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lunedì 11 marzo 2019

Fretting Obscurity - Flags in the Dust

#PER CHI AMA: Death Doom, primi Anathema
Quando di mezzo c'è la Endless Winter, è lecito aspettarsi solo una bella dose di death doom. Alla stregua della Solitude Productions, l'etichetta di Taganrog è ormai diventata infatti portatrice di tenebre sulla Terra. Non ultimi ad ascriversi alla categoria suoni del destino, arrivano gli ucraini Fretting Obscurity, o meglio l'ucraino Yaroslav Yakos, mente e braccio della band originaria di Kiev. Mi sa tanto che il buon Yaroslav deve essere cresciuto a pane e primi vagiti degli Anathema, visto che la lunga ed estenuante "Flags in the Dust", opener che dà peraltro il titolo al disco, lungo i suoi oltre 13 minuti, più volte fa l'occhiolino a 'Serenades' dei più famosi colleghi inglesi. Non solo Anathema nei solchi di questo disco perchè ovviamente quando il doom si fa più asfissiante (per non dire funeral), ecco che la mente ci riporta anche a 'As the Flower Withers' dei My Dying Bride. È il caso dei minuti conclusivi dell'opening track, ma emergerà anche in altri frangenti del lavoro. "If There Is No Other Way to Love 'Em" nel suo astruso e dissonante arpeggio iniziale, immette la drammatica essenza del doom nelle note poco fluide di un disco davvero complicato da digerire. Questo perchè i pezzi di Yaroslav, oltre ad essere parecchio lunghi (si oscilla tra i 13 e i 18 minuti di durata), non godono proprio di quello che si definisce easy listening. L'ascolto è frammentario, rotto, disarmonico, rarefatto, dissuadente e alla fine estenuante. Non è che la band non sia in grado di suonare sia chiaro, ma quello che è messo in scena qui, per quanto a tratti riesca a toccare le corde dell'emotività (e nella seconda traccia avviene solo dopo sette minuti), risulta davvero difficile da essere affrontato tutto d'un fiato. Pensate poi a come mi possa sentire quando mi ritrovo davanti due colossi da 18 minuti, "Eternal Return" e "Funeral Never Ends". Spaventato è la parola giusta. E non perchè ad attendermi ci sia un suono devastante, tritaossa o spaccabudelle, semplicemente perchè so già che lo stomaco si attorciglierà su se stesso e la mente collasserà dopo aver ingurgitato simili sonorità che nella prima delle due song, si lancia addirittura in una qualche accelerazione death, prima di sprofondare nella drammaticità atemporale di un suono radicale, che ha anche modo di richiamare la cupa essenzialità dei Mournful Congregation tra ipnotiche melodie di chitarra che evocano anche un che dei Tiamat di 'Wildhoney'. Alla fine, il quadro per il sottoscritto è più o meno delineato, a voi ora l'arduo compito di affrontare la scalata di una cosi ardua montagna. (Francesco Scarci)

(Endless Winter - 2018)
Voto: 64

https://frettingobscurity.bandcamp.com/

sabato 26 gennaio 2019

Helllight - As We Slowly Fade

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Altro ritorno storico sulle pagine del Pozzo dei Dannati per i brasiliani Helllight, band che seguiamo sin dalle origini e di cui abbiamo recensito quasi tutti gli album. Mancava a rapporto l'ultimo uscito per la Solitude Productions, 'As We Slowly Fade', un altro, l'ennesimo, monumentale lavoro dei sudamericani. Chi è appassionato di funeral doom, sa di certo di quale preziosa entità flemmatica e funerea stiamo parlando, una band che per quanto provenga dall'assolato Brasile, è in realtà portatrice di un messaggio oscuro e di morte, e per questo divenuta una dei maggiori esponenti della scena funeral mondiale. E pure questo disco, costituito da sei lunghe tracce più intro, conferma quanto di buono il trio di Sao Paolo, produca da oltre vent'anni. E allora addentriamoci nelle viscere della bestia per scoprire le affascinanti trame chitarristiche di Fabio De Paula e compagni, che già con la title track impreziosiscono questa release con lente e strazianti melodie squarciate da decadenti assoli dal sapore progressivo. I quasi 12 minuti della song scivolano via che è un piacere tra growl terrificanti e drammatiche cleaning vocals che stemperano la pesantezza delle prime, mentre la porzione ritmica si mantiene su tempi dettati al rallentatore, soprattutto nella terza disperata e disperante "While the Moon Darkens", brano lento ma dalle keys magniloquenti nella sua seconda parte, che nuovamente si fa accattivante nella sua sezione solistica, vero punto di forza del combo paulista. Qualche anno fa dicevo come gli Helllight avrebbero rappresentato il punto di riferimento del funeral in futuro, oggi posso solo confermare che i nostri abbiano raggiunto quest'invidiabile status, grazie all'ispirato lavoro di chitarre e atmosfere creato nella splendida "The Ghost", in principio dinamica, ma poi sprofondante in territori di opprimente musica funeral. Le sorprese non terminano qui dato che "Bridge Between Life and Death" e "The Land of Broken Dreams" hanno ancora da regalare due putrescenti capitoli di inquietanti sonorità d'oltretomba, sicuramente evocative a livello canoro (a me l'epica performance di Fabio piace assai) quanto nel gigioneggiare a livello chitarristico con queste ardite scale ritmiche e i continui rimandi a sonorità prog rock. L'ultima "Ocean" riserva l'ultima sorpresa nell'ascolto di 'As We Slowly Fade', ossia la presenza di una gentil donzella a prestare la propria suadente voce a duettare con Fabio (qui a tratti non troppo all'altezza, a dire il vero, complici dei rimandi inopportuni agli Arcturus) e chiudere comunque con una certa eleganza questo brillante disco, mi sa tanto, il mio preferito nella discografia degli Helllight. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2018)
Voto: 80

https://helllight.bandcamp.com/

lunedì 21 gennaio 2019

Ivan - Memory

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Nella definizione di mattone, accanto a quella di materiale laterizio o di cose o persone pesanti e noiose, dovremo aggiungere anche gli Ivan, un duo proveniente dall'Australia che ha rilasciato questo terzo lavoro, 'Memory', sottoforma di due brani davvero ostici da digerire. E non solo per una lunghezza estenuante, oltre 48 minuti, più che altro per un andamento davvero lento ed inesorabile. Come immaginerete, siamo nell'ambito del doom estremo, peraltro ben suonato, però a questi ritmi, davvero sfiancante. Si apre con il decadente suono di "Visions" e quello che preme innanzitutto sottolineare, è la performance (apparentemente) meravigliosa al violino, di Jess Randall, session man della band accanto ai due virgulti che portano avanti il progetto. Il violino di Jess si prende infatti la scena per quasi quattro minuti di strazianti melodie su cui poggeranno le vocals e la ritmica dei due musicisti di Melbourne. Tuttavia, il violino persiste nell'essere il vero driver del flusso sonoro degli Ivan, occupando per la maggior parte del tempo, il ruolo di indiscusso protagonista del cd, da un lato edulcorando la proposta del duo, dall'altro, mi verrebbe da dire che dopo un po', l'espressività, la poesia e l'effetto sorpresa legate al suono di quel magnifico strumento, vengono meno. Ed ecco, dopo una decina di minuti trovarmi a lamentarmi dell'ingombranza del violino stesso che alla fine si prende tutta l'attenzione, onori ed oneri, di un sound si claustrofobico, ma che alla lunga risulta troppo monolitico. Dura sorbirsi gli oltre 22 minuti dell'opener, privi di un vero spunto vincente, non parliamo poi dei 26 di "Time is Lost". La song apre con un'abbinata pianoforte/violino, che preannuncia quanto dovremo attenderci in quest'infinita suite, che vede proporre le classiche ritmiche funeral, abbinate a lamentose linee melodiche di chitarra e al growling da orco cattivo del vocalist, questo però propagato all'infinito. Certo, aspettatevi ancora qualche break affidato al solito strumento a corde, ma nessun altro particolare sussulto teso ad interrompere lo scorrere struggente di un disco che dire impegnativo è poco. Si, insomma un buon mattone da cui partire per costruire le basi future di un suono auspichiamo più dinamico. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2018)
Voto: 65

