Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Grunge. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Grunge. Mostra tutti i post

lunedì 13 aprile 2015

Bleeding Eyes - Gammy

#PER CHI AMA: Stoner/Sludge
L'anno scorso ho avuto per le mani 'A Trip to the Closest Universe', il precedente album dei Bleeding Eyes (BE) e fui piacevolmente folgorato dal sound della band montebellunese. Se non conoscete la loro storia andate a (ri)leggervi la precedente recensione, anche perché avendola scritta io, rischierei di diventare ripetitivo (l'età e i troppi decibel logorano). Quello che salta subito all'orecchio è l'ennesimo passo in avanti qualitativo fatto dalla band, rimanendo comunque fedeli alla loro identità originaria. L'attuale line-up prevede sei elementi, tra cui anche una figura puramente dedita all'effettistica, a conferma che i BE non vogliono relegare questa sezione solo allo studio, ma portarla anche in sede live. L'album apre con "La Chiave", intro dal timbro riconducibile ai A Perfect Circle/Tool che in tre minuti abbondanti di sludge/post rock strumentale utilizza ritmica lenta e arpeggi suadenti per trasmette tutta l'emotività di cui la band è dotata. "Amaro Tez" ci riporta allo stile inconfondibile dei BE, dove il cantato in italiano è un proclama urlato e bestemmiato per redimere le povere anime che hanno perso la retta via. Chitarre massicce, lente e profonde che conducono insieme a basso e batteria un brano sludge/doom di oltre cinque minuti di durata. Un inno spontaneo e verace rivolto alla falsità che ci circonda, costruito su più livelli che sommati assieme producono una notevole onda d'urto sonora. Il brano non fa gridare al miracolo, ma si fa ascoltare, stuzzica l'appetito pensando a quello che ci aspetta dopo. Tocca a "Full Fledged", brano dalla musicalità più morbida e sommessa, dove le chitarre prendono la via del post rock e danno vita ad un brano onirico e itinerante. Gli arrangiamenti sono ben fatti e la mancanza del cantato o parlato danno più respiro agli strumenti che vanno a riempire gli spazi in maniera impeccabile. L'album chiude con l'omonimo brano proposto nell'extended version, ovvero circa dieci minuti abbondanti dove i BE danno sfogo ai loro scheletri nell'armadio. Gli arrangiamenti e i riff diventano morbosi e lenti, una versione sludge di "Dopesmokers" degli Sleep, con suoni vorticosi di synth analogici e i consueti proclami urlati a pieni polmoni. In realtà il brano vero e proprio dura quasi la metà mentre i rimanenti minuti sono suoni cacofonici, noise, feedback e tutto quello che può disturbare una mente sana e allietare un'anima malata. Opera monumentale, sicuramente dall'impatto devastante in live. 'Gammy' segna l'ennesima evoluzione di una band che ha già raggiunto diverse tappe importanti nel corso della propria carriera, ma che avrà ancora parecchie soddisfazioni da togliersi nel prossimo futuro. Un album da avere e soprattutto da gustare dal vivo appena possibile. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2014)
Voto: 75

lunedì 16 marzo 2015

Artic Fire - Lower and Louder

#PER CHI AMA: Grunge, Alice in Chains, Nirvana
Gli Artic Fire sono un trio portoghese nato del 2006 che con calma ha prodotto questo EP da poco uscito per la Ethereal Sound Works. I nostri tre musicisti si definiscono grunge addicted e i cinque brani di 'Lower and Louder' lo dimostrano senza ombra di dubbio. Tutto si rifà ai primi Nirvana, quelli inquieti e grezzi, fino agli Alice in Chains e ai Soundgarden. Non illudiamoci di trovare la stessa qualità compositiva e sonora però; dopo anni di lavoro uno si aspetterebbe che la band avesse concentrato il meglio del repertorio studiato e rifinito in sala prove. Qui in realtà è ancora tutto grezzo, sporco e urlato, ma se non sei una band di Seattle degli anni '90, difficilmente l'ascoltatore contemporaneo si strapperà i capelli gridando al miracolo. "Running" racchiude tutto ciò, senza tanti fronzoli. L'intro è minimal, voce e basso a dare l'attacco al brano che viene subito rinvigorito da chitarra e batteria. La prima soffre però di una registrazione fatta approssimativamente, con un suono scarno e poco incisivo. Anche il resto degli strumenti sono allo stesso livello, ma è meno percepibile grazie alla maggior attenzione concessa alle ritmiche. Il cantato è in inglese ed ovviamente si rifà allo stile del compianto Kurt Cobain e il confronto è un match perso in partenza. "Prozac Addict" prova la strada della brano simil-folk in versione ballata e dopo un'inizio di chitarra acustica che fa ben sperare, il brano si affossa rallentando bruscamente su l'arpeggio di chitarra (che nel frattempo è diventata elettrica). Sembra un brano messo su raccattando riff qua e là, infatti verso la fine la canzone accelera di nuovo, dimenticandosi dell'introduzione. Probabilmente la chitarra acustica si è sfasciata da qualche parte e ora giace sola e incompresa in un angolo. "Take Me All Way" è il brano più lungo, quasi a rappresentare la prova artistica degli Artic Fire. L'inizio del brano richiama le chitarre minimaliste di Jack Frusciante e poi si alterna il ritornello più incisivo, ma non abbastanza. Tutto questo si protrae per tutta la traccia e nulla si oppone alla noia che imperversa sovrana. Sufficienza risicatissima nella speranza che un futuro album riparatore dimostri che la band abbia davvero qualcosa da dire, con un livello qualitativo maggiore. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2015)
Voto: 60

