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sabato 4 dicembre 2010

Ancestral Legacy - Trapped Within the Words


Una band norvegese con una cantante messicana? Beh, non capita tutti i giorni di trovarsi di fronte ad una simile situazione, con la brava Isadora Cortina che ha lasciato il caldo tropicale per le fredde lande nordiche, bel coraggio ha avuto, andando a sostituire la defezionaria Elin che ha deciso di abbandonare i propri compagni dopo un tremendo incidente automobilistico occorsole nell’autunno 2007. L’ensemble scandinavo, sconosciuto ai più ma comunque già in giro da diversi anni, propone un sound non certo originalissimo, ma che comunque ha ancora un vasto seguito nella scena metal, complice sicuramente i successi dei nostrani Lacuna Coil in primis, Tristania e Sirenia a seguire. Avrete dunque capito che il genere dei nostri si barcamena all’interno della scena gothic death e questo “Trapped Within the Words” rappresenta un prelibato antipasto (5 tracce per 28 minuti di musica) di quello che sarà il nuovo album schedulato per l’inizio del 2010. La band infatti ha già pronte 15 tracce scritte nel corso degli ultimi due anni e questo Ep fa da apripista con 4 nuove songs (di cui una strumentale) più la riedizione di “Atrapada en Pesadillas”, (che sarà presente in una differente versione nell’album “Nightmare Diaries”), dove appunto, in veste di ospite compare Isadora (ora fissa nella band). Il sound dei nostri dicevo, è un piacevole mix di metal aggressivo, costruito su lineari riff di chitarra, qualche arpeggio, growling vocals e gli eterei vocalizzi (non proprio eccelsi a dir la verità) della già citata Elin. “Trapped Within the Words” si apre con la ruvida “Forsaken” che mostra immediatamente il lato più violento del quintetto di Aust/Agder: riffs belli tosti, sound corposo, interrotto solamente dal canto di Elin che prova ad imitare l’ugola della nostra Cristina Scabbia, non raggiungendo tuttavia i risultati della brava vocalist italiana. Buona la seconda “Wordless History”, song potente e tirata ma pur sempre melodica, un mix dei primi Dismal Euphony e degli Enslavement of Beauty, carica di atmosfere grondanti malinconia e disperazione. La già citata “Atrapada…”, una sorta di ballad spagnola, ci fa conoscere la promettente voce di Isadora, speriamo bene nel nuovo lavoro. La dinamica “Disclosed” riprende l’incedere arrembante di “Wordless History”, ma ahimè sono sempre le female vocals a non convincere appieno, mentre il growling di Eddie ricorda vagamente Shagrath dei Dimmu Borgir. A chiudere ci pensa la strumentale e acustica “Glimmer” song che nasconde nel suo finale una ghost track, dove un pianoforte accompagna per mano la malinconica voce di Elin. Interessanti, suadenti e intriganti, da riscoprire assolutamente con la nuova vocalist nell’imminente nuovo album. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65

Sacram - Far Away


Giunge con notevole ritardo sulla mia scrivania (ben 2 anni dopo la sua uscita), questo mcd di quattro pezzi dei greci Sacram: si tratta di un assalto all’arma bianca di chiara matrice swedish death. Il cd si apre con l’arpeggio malinconico di “Despair” e il profondo basso di Michalis in primo piano: poi esplode il rifferama tipico nord europeo, con chitarre melodiche di base e una batteria serrata a dettarne i ritmi, con la voce acida di Paschalis a urlare tutto il suo dissapore. La song è assai breve (2 minuti e mezzo) e lascia ben presto spazio alla lunga title track, un mid tempo controllato nel suo incedere iniziale, ma che nella sua parte centrale mostra le pregevoli doti dell’act ateniese con inframmezzi acustici, parti atmosferiche e raffinati assoli (l’ultimo forse un po’ scopiazzato da “Skydancer” dei Dark Tranquillity) ad opera della coppia di asce John e Simos. È tuttavia la terza traccia, “Family”, ad esaltarmi maggiormente per la sua variegata struttura: attacco risonante di batteria, un breve accenno melodico di chitarra e poi via, al galoppo con le classiche cavalcate tipiche del sound svedese; sorpresa finale con qualche momento di personalissima improvvisazione, arditi i ragazzi... La conclusiva “Everything Splinters” chiude con le sue autunnali melodie ed un fantastico assolo conclusivo, un discreto mcd che mi prepara con trepidazione alla imminente uscita del nuovo full lenght. Da tener d’occhio, perché il combo ellenico si dimostra parecchio interessante. (Francesco Scarci) 