https://ivanbandau.bandcamp.com/album/memory

giovedì 20 dicembre 2018

Doom:Vs - Aeternum Vale

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Doom, Saturnus
Del side project di Johan Ericson, dei doomsters svedesi Draconian, sapete ormai già tutto. Sto parlando ovviamente dei Doom:Vs, in cui il musicista scandinavo dà libero sfogo a tutti i suoi lati più oscuri e funeral oriented. 'Aeternum Vale' è il primo lavoro di tre, un cd uscito oramai nel 2006, ma riproposto dalla Solitude Productions in questo 2018, insieme al secondo 'Dead Words Speak'. È un cammino di 50 minuti nel lato più buio e profondo del polistrumentista: sei lunghe tracce che ci porteranno sull’orlo del precipizio e solo allora avremo la forza di decidere se lasciarci andare giù dalla rupe o salvarci. Il disco si apre con le splendide melodie di “The Light That Would Fade”, di certo il brano più riuscito, con quei suoi palesi richiami a 'As the Flowers Withers', debut dei My Dying Bride. È un doom disperato quello di Johan, straziante nei suoi momenti di pausa, dove le chitarre acustiche compongono soffuse e atmosferiche ambientazioni, richiamando inevitabilmente la band inglese; è musica che squarcia gli animi e dilania le menti, per tutta la cupezza e depressione in grado di emanare. Le successive lunghissime tracce si muovono sugli stessi binari: pesanti chitarre apocalittiche e una batteria decisamente all’altezza, ripetono all’infinito i medesimi giri all’interno dello stesso brano (forse unica vera pecca del cd), la voce growl di Johan urla tutto il proprio insopportabile dolore, voce, che si rivela più efficace nella sua veste disperatamente recitata; le tastiere ci regalano momenti di struggente melodia, le chitarre dipingono, in “The Faded Earth”, altra catacombale song, crepuscolari atmosfere da fine del mondo. In “The Crawling Inserts”, la canzone più squisitamente doom (Candlemass docet), trovano posto anche le clean vocals di D. Arvidsson, compagno d’avventura di Johan nei Draconian. Che dire di più su questo disco? Forse non ci troveremo tra le mani una pietra miliare del genere o un prodotto che può essere accessibile ad un vasto pubblico, tuttavia l’ascolto di 'Aeternum Vale' è consigliato a chi ama gruppi come Saturnus, Swallow the Sun e Mourning Beloveth, o per chi ha nostalgia dei primissimi Anathema di 'Serenades' o degli ahimé sciolti Morgion. Mr. Ericson propone sicuramente musica di difficile impatto, arricchita da testi esistenzialistici incentrati sulla fugacità della vita, che aumentano il cupo decadentismo di quest'opera. Se non conoscevate la band o non avete mai dato un ascolto a questo disco, beh è arrivato il momento di farlo. Se siete alla ricerca di una riflessione sulla vostra esistenza, forse qui troverete le risposte che cercavate. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2006/2018)
Voto: 75

https://doomvs.bandcamp.com/album/aeternum-vale

domenica 28 ottobre 2018

Dakhma - Hamkar Atonement

#PER CHI AMA: Esoteric Black/Death/Doom, Aevangelist
Non è la prima volta che dalla Svizzera ci arrivano band dedite ad un metal estremo dai forti connotati esoterici. Era già successo lo scorso anno con i Lvx Hæresis e gli Arkhaeon, accade oggi con i Dakhma, duo proveniente da Zurigo, affiliato all'Helvetic Underground Committee, e dedito, ancor più dei precedenti, ad un ritualistico sound, che sin dall'incipit "The Glorious Fall of Ohrmazd (Hail Death, Triumphant)", sembra voler celebrare un qualche rito legato alla tradizione zoroastra. Il moniker dei nostri si rifà infatti alla lingua avestica, oggi conosciuta come il linguaggio liturgico dello Zoroastrismo, in particolare come lingua dell'Avestā, il libro sacro di tale religione. Qui Dakhma sta ad indicare le Torri del Silenzio, ossia impalcature in legno e argilla esposte all'aria che servivano per l'eliminazione dei cadaveri, esposti ai fenomeni atmosferici e divorati dagli uccelli rapaci. Gli undici minuti e passa dell'opener sono nella prima metà occupati da vocals che, comeanticipavo, sembrano provenire da un qualche rito occulto, mentre nella seconda, ecco scatenarsi l'inferno con un extreme death claustrofobico che strizza l'occhiolino ad Aevangelist, Portal ed Disembowelment, in uno spigoloso e mortifero sound tritaossa che si palesa in spaventose accelerazioni, vocals d'oltretomba e atmosfere mefitiche. A dir poco mostruosi. Eccolo il biglietto da visita di questo 'Hamkar Atonement' che bissa con i quasi dodici minuti di "Akhoman (Spill the Blood)", song bestiale che si affida a delle accelerazioni arrembanti, smorzate da improvvise frenate che spezzano un ritmo incessante ed indemoniato, da cui sono impossessati i due loschi figuri, H.A.T.T. e Kerberos, che si celano dietro a questa tremebonda band. La song è oscura, ne percepisco la malvagità, forse collegata al tema portante del disco. Con "Varun (Of Unnatural Lust)", la musica dei nostri assume connotati etnico-tribali, con la song inizialmente affidata ad un'intensa base percussiva, prima di un veemente assalto death, in cui oltre a decantare l'ottima performance a livello vocale di Kerberos, vorrei sottolineare la prodigiosa tecnica di H.A.T.T. alla batteria, cosi come pure quelle scariche di imbizzarite chitarre scarificanti. Sono senza fiato e non abbiamo nemmeno raggiunto la metà, visto che il disco dura circa 70 minuti e noi siamo a quasi mezz'ora. Eppure, nonostante la monoliticità di un sound ammorbante, grosso e deflagrante, i brani scivolano via piuttosto velocemente. Penso ai devastanti 11 minuti di "Nanghait (Born of Fire)", un perfetto mix di violenza, tecnica e lucida follia, un delirio musicale che vede nelle profonde decelerazioni, i punti di massima espressione dei due musicisti elvetici, quando il loro death/black ferino s'incastra alla perfezione con un doom funerario ed evocative vocals che sembrano calarci in un qualche tempio del fuoco persiano. Suggestivo non poco, ancor di più in "Spendarmad (Holy Devotion)", una vera e propria celebrazione rituale, che prepara al penultimo atto dell'album, "Gannag Menog (Foul Death, Triumphant)" e altri 10 minuti abbondanti di sonorità abominevoli che nelle transizioni chitarristiche, richiamano sempre più evidentemente, i primi Morbid Angel, mentre nel più celebrativo atto conclusivo, colpisce l'attitudine corale dei nostri. A chiudere in modo degno 'Hamkar Atonement', ecco arrivare un'altra maratona musicale, i sedici minuti di "...of Great Prophets", che oscurano definitivamente la luce del sole e ci introducono alla tenebre della notte, con un'altra song paurosa che celebra le enormi doti di questi Dakhma. (Francesco Scarci)