martedì 10 marzo 2015

Mallory - 2

#PER CHI AMA: Grunge/Blues/Rock
Questa volta parliamo di blues-rock direttamente dalla Francia, paese che negli ultimi mesi si sta dimostrando una vera e propria fucina di nuove band, molto spesso di ottima qualità. Il quartetto nasce a Parigi intorno al 2012 e dopo il primo EP risalente allo stesso periodo, escono con questo '2'. Si tratta di un ottimo mix di rock, grunge, blues e altre contaminazione che toccano lo stoner e la psichedelia, il tutto ottimamente suonato e arrangiato. Il cantato è in inglese ed è scandito dalla calda ed avvolgente voce del frontman che si destreggia bene tra brani intensi e ballate più quiete. "Ready" è una di quest'ultime e gronda grunge da tutti i pori. Dopo un solitario arpeggio di chitarra la canzone acquista più ritmo e impatto con ottimi fraseggi e arrangiamenti che ricordano i Pearl Jam e i Soundgarden più sentimentali. Grande potenza scorre dagli abbondanti cinque minuti della traccia, merito dell'ottima intesa tra i musicisti con la sezione ritmica formata da basso e batteria a dettare legge e imporre il proprio diktat. L'arpeggio continua imperterrito per tutta la song come un mantra onirico per poi sfociare nell'assolo che guida il break psichedelico a metà brano. Brano, strutturalmente semplice, ma dotato di un buon impatto e anima. "Big Nails" è un pezzo veloce, accompagnato da un basso distorto e basato su una ritmica che cambia ciclicamente per movimentare ancora di più il ritmo. Il cantante dà libero sfogo al suo lato più irrequieto nel quale si trova a proprio agio, mentre i riff di chitarra citano spesso la storia del rock, confermandosi sempre all'altezza e pieni zeppi di groove. Un brano mordi-e-fuggi di quasi tre minuti che risente solamente della mancanza (penso io) di una traccia di basso pulito che avrebbe rimpolpato un po' le basse frequenze. "Bad Monkeys" aggiunge una cartuccia importante all'armeria dei Mallory, il brano infatti è una piccola perla che include quel qualcosa che ricorda i The Doors, i vecchi Radiohead e ancora il filone grunge. La canzone è intrigante come un corpo sinuoso che balla nella penombra, sul bancone di un polveroso strip bar, che esplode e si divincola per un attimo per poi chiudere come era iniziata. Questo '2' è caratterizzato da suoni quasi sempre perfetti, una buona qualità di registrazione e un digipack semplice ma gradevole. Tutti segnali che messi insieme confermano la mia idea che i Mallory sono una band solida, ben tarata sugli obiettivi da raggiungere e che ha ancora margine di miglioramento. Detto ciò mi aspetto un terzo album con il botto, incrociamo le dita... (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 80

