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sabato 22 agosto 2020

Verikyyneleet - Ilman Kuolemaa

#FOR FANS OF: Black Old School
Verikyyneleet is a Finnish obscure project, which was founded in the '90s. As it often happens in the black metal underground, some projects decide to remain in the shadows, only releasing demos or extremely rare and limited EPs, which usually go unnoticed unless you are an expert carving the deeps of this genre. Verikyyneleet, which means "Bloodtears" is a one-man project that finally decided to take a step forward, recording an embryonal version of ‘Ilman Kuolema’, the debut album, six years ago. This obscure album saw the light in 2019, but it has officially been released in an extended version this year, including more songs which have been composed during the last twenty years.

Considering this aspect and when the project was founded, it shouldn´t be surprising that Verikyyneleet´s core sound is firmly rooted in the '90s pure black metal. Musically speaking, this is not a straightforward furious black metal record, though it contains a good dose of it, but a primitive soundtrack, where fury and a dark melancholic atmosphere are fused to create a quite hypnotic album. As mentioned, the compositions mix the natural aggressiveness of the genre with a strong atmospheric essence, as it is perfectly displayed in the homonymous track, which opens the album after a short intro. The speedy drums, raspy and distant vocals and pure black metal-esque guitars are excellently mixed with some keys and ambience arrangements, which balance the composition in order to achieve this primordial atmosphere of the old classics of this genre. Another fine example of this mixture, would be the longest track of this album, entitled "Ei Todellista Voimaa…", which includes the aforementioned characteristics, and in addition, a good dose of slow sections with a strong feeling of despair. Moreover, this track and the others incuded on this album, show a noticeable point of distortion and dissonance, which are the most experimental aspects of a theoretically classic album. These dissonant tones are especially present in the guitars in contrast to atmospheric arrangements. Personally, I am not a great fan of these experiments and I prefer the ambience sections made by the keys, which result more captivating. The vocals are the classic shrieks, quite high-pitched and with a truly raw nature. They are present in almost all the songs, though there is a little room for variation, with cleaner and dramatic vocals in a song like "Yhtä Luonnon Kanssa". The production is remarkably raw and primitive. The vocals sound distant though listenable, the guitars have a good amount of distortion and sound filthy, while the drums sound a little buried in the mix. This production is done on purpose and helps to reinforce the primeval atmosphere of this record, which could have been recorded in 1998 and you wouldn´t notice the difference.

All in all, ‘Ilman Kuolemaa’ is an interesting album of '90s black metal which will appeal the fans who miss those old times. Composition wise, the album has a good balance between fierceness and atmosphere, which makes it interesting. (Alain González Artola)

Sinisthra - Last of the Stories of Long Past Glories

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Charon, Him
Dalla terra dei vari Him, The 69 Eyes, Entwine e Charon (...e chi più ne ha più ne metta), arrivò nel 2005 un’altra band di gothic metal. Dalla gelida Helsinki ecco approdare sul mercato discografico i Sinisthra, conosciuti fino a pochi mesi prima con il monicker Nevergreen. 'Last of the Stories of Long Past Glories' è stato il loro disco di debutto, dove peraltro sondare all'epoca le doti canore del nuovo singer degli Amorphis, Tomi Joutsen, passato nelle file della band di Tomi Koivusaari, dopo la dipartita di Pasi Koskinen (che a sua volta era passato nelle file degli Ajattara). Ma parliamo di musica ora: il disco è un esempio di classico gothic metal, ispirato alle band sopraccitate, ma anche dai lavori più “pop” dei Pyogenesis, degli album degli Amorphis di quell'epoca e addirittura, in qualche passaggio, ho potuto scorgere l’ombra dei Red Hot Chili Peppers (quelli più intimistici però). I 40 minuti di questo lavoro ci offrono un po’ tutti i clichè del genere: malinconiche melodie sostenute dalle soffuse tastiere di T. Vainio, squarciate da momenti più aggressivi e dagli assoli dei due chitarristi. E poi la voce di T. Joutsen, che dire? Il fatto che passò a cantare sul prossimo disco di una delle mie band preferite di sempre, un po’ mi fece venire i brividi, ma poi ci ho fatto l’abitudine. La sua voce era infatti nasale, dotata di una buona estensione vocale, ma poco carismatica; sprigionava poca energia con l’album che scivola stancamente senza mai troppo coinvolgere l'ascoltatore. Cosa volete che vi dica, le premesse non sono state le migliori e se la band ci ha impiegato 15 anni per produrre un nuovo lavoro ('The Broad and Beaten Way') e ristampare questo per la Rockshots Records con un paio di demo tracks e unreleased tracks, un perchè deve esserci. Io da buon sentimentale, rimpiango ancora i tempi in cui il buon vecchio Tomi Koivusaari gorgheggiava su 'Tales From the Thousand Lakes', quindi fate voi. Per quanto riguarda le liriche trattano temi più che altro intimi e personali. Insomma all'epoca trovai questi Sinisthra abbastanza spenti e poco convincenti, ora sarei davvero curioso di ascoltare il nuovo album. (Francesco Scarci)

