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sabato 26 dicembre 2015

Thee Maldoror Kollective - New Era Viral Order

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Che i Maldoror fossero una band fuori dal comune lo si era già capito quando nel 1998 uscì il loro debutto 'Ars Magika', ma il black metal degli esordi, seppure non scevro di alcune contaminazioni di ritual-ambient, ancora non lasciava trasparire quelle evoluzioni sbalorditive che il gruppo avrebbe intrapreso in futuro. Nella metà del 2001, il secondo capitolo discografico 'In Saturn Mystique', giungeva invece come una rivelazione e metteva completamente a nudo lo straordinario talento della band torinese, sincretizzando, in un'unica formula, intricate e violente partiture black metal con suggestive esplosioni electro-wave che toccavano spesso il limite del progressive. Dopo il cambio di monicker in Thee Maldoror Kollective (che sottolinea un nuovo assetto del gruppo, teso alla collaborazione con altri progetti extramusicali), uscì il terzo full-length 'New Era Viral Order', un concept sul 'Liber Al vel Legis' di Aleister Crowley che voleva approfondire il complesso tema dell'insediamento del Nuovo Eone di Horus: il simbolo di una nuova consapevolezza e della centralità dell'uomo nell'universo. Da sempre seriamente coinvolti in studi e pratiche magistiche, i Maldoror non abbandonano quindi il loro itinerario artistico fatto di cultura esoterica e danno vita ad un'opera ambiziosa ed innovativa che si priva del sostrato mistico e spirituale. Rispetto al precedente 'In Saturn Mystique', il nuovo album si spoglia dei connotati intransigenti del black metal e prende il largo verso una sperimentazione più audace (che sarà ancor di più enfatizzata nei successivi album), contraddistinta dalla ricerca di un continuo dinamismo sonoro e di un ritmo ipnotico. Terremotanti riff di chitarra in stile 'Demanufacture' si incastrano in un tessuto sonoro complesso, fatto di ruvidi beat industriali e dalle tastiere ispirate di Evanghelya, musicista con un gusto compositivo affascinante ed insolito, sempre a cavallo tra le ambientazioni sinistre di Goblin e Jacula e la trascinante modernità dell'EBM più corrosiva. Le parti vocali del leader Kundahli mantengono la brutalità dei precedenti lavori ma vengono sporadicamente filtrate da un effetto robotico che dona un'impronta ancor più sintetica al suono. Da segnalare anche l'elegantissimo digipack, la prestigiosa partecipazione degli MZ412 con il remix di "Epidemic Noise Age" e per finire gli episodi che a mio avviso sono tra i più intensi dell'album: "Xaos DNA Released", "Haemorrhage Transmission", "Rhytmagick Disturbance" e "Slaughter Mass 2002", flussi di energia invisibile e scardinante che si insinuano come un virus nel subconscio, tutti brani che attraverso la sperimentazione rivendicano comunque una forte appartenenza al metal estremo. Seguite dunque il mio consiglio: recuperate 'New Era Viral Order' e lasciatevi avvolgere dal Chaos. (Roberto Alba)