(Self)
Voto: 70

Kenos - X-Torsion


Devo essere sincero, i Kenos non sono mai rientrati tra i miei ascolti preferiti, pur avendoli seguiti fin dai loro esordi a livello di demo, con il famoso “Rigor Mortis”. A distanza di tre anni dal precedente “The Craving”, mi avvicino ancora una volta con titubanza alla loro proposta musicale per recensirli, ma dopo aver infilato il loro cd nel lettore, mi trovo nella situazione di dover verificare se effettivamente quelli che sto ascoltando siano realmente i Kenos. Già dall’iniziale “Room Sexteen” infatti, il quintetto mi stupisce per la modernità dei suoni, la freschezza della proposta, l’utilizzo di female vocals e di ritornelli accattivanti, ma che diavolo è successo? Per carità sono felicissimo, mi ritrovo addirittura a fischiettare le magnifiche melodie della opening track. L’inizio di “2012 Omega Assimilation” mi richiama per le sue vocals i Cradle of Filth, ma poi l’impianto musicale è più propriamente thrasheggiante, (anche se dentro di me vorrei dire rockeggiante) nel suo incedere iniziale, per poi esplodere in un susseguirsi di emozioni, con le vocals di Alessio Giudice che si alternano tra il lugubre (Dani Filth docet), il clean, il growl e l’evocativo, mentre le ritmiche si rincorrono impazzite in un intricata mistura di rock schizofrenico, supportato da arrangiamenti orchestrali, direi magistrali. Non so cosa sia successo alla band ma il risultato è a dir poco sorprendente. La terza “Encounter” fa un po’ il verso ai godz svedesi Meshuggah, pur mostrando qualche segno di cibernetica provenienza. Una piccola pausa con “I Remember” ed ecco i nostri tornare a segnare il passo con la title track e incendiare l’aria. “X-Torsion” è un altro esempio di come i nostri siano stati in grado di evolvere il proprio sound nel corso di questi anni e della loro innata capacità di saper miscelare la furia del death con i tecnicismi del prog e decine di altre contaminazioni derivanti dalla musica elettronica, come pure dal classic metal (“in “Bitchswitch” i nostri giocano a fare un po’ gli Iron Maiden di turno, song che rientra tra le mie favorite) o al cyber stile Fear Factory. Finalmente, la band ha fatto il colpo gobbo e questa volta il loro cd non è da lasciarselo scappare in alcun modo. Ritmiche assassine alternate a riff raffinati, momenti atmosferici, giravolte progressive, sfuriate black, ballad acustiche, rock’n roll, schegge elettroniche e tanto sano groove, convivono tutti insieme in questo interessantissimo lavoro, che finalmente consacra una band dalle grandi potenzialità, mai completamente esplose a mio avviso, ma che con questo “X-Torsion” centra finalmente l’obiettivo. Bravi, graditissimo come back! (Francesco Scarci) 