sabato 1 novembre 2014

Nothence - Public Static Void

#PER CHI AMA: Post Grunge/Alternative, Alice in Chains
I Nothence sono un quartetto formatosi a Lugano nel 2009 e 'Public Static Void' rappresenta il loro secondo album. La band elvetica (in realtà di origini italiche) tesse le tele dell'immortale grunge, sviluppandone le trame e rendendolo ancor più introspettivo, oscuro e intriso di dubbi e malesseri esistenziali. Musica e parole per non smettere mai di cercare le risposte che latitano in questo mondo alla deriva. Undici i brani che riempiono quest'album e oltre ad influenze tipo Alice in Chains o Mudhoney, si percepisce subito la personalità della band, che salta all'occhio, come l'utilizzo in alcuni pezzi del piano/tastiere. Probabilmente vi risulta difficile immaginare un accostamento del genere, ma l'idea di accostare uno strumento più borghese ai suoni grezzi del grunge non è un'idea nuova. Dopotutto il violino ha sposato il rock da anni ormai. Ma lasciamo perdere le divagazioni e concentriamoci sulla musica partendo da "Outcast", brano introdotto da un cattivissimo riff di chitarra che aggancia immediatamente batteria e basso per creare il tappeto sonoro principale della traccia. Subito salta all'orecchio l'uso di distorsioni nè moderne nè vintage, personalmente avrei optato per un suono meno anonimo, anche se il genere non richiede particolari ricerche di stile per funzionare. Il cambio di ritmica a metà brano rende dinamico il brano che altrimenti rischierebbe di essere uguale dall'inizio alla fine. "Scraps" è una song più introspettiva e cupa che rappresenta al meglio l'act ticinese e il suo marchio di fabbrica. Quasi sei minuti che ipnotizzano l'ascoltatore e lo accompagnano nel mondo dei Nothence, oscuro e venato di tristezza e rassegnazione che contraddistingue anche gli altri brani. Il pezzo apre con il pianoforte che però viene accantonato quasi subito, un vero peccato perchè avrebbe dato maggiore carattere e profondità se solo gli fosse stato dato maggiore spazio. Inoltre il brano è discretamente lungo e avrebbe avuto bisogno di un break, l'arpeggio di chitarra contribuisce a creare la giusta atmosfera, ma non può sobbarcarsi sulle spalle tutto la traccia. L'album chiude con "Fugue", il brano più riuscito e convincente. La struttura, i suoni e gli arrangiamenti sono stati curati e se fosse stato più veloce, avrebbe sicuramente meritato di aprire questo 'Public Static Void'. In se è una ballata rock, ma ben riuscita, infatti anche il vocalist da il meglio di se stesso, risultando più naturale e vero. Tutto sommato i Nothence sono una buona band che affronta un genere non particolarmente in voga, ma c'è ancora del lavoro da fare e canzoni da scrivere per arrivare più in là. (Michele Montanari)

(Self -2014)
Voto: 70

http://nothence.com/

venerdì 8 agosto 2014

Dogmate - Hate

#PER CHI AMA: Stoner/Grunge
I Dogmate sono un quartetto metal romano, nato nel 2012 e che in breve ha registrato due album, lanciato un paio di video e firmato pure per la Agoge Records. Ottimi risultati quindi ottenuti relativamente in poco tempo, questo a dimostrazione della determinazione dei quattro musicisti che non si sono certamente fatti intimidire dal difficile settore musicale del metal. Ascoltando 'Hate' ci si accorge subito dell'elevato livello tecnico generale della band e della qualità sonora della registrazione, dentro quest'album si trova tutta la scuola degli ultimi vent'anni e i Dogmate scelgono suoni moderni e classici facendo tesoro degli insegnamenti acquisiti con gli anni. La chitarra è corposa (si, una sola ed è devastante a sufficienza) con la giusta equalizzazione e guida i dieci brani dell'album, ma nulla avrebbe potuto senza una sezione ritmica di batteria/basso che viaggia sputando fuoco e vapore a più non posso. Il cantato è potente, mai oppressivo e pesante, il che rende l'ascolto piacevole e dinamico, permettendo di apprezzare i vari arrangiamenti. Nelle parti scream ricorda i Linkin Park, ma ha anche una buona dose di sfumature southern/grunge nei restanti frangenti. "Dark in the Eyes" è caratterizzata da una strofa ipnotica che veleggia su una ritmica altrettanto raffinata, in stile Tool/A Perfect Circle che anticipa il cambio rabbioso dove i riff accelerano e scaricano violenza a profusione. Un brano dalla doppia indole, prima soave e allusivo, poi dispensatore di inaudita cattiveria. Molto bello. Per lo stesso motivo, "World War III" si fa apprezzare per la complessa struttura, che elargisce riff e arrangiamenti in continua evoluzione, senza dare il tempo all'ascoltatore di abituarsi ad un fraseggio che tutto cambia di nuovo. Ribadisco che la sezione ritmica è potente e variegata, doti indiscusse che sottolineano ancora il duro lavoro di produzione delle tracce. Chiudiamo con "Black Swan", ballata guidata da una grande chitarra acustica che crea un tappeto pieno di melodia e sfumature per la voce che duetta all'unisono con le sei corde, il tutto accompagnato da archi che regalano profumi di un luogo epico e senza tempo. Altra prova di tecnica e flessibilità artistica da parte dei Dogmate, che in questo modo abbracciano ancora di più quello che altre grande band hanno fatto in passato. 'Hate' è un disco godibilissimo, ben fatto, che non aggiunge grosse novità alla scena metal nostrana, ma ribadiscono il fatto che ne fanno parte occupando una posizione di rilievo a livello nazionale. Vedremo cosa faranno in altri due anni, a questo punto le aspettative sono alte. (Michele Montanari)