(Iron Bonehead Productions - 2018)
Voto: 75

https://dakhmacavern.bandcamp.com/

giovedì 11 ottobre 2018

Xoresth - Vortex of Desolation

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Drone
Da un po' vado dicendo che quello delle one-man-band sembra essere un fenomeno che va diffondendosi a macchia d'olio in tutto il mondo. Ecco che il progetto di oggi ci conduce in Turchia a Izmir per l'esattezza, città natale di Dorukcan Yıldız, il factotum che si cela dietro al moniker Xoresth. La proposta del musico turco è all'insegna di un funeral doom dai tratti fortemente dronici che nelle tre song a disposizione, assume connotati fortemente caratterizzanti. Si perchè mai mi sarei sognato di miscelare questi due generi già di per sè assai ostici. Potete immaginare quindi il mio stupore quando "Illusion Before the Matter" si palesa nel mio stereo con il suo carico mortifero legato al funeral, il tutto inserito in un contesto dronico di riverberi che amplificano l'effetto apocalittico del doom con esiti davvero interessanti, ma soprattutto ipnotici, con il drone che tuttavia stempera la pesantezza di un genere che rischierebbe di stritolarci come le spire di un boa costrictor. Niente male affatto, non me l'aspettavo. Con maggiore curiosità mi avvio ad ascoltare gli oltre dieci minuti della tremolante title track. Qui ve lo anticipo, si sprofonda all'inferno, c'è poco da fare se non mettersi l'elmetto e avviarsi a scendere nelle viscere della terra. La sensazione è quella di ritrovarsi in una grotta profonda dove l'ansimare legato alla fatica eccheggia sulle pareti di quell'antro cavernoso e dove la sensazione di carenza d'ossigeno preme forte sul petto, generando un angosciante carico di ansia. Si, "Vortex of Desolation" è una song fortemente ansiogena e tenebrosa, quasi quanto la sensazione di buio assoluto che sperimentai una volta in una spedizione speleologica. Fa paura, ma è estasiante, da provare almeno una volta nella vita. Nel frattempo, Dorukcan Yıldız ci ha già introdotto nell'ultima spaventosa traccia, "Nefes", che guarda caso deriva dall'arabo respirare. Allora non mi sbagliavo con quella sensazione di privazione di ossigeno lamentata poc'anzi. In quest'ultimo brano infatti, quella percezione si acuisce ulteriormente. Ora ci si trova nelle tenebre, di fronte alla Signora Morte in persona, con spiraglio alcuno di rivedere la luce, solo ombre, voci terrificanti e un senso di fine assai palpabile in una song ambient/drone decisamente claustrofobica e assai ostica da digerire che relega questa release ad una nicchia di fan ancor più limitata. Da sperimentare però almeno una volta nella vita, questo rimane il mio comando. (Francesco Scarci)

sabato 28 luglio 2018

Organ - Eterno

#PER CHI AMA: Doom strumentale
In attesa di ricevere buone nuove dagli Amia Venera Landscape, andiamo a gustarci uno dei side project della band veneta: gli Organ. Formatisi nel 2014 per mano appunto di membri degli AVL, dei Discomfort e degli Hobos, gli Organ propongono, in questo lungo 3-track (della durata di quasi 28 minuti) intitolato 'Eterno', un concentrato orrorifico di doom strumentale. La band attacca con i dieci minuti e passa di "Aidel", song dall'intro dronico che pian piano evolve in una lenta e strisciante cavalcata doom, tra suoni potenti e rallentamenti da brivido, che risentono evidentemente del retaggio delle rispettive band madri, il che si traduce in lugubri riffoni dal chiaro sapore hardcore. Questa caratteristica dà quel pizzico di peculiarità alla band originaria di Venezia/Belluno. Sarebbe infatti troppo semplice saccheggiare la storia del doom mondiale e proporla in forma strumentale, i nostri invece ci mettono un po' della loro personalità, proponendo una visione alquanto melmosa del loro sound. Per forza di cose, la proposta degli Organ tende a sconfinare un po' qui e un po' là, in territori post metal e sludge, mantenendosi comunque focalizzata all'interno di binari doom dai forti tratti psichedelici, come testimoniato dalla seconda parte della opening track. Un bel riffone schiacciasassi fa il suo esordio in "Faithless" e qui il quartetto veneto ricorda che, oltre ai maestri Black Sabbath, anche i primissimi Cathedral si sono dati da fare egregiamente nel mondo doom. L'ossessività del riffing, unito a degli arrangiamenti deflagranti e ad una fortissima ripetititità di fondo, costituiscono l'ossatura portante del pachidermico trip al quale dovremo sottostare anche in questi asfissianti otto minuti della seconda traccia. Non bastano quelle tastiere in sottofondo a smorzare i toni mortiferi della song, così cupa e lenta nel suo incedere ipnotico. E non aspettatevi nulla di buono neppure da "Decadence", il terzo atto di questo EP, che prosegue nel suo malsano avanzare a rallentatore. Ecco, francamente, una cosi monolitica proposta senza un briciolo di growl, risulta parecchio difficile da digerire, soprattutto perchè il suono dei nostri non è particolarmente dinamico, fatto salvo un giro di chitarra riverberata in quest'ultima traccia, che ha nuovamente un pericoloso effetto disturbante per il cervello. Comunque, il terzo brano appare il più sperimentale dei tre, soprattutto per un altro bel cambio di tempo a metà pezzo e altre piccole diavolerie ricercate dall'ensemble italico. 'Eterno' alla fine è un lavoro che mi sento di consigliare a pochi eletti, o a chi è veramente preparato psicologicamente a scalare una cosi insormontabile montagna. (Francesco Scarci)

mercoledì 27 giugno 2018

Antichrist - Pax Moriendi

#FOR FANS OF: Death/Funeral Doom
Sincerely, I am not a great expert of the Peruvian metal scene so, I was very curious about 'Pax Moriendi', the long awaited first effort by Antichrist. The band´s discography may not be especially extensive, because only a handful of demos had been released, but the project itself is by no means new. In fact, the band was created in 2002, but for some reasons I don´t know why the project remained inactive until 2012, when the band was revived and started to compose music. Agalariept, who takes the duties for the vocals, is the sole founder of Antichrist but he shares his passion for extreme metal with the guitar player Sargatanaz. Both of them have taken part in another project called Blaspherion, which seemed to be their main project during the years that Antichrist remained silent. Anyway, it seems that they focused again their main efforts on Antichrist, and due to this reinvigorated passion, the band managed to finally release their first opus. Musically speaking Antichrist plays a classic and sometimes minimalistic kind of very slow death metal, which could be described as a blend between funeral doom and the darkest death metal you can imagine. The artwork is a perfect visual representation of this kind of music, depicting which seems to be the head of an angel´s statue. The lyrics deal with Satanism though the song titles imply a more depressive approach. As one can imagine the album contains only a few songs, specifically five, having a remarkable length with a sole exception. Stylistically, the songs are extensive, slow paced and monotonous. The very slow pace and the quite deep growls are reminiscent of the funeral doom metal genre, a style which Antichrist seems to handle very well. The opening track, “Forgotten in Nameless Suffering”, is a perfect example of what we will find through this debut. The aforementioned repeatability and slowness is permanently present, occasionally accompanied by some atmospheric keys which add an interesting touch to the music. I personally like these adds because those evoking keys enhance the oppressive atmosphere of this style, enriching at the same time the music with some melodies. Anyway, Antichrist does not want to restrict itself to the slowest funeral doom-esque tempos and through the album, the music varies from those ultra slow sections to others ones, which also being slow have some more pace. The band even includes some faster sections, with a distinctive old death metal influence, in a track like “Obscurantism”, which I personally find one of the most interesting songs. The track flows from pure funeral doom to faster death metal sections, including also some truly hypnotic atmospheric parts. As already mentioned, most of the songs are pretty long, reaching each of them no less than 7 minutes. The only exception is the most straightforward track, “Screams and Lamentations Drowned”, which has a fast opening section, even though it doesn´t lack the tenebrous and slow dark parts which are a trademark of this album. This song could be a good summary of the whole record. Antichrist´s first opus 'Pax Moriendi' is definitively a work worth of your time. Its combination of death metal and funeral doom has enough quality and variety to keep the listener´s interest alive through the whole record. The atmospheric touches are a good add, as they enrich the album and fit the style perfectly well. A great beginning! (Alain González Artola)