(Arise Records/Rockshots Records - 2005/2020)
Voto: 58

https://www.facebook.com/Sinisthra/

Aibag – A Day at the Beach

#PER CHI AMA: Psych Prog, ultimi Anathema, Radiohead
Descrivere un lavoro degli Airbag (band che ho sempre ammirato ma di cui non amo il nome che trovo incoerente con la loro splendida musica) non è mai stato facile. Nessuno degli album usciti fino ad oggi era stato di facile approccio e tutti prevedevano un certo background musicale per comprenderne appieno le varie fonti musicali e sfumature, racchiuse peraltro anche nelle note di questo nuovo capolavoro. 'A Day at the Beach' non vuole infatti essere da meno rispetto ai suoi predecessori e calca ulteriormente la mano sulle tante influenze, puntando su di un sound sentimentale, carico di espressività, unico e dai toni cromatici variegati. Gli Airbag sono una band magnifica, al confine tra liquido rock sofisticato e moderne escursioni elettriche/elettroniche, per un gruppo, purtroppo, ancora troppo sottovalutato dalla scena musicale mondiale. Hanno un suono affascinante i nostri e si presentano come una splendida anomalia, tra gli Anathema più sperimentali di oggi, i Radiohead più votati all'indie rock/elettronica, i Porcupine Tree per ciò che concerne la psichedelia e la perla, 'Marbles' dei Marillion, per quanto riguarda il rock progressivo. Una commistione di intelligenti intrecci musicali di grande spessore, dall'imponente "Machines and Men", brillante singolo di oltre dieci minuti posto in apertura di disco, alla conclusiva "Megalomaniac", lunga e malinconica ballata dalle tinte grigie, ma con intelligenti variazioni sul tema chiaroscuro. La band norvegese è una delle poche realtà che riesce ancora a far dilatare le pupille con il proprio sound, a creare sogni musicali per i propri fans e far scorrere brividi di reale malinconia sulla pelle di chi li ascolta. Inglobano nel loro sound particelle estratte da Placebo e Antimatter, sono raffinatissimi nella loro incessante ricerca di un suono senza tempo, accessibile ma complicato, maturo. Rielaborano sottigliezze pink floydiane e sono quello che gli U2 più recenti dovrebbero essere se solo avessero mantenuto lontanamente, la qualità e la sensibilità artistica di questa band scandinava. Ogni loro brano è una sorta di catarsi mistica, sensuale e profonda espressività musicale. In termini musicali è come elevare ed ampliare la forza emotiva del brano "Meteorites" degli Echo and the Bunnymen e portarlo alla massima potenza sull'intero lotto dei brani. 'A Day at the Beach' è un cd che a pieno titolo si conquista un ruolo da prima donna nell'immenso filone musicale, catalogabile solo con il termine neo progressive, una ricetta originale per un suono moderno, ipnotico, emotivo e tecnicamente eccellente, un'ulteriore affermazione positiva per una band in costante ascesa, che da anni sforna solo ottimi lavori e per cui giustamente, la sempre attenta Karisma Records, non se li è fatti scappare. Ascolto consigliatissimo, per questo ennesimo eccellente album! (Bob Stoner)