(Agoge Records - 2013)
Voto: 80

giovedì 10 luglio 2014

Elbow Strike - Planning Great Adventures

#PER CHI AMA: Hard Rock/Stoner
Ti arriva un cd con una copertina che mostra uno scenario futuristico popolato da alieni grigio-verdi e senti affiorare un sorriso sulla bocca. Ok, non sono l'unico che è cresciuto con film di fantascienza e serie TV come X-Files! Bene, dopo aver realizzato che risparmierò un sacco di soldi per farmi psicanalizzare visto che non sono l'unico ad avere la fissa per l'ignoto, andiamo a conoscere gli Elbow Strike. Letteralmente si chiamano "colpo di gomito" e il sorprendente quartetto vanta una line-up di tutto rispetto, tra cui il metamorfico Chris T. Bradley, frontman dall'indubbio talento e dalla vita artistica divisa tra USA, Europa e Asia. Il loro ultimo lavoro è un concept album a tema spaziale, ovvero tratta argomenti come alieni e cospirazioni, un classico del folclore americano, ma non solo. In questi undici brani ottimamente registrati, si attraversano sonorità hard rock/grunge/southern che ricordano grandi band come Alice in Chains, Stone Temple Pilots e Raging Slab (questi non li conoscevo, li ho presi dal loro sito). "Monster" è la quarta traccia di 'Planning Great Adventures' e si presenta come una semiballad, né veloce né lenta, ma carica di riff e assoli alla vecchia maniera.Tutto arrangiato molto bene e con i suoni giusti per il genere. Unico appunto da farsi è il fatto che fino a tre quarti del brano non lasci un segno a chi ascolta. Dopo questo punto il brano si ingrossa e comincia finalmente ad essere interessante, fino a scorgere la vena ipnotica e oscura degli Elbow Strike. Feedback oppressivi, ritmica ansiogena e bagliori nel buio, come un grido di paura che nasce nel profondo della gola in attesa di scorgere l'ignoto. Salto a piè pari e vado a "U.F.O.", stessa pasta di "Monster", ma con più cattiveria e grondante di groove. Finalmente la band trova la sua identità e vomita riff pesanti, ma piacevoli grazie a suoni non esasperati. Anche un vecchio biker ancora legato a Lemmy e Bruce può apprezzare un brano così, dopotutto le sonorità anni novanta ci sono tutte. La band macina peggio di un bulldozer, spazzando via qualsiasi dubbio sulla genuinità dei nostri. "Waiting 4 the Sun" è una ballata moderna caratterizzata da voce e cori con effetti vari, ritmo lento e la mancanza di un'esplosione finale. Questo non pregiudica certo il risultato, ma avrebbe permesso una resa più dinamica del brano. Un bell' lbum, non c'è che dire, il mix di stili e sonorità non appesantisce l'ascolto, ma deve piacere. Ascoltatelo guardando il cielo, vediamo se siamo veramente soli in questo universo. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 75

