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venerdì 31 luglio 2020

Vermilia - Keskeneräisiä Tarinoita

#PER CHI AMA: Folk Pagan Black, Myrkur, Dismal Euphony
Vi presento Vermilia, la one-woman-band finlandese dedita ad un folk pagan black. A distanza di un paio d'anni dal pluriacclamato debut 'Kätkyt', ecco ritornare la nostra eroina con un EP nuovo di zecca intitolato 'Keskeneräisiä Tarinoita'. Il disco, uscito autoprodotto, si apre sulle delicate note folkloriche di "Hauras, Kuollut, Kaunis" che funge da intro al platter. Un pizzicato di chitarra, degli archi e la suadente voce dell'artista finlandese e già mi sono perso tra le foreste incantate della Lapponia a ripescare dalla mia memoria i primissimi The 3rd and the Mortal e la principessa Myrkur. La sublime voce di Vermilia è puro incanto, e l'utilizzo della lingua madre ne aumenta la sua magia. Con "Taivas Hiljaa Huutaa" si comincia a far sul serio, con il classico pagan black dove la voce della polistrumentista nordica assume connotati leggermente differenti, spingendosi talvolta nell'utilizzo delle screaming vocals. La proposta si muove comunque nel mid-tempo, sebbene ogni tanto ci scappi qualche accelerazione black. Carino il chorus folkish sul finire del brano. La title track occupa il terzo posto in scaletta e l'inizio ha un che di colonna sonora cinematografica. Poi la canzone si srotola in un sound oscuro, lento e compassato, ove quasi in sordina, appare la voce della mastermind finlandese nella sua duplice veste, pulita e più rabbiosa. Ottimi gli arrangiamenti della traccia, peraltro al limite del sinfonico. La conclusiva "Pimeä Polku" è la song più ringhiante del lotto, spettacolare nello sprigionare un gran carico di energia malvagia, evocandomi per certi versi i Dismal Euphony di 'Autumn Leaves - The Rebellion of Tides'. Alla fine l'EP è ben riuscito, forse non quanto il debut album, ma comunque costituisce un buon viatico per un secondo lavoro che in molto attendono con curiosità. (Francesco Scarci)

giovedì 30 luglio 2020

Nile - In the Beginning

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Morbid Angel, Obituary
Avevo proprio bisogno di bombardarmi il cervello ripescando un vecchio lavoro dei Nile, di preciso la ristampa di 'In the Beginning' che raccoglie in un'unica release (anche in vinile grazie alla Hammerheart Records), i primi due lavori della band statunitense 'Festivals of Atonement' e 'Ramses Bringer of War'. Cosa cambi rispetto agli originali mi è fatto assoluto divieto saperlo, forse l’unica novità è il fatto che appunto siano raccolti in un unico disco. Il combo statunitense è famoso per il quel death metal ispirato all’antico Egitto anche se in questo cd, tolti un paio di intro, di Egitto ce n’è ben poco, se non esclusivamente a livello di liriche. Il trio guidato da Karl Sanders è da sempre fenomenale nello scatenare l’inferno, rifacendosi in questo caso, ad act storici quali Obituary e Morbid Angel, non aggiungendo però granché di personale a quella musica estrema di metà anni ’90. Diciamo che 'In the Beginning' è solo una forma embrionale di quello che col tempo sarebbero diventati i Nile, anche se in una song come “Wrought” sono già udibili le influenze orientaleggianti, vero trademark della band nelle successive uscite. Se amate i Nile e non avete i primi lavori, sarebbe proprio un peccato non avere 'In the Beginning' anche se francamente tendo a preferire un lavoro come 'Annihilation of the Wicked' o l'ultimo 'Vile Nilotic Rites'. Un lavoro comunque che conferma fin dagli esordi, l’attitudine devastante dell’act statunitense. (Francesco Scarci)