venerdì 25 dicembre 2015

Witchsorrow - No Light, Only Fire

#PER CHI AMA: Doom Metal
'No Light, Only Fire' è l'ultimo lavoro dei doomster britannici Witchsorrow, in circolazione dal 2005 e con all'attivo già tre full-length, un EP e una demo risalente al 2008. Nel loro decimo anniversario, pubblicano quest'album che si apre con "There is No Light Only Fire“, song dalle sonorità oscure ma con un vocalist dalla voce pulita: non v'è infatti traccia di growl, anzi sembrerebbe quasi una canzone adatta a una sorta di karaoke metal (se mai qualcuno volesse ispirazione, consiglio quest'album). La stessa atmosfera all'insegna del puro doom, prosegue in “Made of the Void” e in “Negative Utopia”, con la differenza che in quest'ultima song la disperazione traspira minuto dopo minuto fino a portare all'esasperazione dei sensi. Dalla metà in poi del brano qualcosa cambia: ci si ridesta, la chitarra e la batteria vengono liberate per un breve lasso di tempo e un barlume di luce si intravede nell'oscurità più fitta. Restando sempre su questa riva, troviamo “The Martyr”: l'inizio è grave, scandente ogni secondo con il drumming che si agglomera alle chitarre a lutto (sarebbe un'ottima marcia funebre alternativa). Qui la rabbia traspare nei diversi cambi di tonalità vocale, che diventa addirittura roca. Poco dopo metà brano, il ritmo cambia e vira, avvicinandosi a un punk-rock: grida, ritmica cadenzata e assoli di chitarra rendono il tutto perfetto per l'headbanging (grazie anche al tono vocale del cantante Necroskull). Come in ogni lavoro che si rispetti, c'è sempre un giro di boa (o un piccolo cambio in corsa, se vogliamo definirlo in tal modo) ed è scandito da “To the Gallows”, le cui sonorità sono decisamente metal puro, con la voce sempre assestate ad un livello acuto, e fiumi di dirompente potenza, energia e rabbia che fuoriescono dalle casse dello stereo. “Disaster Reality” comincia in punta di piedi, una nota ogni due secondi fuoriesce dalla chitarra, per poi essere supportata brevemente dal binomio batteria-basso. Il risultato che ne esce è come un'onda: prima piccola, poi enorme, piccola e poi una sorta di tsunami, con uno spettro di pura angoscia che aleggia per tutto il brano. “Four Candles” è totalmente strumentale e acustica, un piccolo intermezzo curioso. Il disco si chiude con un piccolo salto nel passato: “De Mysteriis Doom Sabbathas”, già apparsa nell'omonimo EP uscito nel 2013 su cassetta in edizione limitata (ne sono uscite solo 150 copie). Strumentale per i primi 4 minuti, segue la falsariga di “The Martyr”, offrendo un assolo meraviglioso verso l'ottavo minuto che dà carica e potenza e coincide con la parte migliore del pezzo. La chiusura poi riprende il mood dell'apertura e le sonorità oscure tornano alla ribalta per collegarsi al primo brano. Buon lavoro questo 'No Light, Only Fire', ma mi sento di dare un unico consiglio: provare ad usare il growl nel prossimo lavoro, se non come voce principale almeno nei cori. (Samantha Pigozzo)

(Candlelight Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/witchsorrowdoom/

Interview with Laniakea

Follow this link to know much better the French band Laniakea and their sound dedicated to an atmospheric death/black:


The Frozen Autumn - Emotional Screening Device

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Cold Wave
Non nascondo che provai un po' di dispiacere quando qualche tempo fa mi giunse la notizia della separazione del duo torinese formato da Diego Merletto e Claudio Brosio, che con i primi due album 'Pale Awakening' e 'Fragments of Memories', avevano permesso al nome The Frozen Autumn di affermarsi come uno tra i più interessanti nella scena dark-wave del nostro paese. Fortunatamente tale separazione non comportò anche il termine dell'attività artistica di Diego, che decise nel 1998 di continuare da solo nel suo progetto e di affrontare assieme alla cantante Arianna un percorso più sperimentale con gli Static Movement. E fu proprio dall'incontro di Diego e Arianna che ripartì il nuovo cammino dei Frozen Autumn, che nel 2002 tornarono con il loro terzo lavoro 'Emotional Screening Device', un album che parve aver assimilato gli stessi elementi di synth-pop presenti nel notevole 'Visionary Landscapes' (primo album degli Static Movement, uscito per Eibon Records nel 1999). È un tocco magico quello dei Frozen Autumn, che rapisce con le sue fredde melodie e cattura l'ascoltatore per più di un'ora in un'atmosfera irreale, dove si risvegliano emozioni nostalgiche e i ricordi del passato ci appaiono così nitidi e frammentati allo stesso tempo. Solamente gruppi come Talk Talk, Alphaville, Eurythmics e Depeche Mode hanno saputo ricreare con pari abilità armonie tanto incantevoli e, non a caso, gli 11 brani presenti nell'album, attingono a piene mani proprio dalla new wave, rivisitando nella maniera più attuale e raffinata il suono delle band che negli anni '80 resero così popolare questo genere. Abbandonata dunque l'impronta romantica dei precedenti lavori, l'elettronica del gruppo si riveste di sonorità più gelide e taglienti, supportate da ritmi danzabili veramente piacevoli e dalle voci eteree di Diego e Arianna, che si alternano nel cantare i vari brani. Vi basterà ascoltare "Silence is Talking", "When You are Sad", "Verdancy Price" e "Second Sight (A)" per avere conferma del valore di un album che non necessita di ulteriori elogi, ma solo di un un ultimo invito, rivolto a chi leggerà queste righe, ad avvicinarsi alla musica dei Frozen Autumn e lasciarsi conquistare. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2002)
Voto: 80