(My Kingdom Music)
Voto: 75

Laeta Mors - Deafening Silence


Un look anni ’80, un sound veramente old school e un artwork tipico del brutal death degli anni ’90, contraddistinguono un po’ questo lavoro dal sapore cosi retrò, dei nostrani Laeta Mors. Non so quanto di positivo trovare in tutto questo in quanto a mio avviso, il quartetto italico (anche se nella foto interna del booklet sono in tre) incappa in una proposta quanto mai scontata e di scarso valore, se non per gli amanti di un genere, un thrash death d’annata, che potrebbero consolarsi in questo momento con uscite di ben altra caratura. Mi spiace sempre stroncare gli album, soprattutto quando provengono dal nostro paese, ma cosa volete che vi dica, in giro ci sono cosi tante proposte musicali ben più brillanti di questa che non riescono a trovare uno straccio di contratto, che mi sembrerebbe un bestiale insulto accogliere positivamente questa release. “Deafening Silence” è un concentrato dinamitardo di death thrash grezzissimo, con ritmiche sostenute, batteria stile contraerea (complice l’utilizzo della drum machine), harsh vocals e poco di più, per non parlare poi di una produzione a dir poco superiore alla sufficienza. Fortunatamente non tutto è da buttare di questo cd, ma qualche bel (seppur brevissimo assolo) fa la sua comparsa nella mezz’ora noiosa di questo inutile lavoro (“Fatal Thoughts of Suicide”, “My Life is Your Defeat” e la title track, tanto per citare qualche esempio). Pur ricevendolo ora, questo cd è datato 2007, quindi auspico che i nostri abbiamo potuto migliorare il proprio sound in questi tre anni. Per il momento mi spiace, ma si parla di rimandatura a settembre (giusto per rimanere in tema col passato). (Francesco Scarci) 
(Cimitero Records)
Voto: 55

mercoledì 1 dicembre 2010

GID - Saturnine

 

Recensire un cd di tre pezzi non è mai facile, tanto meno trovare notizie sui GID, ma alla fine ci sono riuscito. I GID non sono altro che un progetto solista di tal Michaël Ball (UK) che di balle (passatemi la battuta facile) ne ha e si sente in questo EP. Tre tracce per un totale di 12 minuti oscuri e pregni di atmosfera. Il buon Michaël infatti subisce le influenze doom ed ambient degli ultimi anni, miscelando neanche tanto male il tutto. Dopotutto lui stesso nel blog confessa l' abuso di Isis e Novembre. Chitarre semplici ma personali, suoni puliti ricchi di riverberi e delay, distorsioni possenti ma per certi versi delicate e malinconiche. Il resto accompagna il tutto facendo il suo dovere. Addirittura il basso di "The Aching dark" fa da strumento trainante per gran parte della traccia... sublime! Il mio pezzo preferito è l' ultimo, "A Burning Star", lento ma che va dritto al lato del cervello che recepisce le sfumature dark e gothic. Piccolo dettaglio: si tratta di un progetto puramente strumentale. Di solito non apprezzo questi lavori ma devo dire che "Saturnine" ha scavato una piccola nicchia nel cuore di un purista come me. Sarà che mentre ascoltavo i pezzi mi immaginavo una voce tipo Steven Wilson riecheggiare nelle mie orecchie. Consigliato... (Michele Montanari)

EP Scaricabile gratuitamente da http://gidmusic.bandcamp.com/album/saturnine.

(Self)
Voto: 70

Mondayish - Nothing to Say


Ed eccomi con il cd "Nothing to say" dei milanesi Mondayish. Allora, questi fannulloni con nessuna voglia di lavorare dopo il week-end hanno veramente niente da dire? Sicuramente la copertina farebbe intuire di si, ma non fermiamoci alle apparenze e andiamo a scavare a fondo per lo meno dando un'ascolto alle tracce prima di giudicare frettolosamente. "Milkweed" inizia rockeggiando basso e allunga a tratti, richiamando i buon vecchi Nirvana e affini. Ottima voce per il genere, calda e rozza, il tutto condito da un buon intreccio chitarra-basso-batteria tipico delle rock band a tre elementi. Tutto diventa più intimo e la sintonia è più facile da trovare. E si sente. "Cannibal" è un buona ballad, come pure "Paper Wings", malinconiche al punto giusto per fare un break durante questo potente "Nothing to say". Si passa anche attraverso l'ottima title track, dove la banda di Washington ha lasciato un segno pesante, quasi indelebile, negli animi dei Mondayish. Lati negativi di chi ascolta? Ovvio, tanti passaggi e soluzioni musicali sono sicuramente già sentite, dopotutto del Grunge è stato detto e fatto quasi tutto. Di positivo invece c'è il resto, basta approcciare i Mondayish per quello che sono, un ottimo gruppo che vuole suonare divertendosi e suscitando la stessa emozione in chi li ascolta. Per qualcosa di innovativo ci sono tanti altri gruppi. Personalmente se suoneranno in zona non mancherò, cercando il posto più vicino alle casse perchè dopo tutto diciamolo, questo rock va ascoltato saltando e godendo. Senza pretese. (Michele Montanari)

