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lunedì 22 agosto 2016

Moke's - S/t EP

#PER CHI AMA: Alternative/Garage Rock, Wolfmother, The Bellrays
La band parigina si presenta con un primo, vero e proprio EP, pieno di speranze e potenzialità per il futuro. Dopo un demo del 2013, i Moke's si sono immersi nelle registrazioni di un omonimo album per cercare di captare e fermare le vibrazioni acide emanate dalle loro esibizioni live, colte dal vivo nel precedente album del 2014, 'Live in Phalsbourg'. Questa operazione riesce solo in parte, perché i Moke's fanno riferimento a quel tipo di gruppi la cui dinamica rock, sanguigna e primordiale, è difficile da racchiudere in un album, cosa che fu impossibile per gli MC5 al tempo e che tutt'ora riesce difficile per qualsiasi ensemble che abbia caratteristiche simili. Diciamo subito che i Moke's, capitanati dalla deliziosa voce di Agnès, sono bravi e suonano con passione una forma di vintage rock rimodernato con i sentori dell'alternative e dell'acid rock di matrice '70s. La sola cosa che poco convince di questo disco indipendente, è la forzata declinazione stoner usata per il mixaggio e la registrazione dei brani, tralasciando poi tutta la potenzialità commerciale e garage di cui è dotata la band, girando sempre intorno al sound di realtà grandiose come The Bellrays o Gorilla (quelli belli e sconosciuti di 'Maximum Riff Mania') e se vogliamo parlare anche di psichedelia, dovremmo guardare il versante europeo dello stoner nelle vesti dei mai dimenticati On Trial (vedi il brano "Swamp" con tutta la sua verve psichedelica), che di certo non rientrano negli standard del genere suonato oggi, oppure, citando il rock, ci spostiamo verso i mitici Thee Hypnotics per arrivare ai Wolfmother (ascoltate "Don't" per farvi un'idea). Relegarli a ruolo di semplice stoner rock band è riduttivo, con una vocalist di questo calibro, piena di glam e aggressività, con una chitarra che risale le scale del vintage garage rock con una naturalezza incredibile, riff allettanti e intriganti, una sezione ritmica che pulsa come se venisse direttamente dalla fine degli anni settanta, ed un groove sempre carico di una gradita orecchiabilità, di chiara e ovvia derivazione che non risulta mai banale o lasciata al caso, sarebbe delittuoso. Per questo mi spingo a dire che i Moke's dovrebbero osare di più focalizzando il loro sound verso derive di matrice rock che da un lato sprigionino la loro formula garage/'70s mentre dall'altro, aiutino il quartetto a liberarsi dal sound imprigionante, fuori luogo e schematizzante dello stoner rock. Con la spinta heavy rubata alle Crucified Barbara e alle Girlschool, l'attitudine vocale tra Janis Joplin, Linda Perry e le stupende The Runaways, i Moke's, blues/rockers acidi per vocazione, hanno tutte le carte in regola per maturare, trovare una strada sonora che li renda del tutto unici, per regalarci un nuovo mito rock da venerare. Cinque brani, ventidue minuti dinamici, energici e fantasiosi, da inserire in quell'universo che fa capo alla corrente sempre più emergente del vintage rock. Da tener d'occhio! (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 75