(Karisma Records/Dark Essence - 2020)
Voto: 84

https://airbagsound.bandcamp.com/album/a-day-at-the-beach

Far Beyond - An Angel’s Requiem

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Epic Black
I Far Beyond rappresentano il progetto solista di Eugen Dodenhöft. La band norvegese è stata fondata nel 2001 e dopo un solo anno ha rilasciato il primo demo-cd, 'Bleeding Rose', che ha ricevuto notevoli riscontri positivi dalla critica e ha catturato l’attenzione della label tedesca Source Of Deluge Records. Le dieci tracce che compongono questo 'An Angel’s Requiem' hanno saputo conquistarmi fin dal primo ascolto. Ad aprire le danze, c’è la solita “fantasiosa” (ma anche un po’ scontata) intro tastieristica, ma poi l’album decolla e si snoda attraverso nove emozionanti tracce, caratterizzate da un sound eclettico, capace di offrire momenti di delicata malinconia, altre di forte epicità (dove mi hanno ricordato vagamente i Summoning) e ancora grande rabbia con sfuriate black, in cui Eugen dà sfogo a tutta la sua collera. Le vocals alternano strazianti grida a voci pulite, passando attraverso momenti di toccante epicità (in cui sono udibili reminiscenze dei Bathory di 'Twilight of the Gods'). Le liriche contenute in questo lavoro toccano le esperienze dolorose, i sogni infranti e le surreali visioni di Eugen. Da segnalare poi l’ottimo gusto per la melodia da parte della band, peraltro assai convincente nelle parti solistiche. Non ho tanto altro da aggiungere, se non di riesumare questo vecchio ma validissimo prodotto proveniente dalla penisola Scandinava e calarvi nella foresta incantata narrata dai Far Beyond, immergendovisi nelle sue oscure atmosfere e lasciandovi conquistare da questo mondo lontano. (Francesco Scarci)

(Source of Deluge Records - 2005)
Voto: 80

https://farbeyond.bandcamp.com/album/an-angels-requiem

mercoledì 5 agosto 2020

Rituals - Invicta

#PER CHI AMA: Death Metal, God Dethroned
Già recensiti su queste stesse pagine poco meno di un paio d'anni or sono, tornano gli australiani Rituals con un 7" e due nuove song, sempre sotto la guida della Sleeping Church Records e da un certo Dan Swano seduto alla consolle. 'Invicta' è un brevissimo esempio di come si possa ancora spaccare i culi con un sound che richiama At the Gates e God Dethroned. Evidentemente però, visti i nomi, l'offerta del terzetto di Melbourne non brilla certo di luce propria proponendo già dall'opener "Insect", un sound martellante (ottimamente prodotto e su questo non avevo dubbi) contrappuntato da discrete melodie e da un growling alquanto efferato. Una proposta che verosimilmente la si può ritrovare nel 90% delle release estreme, quindi in fatto di originalità siamo pari a 0. Un po' meglio (giusto per arrivare a 1, su una scala fino al 10), la seconda "Oracle", una traccia che mantiene la sua carica arrembante, fatta di un centrifugato di ritmiche sparate alla velocità della luce e voce da orco cattivo. Quello che salva la song è un buon assolo, ma poc'altro tiene a galla un lavoro di soli sei minuti che rischia di affondare in brevissimo tempo nell'oblio della mediocrità di un genere stantio e privo di mordente. Dopo un paio di brevissimi EP, credo sia giunto il momento di confrontarsi con qualcosa di più sostanzioso e corposo che ci dimostri realmente le qualità, forse ancora inespresse, di questa compagine australiana. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2020)
Voto: 58

