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mercoledì 30 giugno 2021

Mesarthim - Vacuum Solution

#PER CHI AMA: Electro/Cosmic Black
Il misterioso duo australiano dei Mesarthim torna con una nuova release che va a renderne più cospicua la discografia. Sempre sotto la guida esperta della nostrana Avantgarde Records e con un concept perennemente ispirato alla cosmologia, la band ci propone un sound ancora una volta intrigante, in grado di miscelare cosmic black con elettronica e space rock, in un favoloso mix di melodie che si esplicano alla grande lungo le cinque tracce qui incluse. Quello che più ho apprezzato di 'Vacuum Solution' è sicuramente l'utilizzo dei synth nella memorabile title track posta in apertura, che è impossibile non memorizzare e arrivare quasi a fischiettare. Non me ne vogliano i due musicisti australiani, ma questa rischia di essere una delle canzoni più melodiche della loro discografia, sebbene le screaming vocals provino a mantenere un ancoraggio con le produzioni precedenti. Certo che quel finale quasi EBM rischia di stravolgere (positivamente sia chiaro) il pensiero che mi lega da sempre ai Mesarthim. Con "Matter and Energy" le cose sembrano complicarsi ulteriormente, lasciandosi penetrare sempre più dal beat techno elettronico, con il solo cantato black a mantenere un ponte di connessione con la musica estrema. Con "Heliocentric Orbit" ci manteniamo in territori affini, con i due che provano a unire quel sound techno dei Samael di metà carriera con la musica trance e le ultime invenzioni vocali (quasi anime giapponesi) degli azeri Violet Cold. Audaci. Impavidi soprattutto in "A Manipuliation Of Numbers", un pezzo che prende in prestito le tastierine del dungeon synth e le mette a servizio di un sound più etereo che comunque riflette il trademark dei nostri. A chiudere, ecco "Absence" con il suo ambient nudo e crudo, una sorta di colonna sonora di film stile "Interstellar" o "Gravity", che chiude l'ennesimo viaggio nello spazio di questi due sognatori australiani. Ah, una piccola curiosità: l'artwork di copertina è realmente una foto della Nasa. (Francesco Scarci)

domenica 23 maggio 2021

Schlaasss - Casa Plaisance

#PER CHI AMA: Rapcore/Punk/Alternative
L'artista più atipico prodotto dalla Atypeek Music propone un intransigente cianfrusaglia-rap genericamente allineato alla contemporanea scena americana, perlomeno per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. Effettini ed effettacci di ogni genere e fattura (confrontate "Requiem" con una canzone a caso dei Melt Banana), classic-pop alla Backstreet Boys banging Britney Spears ("Bye Bye"), euro/trance ("Pupote"), angry female rapping ("Nanarchie"), pittoriche secchiate di auto-tuning ("Thug Lilith"), capatine vintage (i jingle otto bit di "No Drog Yourself", per esempio), lolli-rap stile Mélanie Martinez licking Warpaint ("Biscus"), una puntina di Mr. Oizo abusing Salt n' pepa ("Ordo ab Chao") e tanta elettronica alla Aphex Twin, perlomeno per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. Schlaass, la cui timbrica vi sembrerà una specie di incrocio tra gli sbadigli di 50 Cent e un Frank Zappa che si lava i denti con la maionese, spazia con misurata disinvoltura nei vari sottogeneri del rap, dal raga al gangsta al vaffankool. D'accordo, d'accordo. Per quel che ne può sapere l'autore di queste righe. L'avete detto voi. (Alberto Calorosi)

martedì 18 maggio 2021

Sébastien Guérive - Omega Point

#PER CHI AMA: Electro Ambient
Sébastien Guérive non è una figura artistica tanto facile da inquadrare, le sue forme espressive spalmate tra dischi, danza, teatro, installazioni sonore ed audiovisive di vario tipo, lo rendono un musicista e compositore qualificato e autorevole nel campo della musica ambient, elaborata al computer con moderne e sperimentali tecnologie di composizione. L'artista originario di Nantes è anche ingegnere del suono, quindi, è logico aspettarsi dai suoi brani, una maniacale ricerca estetica del suono che sistematicamente marchierà tutte le note da lui forgiate. Guérive ha nel suo bagaglio artistico anche studi classici sul violoncello, ed è per questo che mi sembra lecito trovare un approccio tendenzialmente melodico e arioso nelle sue canzoni. Tutte queste aspettative vengono magistralmente soddisfatte e ben esaudite in questo album dalla forma fluida e dalla natura ambient, saturo di elettronica di ottima caratura. In questo box di canzoni intitolato 'Omega Point' vi troviamo il tocco deciso delle atmosfere che solitamente animano i film fantascientifici, rielaborato con una filosofia più vicina a certo post rock moderno, cristallino e stellare. I chiaroscuri sono poco definiti per volontà dell'autore, si mescolano e s'intersecano continuamente, nel tentativo di dar vita ad una scultura sonora ibrida, che non si esprima solo in termini oscuri, ma che riesca a modulare il suono anche verso una luminosità traslucida, mostrando una reale idea d'infinito e che, allo stesso tempo, non si abbandoni mai ad una serenità totale. Questa struttura, porta costantemente l'ascoltatore all'interno di nove piccole colonne sonore, slegate tra loro ma unite dalla ricerca insistente di un ambiente musicale che sia a metà strada tra il digitale e l'analogico, sempre in bilico tra la calda espressività umana e il taglio freddo dell'elettronica più robotica. Con questo tipo di lettura possiamo capire e gustarci meglio l'intero disco, osannare l'affascinante suono, dilatato ed introspettivo, di "Omega II" e "VIII", apprezzare la classicità di un brano come "Bellatrix" che trasforma un ambiente glaciale in un viaggio a rallentatore nello sconosciuto spazio cosmico. Le tracce sono tutte di corta o media lunghezza, trasudano una forte attitudine alle composizioni per film da parte dell'artista francese, risultando in alcuni casi, un po' avare, nel senso che la loro breve durata le avvicina più a degli ottimi intro, che a dei brani veri e propri. Comunque, la volontà di costruire musica per un ipotetico film di fantascienza è pienamente realizzata, tra spunti elettronici di vecchia e nuova generazione, morbida psichedelia e minimalismo, uniti ad una sognante synth wave, un Blade Runner meno cupo dalle futuriste visioni Kraftwerkiane, rivisto con sentimentali occhi umani. Una musica surreale, sospesa nel tempo, statica ma colma di suoni particolari e sfaccettature sonore che faranno felici anche gli audiofili più esigenti. Potremmo volgarmente parlare di questa originale soundtrack, definendola semplicemente ipnotica, nel segno di Tim Hecker, progressiva e filmica come le opere dei Vangelis, evanescente come se i Seefel, dopo aver perso la sezione ritmica, si fossero arenati tra le note di 'Watermusic II' di William Basinski, scoprendo solo alla fine, che Sébastien Guérive vive in un pianeta sonoro molto personale, in linea con molti altri noti autori ma con una carica di originalità assai elevata e un amore senza limiti, proprio come lo spazio profondo, per il suono ad alta fedeltà, complesso, ricercato e tanto raffinato. (Bob Stoner)