(Self)
Voto: 70

sabato 27 novembre 2010

Frailty - Frailty EP


Voi non avete idea di quanto sia fiero ogni volta che mi capita in mano un cd a tiratura limitata numerato a mano… è il caso dei lettoni Frailty che escono con questo Ep di cinque pezzi, che in realtà non sono altro che vecchio materiale della band baltica, mai rilasciato prima del full lenght “Lost Lifeless Lights”, uscito lo scorso anno. Sapete già della mia forte simpatia per le band dell’ex blocco sovietico, perché sono convinto che abbiano veramente un sacco di cose interessanti da trasmettere con la loro musica pregna di vibrazioni e i Frailty non sono certo l’eccezione. I nostri partono subito alla grande con una song di otto minuti abbondanti, “Silent Winter” e già dal primo ascolto sono in grado di solleticare il mio palato e miei sensi, con il loro death doomeggiante, ricco di pathos e malinconia. Immediatamente torna a riecheggiare nella mia mente “Serenades” degli Anathema: le atmosfere angoscianti presenti in ogni traccia, quei riff di chitarra carichi di pesantezza, plumbee nuvole portatrici di pioggia, disperate melodie e un growling profondo caratterizzano questo lavoro di 5 pezzi e poco più di mezz’ora di durata. Della prima traccia mi piace tutto, in più c’è quel suo riff accattivante di chitarra che fa capolino qua e là e ti si pianta nella testa, continuando a risuonare nella la mia mente. Si, mi piace l’andatura dei combo proveniente dalla piccola Lettonia: c’è classe, eleganza, cattiveria al punto giusto, sono convinto che i nostri possano essere in grado di far parecchia strada. “Black Phoenix”, “Scarlet Prophecy” sono ottimi esempi di come si possa fare death doom al giorno d’oggi, senza inventare nulla di nuovo, ma solo dando ascolto al proprio cuore e alle note contenute nel suo interno. È cosi che mi sento io oggi, come “The Shining”, la song più deprimente del lotto: quel suo incedere pachidermico, quelle sue ancestrali atmosfere alla “Gothic” dei Paradise Lost, con il growling mischiato allo screaming e un profondo senso di solitudine, vuoto e malessere ad avvolgere le nostre membra. La conclusiva “A Flower In The Dark Tide” partendo dalle ultime evoluzioni dei danesi Saturnus, mostra tutto l’amore del sestetto di Riga per questo genere musicale e per gli ultimi feroci My Dying Bride, e io non posso che esserne felice. Ho trovato un’altra band in grado di donarmi emozioni, una band capace di miscelare nel proprio sound death black heavy e funeral doom. Che volete di più dalla vita? Io un nuovo cd dei Frailty... (Francesco Scarci) 