venerdì 20 aprile 2018

Monads - IVIIV

#PER CHI AMA: Death/Doom, Mournful Congregation, primissimi Paradise Lost
Quattro pezzi per 50 minuti, ecco un'altra impegnativa sfida lanciata dalla label Aesthetic Death che ormai ci ha abituati, con le loro uscite discografiche, a delle durate mai troppo semplici da affrontare. E cosi dopo aver recensito l'asfissiante drone ambient degli Accurst, il funeral degli Esoteric, eccoci vagare in territori death doom, con il qui presente quintetto belga dei Monads, che propone sonorità molto meno dilatate rispetto ai ben più famosi colleghi d'oltremanica, seppur sempre orientate ai classici suoni dell'apocalisse. La compagine mittleeuropea, composta peraltro da membri di Cult of Erinyes, Omega Centauri e Hypothermia, esordisce con questo 'IVIIV' dopo un demo datato 2011, e ormai dimenticato nella notte dei tempi. In sei anni, l'ensemble fiammingo, per quanto preso da altri impegni artistici, ha comunque pensato e partorito queste quattro decadenti tracce, che partendo da una base tipicamente death doom, riesce a presentarsi almeno in apertura, con un approccio musicale più variegato, sfociando indistintamente nello sludge o nel post metal, ponendosi pertanto in modo meno radicale rispetto ad altri colleghi che suonano lo stesso genere. Se il primo pezzo, "Leviathan as my Lament", appare appunto quello più influenzato da sonorità post, il secondo "Your Wounds Were my Temple" sembra invece risuonare come il più malinconico e cadenzato, non fosse altro per un lungo break acustico centrale, che ne interrompe il lento avvilupparsi su se stesso, prima di esplodere in un efferato attacco death conclusivo, il tutto corroborato dai tipici vocalizzi cavernicoli, come previsto da copione. Il risultato si lascia piacevolmente ascoltare, seppur non si possa gridare al miracolo, in quanto release di questo tipo ne escono ormai a tonnellate ogni giorno, passando molto spesso del tutto inosservate ai media. La proposta dei cinque musicisti belgi alla fine non è malaccio, quello che manca è una dose di personalità che permetta loro di prendere le distanze da tutto ciò che satura oggigiorno il mercato. Non è sufficiente angosciare l'ascoltatore con un'estenuante suite di 13 minuti ("To a Bloodstained Shore") che potrebbe peraltro evocare un che dei Mournful Congregation, probabilmente la fonte primaria d'influenza per i Monads. Necessito francamente di altro per lasciarmi stupire da una release di questo tipo nel 2018, in quanto in maniera spesso prevedibile, ha modo di propinare tutto quello che il manuale del bravo doomster raccomanda: chitarrone a rallentatore, sontuose parti acustiche, buoni squarci melodici di chitarra, growling da orco e quell'immancabile dose di melodrammaticità che sentirete emergere soprattutto nella conclusiva e atmosferica "The Despair of an Aeon". Con un pizzico di creatività e follia in più, probabilmente starei scrivendo valanghe di complimenti ai Monads, per ora il compitino è stato fatto con diligenza e scarso impegno, per una band che potrebbe ambire a risultati decisamente più soddisfacenti. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 65

https://monads.bandcamp.com/album/iviiv

giovedì 19 aprile 2018

Esoteric - Esoteric Emotions - The Death of Ignorance

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Quando si parla di Esoteric bisogna essere pronti, pronti a sprofondare negli abissi e affrontare le tenebre, pronti a giungere al cospetto di Satana in persona, pronti a qualsiasi cosa, anche a scalare un'insormontabile montagna, come quella rappresentata dalla ristampa in cd del vecchio demotape della band di Birmingham, 'Esoteric Emotions - The Death of Ignorance'. 78 i minuti che ci raccontano da dove Greg Chandler e soci hanno iniziato nel lontano 1993. Per festeggiare i loro 25 anni, siamo infatti qui a parlare di una serie di brani che probabilmente hanno rappresentato l'origine del male, di un genere catacombale, fetido ed abissale, quello del più intransigente funeral doom. Non spenderò troppe parole per una ensemble che oserei dire leggendario, che attraverso i sei album partoriti, hanno scritto e riscritto il concetto del funeral (in compagnia aggiungerei, di un trittico d'assalto formato anche da Skepticism, Thergothon ed Evoken). In quest'atavico album, la band sembrerebbe ancora non del tutto matura, essendo cosi influenzata pesantemente da un vecchio retaggio punk death. Tuttavia quel che è certo è che i nostri sono in grado già di mettere in luce le peculiarità della propria musica: dal funeral psichedelico, sporcato da tossiche e feroci influenze death dell'opener "Esoteric" (che ritorneranno devastanti nel corso del disco), alla più oscura ed ipnotica "In Solitude", in cui non si può non apprezzare la performance vocale del bravo Greg dietro al microfono, quasi avesse una maschera anti-gas dal quale rilasciare il suo asfissiante cantato growl che raramente sconfina in uno screaming alieno, mentre i suoni marciano spaventosamente a rilento nel loro serpeggiante incedere. Sebbene il disco sia stato rimasterizzato, i suoni risultano ancora marcescenti, quasi si stesse ascoltando quella vecchia cassetta di primi anni '90. "Enslavers of the Insecure" è un bel pezzo che mette insieme death, doom e funeral, in un concentrato bastardo di sonorità che per certi versi mi ha ricordato un'altra band contemporanea ai nostri a quel tempo, gli allucinati australiani Disembowelment che in quello stesso anno, uscivano con un lavoro divenuto mitico, 'Transcendence into the Peripheral'. I martorianti vocalizzi di Greg tornano sovrani nella lunga ed ispirata "Scarred" che con la successiva (e più melodica) "Eyes of Darkness", coprono ben mezz'ora dell'album, attraverso tutto il repertorio scarnificatore, pachidermico ed ossessivo dei nostri, in due tra i brani meglio riusciti degli esordi della band inglese. Pesanti, magnetici, profondi, stralunati, seminali, visionari, gli Esoteric hanno iniziato da qui a tracciare il loro percorso musicale, con una serie di perle apocalittiche che trovano pochissimi rivali nel panorama musicale. Ascoltando la malata "Infanticidal Fantasies" o la spettacolare porzione solistica di "Expectations of Love", appare evidente la ragione per cui ancora oggi ci siano band che prendono i nostri come punto di riferimento nell'ambito funeral doom, considerando quanto 'Esoteric Emotions - The Death of Ignorance' risulti cosi attuale anche a distanza di 25 anni dalla sua nascita. Ottima pertanto la decisione da parte dell'etichetta inglese di ristampare, peraltro in un elegantissimo e curatissimo digipack, quest'opera ormai introvabile. Spaventosi. (Francesco Scarci)