https://mokes.bandcamp.com/

Sedulus - The Sleepers Awaken

#PER CHI AMA: Psych Stoner, Baroness, Isis
Pochi colori in copertina per i Sedulus, act britannico in attività dal 2005. Sembra un tramonto visto dall’orlo di un asteroide in orbita nello spazio aperto. Non a caso 'The Sleepers Awaken' ci arriva attraverso l'etichetta When Planets Collide, fucina di rabbia sperimentale planetaria. La band è talentuosa e con le idee chiare, il suono ricorda Tool, Russian Circles e Baroness, la cosa che forse ancora manca è la coesione artistica che a volte non permette ai brani di esprimere a pieno le proprie potenzialità. Vale la pena iniziare subito a sentire il disco che apre con “Sycamore” potentissimo brano in pieno stile sludge. Dal primo pezzo già si evince la propensione della band alla complessità compositiva dei brani, all’aggressività e alla psichedelia. La cavalcata prosegue con “Machinations”, che presenta un tappeto di chitarre rugginose che rispondono ad una linea di voce a metà tra ISIS e Melvins. Le strutture dei pezzi non sono mai semplicistiche, si passa infatti da parti ritmicamente serrate ad aperture decisamente più blande, impreziosite da arpeggi riverberati e profondi tonfi di basso. La composizione come detto è audace tanto che a volte le song sembrano andare fuori dal tracciato, minando la comprensione del pezzo. L’attenzione rimane comunque alta, sempre ridestata da cambi di dinamica e da una buona spettacolarità tecnica dei musicisti. Altro aspetto che salta all’orecchio sono i suoni ed il metodo di registrazione, per cui sembra in qualche modo tutto un po’ lontano. Certo, l’impressione di essere su un satellite che orbita intorno alla Terra è riuscita, ma forse all’opera avrebbe giovato più definizione e presenza del suono che tuttavia rimane decisamente di qualità. Approdiamo alla terza traccia che porta un nome stranamente italiano “Nomadi del Mare”: si tratta di un viaggio strumentale su un veliero fantasma nella Via Lattea assolutamente da sentire. La traccia successiva chiude la prima parte del disco, e si chiama “Things We Lost in the Fire” e trasporta l’immaginazione per mezzo di voci e chitarre effettate che fluttuano a mezz’aria. La parte più riuscita del brano è la strofa: presente, decisa e brillantemente arrangiata. Anche il break dipinge scenari apocalittici sormontati da una linea melodica vocale in pieno stile Aaron Turner. Pecca del brano è il ritornello: da un punto di vista melodico forse non proprio azzeccato, sembra che non sia esattamente l’evoluzione naturale della strofa. Ma anche con questo difetto “Things We Lost in the Fire” rimane uno dei miei pezzi preferiti. Si passa alla seconda parte ora, aperta da una traccia ostinata e orientaleggiante. Sembra di vivere una sessione di meditazione ma non nella quiete di un parco o di un tempio, ma esattamente in mezzo al caos insensato e chiassoso di una metropoli. Ad ogni modo si tratta solo di una breve pausa, “Colonise” infatti non lascia scampo. Potenti riff sludge e una voce aggressiva e perentoria esortano a non lasciarsi abbattere e avere la forza di reagire sempre, “We Must Stay Strong” si grida nel brano. Anche qui si ha la percezione lontana che alcune parti non seguano il giusto susseguirsi delle cose, tuttavia il brano risulta piacevole e trasmette una notevole quantità di energia. Eccoci alla epica “Foxhole”: si inizia con una bassa intensità, la musica evolve tra voci pulite e frequenti pause sceniche davvero assai riuscite, sia nella scelta delle note che delle dinamiche. Il pezzo poi esplode in tutta la sua potenza in tre episodi trainati da una voce sporca e mono-nota e da un profondo e denso fango, che alla fine la elegge come il pezzo più interessante dell’opera. L’ultimo passaggio strumentale “Redshift” è forse il più riuscito: frequenze basse, percussioni ancestrali che vanno a formare un ambiente sonico e spaziale ma allo stesso tribale e terreno. La chiusura “Heat Death”ci dà il giusto commiato riassumendo in sé tutte le migliori qualità dei Sedulus. Dopo un intro supersonico dove chitarre e basso si intrecciano rivelando una grande emotività, atterriamo successivamente su di un suolo ostile di un pianeta privo di ossigeno e poi di nuovo si riparte a fluttuare nel vuoto verso il prossimo pianeta sconosciuto. 'The Sleepers Awaken' è un disco ruvido e intenso che lascia intravedere talento e inventiva e crea inoltre alte aspettative per la prossima opera dei quattro britannici. (Matteo Baldi)