(Self)
Voto: 75

Heinrichreich - Druid


Non mi sento di salvare proprio nulla di questo “disco” anzi, questa parola: nulladefinisce la vera essenza ovvero l’inesistente sostanza di queste tracce, buttate lì, in qualche maniera. Non a caso ho usato la parola tracce perché le canzoni, quelle vere, sono basate sull’armonia, fattore di cui “Druid” è ahimè del tutto privo. L’intro di apertura “Cill and Disirt”, pezzo strumentale, non erige quell’atmosfera in cui un intro dovrebbe saperci calare e non riesce a condurci per mano tra le successive canzoni. Come ho detto prima, però, di canzoni non ve ne sono ed infatti eccoci or ora trascinati, ma che dico, stuprati con “The Legend of the Banshee”: è questo il modo di violentare una batteria? Non era più semplice e “melodico” campionare una raffica di mitra? Il risultato sarebbe stato certo migliore. Con “Blood and Soil”lecosesembrano apparentementemigliorareanche se qua e là qualche sbavatura vocale si fa notare. Quella del sangue comunque era solo un’illusione, infatti eccoci ancora una volta maltrattati con “Castles in Neslusa Forest” che scorre via, senza troppo farsi notare non aggiungendo nulla al disco. A questo punto cosa dire di “Samhain”? Un altro fiasco, ovvio. Quanto banale e fuori luogo sono quelle tastiere. Con “Slavic Feast” si tocca veramente il fondo ma non solo: si cerca addirittura di raschiare! Ancora una volta non ci siamo: qui sono le corde a prostrarsi chiedendo pietà. Analogamente con la successiva “Immortal March” mi sento di richiamare un’altra volta all’ordine Jorg, il factotum dellaband e fautore di questo tremendo supplizio. Altro che immortale, questo è il colpo tanto lesivo quanto letale per il druido. La sua magia non basta a salvarlo. Mi chiedo invece: di magia ne ha mai posseduta? Non sono sufficienti pause ad effetto o raddoppi e dimezzi del tempo per definire “tecnica” una canzone; i tempi dispari lasciamoli pure ai Dream Theater! La canzone strumentale “An Gorta Mor”, song che nella concezione del disco doveva forse solo fare da contorno a tutto il resto, risulta invece essere un sostanzioso primo piatto, assai semplice ma in grado di trasmettere emozioni, ideale come ottimo intro o outro per un buon disco. L’inizio di “Dying Emotions” sarebbe il proseguio perfetto della precedente song, ma ben presto tradisce la sua vera essenza: banale, scontata, pesante ma non nel senso “metallaro” del termine. L’ultima traccia “Green Fields of Hibernia”, lascia finire il disco con l’amaro in bocca anziché deliziare il palato come un dessert dovrebbe fare. In definitiva, quindi, il nome di un gruppo abbastanza noto mi sovviene per battezzare liturgicamente questo “lavoraccio”: quello degli Zero Assoluto. Lasciatemi riposare in pace, riavvito il coperchio della mia bara e non azzardatevi mai più a disturbare la mia anima irrequieta ivi prigioniera che si rigira, con simili e sterili litanie. (Rudi Remelli) 

(Self)
Voto: 45

Solerrain - Album Demo


Si sa quanto l’Est Europa sia un importante bacino dove andare a pescare le band più interessanti in ambito metal. Russia, Ucraina e paesi Baltici rappresentano poi i luoghi dove evidentemente si cresce a pane e metal, perché questi Solerrain sono una realtà estremamente interessante che le case discografiche non dovrebbero lasciarsi sfuggire. Inizialmente influenzati dal sound dei Children of Bodom, il quintetto di San Pietroburgo, il cui nome deriva dalla combinazione delle parole “Solitary” e “Terrain” (quindi terra abbandonata), ci deliziano i timpani con questo demo cd di (ahimè) solo tre pezzi, cercando di combinare gli insegnamenti dei maestri, con una propria distinta personalità. La prima cosa che balza all’orecchio è sicuramente la pulizia e la freschezza dei suoni, la potenza che alimenta un frenetico headbanging già dall’iniziale “Your Hell”, song ricca di cambi di tempo, parti estremamente melodiche e aggressive al tempo stesso e con i classici giri di chitarra che hanno reso celebri i “figli di Bodom” (forse l’unica pecca di cui i nostri dovranno liberarsi al più presto). Si passa alla successiva “The Promise”, che mette in luce le capacità tecnico-compositive del combo russo, rendendoli a mio avviso migliori e per lo meno più vari dei già succitati colleghi finlandesi. Il death melodico si miscela alla perfeziona con l’heavy metal puro alla Iron Maiden, per ciò che riguarda l’epicità delle ritmiche. La voce di Pavel è perfetta per questo genere, mantenendosi sempre in secondo piano rispetto alle ritmiche. La terza e ultima “The Curse” chiude con rammarico questo demo cd, perché sinceramente mi stavo divertendo nell’ascoltare questa band dotata di grandi potenzialità. Che meraviglia potersi guardare intorno e vedere che ci sono decine di band interessanti (e sconosciute) a cui prestare il nostro ascolto, i Solerrain sono una di queste… (Francesco Scarci) 