(Megaforce Records - 1999/2006)
Voto: 68

https://www.facebook.com/nilecatacombs

Act of Gods - Maat

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Morbid Angel, Deicide
Quest'act transalpino conferma ancora una volta le mie continue convinzioni su quanto sia scaduta nel corso degli anni la qualità della Osmose Productions, sebbene gli ottimi esordi. Quella degli Act of Gods, nonostante sia una release ormai datata, rivela come questo 'Maat' sia un album di brutal death metal totalmente innocuo e scontato: 37 minuti di musica selvaggia, fatta di chitarre zanzarose, growls animaleschi vomitati nel microfono, ritmiche indecenti (qui è stata utilizzata una batteria da cucina anziché una vera con tamburi e rullanti). L’unica cosa degna di nota, a parte una produzione potente e cristallina, sono gli assoli, che richiamano fortemente i Morbid Angel. Per il resto questa è musica vuota, senz’anima, senza sussulti, che non aveva senso di esistere nemmeno nel 2006 quando è stata rilasciata. Un’unica menzione per la traccia “Black Death Cemetary”, che nella sua scontatezza, devo ammettere che ho apprezzato per quei suoi assoli un po’ fuori dalle righe. Per il resto, pollice verso per i morituri. (Francesco Scarci)

(Osmose Productions - 2006)
Voto: 50

https://www.metal-archives.com/bands/Act_of_Gods/12099

The Pit Tips

Francesco Scarci

Violent Magic Orchestra - Principle of Light Speed Invariance
Break My Fucking Sky - Blind
Together to the Stars - As We Wither
 

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Shadowsofthesun

Dearth - To Crown All Befoulment
Ulthar - Providence
Boards Of Canada - Music Has the Right to Children

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Alain González Artola

Acherontas - Psychic Death-The Shattering of Perceptions
Aversio Humanitis - Behold The Silent Dwellers
Carach Angren - Franckensteina Strataemontanus

mercoledì 29 luglio 2020

Thrawsunblat - Insula

#PER CHI AMA: Folk Black, Woods of Ypres
'Insula' credo che sia uno dei primi lavori nati e concepiti in pieno periodo di lock down. Scritto infatti tra il 23 marzo e il 20 aprile 2020, il disco nasce interamente per mano di Joel Violette, il fondatore dei Thrawsunblat. Il titolo si rifà ovviamente al latino isola e il frontman canadese lega il significato di questa parola al fatto che ognuno di noi fosse in un qualche modo intrappolato nel proprio isolamento, proprio come accade agli astronauti durante le loro missioni nello spazio. Da qui nasce l'ispirazione proprio all'astronauta Chris Hadfield e ai quattro punti da lui indicati per vivere bene l'isolamento sulla Terra e renderlo produttivo: comprendere il rischio reale, identificare l'obiettivo, tenendo presente i nostri vincoli e infine agire, l'isolamento quindi come opportunità di fare qualcosa di diverso, proprio come un'astronauta nello spazio. Fatte queste dovute premesse, per comprendere al meglio la filosofia che si cela dietro questo lavoro, esploriamone anche i contenuti musicali. L'EP si apre con "Spectres in Mist" e quel black melodico che affonda le proprie radici nel folk. Ottime le linee melodiche che fanno subitissima presa nella testa, cosi come le clean vocals dei cori che si contrappongono al rauco cantato del frontman, per una delle migliori canzoni partorite dal quartetto originario di Fredericton. Più lineare e aggressiva la seconda "Carry the Sun", una traccia che non vede grosse impennate emotive, se non in una seconda parte più ispirata della prima, decisamente un po' piattina. "Until Ebb the Waters" suona invece come la classica cavalcata di black epico, che vede comunque buoni rallentamenti e in generale un song writing sopra la media. La traccia di chiusura è affidata a "Heave the Oars", un pezzo ritmato, carino ma che francamente non aggiunge davvero nulla degno di nota alla discografia del combo canadese. Alla fine si percepisce che 'Insula' è un lavoro di pancia, non troppo studiato e nato proprio dall'urgenza di esprimere un messaggio che sarà bene si imprima nella mente di chiunque. (Francesco Scarci)