(When Planets Collide - 2016)
Voto: 70

https://sedulus.bandcamp.com/

Haiden - S/t

#PER CHI AMA: Progressive Sludge, Mastodon, Russian Circles
Primo lavoro per gli Haiden, un EP della durata di poco più di venti minuti, in cui questo trio belga propone un post-metal strumentale, anche se mi viene leggermente forzato definirlo tale poiché il sapore che deriva dall'ascolto di questo lavoro omonimo risente molto del polveroso sound desertico statunitense e di una certa vena progressive. Al primo ascolto infatti, il lavoro dietro alle pelli mi ha ricordato quel prog anni '70 tipicamente italiano che si mescola al funky-jazz, di cui possiamo trovare il suo apice nelle colonne sonore dei film polizieschi. Inutile dire che i due chitarristi seguono strade dicotomiche. Le composizioni, a differenza di altri loro colleghi dediti a questo genere strumentale, non sono lunghe, ripetitive o strazianti, ma sorprendentemente eterogenee sia come struttura che come idee. Idee, che forse risulteranno fin troppe nell'evoluzione del dischetto; e anche se alcune davvero buone, faticano talvolta nell'amalgamarsi tra loro alla perfezione. Ad ogni modo, il risultato che ne deriva è decisamente ammirevole per un EP di debutto orientato a sonorità già esplorate e sfruttate fino allo sfinimento. I primi secondi di "Harae" aprono il disco con riffs ridondanti e sonorità calde, graffianti, sature, tipicamente stoner. La seconda, "Chabe", si distingue invece per l'iniziale cavalcata sottovoce alternata a bruschi cambiamenti di dinamica e ritmo, mentre le successive "Valken" e "Mimas" giocano, rievocando i Neurosis, su ritmi tribali e chitarre a tratti noise e dissonanti. L'ultima song, "Hekla" (chissà se il titolo si riferisce al nome del vulcano islandese/ndr), è la traccia più particolare del disco, e lungo il suo scorrere possiamo trovare ampie bordate sonore, eclettici arpeggi, fulminei cambi di tempo. In pochi minuti, questo debut ci propone una rassegna di pensieri frizzanti e vivaci, nonostante la patina data in sede di mastering sia volutamente cupa e chiusa. Tecnicamente, il gruppo di Gent avrebbe ancora molte cose da dire e potrebbe di certo dare ancor di più; non ci resta che aspettare un full length in cui sono certo che il psichedelico trio raffinerà non poco la propria proposta. (Kent)