(Self)
voto: 75

Rheinkaos - Demo Cd


Affrontare questo cd non è tra le cose più semplici da fare, in quanto nelle poche tracce (tre per venti minuti circa) ivi incluse, si possono riscontrare un sacco di influenze che potrebbero ingannare ripetutamente l’ascoltatore. Le delicate note di piano (stile Massive Attack), l’atmosfera cibernetica e le angeliche vocals di Gogo che si ritrovano in “Drink the Effect”, sembrano portarci in una direzione che ben presto nel corso del brano, i nostri saranno in grado di smentire e ribaltare follemente. Eh già, perché non appena la voce (oscura) di Savaoth fa il suo ingresso e i nostri iniziano a martellare con le atmosfere tipiche del sound ellenico, una serie di suoni soffusi, delicati e maledettamenti inattesi (presi in prestito dalla trance music o dalla lounge), ci stordiscono per la loro capacità di disorientarci completamente. È solo calma apparente che poi si trasforma in furia, ma furia controllata, che mi ha riportato alla mente i suoni primordiali dei grandiosi Septic Flesh. Il quartetto greco genera suoni incredibilmente piacevoli e di gran classe che si insinuano nella mia mente e mi spingono a volerne di più, in quanto derivativi da generi estranei al metal (interessanti infatti alcune incursioni jazz). La seconda “Witness to Your Disguise” mette in luce la vena più industrial della band, non perdendo tuttavia, nel suo incedere ipnotico e claustrofobico, la propria identità e le proprie origini. D’altro canto l’idea che sta dietro ai Rheinkaos è quella di sperimentare l’ambient e le sue strutture minimalistiche, mantenendo comunque una propria identità heavy metal, che finirà per trasformarsi nella conclusiva “Bring the Shadows”, in estremismo black/death, mostrandoci l’enorme classe che risiede nelle corde di questi musicisti. Quest’ultima è decisamente la song più violenta del lotto che magari più si avvicina agli standard della scena death, tuttavia alcuni suoi passaggi evidenziano ancora una volta un talento smisurato per questa band, capace di condurre sonorità d’avanguardia (alla Ulver per intenderci) in chiave estrema. Come al solito, so che le mie parole vogliono dire tutto e niente, ma vi invito ad andarli a cercare sul web per capire come si possa ancora fare musica originale in ambito estremo e poterlo contaminare con elementi techno o free jazz. Se siete dotati di una mentalità aperta, contattate per favore la band, per far vostro questo Mcd, non ve ne pentirete. Ho limitato la votazione solo perché si tratta di 3 tracce, ma sarebbe potuta essere molto più alta. Eccezionali! (Francesco Scarci) 
 
(Self)
Voto: 80

domenica 21 novembre 2010

Abrogation - Sarggeburt


Quarto album per questa band di Magdeburgo che esce a distanza di 4 anni da “1487” e dopo 2 anni di lavorazione (simpatico il video sul sito www.abrogation.de, con immagini dei componenti durante le fasi di registrazione) con il titolo di “Sarggeburt” (Bara di Nascita) che ci fa capire subito, anche dall’immagine in copertina, a che genere di musica stiamo per andare incontro: Medieval Death Metal. Da notare subito che, così come il titolo dell’album, anche tutte le canzoni sono rigorosamente in lingua tedesca, scelta che se da un lato denota una certa caratterizzazione, dall’altra risulta essere alquanto strana per una band con 10 anni d’esperienza, il che può far perdere parte del piacere d’ascolto. La principale caratteristica che rende apprezzabile questo album è comunque la capacità del gruppo nel mettere assieme un ottimo mix che varia in modo originale dal Death Melodico (apprezzabile l’intro con le note di violoncello che introducono in un crescendo al brano d’apertura), all’heavy (anche se in alcuni passaggi si fanno sentire ancora alcune influenze, che ricordano soprattutto gli Iron Maiden). Per quanto riguarda la composizione, punti forti delle tracce sono decisamente gli assoli delle chitarre, puliti e tecnicamente ragguardevoli; peccato invece per la voce, che risulta essere forse troppo piatta e omogenea nell’arco delle 13 canzoni (eccetto la ballata acustica “Hans Eisenbeiss”, dove però il contrasto che si viene a creare lascia decisamente spiazzati). Nota di merito per l’undicesima traccia “Eine furs Feuer” (Uno per il Fuoco), brano che presenta una struttura elaborata e piacevole per l’ascolto, probabilmente la miglior traccia della release. In definitiva, con questa nuova fatica, gli Abrogation sono riusciti a dare alla loro musica un carattere unico, caratteristica che gli permette di meritarsi certamente rispetto. (Alberto De Marchi)