Arabs in Aspic - Madness and Magic

#PER CHI AMA: Psych/Prog Rock
Nasce con lo speciale titolo di 'Madness and Magic' l'ultima fatica del gruppo norvegese degli Arabs in Aspic e a conti fatti, dopo ripetuti ascolti, le aspettative non vengono proprio disilluse. La follia divampa a colpi di psichedelia e rock progressivo che si manifestano con gran classe in un sound sofisticato, figlio dei suoni che vissero a cavallo tra la seconda metà degli anni sessanta e la prima degli anni settanta. Orchestrati da un ottimo gioco di suoni e voci, variegati e multiformi, la band è animata da scelte musicali che riescono ad esaltare proprio la parte magica di un certo prog folk rock corredato da una buona dose di "Sgt Pepper" e da qualche giravolta presa in prestito dal 'Magical Mystery Tour' dei fab 4. Durante l'ascolto, si ha la costante sensazione di essere davanti a composizioni tanto ragionate, complesse, dalla cadenza efficace, come potevano essere quelle di 'A Trick of the Tail' dei Genesis, con sfumature, dettagli e aperture, tutte da scoprire, frutto di una peculiare ricerca di un suono caldo, intenso e appunto incantato. La tonalità della voce mi ricorda, in una forma più consona al genere, il vocalist degli Sheavy, Steve Hennessey (anche se lo spettro di Phil Collins rimane comunque sempre dietro l'angolo), sebbene lo stoner non esista in quest'album dall'artwork peraltro splendido (la band di Trondheim ha una cura maniacale di suoni e immagine). Qui si parla di musica intellettuale con evoluzioni colorate che esplorano i terreni di battaglia dei National Health e Missing Link. Terre di musica senza confine che in alcuni casi diventano cosmiche (piccoli intrecci pink floydiani sparsi qua e là), in altre cupe, alla maniera teatrale dei Black Widow, come nella conclusiva e lunghissima "Heaven in Your Eyes", dove gli Arabs in Aspic mostrano il lato più introverso del loro sound, inserendo fraseggi esotici e un wah wah pesante che per qualche istante riporta alla mente niente di meno che le chitarre di 'Dirt' degli Alice in Chains. Subito dopo si torna come sempre alle variazioni elaborate e rigorosamente prog. Praticamente questo ultimo brano potrebbe essere considerato un EP dentro l'album, con tutte le varianti di tempo e genere che ci sono nel ricordo dei maestri Gentle Giant in primis. Il disco, uscito per la coraggiosa e visionaria etichetta Karisma Records, è alla fine piacevolissimo, immerso in un'atmosfera magica assai originale, fatto da musicisti capaci e abili manipolatori della materia progressiva. Un'ottima produzione ne avvalora poi le varie sfaccettature ed il tutto risulta una ghiottoneria per gli ammiratori di questo tipo di sonorità. Difficile dire quali brani emergano poichè la poliedricità dell'ascolto è così ampia che tutto suona sempre fresco ed inaspettato, cambiando pelle nota dopo nota. Una vera gemma musicale a mio avviso è rappresentato dalle due parti di "Lullabye for Modern Kids", non chiedetemi il motivo perchè mi sarebbe difficile spiegarlo, provate ad immergervi nelle sue atmosfere e sono certo che rimarrete spiazzati da quanta roba potrete trovarci al suo interno. Un album magnifico! (Bob Stoner)

(Karisma/Dark Essence Records - 2020)
Voto: 80

https://arabs.bandcamp.com/album/madness-and-magic

Pazuzu - Revenant Of Blasphemies

#PER CHI AMA: Death/Doom Old School, Autopsy
Da non confondere con gli omonimi austriaci nonostante una eterea intro acustica, i Pazuzu di quest'oggi sono in realtà una band proveniente dal Costa Rica e dedita ad un death doom di vecchia vecchissima scuola, ricordate i Winter? 'Revenant Of Blasphemies' non è però il loro nuovo album bensì il demo di debutto del 2017 ristampato qui dalla teutonica Dunkelheit Produktionen. Parlavamo di death doom old school (sottolineato peraltro da una registrazione piuttosto casalinga) anche se il movimento scatenato da "Trascending the Emanating Filth from the Fathers of the Christian Church" potrebbe essere più vicino a quello di un death punkeggiante, scuola Autopsy, ma anche Darkthrone, sebbene nel corso della song non manchino ovviamente i rallentamenti tipici del doom, cosi come pure le sfuriate tipiche del death. "The Splendour of His Holiness" puzza di suoni stantii persi nel tempo ormai da una ventina di anni a star molto molto stretti. Gli ingredienti sono quelli di sempre: sfuriate death metal con riffoni basicamente lineari, qualche frangente a rallentatore e il classico vocione growl. Un filo di melodia poi avvolge la sulfurea proposta del quartetto di San Josè, che completa la propria proposta con "The Fallacy of the Cursed Empire", una traccia tremebonda più in linea con quanto fatto agli albori dai My Dying Bride, quelli di 'Towards the Sinister'. A chiudere la classica outro acustica, un altro clichè di vecchia scuola a sancire l'obsolescenza di tale uscita. (Francesco Scarci)