giovedì 4 agosto 2016

Veuve - Yard

#PER CHI AMA: Psych/Stoner, OM
Lo stoner spopola e la scena italiana sta vivendo un momento particolarmente produttivo, nonostante sia in largo ritardo rispetto a quella americana e svedese. Oggi parliamo dei Veuve, un trio friulano che si butta a capofitto nel mondo fatto di sabbia, cactus e acidi con il loro primo full length, 'Yard' appunto. L'etichetta e studio di registrazione The Smoking Goat Records ha ottimo fiuto e ha pensato bene di reclutare i nostri tre impavidi eroi del fuzz sotto la loro ala e noi non possiamo che essere contenti che il loro incontro abbia dato la luce questo digipack contenente otto tracce che colano stoner vecchia scuola unito a sonorità shoegaze, soprattutto dovute a un cantato che richiama atmosfere etere e spaziali. Il bello dei Veuve infatti sta nell'ottimo impatto sonoro caratterizzato dalle distorsioni solide e ruvide del genere, in contrasto ad una timbrica vocale inaspettata. "Days Of Nothing" è l'esempio lampante di questo sodalizio curato e sviluppato con saggezza dall'act friulano. Basso e batteria sono incalzanti sin dall'inizio, i riff di chitarra sono puliti e non si affidano solamente al muro sonoro, cercano piuttosto fraseggi e melodie per catturare l'orecchio smaliziato dell'ascoltatore. Ovvi rimandi ai Dozer e ai Truckfighters sono facilmente identificabili, ma se si guarda lontano, i Veuve trovano un loro stile che diventa presto trascinante. Il mood etereo del cantato si trasmette anche agli assoli di chitarra e crea un'amalgama bilanciata e credibile, come accade in "Mount Slumber" dove la band rallenta il ritmo e si concentra su atmosfere spirituali, puntando sulla ripetitività dei riff e su una ritmica ossessiva. In questi sette minuti abbondanti verrete accompagnati dal groove degli OM appesantito il giusto dalle sapienti mani dei nostri musicisti. L'assolo post rock finale poi è la goccia che farà traboccare il vostro equilibrio mentale e farvi cadere nell'oblio assoluto. "Pryp'jat'", ovvero la città fantasma nata dall'incidente nucleare di Cernobyl, è la traccia che chiude questo ottimo lavoro. Corrosiva, polverosa come le strade di quel luogo dimenticato da Dio, la canzone scarica un elevato quantitativo di decibel, grazie anche agli intrecci di chitarra che grazie alla sovra-incisione, si può permettere maggior libertà sonora. Il basso non spicca in termini di frequenze, ma è l'elemento determinante a creare il suono che contraddistingue i Veuve, cosi come la sezione ritmica che trasuda groove ad ogni pattern. Sul finale percepiamo un sintetizzatore che ci porta indietro agli anni ottanta e sembra essere stato messo alla fine di tutto per avvertirci che in futuro potrebbe tornare. Noi lo speriamo, perché questo album è veramente ben fatto e ci aiuta ad aggiungere un'altra band alla nostra collezione. Se i Veuve faranno tesoro del lavoro fatto per 'Yard', il prossimo album sarà spettacolare, ci scommetto una buona birra fresca. (Michele Montanari)

(The Smoking Goat Recording - 2016)
Voto: 75

https://veuve.bandcamp.com/album/yard

The Pit Tips

Francesco Scarci

Toska - S/t
Negative Voice - Cold Redrafted
(EchO) - Head First Into Shadow

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Don Anelli

Mortillery - Shapeshifter
Defiled - Towards Inevitable Ruin
Horror Chamber - Eternal Torment

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Kent

Have a Nice Life - Deathconsciusness
Asylum Party - Borderline
One Life - The Crowning

SUMMER CONTEST



VUOI VINCERE IL NUOVO SPLIT ALBUM DI IN CAUDA VENENUM, HEIR E SPECTRALE, EDITO DALLA EMANATIONS RECORDS? 

RISPONDI A QUESTA SEMPLICE DOMANDA E PARTECIPA ALL'ESTRAZIONE DI UNA COPIA DEL CD E 3 COMPILATION DELLA LES ACTEURS DE L'OMBRE PRODUCTIONS

QUAL'È IL COMUNE PAESE D'ORIGINE DELLE TRE BAND?

RISPONDI ENTRO IL 26 AGOSTO A: 
thepitofthedamned@gmail.com


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WOULD YOU LIKE TO WIN A COPY OF THE SPLIT ALBUM OF IN CAUDA VENENUM, HEIR AND SPECTRAL, RELEASED BY EMANATIONS RECORDS?

ANSWER TO THIS SIMPLE QUESTION AND PARTICIPATE TO THE DRAW OF A COPY OF THEIR SPLIT ALBUM AND OF 3 COMPILATIONS MADE BY LES ACTEURS DE L'OMBRE PRODUCTIONS

WHICH IS THE COMMON HOME COUNTRY OF THESE THREE BANDS?