(Atypeek Music/The Orchard - 2021)
Voto: 75

https://sebastienguerive.bandcamp.com/

mercoledì 5 maggio 2021

Postcoïtum - News from Nowhere

#PER CHI AMA: IDM/Electro/Industrial
La Francia cresce su tutti i versanti, non solo nel black stralunato e sperimentale ma quello stesso sperimentalismo viene messo a servizio delle sonorità elettro acustiche dei Postcoïtum, quasi da sembrare improvvisate. Il progetto di oggi include due musicisti, Damien Ravnich e Bertrand Wolff, che già si sono messi in luce in passato per una proposta electro/noise, grazie ad un paio di album di sicuro affascinanti, ma non certo semplici da approcciare. Tornano oggi con un terzo lavoro, il quarto se includiamo anche l'EP di debutto 'Animal Triste', che colpisce per la cupezza delle atmosfere sintetiche che si aprono con "Desire and Need", che veicola il messaggio della band attraverso una tribalità musicale che miscela IDM, ritmiche trip hop, indie e suoni cinematici, il tutto proposto in chiave interamente strumentale, lanciato con un loop infernale nella nostra mente. I suoni ingannevoli del duo marsigliese entrano come un bug informatico nelle nostre orecchie, sradicando ad uno ad uno i neuroni che costituiscono il nervo acustico. Una dopo l'altra, le song incluse in 'News From Nowhere', si srotolano in fughe danzerecce ("Calipolis") in cui si farà fatica a rimanere inermi. Ma la band è abile anche nel plasmare e maneggiare sonorità ambient rock ("Araschnia Levana"), dove sembrano palesarsi influenze stile colonna sonora, provenienti dalla sfera dei Vangelis. Il manierismo elettronico dei Postcoïtum si palesa più forte e disturbato che mai in "Rojava", definitivamente la mia traccia preferita del disco, con la cupezza e le distorsioni dei suoi synth, spezzati da quell'approccio psych rock, che si ritrova nel finale e che gioca nuovamente su una ridondanza sonica al limite del lisergico. Ma questo sembra essere il verbo dei due francesi anche nella successiva ed evocativa "La Bestia", che imballa i sensi con altri quattro minuti abbondanti di sonorità elettroniche deviate e contaminate che ci accompagneranno fino alla conclusiva "In Paradisum" che per note degli stessi - io vi professo la mia ignoranza - riprende la Messa da Requiem 48 di Gabriel Faur, per un ultimo atto all'insegna di sonorità new age, ideali per un rilassamento yoga. Insomma, quello dei Postcoïtumnon non è certo un album per tutti, di sicuro per chi ha voglia di sperimentare qualcosa di differente dal solito, anche solo per allontanare la mente dal caos di tutti i giorni. (Francesco Scarci)

(Daath Records/Atypeek Music - 2021)
Voto: 70

https://daath.bandcamp.com/album/news-from-nowhere

domenica 25 aprile 2021

Sounds of the New Soma - Trip

#PER CHI AMA: Krautrock/Psichedelia/Ambient
Nel loro universo costellato di numerose release, in un tempo relativamente breve, il duo di Krefeld, mostra nomi illustri nell'indicare le fonti della propria ispirazione, citando artisti del calibro di Nick Turner e degli Hawkwind, fino ad ammiccare con un titolo di un album, 'Moebius Tunnel', nel 2016, alle opere dello sperimentatore sonoro e mitico guru del movimento krautrock, Moebius. Detto questo, noto con piacere che proprio al krautrock il duo tedesco volge sovente lo sguardo. I nostri presentano brani intrisi di psichedelia, ma con un suono attualizzato e una veste più moderna, spesso spinto da una certa propensione all'elettronica più ipnotica e ambientale (la mente vola ai dischi della Ultimae Records). Sono tanti gli album interessanti e variegati della band teutonica, esplorano lo shoegaze ed alcune teorie amate dai Death in Vegas, sposandole con l'ambient mistico del già citato krautrock in molte delle sue famose forme, concedendosi poi escursioni nel postrock più morbido e a volte strizzando l'occhio perfino a certa elettronica, cosparsa di avanguardia. In questo nuovo 'Trip' i Sounds of the New Soma si concedono il lusso di immaginare il proprio sound scarnificato e quasi in assenza totale di ritmo, dove piccole, mirate variazioni, cambiano il tema portante di un unico brano lunghissimo che sfiora i 43 minuti di durata. Si parte con un tema ambient dal clima estatico, di memoria Brian Eno, tocchi leggeri per un'armonia fluttuante quasi a voler rincorrere certi canoni dei Boards of Canada. Lentamente ci s'incammina sulle atmosfere che animeranno l'intero brano, ovvero il tema robotico/cosmico, rivisto con suoni attuali ma con un'anima legata all'elettronica primordiale ed un cuore vintage. Lo scandire di un sax rarefatto e spettrale, detta le variazioni e le evoluzioni nel segno dei Kraftwerk, sempre in maniera pacata, scarna e minimale, cosi come le chitarre cristalline leggere come l'aria. Quando dopo il primo quarto d'ora di musica, rispunta il magico sax, il cosmo ci appare ancora più vicino. Il suono si fa qui più interessante con rumori astratti di percussioni, mentre l'ingresso di un canto rituale avvolto in suoni ciclici, ci incanala verso una vera e propria sinfonia robotica in balia delle teorie sonore dei maestri elettronici di Dusseldorf. Il sax è sempre un'arma letale in questo disco, quella che precede il tutto e lo rende così d'avanguardia, che ridona umanità alla ghiacciata musica elettronica delle macchine. 'Trip' è un buon album di ambient/psichedelia, per veri appassionati del genere, un disco ostico per via della durata ma allo stesso tempo delicato, stratificato ed etereo, ideale per stimolare la propria psiche. L'ennesimo tassello di una serie di opere tutte da scoprire, un nome, quello dei Sounds of the New Soma da segnare nella propria agenda dei futuri ascolti preferiti. (Bob Stoner)

domenica 11 aprile 2021

Oh No Noh - Where One Begins and the Other Stops

#PER CHI AMA: Electro Ambient Strumentale
Curva forte l’incipit di questo EP della one-man band teutonica dei Oh No Noh. "Pointer" apre le fila di 'Where One Begins and the Other Stops' con una sonorità disillusa che gioca al rialzo tra un'insistenza pregevole quanto l'elettronica minimalista che parla con intercalari sfuocati, poi suoni neri, lenti, nebulosi fatti ad hoc per toglierci il fiato, spostarci la mente nel loop creato dal suo protagonista, Markus Rom, e congiungersi circolari, delineando una song dal piglio apparentemente ambient. Già mi sento a casa. E la casa me la arreda la seconda "Shrugging". Una base facoltosa accoglie una melodia artefatta, ancora ripetuta per il tempo di entrare e perdere il senno, ma non il tempo. Le casse la fanno da padrone permettendoci di tenere il metronomo della mente acceso. Sento il tinnulo, mi desto. Sento una voce in background, mi accarezza l'anima. Torna il rilancio. Ballano i neuroni. La adoro. Come una fiaccolata errante nella notte della mente parte “Golb”. Qui le mie sinapsi si accendono di elettricità, sfrecciano velocissime le cariche elettriche. Mi ritrovo persa con le palpebre chiuse e l’ascolto aperto ad una traccia dai tratti sperimentali, di quelle che scalda l’aria. Da ascoltare coi bassi al massimo, mi raccomando. L’"Alba" ci desta dalla nottata. In questa song possiamo meditare e riposare la mente. Questo soffondersi di suoni delicati, eterei, onirici sembra un mantra, una cassa di risonanza per la pace in cui togliersi di dosso i demoni della notte. Una sorpresa continua quando parte “Clod”. Qui la band afferma il suo predominio, la sua natura più oscura, i suoi istinti reconditi nelle minimaliste plettrare di chitarra, la sua matrice ibrida tra il noto e l’ignoto. È una digestione di effetti sonori questa traccia, un metabolismo lento questo vuoto sospeso tra il se e la musica, in una lentezza di fondo in cui si può quasi percepire l’assenza dell’inesistenza del tempo. Arriviamo alla traccia che dà il titolo al platter. Ha scelto molto bene il buon Markus, perchè in questa song sento tutto l’album attraversarmi la mente, i timpani, le percezioni, fino a toccare il diapason dell’anima. Lascio a voi il piacere di far convergere ogni singola nota di questa musica così completa per lo stile della band, all'interno del vostro io interiore. Ma ancora non è tempo di staccarsi da questo ascolto. Manca infatti ancora l’ultimo colpo di silenziatore di un caricatore di suoni bellissimi. "Foam". Un insieme di inverno, primavera, estate, autunno. Un corpo unico di stagioni. Questa traccia descrive il freddo nei suoi suoni affilati, il tepore nello spazio concesso alle percussioni, il caldo ansimante dei silenzi, la nostalgia dei colori. La musica è sempre un’esperienza al limite tra la terra e le percezioni. In questo lavoro troverete solo percezioni pregiate da riascoltare ancora ed ancora. (Silvia Comencini)