(Dunkelheit Produktionen - 2017/2020)
Voto: 55

https://dunkelheitprod.bandcamp.com/album/revenant-of-blasphemies

domenica 26 luglio 2020

Derhead - Irrational I

#PER CHI AMA: Black/Dark, ...And Oceans
È uscito giusto un paio di giorni fa 'Irrational I', il nuovo EP dei liguri Derhead. Li avevo recensiti nel 2017, in occasione del loro precedente lavoro, 'Via', ora il comeback discografico della one man band capitanata da Giorgio Barroccu, vede il sound del mastermind italico proseguire sulle coordinate di quel lavoro, ossia ritmiche dissonanti sparate alla velocità della luce con i vocalizzi distorti del frontman a poggiarvisi sopra. Fortunatamente, non sono solo colate di selvaggia brutalità a farla da padrona, visto che la lunga opener, "The End for Now", vede l'esplorazione di territori più avanguardistici e giusto un filo più distanti da quel black cascadiano che avevo descritto in precedenza. Diciamo che la proposta dei Derhead si è fatta più complessa, incorporando elementi provenienti anche dal doom (soprattutto in occasione della seconda "Corpses of Desire") e dall'industrial, pur mantenendo la matrice di fondo black, coadiuvata però da buone linee melodiche che attutiscono la furia di quel marasma sonoro che tenderebbe a prevaricare. La già citata "Corpse of Desire" è ancor più interessante proprio per quella sua capacità di fondere ancestrali atmosfere dark/doom nella prima parte del brano con l'irruenza del black metal e anche certi sperimentalismi a livello solistico che aumentano la componente "personalità" di parecchio e che vedono francamente una mia grande e gradita approvazione. Ecco, se la nuova direzione stilistica intrapresa dai Derhead fosse questa, beh ne sarei francamente soddisfatto, perchè ancora con piccoli accorgimenti che non ne snaturino il sound, credo che ne potremo sentire delle belle nel tanto atteso full length d'esordio. (Francesco Scarci)

(Brucia Records - 2020)
Voto: 72

https://derhead.bandcamp.com/album/irrational-i

Violent Magic Orchestra - Principle of Light Speed Invariance

#PER CHI AMA: Electro Black/Techno/EBM, Hocico
La musica dovrebbe essere evocativa e simbiotica dell'attuale clima sociale. Ecco come si presentano i giapponesi Violent Magic Orchestra, che altro non sono che alcuni membri dei Vampillia, la cantante Zastar e Kezzardrix, con alcuni precedenti componenti della band, Pete Swanson (ex Yellow Swans) ed Extreme Precautions (Mondkopf). La proposta del collettivo di Osaka non può che proporre inevitabilmente musica folle che parte dalla techno music della opening track "You Are Hate", su cui piazzarci giustamente black metal e industrial. Scelta scellerata per i più ma ascrivibile a pura genialità per il sottoscritto, visto che alla fine mi fa apprezzare anche la techno, con i vocalizzi in scream, il tutto a ricordare i messicani Hocico. Si procede sugli stessi stilemi anche con la debordante seconda traccia, "Massive Aggressive", meno di due minuti di techno-industrial, noise, grind e quant'altro di folle ci si possa inventare. Ma d'altro canto da musicisti di questo tipo, era lecito aspettarsi solamente delirio musicale, mitigato in conclusione dalla poetica sintetica di "New World Ballad", una ballata dance su cui impiantare i vocalizzi disperati black della frontwoman. Se non avevo per nulla apprezzato la violenza caustica del precedente 'Catastrophic Anonymous', con questo nuovo EP, mi apro al nuovo mondo targato VMO.