ANSWER BY AUGUST 26th TO: thepitofthedamned@gmail.com

Interview with Toska


Follow this link to know much more about the mysterious Icelandic blacksters Toska:

Asylum Pyre - Spirited Away

#PER CHI AMA: Power/Prog, Amaranthe
La Francia si rivela ancora una volta terra fertile per le branchie più melodiche, ormai definibili in una nuova vera e propria corrente power, con caratteristiche comuni e radicate nell’ultima decina d’anni. Questa volta la band in questione arriva dalla capitale Parigi, con il terzo full-length in studio, dopo 8 anni dall’uscita del primo demo della band. Esperienza ed evoluzione sonora portano il loro dovuto contributo e si avverte fin da subito che 'Spirited Away' presenti una marcia in più, per quanto riguarda la produzione, rispetto ai due precedenti lavori ('Natural Instinct' e 'Fifty Years Later'). La formula sviluppata dagli Asylum Pyre è la classica riscontrabile in gran parte degli esponenti del movimento francese (vedi Benighted Soul): un power melodico con l’aggiunta di elementi di provenienza diversa, dalle influenze prog agli elementi elettronici e sinfonici. La voce femminile, cristallina e pop-eggiante, è arricchita da una buonissima interpretazione da parte della cantante Chaos Heidi, sempre articolata su forti melodie a sovrastare i riff di chitarra e i tappeti di tastiere, che in certe occasioni ricordano quelli dei più navigati Amaranthe. Un pianoforte apre e chiude questo lavoro dall’intro di "Second Shadow" alla lenta dissolvenza di "Fly". Fra di esse invece troviamo le ricercatezze melodiche dell’ensemble parigino, fra la potenza della vocalist, che apprezziamo particolarmente nelle prime tracce dell’album "Only Your Soul" e "Unplug My Brain", le quali si prestano per caratteristiche anche a diventare dei buoni singoli. Successivamente incontriamo varie sfumature, dagli stacchi che sanno di prog (parte centrale di basso nella seconda traccia), alla lenta ballad "The White Room", fino a sezioni decisamente più potenti come nella più lunga e articolata "Soulbrust" o in "Shivers", nelle quali interviene anche il chitarrista Johann Cadot con le sue vocals più aggressive. Buona prova per la band d’oltralpe che mostra una naturale maturità rispetto ai precedenti lavori. Non si tratta certamente di qualcosa di eccezionale o innovativo, anzi si colloca proprio nei canoni del movimento. Certamente però rappresenta una nuova conferma del fatto che negli ultimi anni la Francia stia sfornando una notevole corrente power-melodica, destinata di certo ad evolversi ulteriormente. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Massacre Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/asylumpyre/