https://www.facebook.com/TheFrozenAutumn/

Attila Bakos - Aranyhajnal

#PER CHI AMA: Progressive/Epic, Nightingale, Bathory
Mi ero già incazzato in occasione del precedente progetto del buon Attila Bakos, i Taranis, per lo scarso interesse mostrato nei confronti di un artista eccellente. Torno ad arrabbiarmi oggi, in occasione della recente uscita dell'album solista del polistrumentista magiaro. Attila esce con il full length d'esordio, 'Aranyhajnal', fuori esclusivamente in digitale, e proprio qui risiede la mia rabbia, la mancanza di un'uscita fisica per un album di questa caratura. Il lavoro contiene otto tracce che si muovono nella scia di un metal progressivo che lascia ampio margine di manovra alla musicalità del mastermind ungherese, che abbiamo visto coinvolto anche in altre band, come Thy Catafalque, i norvegesi Quadrivium e con i Woodland Choir. Come per il progetto Taranis, anche in questo caso Attila sembra ispirarsi a certa musica nordica e penso a Dan Swano, Bathory o agli Arcturus, nomi di una certa rilevanza, la cui spiritualità, magia, passione e una forte emotività, sembrano rivivere nelle song del sempre bravo Attila. La opener "Ősi Szó" evidenzia sin da subito l'elevata componente orchestrale messa in scena, che si miscela con una certa vena malinconica riscontrabile nelle splendide linee melodiche di chitarra, su cui si stagliano le epiche vocals del frontman, sempre in grado di trasmettere suadenti emozioni, grazie alla sua estesa linea vocale (che arriva a toccare il falsetto nella successiva "Életerő"). Una certa rilevanza la giocano anche i synth, abili a tessere splendide ed eteree melodie, duettando con la chitarra, dotata, nella seconda traccia, di una vena più folkish. Se "Lángolj" mi ricorda a livello ritmico qualcosa dei primi Nightingale, "Ármány"sembra rievocare lo spirito di Quorthon e dei suoi Bathory più epici. Non importa poi se Attila canta tutto in rigorosa lingua magiara, la release acquisisce connotati ancor più esotici che la rendono addirittura più interessante. Il disco trova modo anche di lanciarsi nell'iperspazio dello space rock, e non solo perchè l'apertura ambient di "Áldás", le palesi influenze classiche, la dirompente voce di Attila (che qui trova modo anche di sfondare nel growling), i break acustici, certi splendide digressioni etniche, rendono questa lunga traccia di oltre 12 minuti, la mia favorita tra le otto. "Sziklák Szívén" è un altro pezzo dal mood triste, ma di sicuro impatto, che oscilla tra il progressive e un approccio più violento. "Lépj át" sembra nella prima parte una ninna nanna, poi fortunatamente si riprende e dà modo a Bakos di dar sfoggio della sua preparazione tecnica, sciorinando un altro vibrante assolo. Brividi lungo la schiena, che si concludono con la fragranza estiva di "Az éj Rejtekén" che chiude questa nuova interessante opera firmata Attila Bakos. Mi raccomando ora: 'Aranyhajnal' per alcun motivo dovrà passare inosservato. (Francesco Scarci)