lunedì 19 marzo 2018

Suffer in Paradise - Ephemere

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Evoken
E se anche il paradiso può essere visto come luogo di sofferenza, allora qualcosa di malato dietro a questi russi Suffer in Paradise ci deve pur essere. 'Ephemere' è il secondo album rilasciato dal combo di Voronezh dal 2014 a oggi, quando si sono riformati per la seconda volta, dopo un primo scioglimento tra il 2010 e il 2014 appunto. Il genere di cui si fanno portatori è, manco a farlo apposta, quello del funeral doom, d'altro canto stiamo parlando di una band sotto contratto con la Endless Winter. Pertanto, negli oltre 60 minuti a disposizione, diluiti su sei vere tracce (c'è anche una breve outro), i quattro musicisti si lanciano in inni votati alla disperazione umana. L'opener, nonché title track dell'album, è un tunnel infinito senza fine, dove nemmeno il classico lumicino di speranza è dato al condannato a morte. Una song sfiancante che, pur non viaggiando su toni pesanti, affida tutto il suo essere estremamente opprimente, ad una forte componente atmosferica che trafigge l'anima, grazie ad un incedere cosi lento e deprimente, che mi lascia affranto senza parole. E l'aria asfissiante in stile Evoken non ci abbandona nemmeno nella seconda "My Pillory", dove anzi l'ambientazione si fa ancor più cupa, con un riffing appena accennato, un break corale, in cui sembra il coro di angeli depressi a prendersi la scena, ed infine il classico growling primordiale. Poi sono i tipici cliché a palesarsi: l'immancabile organo da chiesa, la tipica aura funeral e qualche break acustico che ci permette di emergere almeno per alcuni secondi dalle tenebre più profonde. Addirittura una sorta di assolo chiude una canzone che risuona come un invito alla cessazione della vita. L'inizio di "The Swan Song of Hope" si offre con più eleganza almeno fino a quando rientra in scena il growling possente di A.V. in una song sicuramente tanto maestosa quanto ridondante a livello ritmico che lentamente cresce d'intensità, di potenza, di personalità in un finale da brividi che trova modo di rompere anche le strutture compassate del funeral doom con raffinate partiture ritmico melodiche. Si ripiomba comunque nelle viscere del mostro con "The Wheels of Fate", un altro pezzo all'insegna della monoliticità di fondo di un suono coerente dall'inizio alla fine. Un muro di cemento contro cui scontrarsi e dove lasciare la nostra vita ormai privata di ogni significato. Un pianoforte apre la catacombale "The Bone Garden" che, a parte palesare una certa debolezza a livello del drumming a causa di una programmazione troppo sintetica, si dilunga in aperture di strumenti ad arco che ne enfatizzano il pathos drammatico. Ancora suoni a rallentatore con "Call Me to the Dark Side", l'ultima marcetta funebre di quasi dodici minuti a cui seguono a ruota i due di outro che chiudono un album a dir poco oscuro e pachidermico, ma alla fine, sicuramente estenuante. Only the braves! (Francesco Scarci)

(Endless Winter - 2017)
Voto: 70

https://sufferinparadise.bandcamp.com/

giovedì 22 febbraio 2018

Aura Hiemis - Silentium Manium

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Ecco arrivare dal Cile l'ennesima one-man-band, capitanata da V., factotum di questi Aura Hiemis, in giro addirittura dal 2004 ma che per il sottoscritto rappresentano invece una novità, il che è strano considerato che all'attivo hanno ben quattro dischi, uno split ed un EP. Cercheremo di rifarci con l'ascolto di questo 'Silentium Manium', lavoro uscito a dicembre 2017 sotto l'egida della prolifica Endless Winter, ormai diventata sinonimo di funeral-death-doom. E Mr. V. (che ha peraltro un passato nei Mar de Grises che conosco invece assai bene), qui supportato da Lord Mashit, non tradisce le attese, forte di un lavoro dedito ad un inquietante e malinconico sound che con i dieci pezzi di questa release, riesce a trasmettere tutto il proprio pathos e dolore interiore, attraverso passaggi musicali lastricati di un profondo senso di pesantezza e disagio. Lo dimostrano i fatti: subito dopo l'intro strumentale di "Maeror Demens I" che insieme alle parti II, III, IV e V costituirà degli acustici bridge tra un pezzo e l'altro, sopraggiunge "Cadaver Fessum", esempio indefesso del monolitico sound proposto dai due musicisti di Santiago. Suoni a rallentatore, con riffoni inferti ogni cinque secondi e dilatati all'infinito, tastiere da incubo e vocalizzi da orco cattivo, raffigurano e certificano la proposta degli Aura Hiemis. Nulla è comunque lasciato al caso: il suono bombastico, gli arrangiamenti, l'ampio spazio affidato alla componente strumentale che dà enfasi alla drammaticità e al climax che s'instaura nel corso dell'ascolto di 'Silentium Manium'. Mi stupisce comunque l'originale approccio della band nel proporre la propria visione di doom: un esempio concreto è offerto da "Sub Luce Maligna", breve, quasi completamente acustica, sembra strizzare l'occhiolino ai primi Swallow the Sun. Analogamente fa "Between Silence Seas", e a questo punto deduco che sia il vero marchio di fabbrica degli Aura Hiemis per prendere le distanze dalla massa, che affida dei suoi quattro minuti spaccati di musica, la metà a suoni acustici e i rimanenti due alle sole chitarre, escludendo del tutto la componente vocale. Ma la cosa si ripete anche nella successiva "Frozen Memories", il che mi lascia ancora una volta perplesso perchè alla fine, "Cadaver Fessum" e la tremebonda ma atmosferica "Danse Macabre", sono gli unici episodi funeral doom del disco, in quanto il resto è un nostalgico flusso di suoni minimalisti, acustici e nostalgici. Ah, ultima segnalazione: il disco contiene dieci tracce, ma il lettore ne visualizza 11, questo perchè c'è la classica ghost track (quanto adoro ancora questi giochetti) che mostra un abito ancor diverso per i nostri, che partono da una ritmica quasi post black per poi affidarsi ad un suono più pulito e diretto che va a braccetto con l'utilizzo delle vocals, qui meno catacombali. Che stiano volgendo lo sguardo verso altri lidi? Lo scopriremo rimanendo sintonizzati sul canale degli Aura Hiemis. (Francesco Scarci)

sabato 10 febbraio 2018

Nordlumo - Embraced by Eternal Night

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Ea
Ho ricevuto le nuove release targate Endless Winter e per la scelta della prima recensione, ho preferito lasciarmi guidare dalla cover più suggestiva. I russi Nordlumo (in realtà una one-man-band guidata da Nordmad) hanno vinto alla grande con il loro nuovo 'Embraced by Eternal Night', grazie ad un'aurora boreale che avvolge un enigmatico tutt'uno formato da una chiesa incastonata in una montagna, strana combinazione. Il musicista siberiano, seguendo poi la politica tracciata dalla propria label, propone un cupissimo funeral doom che si esplica attraverso sei tracce, di cui l'ultima, "Weathered", è una riuscitissima quanto nostalgica cover dei finlandesi Colosseum. Il disco parte alla grande con la lunga "The Autum Fall", oltre otto minuti di suoni decadenti, dove la voce del mastermind di Severomorsk, non si palesa mai, lasciando invece largo spazio a melodie oscure. Per godere dei vocalizzi in growl del bravo factotum russo, basta giungere alla seconda traccia, dove il funeral s'incastra meravigliosamente con passaggi sognanti, a tratti ambient, corredati dai vocalizzi imperiosi del frontman, srotolati in oltre 23 minuti di musica che incorporano un profondo struggimento, segno di un forte disagio interiore, risultando alla fine assai spettacolare. La traccia è infatti cosi varia nella sua progressione, tra cambi di tempo, accelerazioni, squarci melodici e angoscianti rallentamenti abissali, che alla fine delineano per sommi capi la proposta musicale di Nordmad, peraltro encomiabile anche a livello strumentale. "Scripts" ha un ritmo più baldanzoso, per quanto questo aggettivo essere applicabile possa in un ambito cosi funereo. Comunque, la song è più ritmata forse in apparenza meno varia (non fosse altro per un catacombale pianoforte che irrompe a metà brano), mentre le vocals si dilettano tra un profondo grugnito animalesco, qualche urlaccio ed un tenebroso sussurrato. Il dolore alberga incontrastato anche in "Dreamwalker", un'altra maratona di quasi un quarto d'ora di lugubri atmosfere, ottime melodie a rallentatore evocanti un ipotetico mix tra Ea e Saturnus, dove fanno capolino anche delle clean vocals. A chiudere (ma ci sarà ancora tempo di gustare la spettralità della già menzionata cover dei Colosseum) ci pensano le celestiali atmosfere di "Millenium Snowfall" che confermano la bravura e la vena creativa del bravo Nordmad. (Francesco Scarci)