giovedì 22 maggio 2014

David Lenci & The Starmakers - S/t

#PER CHI AMA: Post Grunge, Queens of the Stone Age
David Lenci, noto produttore/tecnico del suono e fondatore del Red House Recordings Studio, si fa attendere per circa due anni e finalmente esce con questo Lp (la versione cd è al momento disponibile solo per gli addetti ai lavori) interamente registrato in analogico (dio come godo). Alcune sovraincisioni sono state poi fatte presso "Sotto il Mare Recording Studio", altro tempio del suono di Verona. Quindi vi starete chiedendo cosa può nascere da grandi musicisti (David non si è fatto mancare nulla) e grandi mezzi? Bene, smettete immediatamente di farlo e andate ad ascoltarvi questo Lp su Soundcloud. La prima impressione è quella di essere tornati indietro nel tempo, tra Seattle e San Diego, quando la costa ovest degli USA stava affrontando un cambiamento che avrebbe segnato l'inizio di un epoca. Quindi psichedelia e grunge, un mix tra Jefferson Airplane e Neil Young con escursioni squisitamente rock alla Led Zeppelin. Tanta nostalgia, ma sfruttata al meglio come ottimi punti di partenza per un album personale, profondo e ribelle. Tutto ha inizio con "Refugee" che mette subito in risalto il caldo timbro vocale di David in pure stile Eddie Vedder, ma più tranquillo e meno incazzato. Ottime le chitarre che legano alla grande il mix di suoni puramente americani con la voce mai troppo alta rispetto agli altri strumenti (tipico nel mix all'italiana). Anche basso e batteria lavorano bene e si fondono perfettamente sviluppando un brano piacevole, anche se personalmente l'avrei fatto leggermente più veloce. "Old Guys Never Die" inizia con un arpeggio psichedelico che culla il cantato e si trasforma poi in un riff non esageratamente distorto. La atmosfera onirica viene sostituita da un assolo in wha che riprende un altro effetto caro al periodo di questo genere. Altra bella traccia che conferma la mia idea iniziale, cioè che David e Co. si sentono legati al rock grunge e psichedelia, ma senza l'incazzatura tipica di gruppi come Alice in Chains. La band aggiunge invece una punta di eleganza mista a malinconia che ne caratterizza le tracce e le trasforma in piccole gemme. Chiudo con "The Train Has Gone" che nonostante sia l'ultima traccia, viaggia come un treno senza controllo, semplicemente perfetta sotto tutti i punti di vista. Breve, intensa e sfacciatamente arrogante, come un brano rock deve essere. E lascia comunque intuire che la fine di ogni cosa è relativa e può essere solo che l'inizio di qualcos'altro. Uno dei migliori dischi del primo semestre 2014, senza dubbio. Ora però voglio mettere le mani sul vinile, non posso perdermi la possibilità di avere questa chicca tra la mia collezione. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2013)
Voto: 90

sabato 1 marzo 2014

Volcano Heat - Vive le Rock!

#PER CHI AMA: Garage Rock/Punk
Se si prende del garage rock, lo si unisce a del grunge e lo si cosparge di brit rock, ne esce un altro mirabolante power trio made in Italy. Vero, le influenze sono tante e si scorgono tutte, soprattutto per chi ha orecchie ben allenate, ma cribbio, se lo fai con stile allora tanto di cappello. Il cd che parte da solo e ti spara "Dead Leaves" è pericoloso, soprattutto se hai il volume alto perchè prima avevi in ascolto qualche porcheria registrata male. Qua si viaggia sul velluto, ottimi suoni e tanta birra musicale. I Volcano Heat hanno fatto del rock ammiccante la loro ragione di vita e il prodotto che ci presentano si fa ascoltare con facilità. Non richiede concentrazione e attitudine particolare, niente break trascendentali o excursus super tecnici. Puro rock proprio come la già menzionata "Dead Leaves", che apre il cd con energia, bei suoni e riff che chiedono di alzare le corna al cielo. Arrangiamenti al limite del pop e voce molto espressiva creano poi quel giusto mix che fa apprezzare i Volcano Heat anche ai rockers meno alternativi. "Secrets" è un'altra traccia ben fatta, che viaggia liscia come l'olio e grazie al main riffing, si lascia canticchiare senza grosse pretese. Ritmo cadenzato e break a metà del brano (effettivamente questo è il loro pezzo più prolisso, ben quattro minuti...), niente fuori posto, pure il finale in fade-out che solo i grandi si possono permettere. Trova spazio anche una cover dei Beatles ("Come Together") che personalmente non avrei inserito nel cd. Per carità, ben fatta e molto carica per un concerto, ma va bene così. Il basso spinge a manetta e trascina il pezzo per tutta la durata. Ottima la scelta di dare una taglio diverso ad una canzone che è conosciuta in ogni angolo del mondo. In generale buon cd, ottimamente registrato e curato nei minimi dettagli, ha tutte le carte in regola per soddisfare il popolo di rockettari che vuole qualcosa in più oltre alla ormai tristi playlist di Virgin Radio. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2011)
Voto: 70