Laniakea - At the Heart of the Tree

#PER CHI AMA: Techno Death/Deathcore/Black, Gojira, Tesseract
I Laniakea sono una giovane band di Avignone che con l'uscita di questo full length cerca di rimarcare una posizione di rispetto in quello che possiamo definire il braccio più tecnico del death metal, unito trasversalmente a quell'attitudine mistica e di pensiero che qualche tempo fa rese grandi band come Alcest e Agalloch. I video trovati in rete non lasciano molti dubbi sul fatto che la band deponga nella forza della natura l'unica via d'uscita per l'uomo del futuro, i vari stacchi d'atmosfera disseminati tra i cinque brani del disco fungono da legame immaginario, tra i paesaggi autunnali pieni di pathos che la band usa per mostrarsi al pubblico nel web e una coltre di riff death pesanti, dallo stile chirurgico, taglienti e caricati da un sound modernissimo, freddo e potente. I tre musicisti francesi riescono a dotare il proprio suono, che affonda le proprie radici nella matrice sonora dei Gojira, di una particolare aura futurista grazie alla presenza nella line-up di una dinamica drum machine, mentre sul versante chitarristico riescono a differenziarsi dai conterranei per un tocco deathcore, simile ai Misery Index o ai mai dimenticati The Haunted, con un cantato robusto vicino ai viaggi di Dan Swanö solista, il tutto filtrato da una buona dose di impulsi modernisti di scuola Fear Factory. 'At the Heart of the Tree' gode alla fine di un buon effetto sorpresa, anche se la band mostra la sua forma migliore nelle parti più sperimentali o in quelle più tranquille, dove le doti tecniche dei due chitarristi emergono più chiaramente. Infatti, le parti più dure dei brani si dimostrano più interessanti quando il terzetto osa nell'essere più noise e sperimentale, infarcendo il tutto di suoni tecnologici e taglienti. Solo in alcuni casi i nostri soffrono di qualche veduta musicale stereotipata, complice forse il limite comprensibilissimo che può offrire una drum machine, una macchina infernale che per quanto usata ad arte, appiattisce e appesantisce l'evoluzione del brano. Un limite che comunque non arriva mai a compromettere né l'integrità e neppure la bellezza di ogni singola traccia. In generale è un debutto con i fiocchi e l'ascolto è consigliato a tutti gli estimatori del metal, suonato con una cura smisurata quasi maniacale e prodotto anche meglio. Anche l'approccio della band ad una evoluta forma di metal estrema, complessa e assai spirituale sulla via di Tesseract o Gorguts, alla fine è dimostrazione di una bella prova di maturità. Ascoltate "Pillars of Creation", la conclusiva "Le Vent Sous les Cendres" o la title track, con le sue pause atemporali sospese nel nulla, i ritorni al pulito, i riff distruttivi, per un contrasto sonoro di tutto rispetto. Ennesima delizia sonora transalpina. (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Laniakea

CONTEST WILL'O'WISP: i vincitori



Annunciamo i vincitori del concorso "Vinci una copia dell'ultima release Will'o'Wisp, 'Inusto'":

Roberto Coltro di Zimella (VR)
Lorenzo Dolciami di Magione località San Savino (PG)
Adamo Proserpio di Reno di Tizzano (PR)

Complimenti!

Le risposte corrette erano:


1) Il titolo dello storico demotape è "Nocturnal Whispers".
2) Il titolo della raccolta di poesie è "Flame in Chalice".

giovedì 24 dicembre 2015

Varen - S/t

#PER CHI AMA: Black Atmosferico, Blut Aus Nord
I Varen sono una delle innumerevoli creature di SoMnius, polistrumentista belga che vanta nel suo curriculum anche la band omonima e gli Stories From the Lost. In questo mini cd di 5 pezzi, il bravo mastermind fa coppia con Wesley Dewanckel, voce e chitarra del progetto. Cinque pezzi dicevo, aperti da "Hic Incipit Pestis" e dal suono delle campane, dal ronzio delle mosche che si cibano dei cadaveri morti a causa della dilagante pestilenza e da voci in background. La musica romba come un tuono, tra il fremito di malinconiche chitarre in tremolo picking, un programming un po' troppo glaciale, e convincenti harsh vocals, con il sound che si muove tra un black atmosferico mid-tempo, e soventi accelerazioni dal forte tono sinistro. L'album s'incupisce ulteriormente, rendendosi peraltro ancor più affascinante, con la successiva "Attero Sententia", song che mostra una certa decadenza di fondo nella matrice sonora del duo belga, ma che evidenzia anche un'inusuale ricerca di originalità a livello ritmico, con suoni non proprio convenzionali, ma soprattutto capaci di sprigionare una carica emotiva a tratti entusiasmante. Diavolo, i Varen non si presentano certo come degli sprovveduti, anzi finiscono per mettere in mostra un songwriting già maturo e avvolto da una epicità che si paleserà anche nella terza "Vermes", traccia dal piglio veemente ma che mi esalta appieno per le sue linee melodiche quasi strazianti. Il ronzio delle chitarre delinea la veste mortifera di "Manes", il quarto pezzo dell'EP, un'altra song ammantata di oscuri presagi che alla fine, risulterà il brano più claustrofobico di questa prima fatica dei Varen. La conclusiva "Odium" straborda inizialmente per l'abuso della drum machine, ma poi fortunatamente rallenta il proprio ritmo e si lancia nei vicoli ciechi tracciati dallo psicotico e spettrale sound della band. La strada imboccata dal duo delle Fiandre è decisamente buono, ora attendo solo con sommo interesse, il loro full length d'esordio. (Francesco Scarci)