domenica 4 aprile 2021

Collectif Eptagon – A​.​va​.​lon

#PER CHI AMA: Suoni sperimentali
Il collettivo transalpino Eptagon, presenta la sua scuderia di collaboratori con una raccolta, in forma di doppio album, che per metà è finalizzata a raccogliere fondi destinati al Metallion store, uno dei pochi negozi di dischi rimasti fedeli alla causa della musica estrema e underground locale di Grenoble. Devo ammettere che è difficile giudicare un album così variegato, ben prodotto e dalle esposizioni sonore tanto colorate e diversificate tra loro, quindi, dovrò fare i complimenti all'associazione, alla qualità dei progetti tutti rigorosamente originari di Grenoble, ed infine un augurio che tutto questo materiale, registrato in un 2020 da dimenticare, con tutta il suo carico di energia espresso in un anno così buio, siano di buon auspicio a tutte le band per un futuro pieno di soddisfazioni. Dicevamo che l'album è variegato, essendo diviso tra stili e composizioni diverse tra loro, ma accomunato da una sorta di filo conduttore, qual è l'appartenenza underground di queste realtà sotterranee, un posto ideale dove far convivere death, black, sludge, post ed alternative, tecnico, d'atmosfera o aggressivo esso sia, con il dark jazz, la musica elettronica, il progressive e l'ambient, il tutto distinto e separato in singole pillole sonore di egregia qualità strumentale, esecutiva e di produzione. Nessuna sorta di lacuna nel suo lungo ascolto, suoni eccellenti, dinamica a mille e professionalità a go go. Da constatare e lodare che, per essere una compilation, la scaletta dei brani fila via che è un piacere, anche per chi predilige lavori più complicati. Il suo insieme si snoda proprio con la fluida progressione di un album ben ragionato e frutto di tanta passione, che si mostra con forza nella qualità d'esecuzione espressa dalle tante compagini qui presenti. Diciassette brani di carattere, che prediligono varie forme di metal nelle prime cinque canzoni, dal death dei Kisin, al doom rock dei Faith in Agony, al grind degli Epitaph, al prog death dei Demenssed fino agli sperimentalismi estremi dei Jambalaya Window. La sesta "Arashi" (Robusutà) crea una sorta di frattura nella trama dell'intero lavoro con un sound strumentale ammiccante ai giapponesi Mono. Da qui in poi, le sonorità prenderanno direzioni diverse, fatta eccezione per un ritorno di fiamma decisamente più metallico nel brano live dei Liquid Flesh. Un brano che, con la sua matrice ultra pesante e tecnica, si pone come apripista all'avanguardia jazz, dal gusto Zorn e oltre, degli Anti-Douleur ("Beyrouth"), per esporsi in territori più sperimentali ed oscuri, frastagliati e sofisticati. Elettronica, drone music, jazz sperimentale, ambient noir, noise, alternative elettro e via via, la personalità mutevole di questa raccolta di brani vive proprio dei suoi continui contrasti e cambiamenti, che si muovono in paesaggi estremi con una fluidità d'ascolto eccezionale. Volutamente non voglio proclamare quale brano e quale ensemble valga di più di altri presenti nella compilation (anche se, e vi chiedo perdono, devo dire che la voce di Madie dei Faith in Agony è davvero splendida), ma sarebbe un errore imperdonabile da parte mia e da chiunque ami la musica indipendente, underground e alternativa, voler giudicare, rinunciando ad un ascolto travolgente, libero, senza porsi troppe domande sul chi stia suonando meglio cosa. Rinnovo i complimenti a tutti i musicisti che hanno preso parte a questo progetto così ben strutturato. Esorto il collettivo Ep.ta.gon a non mollare la presa ora, e vista la qualità della carne sul fuoco, non possiamo aspettarci altro che pranzi reali con realtà musicali cosi variegate come queste. Una compilation da ascoltare tutta d'un fiato, a volume alto ma soprattutto a mente apertissima. (Bob Stoner)

lunedì 22 marzo 2021

Moaan Exis - Necessary Violences

#PER CHI AMA: Industrial/EBM
Nuova uscita per i transalpini Moaan Exis, band che dal 2016 ad oggi ha già dato vita a tre album ed un EP, tutti orientati e concentrati nei territori sintetici dell'industrial/EBM. In realtà, il duo di Tolosa, nasce con l'intento di rivitalizzare un sound che ha dei capisaldi molto noti, caratteristiche ben delineate nel corso dei '90s e negli anni 2000 che si possono cercare nei lavori di NIN, Suicide Commando, Hocico, Skinny Puppy, Front 242, senza dimenticare le influenze contaminanti del digital hardcore e della techno dark, con un taglio marcatamente cinematografico e tanta rabbia al silicone. 'Necessary Violences' si presenta subito con un ottimo artwork ed un prodotto a regola d'arte, rivendicando un costante suono abrasivo, una sorta di nera prigione digitale ad alta tecnologia ("Alone Together"), mentre il canto è assai violento, coperto perennemente da una distorsione che ne accentua l'aggressività. I ritmi sono quasi sempre ricchi di schizofrenia ed il disagio trasmesso è palpabile fin dall'iniziale ed inquietante traccia d'apertura, "Everyday is a Simulation", carica di cupa atmosfera e sinistri presagi. Il paesaggio sonoro molto dark nelle musiche, interagisce alla perfezione con un cantato di derivazione NIN/Marilyn Manson/Hocico, di sicuro effetto e resa sull'ascoltatore. È un contesto glaciale, rigido, sintetico, malato, perverso, con ritmiche al limite del marziale, ossessive e disturbanti ("Divine Automation" ne è uno splendido esempio). Non si avverte mai l'idea di essere di fronte a qualcosa di banale, anche su alcune basi techno ("Coercion") che potrebbero risultare stra-abusate, si nota comunque una certa dimestichezza e bravura nel rielaborarle intelligentemente e nel rivedere certi giochi musicali, mostrando vecchie teorie sonore rimesse in pista con nuova luce e molta più energia. I Moaan Exis conoscono molto bene i territori da loro percorsi per esprimere al meglio la loro musica e si muovono saggiamente sempre sul filo del rasoio, tra il pericolo di plagio, sbandierato da chi non li ascolta profondamente e chi non percepisce il gusto e la bravura con cui mescolano le carte, e la capacità di rendere l'Electro Body Music, un genere instintivo, una musica di ribellione, tanto violenta e rumorosa quanto trascinante e ballabile. Tutto questo, nel vasto mondo dell'elettronica estrema, li fa apparire interessanti, forti di una conquistata identità musicale, capaci di un grande equilibrio che gli ha permesso di arrivare fin qui senza sbagliare un colpo a livello di produzione, approdando in questo 2021 con un disco brillante, che porta quel titolo inequivocabile che è 'Necessary Violences', che non ha nulla da invidiare ai padri fondatori di questa nicchia musicale. Una nuova generazione di figli digitali perfetti, che dovrebbero essere amati da tutti coloro che si rispecchiano nel duro rumore industriale e nei ritmi asfissianti della techno più oscura. (Bob Stoner)