(Endless Winter - 2017)
Voto: 80

giovedì 8 febbraio 2018

Descend Into Despair - Synaptic Veil

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Shape of Despair, Saturnus
Che aspettarsi da una band il cui monicker significa sprofondare nella disperazione? Di certo non sonorità solari, piuttosto direi suoni votati al depressive o al funeral doom. Ebbene, non serve essere troppo arguti per capire che i rumeni Descend Into Despair propongano simili sonorità, ma poi vedendo l'estenuante lunghezza dei pezzi, propendo più sulla seconda delle mie ipotesi. Obiettivo centrato. I sette elementi, di stanza a Cluj-Napoca, offrono infatti in 'Synaptic Veil', suoni decadenti che hanno colto l'attenzione della sempre più guardinga Loud Rage Music, che ha deciso di puntare sui nostri. Cinque brani per quasi un'ora di musica ad esplorare temi quali il suicidio, l'inquietudine interiore e la malinconia legata alla solitudine. Cinque brani dicevo, che esordiscono con le inquiete melodie di "Damnatio Memoriae", in un tourbillon emotivo di oltre 13 minuti che chiama in causa i grandi del genere, My Dying Bride, Saturnus e Shape of Despair su tutti; i primi forse per la scelta di affidarsi a clean vocals (ma non solo), i secondi per l'utilizzo di melodie ariose quanto malinconiche, i terzi per quell'aurea di pesantezza che ammanta l'intero lavoro e dispensa angoscia a volontà. Ecco tracciate quindi le coordinate della opening track, ma in generale di tutto un album che trasmette una forte animosità nell'anima ed un senso di smarrimento e tormento che logora da dentro. Sicuramente da sottolineare le più che buone atmosfere disegnate dal lavoro coordinato tra chitarre e tastiere, che regalano uno splendido break centrale nella prima traccia, ove peraltro compaiono anche le growling vocals del frontman Xander. "Alone with My Thoughts" presenta un incipit più etereo, sebbene la pesantezza e la lentezza del riffing, combinato all'utilizzo granguignolesco delle vocals, la renda ancor più mortifera dell'opener. Ma la scelta di utilizzare arpeggi acustici è assai comune nel corso del disco: eccolo servito anche nella terza "Demise", dove la struggente voce di Xander si combina con un riffing pulito, atmosferico, a tratti indolente, che lascia ampio spazio alla strumentalità dell'act rumeno, in magnifiche trame chitarristiche che ricamano splendide melodie autunnali e suggestivi momenti d'ambiente, che si ritrovano anche all'inizio della quarta "Silence in Sable Acrotism", ove trovano spazio anche soavi voci femminili e dove la lentezza dell'ensemble si fa più importante, soprattutto alla luce dell'ultima traccia da affrontare, i 14 minuti di "Tomorrow". La luce qui sembra spegnersi definitivamente, cedendo il posto alle voci da orco del frontman e ad una chitarra che lascia presagire solo brutti pensieri, quelli forse di un domani senza speranza. (Francesco Scarci)

sabato 27 gennaio 2018

Bereft of Light - Hoinar

#PER CHI AMA: Black Doom, Wolves in the Throne Room
Quello delle one-man-band è un fenomeno assai diffuso sbarcato ora anche in Romania. Ad esserne affetto è questa volta, Daniel Neagoe, mastermind dei Bereft of Light, interessante progetto black/death doom, prodotto dalla Loud Rage Music. Forte della sua esperienza in band quali Shape of Despair e Pantheis, giusto intanto a metter li due nomi forti del panorama funeral mondiale, il bravo artista rumeno si lancia con 'Hoinar', in una commistione di afflitte sonorità decadenti unite all'asprezza del black metal a stelle e strisce di stampo cascadiano. "Uitare" è una lunga intro strumentale dal forte sapore nostalgico, una di quelle melodie da gustare alla finestra mentre una piovosa giornata di novembre volge al termine. La pioggia battente prosegue anche nella lunghissima "Legamant", quasi tredici minuti di asperità black, spettacolari parti acustiche, cavalcate roboanti in stile Wolves in the Throne Room, rallentamenti doom, disperate harsh vocals e soprattutto splendide fughe melodiche che si manifestando sovrane nella seconda disarmante metà del brano, in un crescendo emozionale da brividi. Con "Pustiu" ci prendiamo una più lunga pausa strumentale all'insegna dell'ambient, guidato da una struggente chitarra acustica e da intimistiche melodie da brividi. "Freamăt" e la conclusiva "Târziu", ci riportano alle sonorità assai care al buon Daniel, sempre in bilico tra un death doom atmosferico ed un più ferale cascadian black. Nella prima però, la novità risiede nella proposizione di epiche vocals pulite (in stile vecchi In the Woods o Primordial) che fanno da contraltare allo screaming feroce del polistrumentista rumeno, ottenendo cosi un effetto a dir poco esaltante. I frammenti di chitarra acustica nella seconda metà del brano che accompagnano poi il cantato evocativo di Daniel, sembrano indurre volutamente uno stato distensivo nella proposta del talentuoso musicista, che vanta tra le sue collaborazioni, anche Eye of Solitude, Ennui e God Eat God (ma il numero di band in cui Mr. Neagoe milita è ben maggiore). Chiudiamo con "Târziu", forse la song più lenta e sofferente del lotto, che esibisce uno splendido (l'ennesimo) break acustico centrale, dai cui drappeggi, s'innalzano le tormentate voci di Daniel che decretano l'eccezionalità di questo album da applausi. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2017)
Voto: 85