mercoledì 23 dicembre 2015

Nepente - I Will Get Your Soul

#FOR FANS OF: Death/Black, Hate, Necrowretch
This new EP from the Colombian Death/Black Metal veterans offers up much of the same as what was on display throughout the rest of their offerings. The basis is on impossibly blistering riff-work augmented by truly ferocious drumming in their up-tempo moments that continue for the most part unheeded by their full-throttle paces which is an utterly devastating series of tactics that makes this here truly enjoyable. This is all nicely balanced with a mid-tempo groove-styled charge that drops the chaotic frenzy of the frantic drumming that brings in a nice amount of restraint and balance to the material as it’s not set on full-scale demolition the entire time out and that variety is nicely appreciated. A lot of this is mainly due to the rather frantic ability of the drumming to be almost triggered with a machine, lending even more of a frenzied and off-the-walls quality of the material in addition to the blistering tempos and more melodic work present throughout the rest of the album which gives it that absolutely dirty and primal sound that’s so common and enjoyable about extreme South American bands. On the whole there’s little about this that’s not to like, it just mainly comes from the fact that being only four tracks long it’s over so quick and is so enjoyable as it runs through its paces that it serves as a teaser more than a collection of extra tracks and really seems destined to fall short as if a full-length effort would be more appreciated despite the consistent and cohesive quality displayed here. For the most part this is a wholly enjoyable and explosive piece of work. The title track opens with a light acoustic guitar before blasting into frenzied, chaotic drum-blasts and wholly ferocious riffing firing through blistering tempos as the impossibly brutal machine-gun blasts and the accompanied tremolo-picked rhythms continue jockeying throughout the ravenous pace with the lighter tremolo riffs into the final half for a truly enjoyable first impression here. ‘Show Me That You Are Suffering’ offers a lighter tremolo-styled rhythm swirling through blistering drumming into an intense mid-tempo charge balanced with the frenzied riffing and frantic drumming that comes off with ferocious intent with the pounding rhythms firing along through the finale for another stand-out highlight. Being a little more melodic, ‘Gray Lands’ starts with a ravenous mid-tempo charge with restrained riffing and drum-work that works a devastating mid-tempo groove augmented with plenty of blistering drumming and a fine series of tremolo riffs that offer a melodic touch to the mid-tempo work with a frantic final half that makes this another fully enjoyable and standout track. Finale ‘Last Rites’ offers blistering drum-work and dynamic tremolo riffing with dynamic rhythms bouncing from the frenzied up-tempo blasts through the more melodic tremolo patterns through the sprawling, droning paces with a dynamic mid-tempo crunch giving way to the extended fade-out final half for an exciting conclusion to this. It’s really only the fact that, being so short it desperately leaves the listener wanting even more that lowers this somewhat. (Don Anelli)

(Cimmerian Shade Recordings - 2015)
Score: 85

lunedì 21 dicembre 2015

Poseidon – Octavius

#PER CHI AMA: Symphonic/Cinematic/Progressive, Arcturus
La band russa di Stravropol, dopo aver pubblicato nel 2014 'Infinity' per Argonauta Records, è tornata in pista, nell'estate del 2015, con questo lungo singolo di quasi dieci minuti, qui proposto in doppio formato composto da una lunga suite cantata e a seguire lo stesso brano in veste strumentale. Devo ammettere che mai riferimento ad un genere fu più azzeccato di quello che gli stessi autori si sono affibbiati, ossia 'cinematic metal'. Il brano è straordinario, carico di suggestioni sonore vicinissime alle colonne sonore, preferibilmente epiche, classicheggianti e sinfoniche, oserei quasi dire perfette sotto ogni profilo. Pur mantenendo una forma molto metal, il suono acquista sfaccettature progressive e moderne con una qualità sonora veramente degna di un colossal, suonato divinamente e concepito per stupire, aiutato poi da un'ottima produzione. Nella versione cantata, la performance vocale fa la differenza, solcando le orme di un death metal sinfonico, in cui il canto dona ulteriore epicità al brano, e l'interpretazione a più voci risulta veramente indovinata e di alta qualità. Nulla è fuori posto, è tutto esageratamente completo e stilisticamente perfetto, cori, synth, tastiere e chitarre dal divino, classico gusto progressivo, una sezione ritmica impeccabile, compatta e peculiare, precisissima, effetto cinematografico ed un modo di intendere il metal senza singoli sfarzi musicali ma una coralità invidiabile, una compattezza adorabile, un'ottima attitudine al suono d'insieme, ideale per raggiungere l'intento sonoro della band, ovvero, un maestoso e potente metal progressivo dal sapore fortemente cinematico. Dieci minuti di intenso piacere, da ascoltare interamente senza riserve. Ottimo lavoro, ora attendiamo il full length! (Bob Stoner)