(Never Sleep - 2020)
Voto: 74

https://violentmagicorchestra.bandcamp.com/

Bait - Revelation of the Pure

#PER CHI AMA: Black/Doom/Hardcore, Converge, Neurosis
Prosegue il trend esterofilo della Les Acteurs de l'Ombre Productions che questa volta va a pescare la sua nuova creatura in Germania. Signori, vi presento i Bait e il loro terzo lavoro (due EP in precedenza) intitolato 'Revelation of the Pure'. La proposta dei nostri (che vede la presenza di un membro dei Der Weg Einer Freiheit tra le proprie fila) combina in modo inequivocabile il black metal con l'intemperanza dell'hardcore. Questo almeno quanto si intuisce quando a decollare nei nostri stereo è "Nothing is Sacred", una centrifuga sonora velenosa che in poco più di tre minuti, palesa la mostruosità della proposta sonora dei teutonici attraverso sfuriate black e divagazioni hardcore appunto. Con la successiva “Leviathan III” ad entrare in scena in questo macello sonoro, ci sono addirittura rallentamenti doomish che arricchiscono ulteriormente l'ammasso sonoro che ritroviamo in questo lavoro. Il disco si muove in modo totalmente irrequieto, tra accelerazioni post-black, fantastica quella di "Into Misery" a tal proposito, e tirate di freno a mano, come accade nella stessa. Questi i punti di forza del terzetto di Würzburg che rivela le abili doti dei tre musicisti, e allo stesso tempo la loro incazzatura con il mondo. È lo screaming ferale del frontman a dircelo cosi come le ritmiche al fulmicotone sparate nell'acidissima "Lightbringer", una song a dir poco incendiaria, visto l'utilizzo spasmodico dei blast-beat su linee di chitarra lanciate a tutta velocità. Più lenta e melodica "Ruin", il pezzo relativamente più tranquillo del lotto ma anche quello venato di una forte dose di malinconia, che lo erige a mio preferito dell'album, soprattutto a fronte di quel fumoso break centrale, con il famigerato tremolo picking a prendersi tutta la scena. Anche "Odium" pare avere un approccio similare a "Ruin" con quel suo incipit compassato, malinconico e che sembra costituire la classica quiete prima della tempesta, e cosi sia. Infatti, la violenza irrompe a gamba tesa con un rullo compressore di chitarre e ferali screaming vocals. La title track invece è più melmosa nel suo incedere, strizzando l'occhiolino ad uno sludgecore comunque intriso di black ma anche di prog. Nulla di cosi semplice da digerire sia chiaro, però certo non un sound che appare cosi scontato. Con "Forlorn Souls" si torna sulla retta via della violenza roboante fatta di chitarre e urlacci disperati, ma anche di tremolii atmosferici di chitarra. Ancora una manciata di pezzi mancano a rapporto: "Eternal Sleep" si apre con un giro di basso mefistofelico e un approccio apparentemente più orchestrale che divamperà ben presto in un torrente dapprima furioso e poi placidamente intrappolato nelle sabbie mobili di uno sludge doom davvero claustrofobico. In chiusura, ecco "In Aversion", una song che in poco più di quattro minuti, ci prende prima a bastonate, poi ci coccola, e poi ci dà il definitivo colpo di grazia con una mattanza di suoni devastanti che chiamano in causa, in ordine casuale, Converge, Neurosis e Celeste. Non sarà certo una passeggiata affrontare questo 'Revelation of the Pure', ma vi garantisco che i contenuti non vi lasceranno certo insoddisfatti. (Francesco Scarci)

Shadows Land - Terminus Ante Quem

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Morbid Angel, Korova
L'Osmose Productions, nonostante i suoi esordi brillanti è andata scemando nella sua politica qualitativa, proponendo gli Shadows Land, un’uscita alquanto fallimentare che prova in ogni modo a conquistare l’ascoltatore ma che alla fine arranca e non fa altro che confermare il non brillante stato di grazie di una label che anni fa poteva invece vantare nel suo rooster band come Impaled Nazarene, Enslaved, Pan.thy.mo.nium e ABSU, mentre ora si deve accontentare di gruppi minori, molto spesso mediocri. I polacchi Shadows Land confermano la politica maldestra e poco oculata dell’etichetta francese, nonostante nei 30 minuti a loro disposizione cerchino di mescolare un po’ le carte in tavola, proponendo un sound dalle forti tinte brutal death, ma estremamente contaminato da altre influenze disturbanti (sympho-industrial-electro-noise) che alla fine provano in tutti i modi di salvare il salvabile. Il risultato può essere alla fine anche intrigante, se solo si riuscisse a capire il filo logico instaurato dai nostri, fuori da schemi ben definiti. Mi sarebbe piaciuto avere un riscontro futuro e risentirli per vedere se il calderone d’idee che avevano in testa questi loschi figuri potesse concretamente prendere forma e imboccare una strada un po’ meno offuscata, ma come spesso accade in questi casi, la band è scomparsa dai radar subito dopo l'uscita di questo 'Terminus Ante Quem'. (Francesco Scarci)

(Osmose Productions - 2006)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Shadows-Land-176613695741013/