domenica 21 gennaio 2018

Omega - Eve

#PER CHI AMA: Black Siderale, Darkspace
Ci hanno impegato quasi cinque anni gli Omega a far uscire la loro prima fatica, tuttavia mi domando che bisogno ci fosse che tre dei quattro membri dei Deadly Carnage rilasciassero questo lavoro sotto mentite spoglie? Non poteva essere un nuovo lavoro dei Deadly Carnage stessi o forse gli Omega nascono in realtà come un progetto di Mike Crinella degli Ashes of Chaos? Mah, troppo mistero avvolge questa band e il concept del disco che trae ispirazione dal codice illustrato Voynich, scritto con un sistema alfabetico/linguistico ad oggi non ancora decifrato e le cui immagini incluse (piante per lo più) non sono ascrivibili ad alcun vegetale attualmente noto. Creato questo alone di mistero e suggestione (anche a livello grafico sia nella cover che nel booklet interno), ci mettiamo all'ascolto delle quattro infinite tracce che compongono 'Eve'. Da "Arboreis" a "Laudanum", il black proposto dagli Omega si pone con un sound estremo, dilatato e siderale, che nella sua progressione, avrà modo di lasciarsi contaminare anche da doom, ambient e death metal. Se devo dare qualche punto di riferimento da accostare ai nostri, direi in prima battuta gli svizzeri Darkspace, soprattutto per l'utilizzo di quelle atmosfere rarefatte e le screaming vocals effettate in background. Tuttavia il riffing, talvolta troppo ridondante, è palesemente di matrice death e questo potrebbe fuorviare l'idea che vi state facendo del disco. "Sidera" soffia come il vento glaciale dell'Artico, anzi la vedrei bene come colonna sonora per la serie TV 'Fortitude', ambientata nelle fredde e oscure terre delle isole Svalbard, e quell'aurea di mistero che avvolge la song, bene si adatterebbe al tema lugubre della fortunata serie TV inglese, complice anche una produzione non proprio cristallina. Il disco però soffre e si avverte forte quel senso d'inquietudine che trasmette e la voglia di andare oltre alla terza "Mater". Quello che avverto in apertura qui è una certa sensazione di ultraterreno, accentuata dal suono delle campane, dal battito del cuore e dal respiro affannoso di una donna improvvisamente interrotto. Il sound prosegue in maniera ancor più funerea, con un break centrale creato da delle campane che sembrano suonare a lutto. Quest'interruzione funeral gioca sicuramente a favore della traccia, rendendola più varia, atmosferica e pertanto più fruibile all'ascolto rispetto alle prime due, soprattutto perchè il brano procede successivamente con un approccio più melodico e dinamico che rende meno stancante l'ascolto di un lavoro che sottolineo essere estremamente ostico. Soprattutto quando ad aspettarmi ci sono ancora gli oltre 16 minuti di "Laudanum" e le terribili grida che aprono la traccia in un'atmosfera da film horror. La song in realtà divampa in un assalto black/death apocalittico, con le solite ritmiche spigolose, i break doom e le urla aliene che caratterizzano in generale 'Eve'. Insomma un disco complesso, arcigno, complicato, un lavoro non per tutti ma solo per pochi adepti devoti. (Francesco Scarci)

(Dusktone Records - 2017)
Voto: 70

https://dusktone.bandcamp.com/album/eve

mercoledì 22 novembre 2017

Profetus - Coronation of the Black Sun/Saturnine

BACK IN TIME:
#FOR FANS OF: Funeral Doom, Ahab
This was Profetus’ debut, originally released on April 29th, 2009, back then — and still now — is a masterpiece and a lesson in funeral doom metal. This re-release and limited edition includes the band’s debut and their first and only demo 'Saturnine'. Altogether make over 90 minutes of decaying and devastating anthems. An astonishing colossus of a record, where the album and the demo are two different entities that can be listened separately.

'Coronation of the Black Sun' is dark as the chasm, mystical music for a ritual of death, where there is no room for hope or light, and the cover artwork epitomizes this feeling superbly. As your eyes set in the artwork, you know this is something obscure and serious.

Funeral doom metal is a complex and difficult genre that challenges the listener and demands patience, and sometimes, very skilled bands reward patience with towering riffs and mythical passages. This is the case with Profetus debut. Unpretentious but confident guitar riffs take the lead, powerful chords make ambiance and the keyboard work creates a melody and an atmosphere so dominant that evokes the feeling of a black cathedral lost in the limbo.

A particular talent is needed to create gigantic anthems in length and keep your listening interested and heedful to the music, no easy task for sure, both to keep a pace and to be aware of your tempo as a musician. This is why funeral doom metal is so respected even though when is humbler than other genres and styles.

"Eye of Phosphoros" is the supreme song of the album. From the very beginning, the deep abyssal growls take you to the darkest of your thoughts, almost as ritualistic music, as a desolated landscape of doom and dark draws in the mind. It is monotonous and hypnotizing. Makinen’s vocals are really fitting to the music; the keyboards emulate a pipe organ adding a funerary aspect to the song. And the last 5 minutes… When the pipe organ strikes at the end of the song, is like something terrible, dismal and tragic has happened. The beauty of the last five minutes of the song is outstanding and once it hits you, it will keep inside you; female chants join as they were angels claiming for a lost soul. In funeral doom metal standards, this ending is perfection.

“Coalescence of Ashen Wings” is as gloomy as the previous one, but shorter. The highlight of this song is the atmosphere the melancholic guitars create as it is a more repetitive song, lacking an exceptional change of rhythm, although it has this passage where the guitars take control and deliver a sullen melody of doom, along with some heavy riffs and percussion work.

The last and catchiest song is “Blood of Saturn”, which is another masterpiece. This song, in particular, has a faster rhythm than previous ones, and it proposes a mournful melody from the very start, a melody that will take leadership throughout several moments of the song. In the second third of the song, we get a sudden change of pace that leaves the drums in the spotlight, reminding me a little of the funeral doom metal band Ahab. After this passage, we get back to the main musical theme, and we will have a moment of reflection minutes after, just to sink in the deepest of our thoughts as the song slowly dies.

'Coronation of the Black Sun' is a rock solid magnum opus of the funeral doom metal genre, but as this edition includes also the 'Saturnine' demo, I found something annoying, even though is just a little thing but it bothered me, and this is that in the demo the sound is stronger and heavier. Don’t get me wrong, it is not better, the main album is fine mixed and well mastered, but the demo sounds more aggressive and powerful, the drums are so authoritative that it sounds more proper to the music. 'Saturnine' has this claustrophobic sound that reminded me again of Ahab’s debut 'The Call of the Wretched Sea', and I think that this strength in the drums would have been perfect for 'Coronation of the Black Sun'. Musically, it is far from what they became and achieved, though. In conclusion, this is an album for posterity that will be revisited for years to come. (Alejandro "Morgoth" Valenzuela)

lunedì 25 settembre 2017

Mourning Dawn - Waste

#PER CHI AMA: Black Doom
Strana la definizione di EP data dai francesi Mourning Dawn: solitamente un Extended Play dura grossomodo meno di 30 minuti. Il trittico di pezzi proposto invece dal morboso terzetto di Montpellier supera di gran lunga i 70. Pertanto facendo due banali calcoli matematici, avrete capito che ci troviamo al cospetto di tre maratone di ben 24 minuti ognuna!! Il genere proposto dalla band è un criptico black doom ossessivo e malato, claustrofobico quanto basta per scatenare un senso di angoscia schiacciante già dopo la prima "The One I Never Was". La sensazione è quella di essere finiti in un condotto d'aria e da li non riuscire più a venirne fuori e sentire il suono metallico dettato dal percorrere quel tubo angusto in cui rimbombano suoni pesanti, malinconici, quasi disperanti, ma corredati da una buona dose di melodia che ci riesce ad accompagnare con tranquillità fino al termine della prima traccia. Il fatto che i componenti non siano degli sprovveduti, ma gente con una certa esperienza (la band include ex membri di Ad Vitam Aeternam, Funeralium e Inborn Suffering) agevola di certo l'ascolto di un album, in cui a mettersi in luce è un sound maturo, un songwriting davvero buono, una certa varietà di fondo nella proposta musicale e molto altro. La voce del vocalist è un lugubre growling che si prende la scena quando canta su ritmiche essenziali e minimaliste, contraddistinte comunque sempre da un senso di desolazione infinita, complici anche chitarre che ricamano di sovente ottime melodie. La seconda traccia è la decadente "The One I'll Never Be" che riparte da quegli oscuri anfratti in cui ci siamo ficcati con la prima peraltro ammantata da una certa vena esoterica, che si palesa con un sound mistico, misterioso, darkeggiante (interessante qualche reminiscenza di scuola Sadness) in un litanico incedere che sembra non subire momenti di stallo o caduta, anzi si conferma assai convincente lungo gli oltre 24 minuti della song, che mostra parti più atmosferiche ed ispirate, rispetto ad altre più roboanti o tirate, o ancora parecchio cariche in fatto di tensione emotiva, tipo quando compaiono delle grida di una donna, una bella parte acustica o i rintocchi di una campana. Convincenti, onore al merito, anche con la terza track, quella "Waste" che dà il titolo al disco e che indirizza le sonorità delle prime due canzoni in un'altra lenta ed inesorabile galoppata verso il cuore dell'inferno, verso le tenebre, verso quell'oscurità avvolgente che emana un senso di torpore ai sensi e che lentamente fa perdere i sensi. 'Waste' alla fine è un EP davvero intrigante, forse giusto un pochino prolisso ma comunque di grandissimo valore. Pertanto, non può che essere consigliatissimo. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 80