(Crowford Records - 2015)
Voto: 80

Interview with Windfaerer

Follow this link to know much better the US sensation Windfaerer and their incredible sound in the vein of Australian Ne Obliviscaris:



sabato 19 dicembre 2015

Sky Shadow Obelisk - Beacon

#PER CHI AMA: Prog/Doom, Aarni
Peter Scartabello, cognome tipicamente italiano, è l'uomo che si nasconde dietro al moniker Sky Shadow Obelisk e alla musica assai particolare contenuta in 'Beacon', disco di debutto del polistrumentista americano dopo un paio di EP. La proposta del musicista del Rhode Island non è quanto di più facile potrete ascoltare: è necessaria infatti una certa predisposizione allo sperimentalismo sonoro e avere anche timpani adatti ad accettare il cantato alieno del mastermind statunitense. 'Beacon' consta di cinque brani, alcuni dei quali parecchio lunghi (si sfiorano addirittura i 20 minuti con "Velus Temporum"). Il disco si apre con le atmosfere inquietanti, ma aliene si addice di più, della title track: una melodia stralunata e totalmente dissonante (leggasi Ved Buens Ende) su cui si instaura la voce psicotica del buon Peter, che propone una timbrica pulita ma di assai difficile approccio in quanto appare palesemente stonato. Non ho la più pallida idea se l'effetto sia voluto o meno, ma ascoltando le linee melodiche totalmente sghembe, mi farebbe propendere per una scelta voluta che conduca ad una proposta musicale fuori dagli schemi e da ogni termine di paragone con altre realtà musicali. L'obiettivo alla fine è centrato. Anche nella seconda "The Ancient Yeasts of Yoh-Vombis", titolo che richiama inequivocabilmente l'occulto mondo di H.P. Lovecraft, attraverso una song lenta, e resa triste dal cantato drammatico di Peter (che qui trova sfogo anche in una veste growl), troverete una proposta assai sperimentale e non comune. La musica, nella sua lentezza disarmante, palesa una certa influenza che rimanda al rock progressivo e a fraseggi jazz. Influenze che svaniscono con la più ruvida e death doom oriented "Scepter of the Black Sun", che mette in luce uno splendido assolo e una serie di ubriacanti scale ritmiche conclusive. Non è certo la campana di "For Whom the Bell Tolls" quella che risuona in "The Polymorphic Bell of the Messenger", un'altra song che evidenzia la natura psicotica e sperimentale dell'artista di Providence. Sul suono di una campana infatti si insinuano una serie di improbabili suoni intergalattici e vocals robotiche. La sperimentazione qui raggiunge livelli parecchio elevati e se non vi sentite pronti ad andare oltre i vostri limiti, è molto meglio che vi interrompiate qui. Mr. Scartabello è un pazzo furioso lo devo ammettere, per cui nulla suonerà convenzionale nel delirio musicale in cui vi imbatterete ascoltando 'Beacon'. Frastornato da suoni idiosincratici, mi preparo a scalare gli ultimi 19 minuti di "Velus Temporum", neanche fosse "L'Alpe d'Huez" nel Tour de France. È funeral doom quello che mi attende al valico orrorifico di quest'ultima traccia, che mi fa sprofondare in un dirupo di disperazione e paranoia, consumandomi i pochi neuroni avanzati nel mio cervello. Il connubio voce delirante e growl, instauratosi sul tappeto plumbeo, suona come angosciante e agonizzante per il sottoscritto, pur mostrando tuttavia qualche punto di contatto con i primi Candlemass. Fortunatamente e in modo alquanto inatteso, mi imbatto in 5-6 minuti di silenzio, manna dal cielo per la mia mente già consumata, dopo aver affrontato un album del genere. Ma rimangono ancora gli ultimi due minuti di cui godere: altri estranianti suoni di un folle musicista. Marziano. (Francesco Scarci)

