming e il pulito, con le tastiere che rappresentano alla fine l’elemento portante dell’album e che disegnano splendide atmosfere e sorreggono eccellenti armonie. A tutto questo c’è poi da aggiungere un’elevata preparazione tecnica dei nostri che si lasciano andare in brillanti assoli, strutture ritmiche assai elaborate, trovate avantgarde (di richiamo Arcturus), aperture black sinfoniche stile primi Limbonic Art o ultimi Dimmu Borgir, sfuriate al limite del power (ma non temete, nulla di grave) ed intermezzi acustici, che esaltano ulteriormente la prova del combo di Zory. In sostanza, la Code666 si conferma ancora una volta ottima etichetta in grado di lanciare talenti e gli Eternal Deformity, mostrano di avere le carte in regola per diventare dei fenomeni in chiave futura. Da monitorare accuratamente. (Francesco Scarci)

(Code 666)
Voto: 80