www.thevolcanoheat.com

domenica 8 dicembre 2013

Earthbound Machine - Hungerland

#PER CHI AMA: Grunge, Alice in Chains, My Sister's Machine, The Sword
Se la mancanza di Layne Staley vi opprime e non vi è sufficiente ascoltare l'ultima impresa degli Alice in Chains originali, qui potrete trovarvi rimedio. Questa band proviene da Helsinki e si è formata appena due anni fa, si è auto prodotta nel 2013 un EP straordinario e sconcertante, quattro brani che faranno gioire e soffrire. In anteprima rendiamo noto che questo album bisogna assolutamente saperlo ascoltare, altrimenti... Stiamo parlando di grunge revival? Non direi proprio! Al primo ascolto gli Earthbound Machine sembrano una band clone degli Alice in Chains senza alcun dubbio ma è nell'avanzare delle tracce che si compie il miracolo! Anche se la somiglianza vocale e strumentale è pazzesca, vicina al plagio, ben presto ci si rende conto che 'Hungerland' è l'album che qualsiasi fan degli Alice in Chains vorrebbe sentire ora, in questo istante, carico come è di granitico, acido e sotterraneo rock malato. Un album che non è un rifacimento della band musa ispiratrice ma una prosecuzione in veste eccelsa delle sue idee, non un clone ma una costola presa direttamente dal costato del compianto mito scomparso prematuramente e qui entra in gioco la stupenda voce (puro stile Staley) che non si limita ad imitarlo spudoratamente ma al contrario lo interpreta profondamente, come se il suo spettro si fosse reincarnato in questo cantante finlandese. Infatti questi brani vivono di luce propria pur essendo illuminati dal mito di 'Facelift' o 'Dirty' e la band li rende propri come se le sonorità usate fossero di nuova scoperta. Il sound oscuro, dilatato e claustrofobico si differenzia dall'originale per una spiccata verve psichedelica pesante e cosmica, colma di hard rock underground e un suono leggermente più rivolto al doom e alle sonorità metalliche dei My Sister's Machine (ricordate l'album capolavoro 'Diva'?) e di The Sword. E' molto difficile spiegare come un album del genere diventi un degno successore di altri dischi che sono entrati nella storia ma qui il miracolo è compiuto. Potremmo anche etichettarli a ragione di aver platealmente copiato ma sarebbe ipocrita, ingiusto, perchè gli Earthbound Machine sono una realtà stupenda per chi li sa apprezzare, per chi ha il coraggio di vedere oltre al punto di partenza della loro ispirazione. Decisamente ci schieriamo contro la clonazione di bands e derivanti sonorità ma in questo caso la somiglianza dona luce al combo e gli Earthbound Machine cavalcando l' ereditata fortuna, fanno di questo album una carta vincente e inaspettatamente anche originale. Da ascoltare per credere! (Bob Stoner)

domenica 24 novembre 2013

The Hangover - After Nightmares

#PER CHI AMA: Heavy/Gothic/Grunge, Paradise Lost, Altered Bridge
C'è fermento in Italia e la scena si arricchisce di nuovi protagonisti. Sto parlando degli The Hangover, formazione trevigiana, che propone un sound accattivante che strizza l'occhiolino ai grandi classici del passato, in un ambito che definirei genericamente heavy rock. Consueta intro apripista e poi ad attizzare il fuoco ci pensano i riffoni in apertura di “Burning Out of Fire”: belle linee melodiche, Andrea Tsompanakis alla voce che sbraita come un pazzo, affiancato dalle vocals più contenute di Pierfederico Duprè. Mi vorrei soffermare però sul chorus di questo brano, che trae ispirazione dal movimento grunge di primi anni '90 e sull'assolo pirotecnico che chiude la song. Questo delinea vagamente la proposta dei nostri, la cui matrice musicale racchiude appunto di tutto un po'. “Hangover” apparentemente offre uno spaccato di sonorità tipicamente heavy; ovviamente è vietato soffermarsi alle apparenze, perchè nei due minuti e mezzo a disposizione, l'impressione è quello di trovarmi ad ascoltare un pezzo degli Stone Temple Pilots suonato dai Paradise Lost di 'Draconian Times', si avete capito bene. Potrete pertanto immaginare la mia faccia stralunata di fronte a questi suoni, e siamo solo all'inizio. L'arpeggio iniziale di “Nice Dynamite” e il successivo riffing mi riportano ancora alla mente gli alfieri del gothic doom d'oltremanica, vuoi anche per le vocals un po' sofferenti, ma soprattutto per l'aura misteriosa che avvolge la song. Certo che Nick Holmes e compagni sono lontani anni luce dal quartetto veneto, però devo ammettere che i nostri con la loro proposta heavy/grunge/gothic dimostrano di avere una certa personalità e non temere i giudizi che gli possono piovere addosso. Ci sono tante cose da sistemare qua e là, ma i ragazzi hanno fegato e chi osa, si sa, viene premiato. Con la ballad “Gr. Hoffmann”, ecco comparire il fantasma dei Metallica di “The Unforgiven”, giusto a testimoniare il tuffo nel passato che i quattro giovani hanno voluto fare con “After Nightmares”. I toni si fanno più oscuri con “Murder Memories” dove addirittura compare un urletto in apertura mentre le ritmiche thrasheggianti, richiamano i veronesi Aneurysm. Ancora un atmosfera cupa ma fascinosa ad avvolgere l'epilogo della title track, che nella sua parte centrale palesa ritmiche un po' fuori dagli schemi, di tooliana memoria e conferma la bontà del lavoro; questa si rivelerà la mia song preferita. C'è qualcosa che continuo a far fatica a digerire degli Hangover e credo che sia la performance vocale del primo cantante, a tratti fastidiosa, soprattutto nelle tonalità alte; meglio concentrarsi su livelli più bassi. “Lost Hopes” è la seconda ballad del disco: che diavolo, mi sembra di sentire i Dire Straits. Ho capito, non ne verrò a capo di questa release, soprattutto perchè anche “The Prey” mi porta fuori pista. Si tratta di una semi-ballad dal finale esplosivo e in un qualche modo contaminato dai System of a Down. A chiudere i battenti di questa release ci pensano le tenui atmosfere di “The Fall”. Tanta carne al fuoco, una miriade di contaminazioni per un album che merita il vostro ascolto, rischiereste di trovarlo molto interessante. (Francesco Scarci)