venerdì 12 marzo 2021

Bear of Bombay - Something Stranger

#PER CHI AMA: Electro Rock
Bear of Bombay è il progetto solista nato dalla fervida mente del milanese Lorenzo Parisini, attivo dagli ormai lontanissimi anni '90. Il 5 febbraio di quest'anno, Bear of Bombay ha pubblicato il suo primo EP che lui stesso ha definito un viaggio in stile "psychodreamelectropop" attraverso le sonorità '80-90s. L'album, 'Something Stranger', disponibile su CD e in digitale, racchiude cinque tracce caratterizzate da una miscela di chitarre cariche di riverbero e delay, synth che tanto piacerebbero ai Perturbator e ritmiche semplici quanto incisive, come richiede il genere New wave. "Night tree" è l'opening track e primo singolo con relativo video pubblicato in anteprima a Novembre dello scorso anno. La traccia parte subito senza tanti orpelli e la pulizia delle linee melodiche di basso e di chitarra incorniciano molto bene la voce di Lorenzo, profonda il giusto e dalla più che buona pronuncia inglese. Il mood è volutamente svogliato, leggermente malinconico con delle semplici progressioni che fanno apprezzare una struttura musicale collaudata. Ad un certo punto ci si aspetta un'esplosione che non arriva e lascia l'ascoltatore in uno stato emotivo incerto e desideroso di continuare l'ascolto. "Lazy Day" entra adagio con i suoi 80 bpm e una struttura fatta di basso, organo hammond che omaggia gli anni '70 e il cantato che ricorda tanto le atmosfere di "Play" di Moby. Un brano chill out che chiama il sorseggiare di un buon cocktail dopo lavoro, magari accompagnato da una fumata che purtroppo rimane ancora illegale in certi paesi. L'EP chiude con la title track, dove la batteria sintetica ci catapulta nei primi anni '80 all'interno di un tubo catodico in cui ci muoviamo roboticamente avvolti dalle sonorità eteree dei synth. Un vortice lento ci fa viaggiare nello spazio, in un lungo break che continua a rotearci attorno anche quando la strofa con il cantato, riprende in maniera incalzante. Un bell'EP, sincero, semplice, e allo stesso tempo curato nei minimi dettagli che vi renderà nostalgici se solo avete più di trent'anni. Oppure vi avvicinerà a sonorità che i vostri genitori ascoltavano su casseta nell'intimità della loro cameretta o forse in qualche club sotterraneo e fumoso di cui vi hanno sempre tenuto all'oscuro. (Michele Montanari)

giovedì 25 febbraio 2021

Seasurfer - Zombies

#PER CHI AMA: Dream Pop/DarkWave
“SOS” non è una mia richiesta d'aiuto ma l’incipit di 'Zombies', atto terzo del progetto tedesco Seasurfer, che racconta l’urgenza scomposta tra ruggente post punk e darkwave, tra rabbia e pensieri, tra graffio e cura. L'opener dell'ensemble di Amburgo, ribalta il senso comune perchè il graffio diventa la cura e la cura sublima. Si sposta la torcia dalle rocce acuminate di un sound electro noise invadente, a quell’acqua che racconta che una grotta non è stagna. Parte un vibrato, un ritmo synth pop di anni passati (gli indimenticabili ottanta) ed una danza metallica che stride sul ferro dell’ascolto da fare scintille più di una saldatrice. È lei la voce calda e pulsante di "Too Wild". Avanziamo a quadrato come in battaglia, quando parte "Zombies". Siete pronti per una via tortuosa, contorta e adamantina? Una voce d’angelo che custodisce l’inferno. Un sollievo apparente che vi farà viaggiare tra gironi danteschi e paradiso. Il lavoro partorito da Dirk Knight è una strada lunghissima, articolata, introspettiva. Mi perdonerete se lascio in etere alcune tracce, ma prima debbo sostare in "Tears & Happiness", leggera come un filo invisibile che lega i sensi ai polsi, volubile come la golosità per chi ha fame. Veniamo a "Chemical Reaction". Balliamo con la mente ammaliata dalla voluttà della voce sensuale di Apolonia che fino alla traccia 16 si dividerà il ruolo con Mr Knight, per poi lasciare il posto a Elena Alice Fossi dei nostrani Kirlian Camera, per le rimanenti otto del secondo cd, 'The Dreampop Days'. Se volete mandare on air un ambient spinto, la breve “Devils Walk” farà per voi. In apparenza luci impazzite di un rave di emozioni. In verità un limbo, un purgatorio che lavora per un orgasmo paradisiaco in musica. Batte la bacchetta sull’altra bacchetta del batterista. Battono i bassi. Percuote lo stile di questa band. E mentre mi faccio strada nel silenzio dell’attesa, mando su come uno shuttle "Pretend". Questa traccia vi farà vorticare nell’iperspazio. Vi tatuerà l’ascolto nei timpani, lasciandovi sospesi per un po’ tra la Terra e Marte. Vita e guerra. L’ascolto continua elettrizzando le mie sensazioni quando parte la strumentale "Heaven". Ci ammortizzo la giornata. Ci faccio un giro dentro. E quando esco, mi accordo di aver vissuto un momento catartico che ha spezzato la mia quotidianità e composto l’ispirazione con la sua eterea synth wave. Non perdete la strada che vi porta in questo regno di Oz. La strada è lunghissima. E siamo solo alla traccia 15 di 24. "Dead in the Garden". Ripenso ascoltando ai Depeche Mode, ma anche alle più recenti performance degli Ulver. Quella contrattura di musica lontana che si allenta in un eco blu scuro. Il brano parte anni '90 per continuare ridondante senza forma e sostanza. Se volete un loop, questo vi piacerà. Ancora, ancora senza tregua, i Seasurfer ci fanno cambiare scenario. “Blue Days”. Cambia l'interprete vocale, non cambia il risultato. Dovrei essere descrittiva ma qui sono rapita da questa voce femminile. Dolce, malinconica, sensualissima. Me la godo e basta. Sappiamo che per ogni piacere, il karma ci manda indietro un dolore. Il mio karma è veloce e sintetico. Quando "Killing Tears of Joy" va on air, mi spezza l’anima. Mi fa sanguinare il cuore con la sua toccante malinconia. Mi porta ad un sentire senza barriere. Complimenti alla band per saper come scoprire le ferite e curarle al contempo. Leggera, delicata, anzi direi vellutata, è invece "Shine". Un balsamo di oscuro dream pop che ci prepara a "Fairies in Twilight". Il balsamo diventa mani sulla schiena, un intercalare fisico attraverso la musica che passa dalla mente al coccige. Un vello di suoni sintetici, quasi impossibile da descrivere, come solo la musica può fare. Sappiamo che ogni gioco vale la candela. Quest'album inizialmente mi sembrava una vetta invalicabile con le sue 24 song. Ora arrivata quasi alla vetta, voglio chiudere la mia personale scalata con "Fear in the Woods" (mancherebbero infatti ancora due brani a rapporto). Ma questo per me sarebbe un degno epilogo. Ad ogni fuoco corrisponde un ghiacciaio. Alla pace la paura. Quest'album mi ha fatto vivere battiti e morte apparente. L’azzardo e la bellezza. Molto, molto bene i Seasurfer. È infatti cosi che mi piace viaggiare al limite delle emozioni. (Silvia Comencini)