Shadows Fall - Fallout From the War

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Metalcore, As I Lay Dying
Definiti in passato come uno dei gruppi più promettenti della scena thrash americana, pur non proponendo nulla di originale, gli Shadows Fall da sempre riescono a confezionare album meritevoli di attenzione. Quello di oggi è in realtà una compilation del 2006, ricca di contenuti interessanti (B-sides, rarità e cover), in grado di generare nei fan un headbanging frenetico. La nomination ai Grammy del 2005, l’apparizione all’Ozz Fest e ad altri numerosi festival europei, ben 250.000 copie vendute di 'The War Within' solo in Nord America e l’aver scalato le charts americane (debutto nella US-Billboard addirittura al 20° posto), hanno poi consacrato gli Shadows Fall a band di grande caratura nel panorama metal, nonostante la giovane età, ma ai posteri l’ardua sentenza. 'Fallout From the War' è un lavoro aggressivo, capace di far del male all’ascoltatore, ricco di un’ampia varietà di stili che passano con estrema disinvoltura dal thrash anni ’80 al metalcore, sconfinando talvolta in territori hardcore, emo, death ed alternative. Non so se questo possa essere considerato l’album della svolta per il combo statunitense, però devo ammettere che non è niente male anche per chi come me, non ha mai amato l'ensemble USA. Le caratteristiche dei due precedenti lavori si ritrovano e fondono tutte insieme: il sound è come sempre carico di rabbia, con ritmiche aggressive, vocals pulite e altre incazzate, assoli piacevoli anche se non proprio eccelsi dal punto di vista tecnico-compositivo. Il platter comunque si dimostra di esser ricco di sfumature degne della vostra attenzione, questo è un album che merita sicuramente un vostro ascolto. Da segnalare infine, la strana decisione di inserire alcune cover di Only Living Witness, Leeway e Dangerous Toys in coda all’album, un paio delle quali si sono rivelate ahimé abbastanza debolucce. Comunque sia, ”Rock’n Roll or die”!!! (Francesco Scarci)

(Century Media - 2006)
Voto: 72

https://www.facebook.com/shadowsfall

mercoledì 22 luglio 2020

Grave Circles - Tome II

#PER CHI AMA: Black/Death
Avevo già parlato dell'apertura della Les Acteurs de l'Ombre Productions a entità musicali al di fuori dei confini transalpini in occasione dell'uscita degli svizzeri Borgne. Era già successo anche con poche altre eccezioni, i baschi Numen, i cileni Decem Maleficium e i lituani Au-Dessus. Ora l'etichetta di Champtoceaux, si rifà avanti con gli ucraini Grave Circles e il loro debut su lunga distanza, 'Tome II'. Il disco, uscito in digitale sul finire del 2019, ha catturato l'attenzione della label francese grazie ad un sound misantropico e glaciale che irrompe con la ferocia incontrollata di "Both of Me", una traccia che sembra avere la stessa violenza di una grandinata in piena estate con i chicchi di grandine della dimensione di un'arancia. Questa la sensazione infatti durante l'ascolto dell'opening track che si abbatte con furia black abominevole, fatta di una tempesta di chitarre e blast-beat di batteria, con il basso a tracciare un selciato in sottofondo di un certo spessore e le harsh vocals di Baal (il batterista dei Peste Noir) a digrignare i denti, sbarrare gli occhi e urlare a squarciagola. Ecco in sommi capi delineato il profilo musicale della band originaria di Vinnytsia, che trova tuttavia il modo di piazzar dentro al brano anche intermezzi mid-tempo, un malinconico frangente in tremolo-picking e una musicalità, nei momenti più ragionati, che chiama in causa i connazionali White Ward. Obiettivo centrato almeno per il sottoscritto, a maggior ragione quando l'incipit di "Predominance" si mostra cosi evocativo, prima di esplodere in un ferale attacco black che non concede nemmeno un secondo di respiro, almeno fino a quando un altro oscuro break acustico allenta la tensione si qui a dir poco dilagante. Sul finire del brano, fa capolino anche una voce pulita ad affiancarsi a quella demoniaca del vocalist, mentre le chitarre sciorinano riff di importazione dal classico heavy metal. Un cerimoniale liturgico sembra aprire "Faith That Fades", ma non mi faccio più ingannare dalla calma apparente dei primi attimi. Mi metto il casco e mi scaglio subito dopo a tutta velocità ad affiancare il sound qui disarmonico del quartetto ucraino, che evoca un mix tra Mgła e Deathspell Omega. Immancabile anche qui l'intermezzo soft ambient, quasi la regola su cui poggia l'architettura complessa di questo 'Tome II'. "Thy Light Returneth" ha un che invece del black svedese di Unanimated e Sarcasm, con quelle linee di chitarra tanto taglienti ma allo stesso tempo assai melodiche. Anche la traccia sembra molto più riflessiva nella sua progressione rispetto ai pezzi ascoltati sin qui, soprattutto è apprezzabile il lavoro alle chitarre, qui più ispirate che mai. Il che si conferma anche nella successiva ed epica "When Birthgivers Recognize the Atrocity", che sembra darci modo di godere della band quasi da una angolazione completamente diversa, pur mantenendo intatta quella furia che contraddistingue il sound della band, ma in questo brano c'è cosi tanta carne al fuoco che si rischia di venir triturati dai repentini cambi di tempo manipolati dai nostri. "The Unspoken Curse" e "Abstract Life, Abstract Death" sono gli ultimi due pezzi di un disco alquanto interessante: il primo dall'apertura atmosferica che evolverà ben presto in una ritmica dal mood punkeggiante, ma solo per una frazione di secondi, vista l'imprevedibilità della compagine est europea. La seconda è l'ultimo atto di un disco ad alto potenziale pirotecnico: devastante quanto basta, ha ancora modo di offrire qualche residua trovata musicale (un approccio più orchestrale ad esempio nell'utilizzo degli archi) che eleverà sicuramente l'interesse dei fan per questa release a cui manca davvero poco per elevarla dalla massa di band black death che pullulano la scena. Con un pizzico di personalità (e originalità) in più, sono certo che permetterà ai Grave Circles di avere una elevata risonanza nel mondo dell'estremismo sonoro. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 74