(Yuggoth Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/skyshadowobelisk

Closet Disco Queen - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock/Psichedelia
Oggi parliamo di un interessante duo svizzero, precisamente da La Chaux-de-Fonds, città storicamente conosciuta per essere il centro strategico dell'industria orologiera. Qui, Luc (batteria) e Jona (chitarra) si sono incrociati e hanno unito la loro esperienza pregressa per formare un power duo strumentale che fonde psycheledic kraut rock’n'roll con influenze prog. Il risultato è spumeggiante e il loro album di debutto è da ascoltare con attenzione: molti strati si susseguono ed anche se al primo approccio l'ascolto fila via liscio come l'olio, man mano che 'Closet Disco Queen' girerà nel vostro lettore cd, percepirete sempre nuove sfumature ed intrecci. Un po' come l'idea dell'album che nelle sette tracce vuole raccontare la storia di una brava ragazza, ma che in fondo nasconde un'attitudine da bad girl, la classica bambina cattiva. Nel lavoro troviamo diverse influenze ma volendo sintetizzare si tratta di un post rock unito a passaggi jazz con tappeti ambient che mantengono l'ascoltatore in costante stato di tensione emotiva, pronto a sfociare in un turbine di battute e accordi sgraziati al limite del noise. "Hey Sunshine!" è l'opening track che inganna per quel suo appeal positivo e crescente dove la velocità di esecuzione è al limite delle possibilità umane, ma comunque lascia spazio a melodie meticolose e repentine. Il batterista è probabilmente il musicista più felice su questa terra, infatti trova largo spazio per poter tessere paradiddle vorticosi e trascinanti. Spesso si ha quasi l'impressione che trascini anche la chitarra nel suo mondo di battute alternate, ma è una sensazione che dura poco perchè si viene subito investiti dai riff intrecciati della sei corde. Quest'ultima punta su un suono minimalista, una leggera distorsione e riverbero per non essere incatenata nell'esecuzione e pertanto avere la massima libertà possibile. Ottima sia la progressione che l'evoluzione melodica del brano che termina con un outro ambient-post rock per allacciarsi al pezzo seguente. "Caposhi" rallenta e punta su un riff ossessivo di chitarra che si ripete come un mantra, sempre inserito su una ritmica ostica e puntuale, caratteristica ormai assodata della band. Pian piano il brano si apre, acquista potenza gradualmente e finalmente il riff cambia, rimanendo semplice e di facile ascolto. Sicuramente una song dal discreto impatto prog nei live. L'album si chiude con "Black Saber", una suite di dodici minuti di puro rock psichedelico alla vecchia maniera, dove chitarra e batteria si fondono come due amanti senza tempo a formare un duo perfetto. Anche qui groove a palate con tanto di assolo selvaggio, pochi orpelli, ma musica vera e sudata come nei '70s. A tre quarti del brano i Closet Disco Queen rallentano, si prendono una piccola pausa per riprendere fiato e via che si imbarcano in un crescendo che li porterà a chiudere in bellezza, a suon di feedback. Un gran bell'album, disponibile in digisleeve, vinile e digitale, un lavoro che si incastra perfettamente in una collezione rock con reminiscenze anni '70, ma rivisto in chiave prog/psichedelica. (Michele Montanari)

(Hummus Records - 2015)
Voto: 80

https://www.facebook.com/closetdiscoqueen/

giovedì 17 dicembre 2015

CONTEST

Vinci una copia dell'ultima release Will'o'Wisp, 'Inusto'.



Aggiudicatevi una copia del nuovo album dei Will'o'Wisp, rispondendo correttamente a due semplici domande che riguardano rispettivamente l'esordio e la nuova fatica della band ligure:

1. qual è il titolo dello storico demotape di debutto dei Will'o'Wisp?
2. qual è il titolo della raccolta di poesie pubblicata da N. Roerich su cui si basa il concept di 'Inusto'?