domenica 7 febbraio 2021

Kaouenn - Mirages

#PER CHI AMA: Electro Ambient
Un mantice respira mentre mando on air la prima traccia di 'Mirages', intitolata “Psychic Nomad”. L’album dei Kaouenn si preannuncia gitano sin dalle prime note. In pochi istanti i suoni iniziano a far vivere atmosfere tribali, ritmi mediorientali, performance propria della techno nostalgica. Un tripudio sonoro organizzato in un’orgia musicale di elementi elettronici e acustici. Segue “Immaterial Jungle”. Liane frustano timpani già ipnotizzati dal vento che sposta preoccupazioni e pensieri. Questo sound non lascia spazio a bene e male. Rapisce semplicemente. Corda metallica che fa scintille sulla superficie incontaminata dell’apparenza. D’improvviso abbandono e leggerezza. Luci soffuse e volume. Provateci! Perdo la cognizione del tempo e mi ritrovo in “Reachin’ the Stars”. Dal Medio Oriente ci ritroviamo questa volta catapultati in Scozia in questa intro di cornamuse elettriche. Il brano si assesta poi su una ripetuta elettrificata ideale per un castello maledetto. Un trip che dura otto minuti, otto. Lunghissimo come si conviene all’ipnosi indotta. Questo pezzo farà per voi, una seduta spiritica con un tocco di psicoanalisi. Abbandono. Ancora volume. Buio. Riemergo dal frastuono del silenzio per portare alla luce “Mirage Noir”, ove assistiamo al featuring di Above The Tree alla chitarra. Spero abbiate il senso del ritmo e comunque durante l'ascolto sarete obbligati a trovarlo. Parte la cassa ed il capo si muove. Sfreccia l’elettrico del piano, torna a calmare un fiato gorgogliando. Introspettivo. Ambient spinto. Musica che parla intercalata dall’urlo della chitarra metallica. In loop se fossi in voi. Senza guardarmi indietro perché il loop è virtuoso, passo il testimone a “Into a Ring of Fire”. Preparatevi un’amaca in riva al mare, assaporate l’odore di iodio e la risacca che culla occhi chiusi. In questa song c’è il dark nella voce e la luce nello sciabordio della musica. D’improvviso un temporale. Lampi e saette. Non c’è quadro più bello dell’elettricità sull’acqua. Veniamo a “Indina”. Scenario inaspettato. Immaginate una chiesa sconsacrata. Un organo che suona senza interprete. Navate altissime. Il vuoto tutt’intorno. La musica che irraggia come pioggia nell’aria. E voi sotto la pioggia pervasi da gocce costanti in un deserto bagnato. Siamo quasi al termine di questo viaggio, ma come diceva il saggio, non conta la meta. Quanto mai vero perché ora mandiamo “Flood of Light”. Un crepuscolo endorfinico di luce nascente spezza il ritmo circadiano. Ci fa smettere di essere giorno e notte. Ci porta in una dimensione sospesa dove esiste solo la musica a mezz’aria. Una dimensione in cui respirare. Ed il mantice vuole la sua contropartita. L’epilogo di “K2” ci fa trattenere l’aria. Tamburellano le attese mentre si svela questa traccia (ove graffia l'indelebile chitarra di Sara Ardizzoni - Dagger Moth). Serrata l’attesa sinchè il manto cade. Siamo in una stanza dove tutto è psichedelico, nucleare, improbabile, remoto, futurista, bianco, nero, colorato. La degna chiusura di un album dagli ossimori pregiati ove la mente può spaziare o alienarsi in angoli remoti. Le emozioni possono ascendere o fermarsi. L’acqua può diventare fuoco ed il fuoco acqua. (Silvia Comencini)

(Bloody Sound Fucktory - 2021)
Voto: 82

https://bloodysound.bandcamp.com/album/mirages

martedì 1 dicembre 2020

ĀraṇyakAƔnoiantAḥkaraṇA (ĀAAA) - S/t

#PER CHI AMA: Experimental/Ethno/Folk/Psych
La Family Sound è una realtà artistica esageratamente underground e fedele al credo Do It Yourself. La sua energia comunicativa è alimentata da una luce propria molto intensa, che mette l'arte al di sopra di ogni cosa, in maniera così ostinata che dalla produzione fisica a quella concettuale di un'opera sonora (nella sua filosofia rigorosamente una diversa dall'altra) non tralascia nulla alla banalità delle cose, neppure nella realizzazione dei dischi. Evitando le normali vie di fabbricazione dei vinili, costruendosi copertine autonomamente, fino a far uscire sul mercato, come in questo caso, la bellezza di sole 21 copie in vinile fatte a mano. Ricordando che i suoi artisti sono praticamente senza identità, che le opere nascono da una collaborazione internazionale, col solo intento di far esplodere l'ispirazione creativa dei musicisti, vi invito a farvi un'idea leggendo di seguito come questa etichetta usa presentarsi: "una one man label specializzata nella pubblicazione in vinile creando edizioni con musica diversa per ogni copia, copertine diverse, loops finali e altro". La label promette di adottare i principi dell’industria musicale al contrario: nomi dei gruppi impronunciabili e impossibili, edizioni in vinile super-limitate e super-costose, testi chilometrici, produzioni musicali troppo eversive per entrare in qualsivoglia nicchie, generi fuori moda, e altro ancora. Fatte le dovute premesse, affrontiamo il disco degli ĀraṇyakAƔnoiantAḥkaraṇA, cominciando da un nome impronunciabile per un disco ispirato alla cultura sacra vedica. Gli Aranyaka o "libri anacoretici" (circa sec. VIII-VI a. C.) sono opera di asceti che nella "selva solitaria" (āraṇya) sostituivano al culto esteriore delle cerimonie sacrificali il culto interiore della meditazione sul valore simbolico e sul significato mistico dei riti. Il nome del duo si fa carico del significato musicale dell'opera il cui intento è proiettare l'ascoltatore in un'estasi mistica, ipnotica e incantatrice, oserei dire, ossessivamente trascendentale. Prendete "Dust" di Peter Murphy, privatelo di tutte le sue parti ritmiche, tenendo solo quelle etniche, spostandole poi nel versante indio/ mediorientale, avvolgetele in un tappeto costante di sitar ancestrale e acido al pari di certa psichedelia allucinata di casa nella Londra del '67, sporcate il tutto con rumori e brevi accenni ritmici minimali, filtrate con l'elettronica, quella low fi, ed con del folk apocalittico. E il gioco è fatto. Immaginate i due brani di apertura del capolavoro '...If I Die, I Die' dei Virgin Prunes, "Ulakanakulot" e "Decline and Fall", scarnificati e suonati con la cupa e lenta avanguardia dei Sunn O))), il lato mistico dei Dead Can Dance e la psichedelia etnica di un capolavoro degli Aktuala quale fu il loro album omonimo del 1973, e ancora, la drammaticità dell'ultimo Nick Cave e le sfumature notturne del più cupo Tom Waits e forse avrete una lontana idea di cosa si nasconde dentro questo album. Tre brani di cui il primo, "No Store of Cows" supera i 22 minuti, seguito da un lampo di neppure due minuti per concludere con una liturgia dark di circa 15 minuti ("The Margin Spread"). Vi siete fatti un'idea di quale spettacolare risultato sia riuscito ad ottenere questo duo di musicisti senza volto? Un cantato oscuro alla maniera del gotico vocalist dei Bauhaus, teso, esasperato, che usa salmodiare le preghiere descritte nei testi che dentro al vinile sono trascritti, niente poco di meno che su di una reale pergamena, un impianto sonoro che non lascia intendere dove inizia il campionamento, il loop o la reale strumentazione suonata, ed una emotività sacra tanto esposta da rendere alcuni momenti musicali veri e propri viaggi spirituali, a volte trascendentali, a volte aspri e bui al pari di una composizione degli OM. La difficoltà di descrivere un album simile è enorme, poiché questo tipo di opera non è alla portata di tutti e rifiuta ogni logica commerciale, sono brani che richiedono attenzione assoluta e apertura mentale per essere recepiti nella loro integrità artistica, per questo servono più ascolti e molta concentrazione per capirli. Alla fine però, si ha l'impressione di essere di fronte ad un vero capolavoro, che rimarrà in eterno al di fuori del tempo. L'intento di creare musica altra, senza vincoli, ispirata e profonda, in questo disco si è decisamente fatta realtà. Un immancabile ascolto per gli amanti più temerari della psichedelia d'avanguardia. (Bob Stoner)