giovedì 17 ottobre 2013

Marydolls - La Calma

#PER CHI AMA: Pop Grunge, Stoner
Come ogni anno non può mancare il consueto appuntamento: si prende un buon gruppo rock dall'underground e lo si lancia nell'ormai fatiscente scena musicale italiana. Essendo ovviamente un'operazione a scopo di lucro, tutto ciò deve rispettare i requisiti del perfetto business. I Negramaro sono l'esempio lampante del gruppo che ha dovuto scendere a compromessi per poter sfondare, i Modà sono un prodotto per attirare folle di adolescenti ai concerti, i Blastema stanno nel mezzo e avanti così. La qualità e la creatività perdono sempre se messe contro il portafoglio, ma senza spendere altre parole sull'argomento, parliamo dei Marydolls. I nostri bresciani hanno fatto la classica gavetta sin dal 2001, partendo dalla scena alternative nuda e cruda del nord Italia per arrivare poi a condividere il palco con qualche buon manico di casa nostra (Verdena in primis). "La Calma" è un pop grunge, condito da bei suoni e testi, ogni tanto con qualche botta di vita che stona con i passaggi lenti e troppo pop di altri pezzi. Il vocalist segue uno stile sospeso tra Ministri e Max Gazzè, regalando delle sfumature non banali che si fanno ascoltare con facilità, mentre chitarre e ritmica attingono alla vecchia scuola di Seattle. "Mi Faccio a Fette" è una bella traccia, corretta dal punto di vista commerciale, ma che trasuda quello che i Marydolls covano sotto e vorrebbero tirar fuori. Bei riff che non brillano di creatività, ma un sapiente uso di break e assolo fatti di armonica a bocca rendono piacevoli i quasi quattro minuti di canzone. Ne hanno tratto anche un video, se volete andare a cercarvelo. La terza traccia trasuda sonorità blues polverose, ritmo che batte in testa e arpeggio di chitarra acustica, però poi gli arrangiamenti con gli archi tradiscono la promessa iniziale e lascia un pò insoddisfatti. Personalmente avrei proseguito con lo stile dell'incipit, più personale e in stile Bud Spencer Blues Explosions. Chiudiamo con "Tangenziale" che apre con un giro di chitarra tra il grunge e lo stoner, bella energia e un testo ricco di metafore taglienti e liberatorie. Il pezzo prosegue e cresce strizzando l'occhio ai Ministri e alla scena emergente italiana fatta di polvere e sabbia, ovvero stoner. Uno di quei pezzi che rischia di infilarsi sotto la doccia e non ti lascia per qualche giorno. Direi il mio pezzo preferito. Ascoltando qualcosa del precedente album devo dire che i Marydolls hanno fatto un lavoro di affinamento che ha portato ad avere un sound più abbordabile e facilmente passabile in radio. Non nascondo che mi piaceva assai, spero solo che il patto con il diavolo non li porti distante dalla linea tracciata qualche anno fa. Il susseguirsi di vari stili in questo "La Calma" sembra quasi un urlo al cielo alla ricerca di una identità, in eterna lotta tra bene e male. (Michele Montanari)