https://ladlo.bandcamp.com/album/tome-ii

Ohhms - Close

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge, Pallbearer, Baroness
Gli inglesi Ohhms con il loro ultimo lavoro 'Close' si propongono come una delle band post-metal più attive e convincenti del Regno Unito, paese in cui il movimento sembra aver faticato più che altrove ad affermarsi (si ricordino le esperienze di Fall of Efrafa, Light Bearer, Bossk e Latitudes, questi ultimi gli unici in grado di dare continuità al progetto e ad ottenere una certa visibilità).

La musica del quintetto originario della contea del Kent, giunto alla quarta release ufficiale, risulta tuttavia più trasversale, fondendo influenze della tradizione sludge\doom britannica con elementi post-rock e progressive rock, dando vita ad una creatura ibrida che negli ultimi sei anni è andata in cerca della propria identità. Con 'Close' gli Ohhms giungono alla fase della maturità artistica, confezionando un lavoro lontano dagli stereotipi e al tempo stesso piuttosto accessibile.

L’opening “Alive!” parte in sordina, immergendoci nelle atmosfere sognanti dipinte dalle chitarre arpeggiate, prima di adombrarsi e crescere di intensità come un temporale estivo, tra grandinate di percussioni, basse frequenze a pioggia e l’energia sprigionata dal cantante Paul Waller. Alle sfuriate sludge\doom di “Alive!” e “Revenge” fanno da contraltare le più elaborate progressioni di “Destroyer” e “Unplugged”, brani in cui la furia strumentale si sposa con una pronunciata vena melodica, richiamando alla memoria alcune composizioni degli ultimi The Ocean. Le atmosfere crepuscolari e quasi shoegaze di “((Flaming Youth))” e “((Strange Ways))”, intermezzi ben inseriti nel contesto dell’album, sembrano ben più che semplici cerniere tra un pezzo e l’altro, offrendo all’ascoltatore momenti di raccoglimento e riflessione.

Complice l’apprezzabile scelta di un minutaggio contenuto, gli Ohhms riescono ad amalgamare stili e spunti differenti in modo naturale ed efficace, rendendo 'Close' sufficientemente variegato da risaltare in mezzo ad una scena ormai molto affollata, mantenendo però una struttura coesa e priva di passaggi forzati. Forse non tutte le idee proposte vengono valorizzate a dovere, ma si tratta sicuramente di un deciso passo verso future uscite forse più ambiziose. (Shadowsofthesun)

(Holy Roar Records - 2020)
Voto: 75

https://ohhms.bandcamp.com/album/close