venerdì 20 novembre 2020

Bergeton – Miami Murder

#PER CHI AMA: Synth-Wave/IDM/Electro
Devo ammettere che la copertina di questo album mi ha incuriosito molto e scoprire chi si cela dietro al progetto Bergeton, è stata una cosa proprio inaspettata. Siamo al cospetto di una figura di culto del mondo black metal, che ha suonato con Gorgoroth, Godseed, 1349 e che dal 2011 è parte integrante dei Mayhem. Sto parlando di Morten Bergeton Iversen, artista norvegese conosciuto da tempo nella musica estrema con lo pseudonimo Teloch. In questo nuovo solo project, il musicista di Oslo si cimenta con l'arte della musica elettronica, lontanissimo dalle sue abituali ritmiche violente, fredde e oscure. Qui Mr. Iversen si mostra padrone della scena e capace costruttore di architetture elettroniche che subiscono l'influenza di vari mostri sacri del genere ma non soccombono al plagio anzi, con un pizzico di glamour e humor noir, l'artista norvegese riesce efficacemente a mescolare le sue carte fino a realizzare una manciata di brani fruibili e godibili, frutto di un certo gusto e coinvolgimento nel genere in questione. Dicevamo dell'artwork di copertina, che si mostra come la locandina di un anime thriller, ambientato in una Miami del futuro il che rende molto l'idea della musica contenuta in questo disco di debutto. Una musica ispirata, che non abbassa mai i toni, sostenuta, che incrocia il suono dei Front Line Assembly con quello dei videogiochi anni '80, che rimastica i Model 500 con i Kraftwerk, i suoni dei primi Depeche Mode con il mood della celebre sigla della serie X-files. Musica costantemente pulsante, con belle atmosfere, a volte più morbide ed immediate, a volte più sinistre, intelligentemente danzanti (IDM) con inserti e arrangiamenti intriganti, a volte persino tese e nevrotiche senza mai perdere la vocazione per l'orecchiabilità. Si parte con "Arabian Nights" ed il suono scivola immediatamente tra la synth wave e la dance cosmica di fine anni '70, con un perfetto riff etnico che certamente farà presa su ogni tipo di ascoltatore. Si prosegue con un brano che si presenta da solo, dal titolo inequivocabile "Depeche Load", che si schianta tra la band di Dave Gahan e le prime intuizioni sintetiche e dark dei VNV Nation. In "Fort Apache Marina", il suono si snoda tra ritmi elettro/funk di gusto retrò e innesti chitarristici inaspettati, di chiara ispirazione metal. Il disco continua con influenze kraut e persino techno-trance, con il brano "Lambo", ma è con la new wave di "Miami Murder" che dà anche il titolo all'album che si tocca la vetta, con analogie che l'accomunano alla sigla del film Miami Vice, filtrata dalla decadenza espressa in "Vienna" dai mitici Ultravox. " Natasha K.G.B." è un buon esempio di come una musica fatta con intelligenza, possa farti immaginare un film di spionaggio che non hai ancora visto, mentre "The Demon", a differenza degli altri brani, esplora un ambiente sonoro più duro, e distorto più vicino all'EBM, agli ultimi Project Pitchfork con l'ingresso della presenza vocale, che si manifesta in forma di inquietante parlato. Il finale è lasciato a "Valley of Death" che chiude l'album con un beat ossessivo, curve e altalene elettroniche rubate direttamente dalla console Atari e dai videogames di un tempo assai lontano. 'Miami Murder' è sicuramente un disco molto dinamico ed energico, che non avanza pretese di originalità ma che gode di ottima fantasia e gusto, qualità che bastano a rendere il tutto piuttosto personale. Sarebbe proprio un peccato dire in giro di non averlo mai ascoltarlo. (Bob Stoner)

(Meus Records - 2020)
Voto: 70

https://bergeton.bandcamp.com/

lunedì 16 novembre 2020

Gong Wah - S/t

#PER CHI AMA: Experimental Kraut Rock/Noise Pop
Si apre il sipario su un insieme di brani che vi sorprenderanno. Tutte le tracce sono vive in essere e vitali in divenire nello stesso disco. L’ascolto dell'omonimo album dei tedeschi Gong Wah è un ritorno al futuro. Partiamo da "Let’s Get Lost". Voce carismatica quella di Inga Nelke. Raggi di criptonite che incalzano le pause strumentali. Avvolgenti i ripetuti del ritornello che diviene ipnotico lasciando il passo al velluto della voce della frontwoman che incalza intercalari ritmati. L’atmosfera in cui ci accolgono i Gong Wah è un ibrido tra il rock e l’ambient. Cambiamo del tutto l’attesa con "I Hate You". Qui lo strumentale è un ribattere, calco di gesso dinamico quasi aggressivo che si frantuma in un istante ripetuto. Una rabbia di zucchero filato e molto zuccherino che cristallizza esplodendo in un senso cosmico. Polvere di stelle. Le sorprese incalzano quando parte "Supersized Kid". Lei voce pop estremamente sensuale, ci porta indietro di 25 anni. Canta, accarezza l’ascolto. Canta, sa come far vivere il passato nel presente. Canta e complimenti a chi ha arrangiato il brano perché è un salto senza paracadute negli anni '90. Andiamo oltre ed accontentiamo i viaggiatori del tempo, quelli che mettono la musica in cuffia e si alienano dalla realtà. "With Him". Ora la carica nostalgica cresce sino a far godere pienamente della condivisione tra pop e shoegaze. Non sarete ancora sazi spero! Incalza il mio preferito tra questi pezzi "Sugar & Lies". Volume. Volume. Qui abbiamo un insieme di così tante sonorità e di annate musicali che gira la testa solo ascoltandolo. Adoro il suo incedere, così come la sua traccia definita e la sua arroganza nell’essere tutto e nel non somigliare a nulla di pregresso. Mandatelo in loop. Quando l’entusiasmo trova un picco succede spesso debba avere la sua contropartita, eppure "Contaminated Concrete" mi ferma il cuore per portare i battiti ad un altro livello. Ascoltando questa traccia ho vissuto momenti di pura intensità, istanti di un brivido graffiante, tempo dilatato e lento. Un'alchimia tra la musica, la voce e le sonorità distorte. Siamo a "Not This Time" e l’aria è ferma. È questo è il pezzo che quando parte con il suo mix di post-punk e electro dance la muove sul serio l’aria. La musica si muove. La voce si muove. Non inizio a respirare, ma ad ansimare. La musica chiama. Non è lo stile, il ritmo, il genere, ma l’alchimia dell’insieme. Concludo l’ascolto con questo inferno retroattivo ed eloquente. È il tempo di "Just Sayin'". Che dire. I sensi si risvegliano uno ad uno seguendo il ritmo deciso ed urgente di questo pezzo. Voci congiunte. Suoni stridenti armoniosamente agganciati agli strumenti. Pause strumentali lunghe, emozionanti, accattivanti. Le voci entrano in assonanza con gli strumenti. Una degna chiusura di un album da avere. Un viaggio tra il noise pop, il kraut rock, la psichedelia, lo shoegaze. Eppure, per ogni traccia si sente la forza della musica che mescola i generi e rinasce come fenice a vita indipendente. Artistico. Intenso. Eclettico. (Silvia Comencini)