(Indiebox - 2013)
Voto: 70

http://www.marydolls.it/

mercoledì 16 ottobre 2013

We Hunt Buffalo – We Hunt Buffalo

#PER CHI AMA: Grunge, Stoner, Queens of The Stone Age
C’era un tempo in cui i dischi ancora si vendevano, e la possibilità di vivere (bene) solo di musica non era un concetto astratto. La mia generazione si potrà fregiare in futuro del titolo dell’ultima ad avere frequentato con una certa regolarità un negozio di dischi, inteso proprio come luogo fisico, fatto di muri e mattoni, con scaffali ed espositori, e sebbene speri che questo fatto mi doni un’aria da eroe romantico, temo che mi lasci solo addosso l’odore polveroso del sopravvissuto. Ebbene, in quell’epoca, un gruppo come i canadesi We Hunt Buffalo non avrebbe avuto difficoltà a firmare per una major, e un disco come questo loro debutto, molto probabilmente, avrebbe potuto vendere diverse centinaia di migliaia di copie. Ma, come tutti sappiamo, oggi le cose sono un tantino diverse, e lavori come questi rischiano di rimanere del tutto sotterranei, anche quando avrebbero un potenziale ben diverso. Per fortuna i tentacoli del Pozzo arrivano davvero ovunque… I We Hunt Buffalo sono un power trio dei più classici, chitarra-basso-batteria, e suonano un rock saturo ma non privo di sfumature, che si colloca da qualche parte tra il grunge (qualsiasi cosa voglia dire questa abusatissima non-definizione) e lo stoner, per un risultato finale non troppo distante da quello ottenuto dai Queens of the Stone Age di "Songs for the Deaf" e i Motorpsycho di metà anni '90. Gli ingredienti sono dunque ben noti: sezione ritmica potente e precisa, con un bel basso spesso saturo e distorto, chitarre fuzz al punto giusto, e una voce convincente, che si staglia subito alta nel pezzo di apertura, “Strange Sensation”, sorta di ibrido tra Soundgarden e gli ultimi Mastodon. I tre mettono in mostra una notevole versatilità, pur nel solco dei sopra citati maestri, con un occhio sempre rivolto anche agli anni '70, e un’invidiabile vena melodica in brani come “Northern Desert” o la splendida “Digital Reich”, piccolo capolavoro di costruzione in equilibrio tra melodia e potenza, mentre “The Search” e “Someone Other” potrebbero essere uscito da qualche cassetto nascosto degli schedari di Josh Homme. Resta da dire delle interessanti derive post-rock della strumentale “Harry Barry”, posto in chiusura, e di una “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson, suonata con tanta potenza e totale rispetto per l’originale, sulla cui utilità si potrebbe discutere, ma che non sfigura e non suona fuori posto all’interno di un lavoro coeso, solido e al quale manca pochissimo per raggiungere il livello dei modelli a cui aspira. Attesi ad una conferma, magari con un pizzico di personalità in più, ma per il momento molto, molto interessanti. (Mauro Catena)

(Self - 2012)
Voto: 75

http://wehuntbuffalo.com/

mercoledì 25 settembre 2013

Sleepers Awake – Transcension

#PER CHI AMA: Prog rock, Prog metal, Tool, Pain of Salvation, Bush
Secondo album autoprodotto datato 2013, per questa band americana proveniente da Cleveland. Gran bella prova, un sound senza dubbio debitore del grunge e con impasti metal progressivi melodici sulla scia di Queensryche, qualcosa dei Megadeth e ritmiche contorte in stile Tool, con un sound molto più caldo che va a ripescare trame neo prog a la Dream Theater. La timbrica del cantante e chitarrista Chris Thompson si snoda tra l'oscura intensità vocale di M. J. Keenan e la sensualità di Gavin Rossdale dei Bush e raramente si stacca da queste due icone, marchiando a fuoco lo stile della band che mostra ottime idee e talento, anche se forse manca ancora quel pizzico di originalità che li renderebbe unici. Un po' forzati risultano i growls ad affiancare il cantato, giusto per dare un tocco più metallico al tutto, comunque, nonostante questo, Mr. Thompson rimane una conferma sia come vocalist che come chitarrista. I dodici brani sono sofisticati e complessi, quasi tutti molto lunghi, frastagliati, con cambi continui di tempo e miriadi di riff che si rincorrono continuamente e che proiettano l'ascoltatore in un universo ambizioso e multidirezionale, carico di certosina perizia sonora ed altrettanta cura estetica del suono. L'album è impegnativo e molto lungo, ha il sapore di un vero e proprio concept e rincorre le vie di "Undertow" dei Tool prendendoperò nettamente le distanze dal suono freddo ed estatico della band di Keenan, ampliandone le influenze, caricando sulla componente progressiva ed il virtuosismo dei singoli musicisti. Il sound è brillante e di moderna generazione, nessuna traccia di vintage prog anni '70, anzi continuamente la band cerca di proiettarsi nel futuro sonoro di realtà esplosive come i Pain of Salvation di cui condividono l'attitudine molto rock trafitta da tanta calda e ricercata energica melodia. "Transcension" è un album ben fatto e pensato ad arte, un disco che nasconde in sé una composizione musicale nettamente al di sopra della media, un'ottima dimestichezza con gli strumenti, una grande passione, una visione introspettiva della musica e un'intensità cara ai pezzi migliori ed indimenticabili del grunge (ricordate la tensione di brani come "Machinehead" dei primi Bush?). (Bob Stoner)