https://ritualsau.bandcamp.com/

Anamnesi - Caurus

#PER CHI AMA: Death/Black
Torna Emanuele Prandoni con il suo progetto solista Anamnesi e il quinto album in carriera per la creatura dell'artista sardo. 'Caurus', il titolo del nuovo disco, si rifà (presumendo dalle liriche del cd) al vento di Nord Ovest chiamato dai romani Corus. Un inizio introdotto da una voce narrante, di scuola In Tormentata Quiete, racconta la storia di un naufrago come se si trattasse di un audiolibro, creando un certo pathos ed interesse nei confronti della storia narrata. Questa sorta di intro occupa quasi tre minuti che cedono poi il passo a "Caurus I" che presenta le coordinate stilistiche su cui si muove il factotum italico, che ricordo essere membro di una serie infinita di band, tra cui Simulacro, Progenie Terrestre Pura e prossimo ad esordire come vocalist nel nuovo disco dei Dawn of a Dark Age. Da un artista cosi poliedrico è lecito aspettarsi davvero parecchio e le attese non sono deluse visto che nel brano, cosi come in tutta la release, confluiscono suoni estremi (tipicamente black/death), frammiste a partiture più classicheggianti. Quello che amo di questo genere di progetti è poi l'utilizzo di testi in italiano, peraltro piuttosto comprensibili, nonostante l'utilizzo di un cantato che si avvicina ad un growl ma che in realtà non raggiunge mai vette di disumanità. Questo agevola la possibilità di seguire il filo conduttore che lega i vari brani della release sebbene si sottolinei come 'Caurus' non sia un vero e proprio concept album. Le song condividono banalmente le stesse radici figurative, rappresentate dagli elementi vento, acqua e terra, usate qui come metafore per descrivere la bellezza, i legami e i confini che la Sardegna può rappresentare. Approfondite ulteriormente le tematiche del disco che parlano ancora di amore, dolore, coraggio, oscurità e luce, il lavoro prosegue su ritmiche serratissime, sciorinando, uno dopo l'altro, pezzi che vedono come elemento comune un drumming imponente e delle chitarre assai taglienti, interrotte qua e là da cambi di tempo o break atmosferici, come accade nella già citata "Caurus I", dove il polistrumentista utilizza anche una sezione d'archi, oppure in "S'enna e S'arca" o nella successiva "Caurus II", forse i miei pezzi preferiti. A chiudere il disco ecco la seconda parte di "Memorie di un Naufrago', a narrare per quasi nove minuti, la burrasca che infuria sull'imbarcazione del naufrago che abbiamo incontrato in apertura e i pensieri di morte che lo colgono negli attimi in cui sta lottando per la vita. 'Caurus' alla fine è una release davvero devastante che rispetto al precedente 'La Proiezione del Fuoco' sembra aver perso quel quid folklorico a favore di una maggior monoliticità e violenza del suono. Sebbene abbia preferito la band nel precedente lavoro, mi sento comunque di affermare che 'Caurus' sia un disco compatto e di sicuro interesse, che merita certamente una chance d'ascolto. (Francesco Scarci)

(Dusktone Records - 2020)
Voto: 70

https://dusktone.bandcamp.com/album/caurus

Pan.Thy.Monium - Dawn of Dreams

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Grind/Experimental/Doom
Full length d'esordio per questo side project chiamato Pan.Thy.Monium, costituito da personaggi mitici della scena death svedese: Dan Swano e suo fratello Dag (Unicorn), Winter e Mourning degli Ophtalamia, Derelict degli Edge of Sanity si sono riuniti per creare qualcosa di unico, confondente e dotato di grande senso dello humor. Grind, death e sonorità doom si fondono in un cd estremamente vario e articolato: riff pesantissimi, accompagnati da un basso impazzito, da gorgoglii profondi, da trombe e saxofoni, il tutto condito da un eccellente gusto per la melodia e da richiami maideniani, fanno di 'Dawn of Dreams' un vero capolavoro. La traccia d’apertura, "Raagoonshinaah", è poi una folle cavalcata di 21 minuti di musica da gustare tutta di un fiato, che insieme alla schizoide "Amaaraah" valgono il costo di quest'incredibile album, una volta in vendita a cifre da capogiro su discogs.com. Viste le innumerevoli ristampe, è arrivato il momento di aggiungere 'Dawn of Dreams' alla vostra personale collezione. (Francesco Scarci)