Il concorso prevede che gli intestatari delle prime 3 mail contenenti le risposte corrette inviate a pozzodeidannati@yastaradio.com entro e non oltre il 20 dicembre 2015, riceveranno direttamente a casa una copia del cd, licenziato dalla band nella primavera di quest'anno.

mercoledì 16 dicembre 2015

Void Of Sleep - New World Order

#PER CHI AMA: Psych Rock/Occult Progressive
Stavolta ho fatto le cose per bene. Ho ascoltato il singolo in streaming per il lancio del nuovo album, sono andato ad uno dei primi concerti del tour (il release party era un po' fuori mano, ma mi pento ancora di averlo perso) e ho preso il nuovo album direttamente dalle mani della band. Questo è la breve cronistoria del mio approccio a 'New World Order', secondo album dei Void of Sleep (VoS). Per chi non li conoscesse, il quartetto di Ravenna si è formato nel 2010 ed ha all'attivo un EP prodotto nel 2011 e il primo album, 'Tales Between Reality and Madness', uscito nel 2013. In questi anni di duro lavoro, la band ha riscosso grande successo, sia sul palco (condividendolo con OM, Unsane, Mondo Generator e tanti altri) che a livello di produzioni. I ragazzotti infatti hanno fatto un percorso impegnandosi costantemente e grazie al positivo allineamento astrale del mondo della musica, ora sono una realtà importante della scena musicale nostrana (e non solo). Diciamo subito che rispetto al precedente album c'è stata un'evoluzione del sound, passando infatti da un mix di doom, stoner, sludge e psychedelic rock ad un metal prog dalle venature occulte. Anche questo secondo lavoro è prodotto dalla Aural Music che non ha esitato un momento a prendere sotto la propria egida una band di tale spessore musicale. I sette brani contenuti nel jewel case, peraltro dalla grafica assai curata, sono un perfetto mix di tecnica, arrangiamenti e qualità sonora, che vi avvolgeranno nelle loro lunghe spire e vi porteranno nell'oscuro mondo della band, fatto di poteri occulti che governano il mondo. Non a caso il primo brano si intitola "Devil's Conjuration": qui i riff di Gale sanciscono l'imperioso avanzare della batteria (Allo) e del basso (Paso, peraltro noto produttore della scena metal) che formano assieme una miscela accattivante fatta di ritmiche incalzanti, distorsioni potenti e appaganti all'orecchio. La voce di Burdo ha una timbrica particolare e camaleontica, prima eterea ed elegante quando i riff sono più leggeri, poi aggressiva e d'impatto seguendo l'evoluzione del brano. Quest'ultimo alla fine è ben fatto e consta di quattro minuti dotati di una progressione costante e convincente che si ascolta con gusto e soddisfazione per i nostri timpani. In "Ordo Ab Chao" (motto massone che significa "ordine dal caos") si inizia in modalità stoner/psichedelic rock, a conferma che i Void of Sleed non rinnegano le proprie radici. Dopo questo breve excursus, riff e melodie riprendono il mood attuale della band, con evoluzioni stilistiche e melodiche in un continuo turbinio sonoro, a rispecchiare il senso del brano che richiama appunto l'ideologia che solo attraverso il raggiungimento del massimo livello di caos, le persone saranno disposte ad un regime di ordine e quindi di potere gestito dagli eletti. Si aggiungono poi momenti di claustrofobia, specialmente nella parte del parlato, dove temporaneamente gli strumenti calano di intensità, ma solo per preparare un ulteriore slancio. Alcuni hanno scritto che i VoS richiamano Opeth e Tool, vero in parte, soprattutto perché la band di Ravenna è riuscita a forgiare un proprio sound e uno stile personale che gli permette di essere ben identificabile. La title track probabilmente rappresenta al meglio la band: otto minuti abbondanti in cui troverete tutta l'essenza mistica dei VoS racchiusa in un vaso pronto a liberare gli spiriti ormai oppressi da troppo tempo. Le linee melodiche sono assai complesse, le chitarre si sovrappongono per qualche battuta, poi si allontanano per seguire i propri arrangiamenti e si ricongiungono più avanti per esplodere all'unisono, mentre batteria e basso si occupano della loro sezione in maniera scrupolosa. Ancora una volta il vocalist interpreta il brano in maniera ineccepibile regalando sempre grande enfasi ai vari passaggi della canzone. In definitiva ci troviamo di fronte ad un ottimo full length, pensato, eseguito e registrato con perizia, da una realtà da seguire ed apprezzare. I VoS hanno fatto la loro parte, ora tocca a noi sostenerli e farli crescere ancora di più. (Michele Montanari)

(Aural Music - 2015)
Voto: 85