Heimsgard – Ordrag

#PER CHI AMA: Pagan/Folk Metal
Uscito nel 2015 per la Epictural Productions e distribuito dalla leggendaria Season of Mist, l'album di debutto della one man band francese capitanata dal tutto fare Raido, già chitarrista dei Malevolentia, Karne e Ferriterium, sfodera una dignitosa prova districandosi nel ricco ed inflazionato sottobosco guerriero del fiero pagan folk metal. La combinazione di epic/speed/black metal con influenze folk provenienti da molte parti d'Europa, danno un'impronta di ampio respiro al cd, sottraendolo al facile dimenticatoio in cui finiscono poi molte band che propongono questa particolare commistione sonora. L'album ha un buon tiro e suona assai professionale, con una certa cura per i dettagli, per composizione e bilanciamento. 'Ordrag' alterna slanci epici ad innesti folklorici di matrice celtica, aggiungendo alcune galoppate nordiche tipiche dei territori finnici, ma anche suoni cari ai Cruachan, composizioni da colossal e musica sinfonica alla Bal Sagoth, anche se tutto l'insieme suona arcigno e guerrafondaio, ispirato dai canti gloriosi degli Ensiferum e dai cori battaglieri dei mitici Falkenbach. In tutto e per tutto devoto al verbo del folk senza compromessi, il disco non sposta mai l'ago della bilancia verso altri generi non allineati o consoni. Le cornamuse e l'apertura di "In the Shadow of Great Men" devono essere considerate come una gemma nel repertorio del musicista transalpino, in un brano che mette in risalto tutte le virtù di questo tipo di metal estremo. Il poliedrico brano permette all'ascoltatore di passare in scioltezza da un intro ambient dal tocco ancestrale ad una cavalcata mozzafiato di ispirazione Finntroll, con tanto di assolo in velocità, cori, voce e sezione ritmica con istigazione alla battaglia, tutto in una sola traccia, ove ben presto ci si rende conto di essere di fronte ad una vera e propria delizia. Aiutato da Max alla batteria e Robin al basso, il nostro oscuro bardo, suona egregiamente una miriade di strumenti provenienti dall'ambito etnico e in "Flavour of Victory" trova un equilibrio a dir poco perfetto, una simbiosi tra velocità e melodia che la dice lunga in fatto di fantasia compositiva e sensibilità sonora. "Wanderer Song" ci lancia fieri verso la ricerca di nuove lande da conquistare, mettendo in risalto un'orecchiabilità fluida all'interno di una compattezza sonora estrema, ove ogni nota infonde orgoglio e per cui non si ha mai la sensazione che qualcosa sia fuori posto. Concepito come un'opera sinfonica, il metal espresso dagli Heimsgard è accostabile per attitudine alle migliori creazioni dei Northland, ragionate però in un'ottica musicale ampia e orchestrale, dove il sound pagano si fonde con l'opera classica, maestosa e magistrale. L'album richiede tuttavia un ascolto impegnato e una buona conoscenza del genere per essere gustato appieno, per capire l'enorme sforzo creativo di questo artista e il valore della sua opera. La chiusura è affidata ad un outro dal sapore cortigiano che segna degnamente la fine di un lungo viaggio di conquista e la chiusura di un cd tutto da assaporare ad alto volume e ad occhi chiusi, lasciandosi trascinare in sentimenti antichi e guerrieri che il mondo di oggi non conosce più e neppure osa immaginare. Digipack dalla bella e suggestiva grafica, album notevole. Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

(Epictural Productions - 2015)
Voto: 80

https://www.facebook.com/heimsgard/

Le Scimmie - Colostrum

#PER CHI AMA: Stoner/Psichedelia/Doom, Ufomammut
Oscurità, psichedelia, sonorità distorte e avvolgenti. Le Scimmie sono gli Ufomammut sotto acido: cinque brani che mescolano sapientemente stoner, doom, metal e ambient. I quattro brani che compongono 'Colostrum' – terzo lavoro del trio italiano, dopo 'Dromomania' (2011) e 'Habanero' (2012) – sono costruiti su riff granitici e ossessivi, che si sommano ridondanti, generando enormi architetture sonore, vere e proprie cattedrali oscure e magnifiche. I 14 minuti della opening e title-track "Colostrum" ruotano attorno ad un riff massiccio e potente ripetuto fino allo spasmo, su cui l’ottima batteria costruisce interessanti variazioni, sostenuta da un synth inquieto e surreale, che apre e chiude il brano. Segue "Crotalus Horridus", l’episodio più breve e veloce del disco, che rimanda a sonorità stoner. Infernale e onirica, "Triticum" è sostenuta da un compatto giro di basso, su cui una batteria a tratti tribale costruisce una progressiva esplosione. Chiude "Helleborus", violenta e tesa, disturbante nelle sue vene industrial centrali che spezzano i granitici pattern – non dimenticherete facilmente il geniale riff di apertura – su cui l’intero pezzo si regge. 'Colostrum' è un disco nero come il più buio angolo dell’inferno, una creatura enorme e abominevole, che rotola sulla terra radendo al suolo ogni cosa e sbriciola le menti più deboli con l’ossessiva ripetizione e le sue inaspettate aperture ambient. Un lavoro che – pur registrato con qualche pecca di produzione – lascia speranze per la scena più scura della musica italiana. (Stefano Torregrossa)

(Red Sound Records - 2016)
Voto: 80

https://lescimmie.bandcamp.com/