martedì 4 agosto 2020

Disillusion - Between 7"

#PER CHI AMA: Prog Death
Dei Disillusion ricordo con gran piacere il loro debut album del 2004, il prog death del fantastico 'Back to Times of Splendor'. Dopo una serie di problematiche che hanno portato la band a fermarsi dal 2006 al 2019 (fatto salvo un singolo nel 2016), eccoli ritornare con una line-up quasi interamente rinnovata ed un nuovo disco, 'The Liberation', che ci consegna una band più vicina alle sonorità dei Katatonia. Da quell'album, uscito nell'autunno 2019, era rimasto fuori un pezzo, destinato ai soli usufruitori del crowfunding. Ecco quindi il significato di questo 'Between', un 7" che accontenti i fan dei nostri e faccia da antipasto alla nuova release della band sassone. Il dischetto, un due pezzi limitato a 500 copie, include appunto "Between" e "Time to Let Go", già contenuta nel vecchio 'The Liberation' e che di quel disco ne rappresenta uno dei punti di forza col sound dell'ensemble teutonico magnetico e suadente, una sorta di semi-ballad (almeno nella prima metà) che palesa tutti i punti di forza dei Disillusion targati 2019-2020. Groove, malinconia, melodia finiscono in queste note e ancor di più in quelle di "Between", un pezzo fortemente prog dove la scena se la prende interamente la splendida voce pulita del vocalist Andy Schmidt, accompagnato dalla gentilezza di un sound strappalacrime e dalla splendida stratificazione di chitarre. Se il buongiorno si vede dal mattino, mi aspetto che il nuovo album dei tedeschi sia una bomba. Speriamo bene. (Francesco Scarci)

(Prophecy Productions - 2020)
Voto: S.V.

https://disillusion-official.bandcamp.com/album/between

Losa - The Perfect Moment

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative/Metalcore
Era il 2005 quando la sempre prolifica Metal Blade faceva uscire il debut album dei texani a spaccarci orecchie e culi con l'album 'The Perfect Moment'. I cinque ragazzi di Dallas aggrediscono con nove tracce di un metalcore particolare, assai dinamico. Le fonti d’ispirazione sono molteplici ed eclettiche: Converge, Strapping Young Lad, Mastodon, As I Lay Dying e addirittura i Tool di 'Aenima', rappresentano le influenze udibili nei solchi di questo disco. Già la traccia d’apertura, “The Beginning”, ci mostra di che pasta sono fatti i Losa: tappeto ritmico bello tosto, passaggi melodici e nella seconda parte del brano, spazio alle atmosfere più psichedeliche, con il cantante che subisce una sorta di metamorfosi, passando da vocals “demoniache” (in pieno stile hardcore) a una voce molto più calda e suadente. Sostanzialmente la formula vincente dei Losa è proprio questa: investire l’ascoltatore con ritmiche sincopate, continui disturbanti e discordanti cambi di tempo e schizofreniche strutture chitarristiche, per poi ammaliarlo con momenti più soavi e introspettivi, tipici proprio dei Tool. Ottima la prova del batterista David Hall, preciso, tecnico e fantasioso, capace di trascinarci, con il suo incedere talvolta ossessivo, nella più profonda dimensione del suono. Complimenti ai Losa, bravi e audaci nell’osare in un genere più che mai affollato da band competitive. La scelta di mischiare l’aggressività del metalcore con momenti più meditativi e dark (ascoltate “Church of Pitted Vipers” per credere), le liriche riguardanti tematiche scottanti, quali l’abuso sui minori o l’eutanasia lasciavano ben promettere per il combo nord americano, peccato che da quel 2005 a oggi, se ne siano perse completamente e tracce. (Francesco Scarci)