(Tonzonen Records - 2020)
Voto: 78

https://gongwah.bandcamp.com/album/gong-wah

domenica 25 ottobre 2020

CNJR - I Can See the Church Burning Through the Binoculars

#PER CHI AMA: Electro/Dark Wave
CNJR si legge Conjure, una congiura come di quelle che si sente parlare in giro oggigiorno, atte a rovesciare l’ordinamento di uno stato, e sui è meglio sorvolare, dando voce alla musica. E quello di oggi è un progetto solista votato a pura sperimentazione cibernetico-futuristica che porta nelle vostre case otto song semi-strumentali che si muovono tra elettronica, darkwave, sci-fi e industrial, arrivando quasi a sfiorare il trip-hop. Lo dimostrano subito i synth da colonna sonora, dell'opener "The Destroyers" che ci conducono flemmaticamente nel contesto di un film noir, tra oscure sonorità downtempo. Niente male, peccato come al solito per l'assenza di una voce a guidarci meglio nell'ascolto. La successiva "Burning", muovendosi sugli stessi binari, sfoggia un cantato robotico in una song dalle atmosfere angoscianti, un brano che poteva essere la perfetta colonna sonora di un film distopico quale 'Divergent'. Prima citavo il trip-hop, eccolo servito nell'incipit di "Putrid Things", con quella voce femminile che fa da contraltare ad un vocalist rabbioso maschile, che insieme supportano le immagini di un video alienante in cui compaiono anche delle pesanti chitarre ritmiche. "Paint My Face With Ashes" potrebbe essere un intermezzo IDM che ci conduce alla pulsante "Drunk On The Venom", una song che miscela alla grande sonorità in stile Portishead, Archive e Massive Attack (ai tempi di 'Mezzanine') contaminata da un pizzico di rock alternative che si traduce in un'ispirata linea chitarristica su cui poggiano le vocals lamentose del frontman. La mente del progetto spiega che le sonorità catartiche di questo album nascono dalle esperienze dell'infanzia e comunque da una necessità di elaborare vecchie relazioni, riflettendosi in queste emozioni di paura e dolore. Paura come quella che si prova nella nebulosa, melodica e sofisticata "MSS" che, pur ricordando ancora qualcosa degli Archive, lascia spazio a grande immaginazione mentale mentre la si ascolta in assoluto silenzio, con i pensieri che s'intrecciano pericolosi nella mente. Per attitudine questo disco potrebbe rappresentare una versione decisamente più soft dei francesi C R O W N, visto un più pesante utilizzo dell'electro music, come si sente nel beat sfrenato di "Tunnels", una song che si lancia comunque in vorticose ritmiche techno. Peccato ancora una volta per l'assenza del cantato come nella conclusiva "Drones", un pezzo che evoca inequivocabilmente nel suo malinconico incedere, i fantasmi di "Angel" dei Massive Attack, provare per credere. (Francesco Scarci)

lunedì 7 settembre 2020

Ensoph - Projekt X-Katon

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic/Avantgarde, The Kovenant
Gli Ensoph li seguo dalle loro origini più lontane, quando ancora la band veneziana si chiamava Endaymynion, di cui conservo ancora oggi gelosamente il loro demo 'Thy Art'. A distanza di quasi dieci anni dal cambio di monicker, il quintetto veneto ha intrapreso un percorso musicale veramente unico e originale, che coniuga intelligentemente sonorità estreme a momenti sinfonici, gothic, prog ed electro-industriali. 'Projekt X-Katon', il terzo full length per il combo guidato dalle oscure vocals di N-Ikonoclast, rappresenta un altro capitolo di riflessione metafisica, nel percorso intrapreso dalla band nel 1997 con il MCD 'Les Confessions du Mat'. L’opener del nuovo lavoro, segna l’inizio di un cammino spirituale, un viaggio dell’anima attraverso la mente, le emozioni e i turbamenti di questi uomini; è un’esplorazione intima, attraverso suggestioni derivanti dall’esoterismo, dalla filosofia e dalla teologia. 'Projekt X-Katon' attanaglierà le vostre menti fino a farvi impazzire, grazie alle seduttive melodie chitarristiche, agli inserti progressive, a suoni techno-EBM e all’ammaliante flauto di Anna. Finalmente il cantato di N-Ikonoclast ha messo in secondo piano quelle scream vocals che tanto non avevo digerito nei precedenti album, lasciando maggiormente spazio ad una interpretazione più pulita e seducente. La band si è ulteriormente evoluta rispetto al già ottimo 'Opus Dementia', sciorinando brani più diretti ma allo stesso tempo più ricchi di pathos, grazie a loop, campionamenti vari e ad un uso più emozionale delle keys. Il sound degli Ensoph, pur riportando alla mente in certi frangenti Moonspell, Kovenant o alcuni act elettro-gothic tedeschi, acquisisce qui una propria personalità, che rende i nostri tra i maggiori interpreti di sonorità d’avanguardia. Gli Ensoph, grazie al duro lavoro, hanno saputo centrare in pieno l’obiettivo di migliorarsi ulteriormente e lo hanno fatto con classe, proponendo un sound di difficile interpretazione e di non facile assimilazione, ma che alla fine si rivela un tourbillon di emozioni, grazie all’intreccio di generi che hanno arricchito il già ricco background musicale della band: elettronica, black, gothic, avantgarde, death, prog, industrial, EBM, ambient si amalgamano infatti indissolubilmente in questo bellissimo 'Projekt X-Katon'. L’album, mixato alla grande poi da Giuseppe Orlando (Novembre, Klimt 1918) agli Outer Sound Studios di Roma e masterizzato da Goran Findberg ai Mastering Room in Svezia, venne rilasciato in digipack in una prima edizione limitata che includeva anche 'The Seductive Dwarf', un bonus EP che vedeva Steve Sylvester cantare sulla cover dei Soft Cell “Sex Dwarf” (riproposta in due versioni differenti), e rifare “Sun of The Liar”, classico della band veneziana. Da ripescare assolutamente. (Francesco Scarci)

domenica 30 agosto 2020

Das Scheit - Superbitch

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Gothic, Sundown
Esploriamo un po' tutti i generi e gli anni qui dal Pozzo dei Dannati e oggi ci andiamo a concentrare sul terzo lavoro dei tedeschi Das Scheit, quartetto votato ad un electro-gothic metal. Dopo quattro anni dal loro precedente '...And Ice is Forming”, ritornano sulle scene con un album che li avrebbe potuti proiettare nell’Olimpo delle migliori band di questo genere. Lo stile musicale proposto dai nostri in questo 'Superbitch' si evince già dalla mia introduzione, ma non vorrei risultare limitativo nelle mie considerazioni. Le influenze principali della band si rifanno certamente all’electro-gothic, ma poi spaziano, cogliendo qualcosa dall’industrial, da act quali Ramstein, ma anche da Marilyn Manson (soprattutto per quanto riguarda il look della band), ma anche dagli svedesi Sundown di Mathias Lodmalm, autori a fine anni ’90 di due ottimi album. I brani contenuti in 'Superbitch' sono quindi parecchio orecchiabili, emanano vibrazioni elettrizzanti, cercando di creare atmosfere oscure, sforzandosi poi di coniugare le contaminazioni elencate sopra, a qualche spunto interessante e vincente del Nu metal dei Korn o del gothic dei Paradise Lost. Ottimamente prodotti da Markus Teske (Vanden Plas), i Das Scheit ci offrono la loro visione di questo genere musicale: una solida base ritmica creata da chitarroni distorti e ritmi martellanti, sostenuta da un largo uso di campionamenti. Interessante è poi l’uso di molteplici varianti di voce e modi di cantare in alcuni brani. Le lead vocals ricordano non poco l’ex vocalist dei Cemetary, ma poi si alternano voci effettate, cantati rap, dark, crunchy e industrial. L’episodio migliore dell’album è a mio avviso “Earth Stand Still” dove un po’ tutte le caratteristiche della band si fondono nel corso dei suoi quattro minuti, risultando assai ruffiana ma vincente. Nonostante lo scetticismo iniziale, devo ammettere che i Das Scheit siano riusciti nell’intento di conquistarmi, quindi magari potreste dargli una chance anche voi e andarveli a ripescare. (Francesco Scarci)