https://mourningdawn.bandcamp.com

domenica 17 settembre 2017

Mesmur - S

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Evoken, EA, Esoteric
Torna la Solitude Productions, ritornano i Mesmur con il secondo capitolo della loro discografia, e il neo-sodalizio tra questi due nomi non può che essere un sound devoto al funeral doom. Il quartetto, capitanato dal frontman dei Dalla Nebbia, Jeremy L, coadiuvato da tre fidi scudieri, tra cui anche il bassista italiano Michele Mura, torna a proporre la propria visione apocalittica del doom, attraverso quattro lunghe tracce che, partendo da "Singularity" arrivano a "S = k ln Ω", attraversando l'angosciante oscurità di "Exile" e "Distension". Il suono come avete ampiamente intuito è un concentrato di soffocanti suoni funerei che, come già accaduto nel debutto omonimo, ha però modo di spezzare l'integrità di un muro sonoro spesso e soffocante, con degli intermezzi ambient assai melodici in grado di dare giovamento ad una proposta che rischierebbe invece di peccare di eccessiva monoliticità, come talvolta accade a questo genere. E invece, accanto al lento e logorante incedere ritmico, accompagnato dalle grugnolesche vocals di Chris (che abbiamo già avuto modo di apprezzare negli Orphans of Dusk), ecco apparire di tanto in tanto, giochi di luce, affidati ai synth di Jeremy che si diletta nell'evocare i fantasmi di My Dying Bride ed Esoteric, alleggerendo cosi di parecchio la loro visione fin troppo pessimistica del mondo. Chiaroscuri di matrice sludge, completano una traccia complessa che ha addirittura modo di richiamare i Neurosis. Dopo il finale al limite del noise di "Singularity", ecco le note malinconiche e dilatate di "Exile" che si muovono lentamente attraverso suoni di una drammaticità coinvolgente, merito ancora una volta del magistrale lavoro atmosferico eseguito dai synth del frontman americano. La proposta è cupa e tortuosa, non mancano i rimandi agli Evoken, agli EA, agli immancabili Shade of Despair; splendido l'interludio esattamente a metà brano, in grado di minare la lucidità della mia mente ma anche di alzare l'asticella di un lavoro che sembra aver imboccato una propria strada, sebbene quelli esplorati rimangano i meandri di un genere musicale che ha il merito da sempre di continuare a rinnovarsi con band assai intelligenti ed originali. E i Mesmur sono una di queste, un ensemble maturo che ha imparato dai paradigmi di un genere in continua evoluzione ad ampliare la propria visione cosmica. E il quartetto conferma questo trend arricchendo la loro proposta di strappi black death (retaggio dell'altra band di Jeremy), come sul finire della seconda traccia. Con "Distension", l'atmosfera si fa più perversa, complici dissonanti e disturbanti suoni in grado di deviare la psiche in modo assai pericoloso. Si tratta di oltre cinque minuti di musica delirante quasi lisergica che sfocerà nell'abisso di un funeral doom distorto e contorto che, percorrendo i pericolanti sentieri di una traccia insana e claustrofobica, ci condurrà fino alla conclusiva, epico-dronica strumentale "S = k ln Ω", il cui titolo si rifà alla Costante di Boltzmann, necessaria per il calcolo dell'entropia nella termodinamica, quella grandezza intesa come misura del disordine dell'universo, generalmente rappresentata dalla lettera S, proprio come il titolo di quest'album. Che sia il caso di rivedere le leggi della fisica, che l'entropia dell'universo sia ancora in aumento? Se cercate delle risposte a queste domande, 'S' potrà fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/mesmurdoom

venerdì 14 luglio 2017

Wastes - Into The Void Of Human Vacuity

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Skepticism
Il caldo estivo non fa proprio rima con il funeral doom, genere tipicamente novembrino. Tuttavia, i franco-belgi Wastes se ne fregano delle stagioni, rilasciando lo scorso giugno il loro debut album, 'Into The Void Of Human Vacuity', un disco che ci fa piombare da una torrida giornata di calura estiva direttamente nella più brumosa delle giornate autunnali. Non lasciamoci ingannare dal fatto che questo sia un album d'esordio, tra le fila dei Wastes si nascondono membri di Ataraxie, Mourning Dawn, Funeralium e Pantheism, gente insomma che calca la scena già da una quindicina d'anni almeno, in territori più o meno dooooom, di quello con parecchie "o" per capirci. E tutto ciò si traduce in un claustrofobico lavoro, fottutamente funereo e claustrofobico e in questi sette pezzi rilasciati dalla Code666. Solitamente parto dai punti di forza di un album, quest'oggi invece darei una bella tirata di orecchie a quelli che hanno registrato un disco mettendo due secondi di pausa tra un brano e il successivo, rompendo cosi il flusso cataclismatico che s'instaura all'ascolto di ogni song. Detto questo, che penalizzerà la mia valutazione di fondo, e sorvolando sull'intro del cd, mi concentro sulla seconda "Pt. 2" che sottolinea come ritmiche a rallentatore, raggelanti voci cavernose ed atmosfere orrorifiche, caratterizzino il sound della compagine d'oltralpe, seguendo pedissequamente i dettami voluti da un genere costantemente sulla cresta dell'onda. La terza parte prosegue il flusso apocalittico eretto dai nostri che continuano a tessere melodie deviate, condite da ambientazioni glaciali nel classico incedere magmatico e soffocante, di quello in grado di attanagliare la gola e raggelare il sangue nelle vene, inducendo un pericoloso senso di oppressione e paranoia. Echi di Esoteric e Skepticism emergono forti dalle note di un album sicuramente di difficile ascolto, non lo nego, ma che certo avrà modo di entusiasmare i più incalliti fan della scena funeral doom. Vorrei segnalare infine "Pt. 6", song mostruosa per intensità sonora che (ir)rompe con il routinario sound rallentato delle precedenti tracce, mostrando il lato più death oriented della band, con una scarica detonante di batteria e chitarre ronzanti, quasi un mostro a cavallo tra il post black e la ferocia dei primi Entombed. Il tutto è poi affidato a suoni idiosincratici che introducono all'ultima spaventosa marcia funebre che chiude un album capace di intorpidire non poco i sensi. C'è poco altro da evidenziare in un disco che fa della lentezza estrema, della pesantezza del proprio rifferama, e di una certa ridondanza e riverbero nei giri di chitarra, i suoi capisaldi. Mi preme tuttavia sottolineare un'ultima cosa, ossia la capacità, in un po' tutti i brani, di deliziarci con psicotici assoli, peccato siano un po' troppo relegati in secondo piano, se solo avessero avuto un po' più "volume", avrebbero di certo dato un'ulteriore spinta ad un album comunque buono. (Francesco Scarci)