(Metal Blade Records - 2005)
Voto: 73

https://www.metal-archives.com/bands/Losa/48722

lunedì 3 agosto 2020

The Bishop of Hexen - The Death Masquerade

#PER CHI AMA: Symph Black, Cradle of Filth, Carach Angren
Un silenzio durato otto lunghi anni, rotto solamente dall'incantesimo di un singolo rilasciato a inizio 2020. Eravamo rimasti infatti al 2012 quando uscì l'EP 'A Ceremony at the Edge of a Burning Page', che sembrava una sorta di canto del cigno per la band israeliana. Poi la svolta, una vera e propria sorpresa, i Bishop of Hexen firmano per la nostrana Dusktone Records ed è storia di oggi l'uscita di 'The Death Masquerade'. Otto nuovi pezzi, di cui il primo è in realtà una intro, che ci restituiscono una band che non ha perso lo smalto dei tempi migliori, continuando ad essere alfieri di un black sinfonico che si rifà ai classici del passato, penso a Cradle of Filth e Dimmu Borgir su tutti. E "A Witch King Reborn" è li a testimoniarlo, proprio con una fortissima influenza proveniente da Dani e soci, con quella capacità di fondere un black bombastico dal sound orchestrale, a tratti vampiresco e goticheggiante, ricco di melodie, vocals malignee (ma non mancano pure i vocalizzi puliti) e ottimi arrangiamenti. Mi fa piacere che il quartetto di Tel Aviv sia tornato, è un'altra arma a favore dello sterile black sinfonico che ha popolato la scena in questi anni. "Of Shuttering Harps & Shadow Hounds" ha un inizio in stile cinematografico come amano tanto sfoggiare i Dimmu Borgir, conferendo grande spazio a pompose orchestrazioni e grottesche atmosfere (stile Arcturus), senza rinunciare comunque a graffianti linee di chitarra, per un risultato alla fine di assoluto impatto, che anche a livello solistico non si sottrae dal proporre interessanti soluzioni. Anche la successiva "Death Masks" si muove sugli stessi paradigmi sonori non rinunciando all'utilizzo (talvolta oserei dire abuso) di tastiere che costruiscono l'architettura di un sound che poggia proprio su un black mid-tempo cinematico che non disdegna sporadiche accelerazioni o un drumming forsennato. Il disco prosegue su questi stessi binari, offrendo incipit che sembrano derivare da soundtrack di colossal cinematografici ("All Sins Lead to Glory" ne è un altro esempio lampante) o riportando suoni e voci che descrivono ancora una volta scene di film ("The Jester's Demise"). L'evoluzione è poi sistematica verso lidi musicali che evocano un altro grande nome della scena degli ultimi anni, i Carach Angren, anche se forse in 'The Death Masquerade' l'utilizzo delle keys è assai più corposo rispetto agli olandesi. A chiudere il cd, dopo la penultima e più aggressiva "A Thousand Shades of Slaughter", ecco i sinistri tocchi di "Sine Nomine", l'ultimo operistico atto di un graditissimo comeback discografico di una band che davamo ormai morta da anni. I Bishop of Hexen sono tornati, con loro si riapre la possibilità di dar più voce ad un genere relegato a vera e propria nicchia musicale. (Francesco Scarci)