(Black Lotus - 2005)
Voto: 69

https://www.facebook.com/dasscheit

sabato 22 agosto 2020

Aibag – A Day at the Beach

#PER CHI AMA: Psych Prog, ultimi Anathema, Radiohead
Descrivere un lavoro degli Airbag (band che ho sempre ammirato ma di cui non amo il nome che trovo incoerente con la loro splendida musica) non è mai stato facile. Nessuno degli album usciti fino ad oggi era stato di facile approccio e tutti prevedevano un certo background musicale per comprenderne appieno le varie fonti musicali e sfumature, racchiuse peraltro anche nelle note di questo nuovo capolavoro. 'A Day at the Beach' non vuole infatti essere da meno rispetto ai suoi predecessori e calca ulteriormente la mano sulle tante influenze, puntando su di un sound sentimentale, carico di espressività, unico e dai toni cromatici variegati. Gli Airbag sono una band magnifica, al confine tra liquido rock sofisticato e moderne escursioni elettriche/elettroniche, per un gruppo, purtroppo, ancora troppo sottovalutato dalla scena musicale mondiale. Hanno un suono affascinante i nostri e si presentano come una splendida anomalia, tra gli Anathema più sperimentali di oggi, i Radiohead più votati all'indie rock/elettronica, i Porcupine Tree per ciò che concerne la psichedelia e la perla, 'Marbles' dei Marillion, per quanto riguarda il rock progressivo. Una commistione di intelligenti intrecci musicali di grande spessore, dall'imponente "Machines and Men", brillante singolo di oltre dieci minuti posto in apertura di disco, alla conclusiva "Megalomaniac", lunga e malinconica ballata dalle tinte grigie, ma con intelligenti variazioni sul tema chiaroscuro. La band norvegese è una delle poche realtà che riesce ancora a far dilatare le pupille con il proprio sound, a creare sogni musicali per i propri fans e far scorrere brividi di reale malinconia sulla pelle di chi li ascolta. Inglobano nel loro sound particelle estratte da Placebo e Antimatter, sono raffinatissimi nella loro incessante ricerca di un suono senza tempo, accessibile ma complicato, maturo. Rielaborano sottigliezze pink floydiane e sono quello che gli U2 più recenti dovrebbero essere se solo avessero mantenuto lontanamente, la qualità e la sensibilità artistica di questa band scandinava. Ogni loro brano è una sorta di catarsi mistica, sensuale e profonda espressività musicale. In termini musicali è come elevare ed ampliare la forza emotiva del brano "Meteorites" degli Echo and the Bunnymen e portarlo alla massima potenza sull'intero lotto dei brani. 'A Day at the Beach' è un cd che a pieno titolo si conquista un ruolo da prima donna nell'immenso filone musicale, catalogabile solo con il termine neo progressive, una ricetta originale per un suono moderno, ipnotico, emotivo e tecnicamente eccellente, un'ulteriore affermazione positiva per una band in costante ascesa, che da anni sforna solo ottimi lavori e per cui giustamente, la sempre attenta Karisma Records, non se li è fatti scappare. Ascolto consigliatissimo, per questo ennesimo eccellente album! (Bob Stoner)

(Karisma Records/Dark Essence - 2020)
Voto: 84

https://airbagsound.bandcamp.com/album/a-day-at-the-beach

domenica 26 luglio 2020

Violent Magic Orchestra - Principle of Light Speed Invariance

#PER CHI AMA: Electro Black/Techno/EBM, Hocico
La musica dovrebbe essere evocativa e simbiotica dell'attuale clima sociale. Ecco come si presentano i giapponesi Violent Magic Orchestra, che altro non sono che alcuni membri dei Vampillia, la cantante Zastar e Kezzardrix, con alcuni precedenti componenti della band, Pete Swanson (ex Yellow Swans) ed Extreme Precautions (Mondkopf). La proposta del collettivo di Osaka non può che proporre inevitabilmente musica folle che parte dalla techno music della opening track "You Are Hate", su cui piazzarci giustamente black metal e industrial. Scelta scellerata per i più ma ascrivibile a pura genialità per il sottoscritto, visto che alla fine mi fa apprezzare anche la techno, con i vocalizzi in scream, il tutto a ricordare i messicani Hocico. Si procede sugli stessi stilemi anche con la debordante seconda traccia, "Massive Aggressive", meno di due minuti di techno-industrial, noise, grind e quant'altro di folle ci si possa inventare. Ma d'altro canto da musicisti di questo tipo, era lecito aspettarsi solamente delirio musicale, mitigato in conclusione dalla poetica sintetica di "New World Ballad", una ballata dance su cui impiantare i vocalizzi disperati black della frontwoman. Se non avevo per nulla apprezzato la violenza caustica del precedente 'Catastrophic Anonymous', con questo nuovo EP, mi apro al nuovo mondo targato VMO.

(Never Sleep - 2020)
Voto: 74

https://violentmagicorchestra.bandcamp.com/

domenica 7 giugno 2020

Neumatic Parlo - All Purpose Slicer

#PER CHI AMA: Indie Rock, Radiohead
Il debutto su Unique Records dei tedeschi Neumatic Parlo, avviene sotto forma di EP. Un assaggio breve, composto da quattro brani dal tono ispirato e una verve indie di curata matrice anglosassone. La piccola compilation è figlia delle intuizioni elettroniche in ambito rock dei Radiohead, quelli della seconda fase di carriera, e di suggestioni più recenti della scena indie attuale, pescate nella musica alternativa internazionale, tra Block Party e Fontaines D.C.. Questi giovani nipotini dei Gang of Four (epoca 'Shrink Wrapped') provenienti da Düsseldorf, ripercorrono le vie ritmiche della new wave in chiave moderna, spingendo sui suoni sintetici di batteria e un sound etereo, cristallino. "Science Fiction Movie" è una canzone che spiazza per la splendida vena pop, con un cantato ed un'atmosfera che mi ricordano molto il genio di Matt Johnson con i suoi The The in una veste rimodernata e attualizzata, rivolta al pubblico giovanile del nostro tempo. Molto bella la tensione che si plasma su tutte le tracce a livello vocale, sicuramente degna e colma dell'ottimo insegnamento della scuola espressiva di Thom Yorke, mentre musicalmente, avrei spinto per un approccio più rock e meno elettronico come anima portante del lavoro. Comunque, al netto del mio personale parere, calcolando la volontà di emergere che pulsa in una giovane band e valutando quel tocco fruibile nelle tracce come un ulteriore trampolino di lancio voluto e ricercato, a mio avviso questo disco d'esordio, ascoltato in profondità, si rivela un buon lavoro, che lascia presagire ottimi prosegui per il futuro. Da segnalare, oltre alla notevole prestazione vocale, una sorta di sensazione che in lontananza ci sia un certo amore per le chitarre noise, una tensione costante e un'attitudine post punk che preme continuamente dietro l'angolo, lasciandomi immaginare eventuali sviluppi compositivi in ambito psichedelico/emozionale per un futuro di alto livello. In "Morning Metamophosis" si mescolano le due anime della band: una estremamente emotiva, che si palesa con una parte iniziale splendida, assai vicina alle atmosfere dei già citati Radiohead. La seconda, con quella sua evoluzione ritmica pulsante, diretta e sobria, mette in risalto il lato più punk della band teutonica, anche se qui l'ingresso di batteria e un arrangiamento non proprio all'altezza delle composizioni precedenti, mostrano il lato ancora acervo del combo teutonico. Nel complesso però, 'All Purpose Slicer' è un debutto ben confezionato che ci consegna una nuova band da tenere sotto osservazione per il prossimo futuro. (Bob Stoner)