(Dusktone Records - 2020)
Voto: 75

Loudblast - Planet Pandemonium

BACK IN TIME: 
#PER CHI AMA: Death Metal
I Loudblast rappresentano uno dei nomi storici della scena death metal europea: addirittura al 1988 risale l’esordio della band transalpina guidata da Stephane Buriez, un concentrato di thrash esplosivo. Ben presto le coordinate stilistiche della band si spostarono verso un death metal di matrice americana: tecnico, ricco di mid-tempos, stacchi veloci e gustose melodie. Era, se non erro, il 1993 quando venne pubblicato 'Sublime Dementia', il miglior lavoro, a mio avviso, della band. Poi tante nubi si addensarono sul combo francese, tanto da arrivare allo scioglimento. Nel 2004, come un fulmine a ciel sereno, ecco tornare i nostri con 'Planet Pandemonium', anche se quello qui recensito è in realtà la versione 2005, con una nuova cover artwork e due brani remixati in più. Sicuramente i Loudblast risultavano assai cambiati rispetto al passato: quelli che mi trovai di fronte erano dediti ad una death metal moderno e aggressivo, dove la componente melodica che caratterizzava gli album precedenti, era totalmente scomparsa. Peccato perchè il quartetto francese era abilissimo nel mischiare la rabbia del death a quelle melodie tipiche mittle-europee. Non che la band nella nuova veste avesse rilasciato un brutto album, però l'impressione fu quello di un lavoro anonimo, piattino, anche se suonato e prodotto bene. Il death/thrash dei Loudblast si ritrovava influenzato dal sound delle nuove leve, Blood Red Throne in testa: potente, arrogante ed esplosivo, però decisamente sottotono. La nota positiva si rivelò la conferma della voce di Stephane (perennemente in growl), sempre tra le migliori nel panorama death. A parte questo, null'altro da segnalare, un vero peccato. (Francesco Scarci)

domenica 2 agosto 2020

Adora Vivos / Amiensus - Split 2020

#PER CHI AMA: Prog/Black
Agli Amiensus piace lavorare in sinergia: li avevamo trovati in compagnia degli Oak Pantheon in occasione del rilascio di due EP della serie 'Gathering', questa volta invece in associazione con gli Adora Vivos (con i quali condividono il chitarrista e cantante James Benson), per uno split album di tre pezzi. Ad aprire le danze proprio quest'ultimi con una coppia di brani, "Silence Awakened" e "Ex Cinere". Lo stile del quartetto di Rochester si è maggiormente affinato rispetto a quel debut EP uscito ormai nel 2013. Ora i nostri propongono un sound che è fortemente in linea con gli ultimi Katatonia sia a livello vocale che musicale, non disdegnando ancora qualche bella sfuriata dove dar sfoggio alle growling vocals dei molteplici vocalist che danno una spinta in tal senso al fianco del frontman James e alla brava Chela Rhea Harper (che in passato fu cantante proprio degli Amiensus). La seconda traccia è un vero e proprio duetto tra Chela e James su di una base acustica, scelta particolare direi, che mi ha evocato il buon Garm duettare con Anneke van Giersbergen. Gli ultimi 10 minuti sono affidati a "Leaves Will Grow Anew", la lunga traccia degli Amiensus che confermano il loro stato di forma con un sound che ricalca qui gli Agalloch di 'The Mantle' nella loro forma più progressiva ed elegante, con tanto di archi e parti arpeggiate all'inizio che lasciano poi posto ad un sound più black oriented ma comunque di grande intelligenza e imprevedibilità, tutte qualità ascrivibili al quintetto nordamericano, ormai in giro da un paio di lustri. La traccia, intrisa di un grande alone di malinconia, mostra comunque tutti i punti di forza dell'ensemble americano che in un paio di mesi rilascerà peraltro il nuovo 'Abreaction', terzo atto per i nostri. Probabilmente questo singolo funge da apripista proprio per quel disco. In sostanza, il qui presente split EP ci dà modo di constatare sullo stato di forma di due delle realtà più interessanti della odierna scena americana, nella speranza che anche gli Adora Vivos escano dal proprio gusto per dare alle stampe il tanto agognato full length di debutto, dopo lunghi anni di gavetta. (Francesco Scarci)

Oneiric Celephaïs - The Obscure Sibyl

#PER CHI AMA: Techno Death, Obscura, Death
Direttamente da Firenze, ecco arrivare gli Oneiric Celephaïs, quartetto in giro dal 2015, che non ha nemmeno una pagina metal archive e quella bandcamp è aggiornata al 2016, mah. Mi giunge pertanto come un fulmine a ciel sereno il loro EP di debutto dalla Imperative PR: 'The Obscure Sybil' è un 4-track dedito ad un death metal iper tecnico che chiama in primis in causa gli Obscura come serratezza delle ritmiche, ma se ascoltate bene "The Aeon Death" che segue l'intro acustica, capirete come siano i Death l'influenza principe per i nostri. I giri di basso, cosi come quelli di chitarra sono infatti di chiara scuola Chuck Schuldiner & co., complice una struttura ritmica assai complessa che si avvale di una stratificazione delle chitarre accompagnata da un riffing piuttosto cervellotico, di sicuro di non facile impatto, complice una dissonanza nelle linee melodiche che si palesano anche nelle successive "From Beyond" e "Voluspà", due tracce risalenti al 2016. Ancora una volta, nell'incipit efferato della prima delle due song, è l'influenza degli Obscura ad emergere, ma nella progressione della traccia, quello che io sento più marcata è quella dei Death, ma anche dei Necrophagist soprattutto a livello solistico con una pioggia di note che scendono copiose, saturandoci le orecchie di scheggie impazzite davvero interessanti, soprattutto a livello tecnico. L'ultima traccia si segnala per un lungo arpeggio in apertura con tanto di female vocals eteree che mi fanno credere di avere un altro lavoro per le mani. Poi si torna a viaggiare su ritmi forsennati e schizoidi, con ottime ritmiche, un elegante assolo di chitarra, prima che a prendersi la scena sia il basso di Francesco Fambrini con un lungo stacco in compagnia della sola chitarra acustica di Federico Giusti. Insomma, 'The Obscure Sibyl' è un biglietto da visita sicuramente interessante, su cui lavorare per un futuro full length ove sarebbe meglio lavorare in un'ottica di incremento dell'originalità e un maggior controllo della violenza. Questa ovviamente la mia personalissima opinione. (Francesco Scarci)

(Gore House Productions - 2020)
Voto: 70

https://www.facebook.com/therealmofoneiricelephais

Mørknatt - Icarus

#PER CHI AMA: Swedish Black
Con un moniker del genere, mi sarei aspettato una provenienza nordica e invece i Mørknatt arrivano dalla Catalogna con il loro carico di odio e black metal, per un sound che ancora una volta mi avrebbe ricondotto in Scandinavia, visti anche i contenuti lirici a base di misantropia e satanismo. Invece dall'assolata e martoriata Tarragona, ecco piombarci addosso questo 'Icarus' e una quartina di tracce che non lascia decisamente scampo. Si parte con "Heir of Pests" e di fronte ci troviamo acuminate ritmiche lanciate alla velocità della luce, coadiuvate da una discreta vena melodica e dal classico efferato cantato in screaming. Ecco delineata a sommi capi la proposta del malvagio trio catalano che nelle successive song non sembra assolutamente cambiare registro, rischiando quindi di sprofondare nell'anonimato di un genere che sembra ormai aver perso ogni ispirazione. "Hymn for the Goat" sembra qualcosa che forse avrebbe avuto presa un quarto di secolo fa e che ora francamente suona ridicola e obsoleta. Capisco il desiderio di inneggiare al Diavolo o al satanismo ma cerchiamo per lo meno di farlo con intelligenza. Non nego la volontà dei nostri di esprimere il proprio punto di vista attraverso gli estremismi di un sound che chiama in causa il black scandinavo, ma purtroppo trovo che la proposta dei Mørknatt risulti vetusta e alla lunga noiosa. Clamorosamente bocciati. (Francesco Scarci)

(Abyssal Sounds Records - 2020)
Voto: 50

https://morknatt.bandcamp.com/album/icarus