(Self)
voto: 65

Skullshifter - Inner Demons


"Inner Demons" è l'album d'esordio per questo quartetto made in USA che segue di qualche anno l'uscita del loro EP “Here in Hell” (2005). Sfortunatamente non ho la possibilità di fare un paragone con l'EP, in modo da poter verificare la maturazione di questo gruppo, ad ogni modo posso garantire fin da subito che con questo cd vi troverete di fronte ad un efficace e diretto thrash metal. Le tracce, pur mantenendo una certa semplicità, sono energiche e con un buon ritmo, soprattutto per quanto riguarda le chitarre. La voce, anche se non particolarmente melodica, è decisamente aggressiva (forse in modo troppo forzato) e sa trasmettere energia all'ascoltatore, unica pecca risiede forse nella monotonia: qualche cambio di tono avrebbe certamente giovato sul giudizio complessivo. “Inner Demons” si apre benissimo: l'intro del brano iniziale, “Exploiter” è decisamente epica e suggestiva e, anche se in modo forse non troppo perfetto, con un deciso cambio nei suoi riffs ci introduce poi ai toni più thrash oriented che si presentano nei brani successivi. Le chitarre, così come la batteria svolgono un ottimo lavoro sia sul piano della qualità che della velocità, un po' sacrificato invece sembra essere il basso, non si capisce se per scelta stilistica o per difficoltà tecniche da parte di McCaffrey. Ad ogni modo diversi passaggi sono più che godibili e con la traccia nove, “Breaking Point”, raggiungiamo probabilmente l’apice compositivo di questo lavoro, che fa ben sperare nelle potenzialità di questa band. A tal proposito l'unica perplessità risiede nell'età della band, visto che sia Nolz che Scioscia non sono certo dei giovincelli e suonano entrambi da 20 anni: si spera che questo sia un vero e proprio album d'esordio e non soltanto un punto d'arrivo. In definitiva “Inner Demons” è un buon platter per tutti gli appassionati del genere, ma niente di più. (Alberto de Marchi)

(BFD Records)
Voto: 60

Fangor - The First Sign of Life


Dall’Olanda ecco sopraggiungere una nuova “vecchia” band (esistono infatti dal 1999 ma fino ad ora solo un demo datato 2001 è al loro attivo), che smuove dentro di me immediatamente qualche perplessità già dall’iniziale “Breaking Thoughts”: inizio anonimo, senza un preludio o una intro atmosferica, giusto 2 colpi di batteria e via all’attacco dell’ascoltatore con il loro death melodico, vagamente influenzato da sonorità viking di origine scandinava. Fortunatamente la song si riprende con quel suo alternare sfuriate death ad atmosfere pagane e con parti acustiche assai ispirate (da segnalare un tocco di chitarra spagnola da brividi nel mezzo). La successiva “End of Life” è un brano piatto, farraginoso, costruito su ruvide chitarre death e con growling vocals anonime, nulla da trasmettermi, tanto da avere la forte tentazione di skippare alla successiva “Still Not Knowing”. Fortunatamente si cambia ancora registro, nulla di particolarmente innovativo sia ben chiaro, ma per lo meno si riesce ad annoiarsi molto meno con linee di chitarra vicine allo swedish death (Dark Tranquillity docet), qualche apertura melodica, clean vocals e una parte centrale maestosa nella sua vena sinfonica, tanto da ridestarmi dal torpore in cui mi ero già immerso dopo le prime 2 tracce. Finalmente, che piacere per le mie orecchie che già stavano detestando questo lavoro ed erano pronte a spingermi alla stroncatura totale di questa release. La conclusiva “Deadlight” ci catapulta ancora una volta in altre sonorità, un caos infernale ci aggredisce, suoni completamente destrutturati ci stordiscono, perdo nuovamente la bussola, il che non fa altro che alimentare dubbi e incertezze di quale tipo di musica questo quartetto dei Paesi Bassi suoni realmente. Di sicuro c’è tanto ancora lavoro da fare e tante cose da rivedere e soprattutto risentire per capire maggiormente dove i nostri si possono collocare musicalmente, perché ora come ora la musica dei Fangor non è né carne né pesce… (Francesco Scarci)

(Self)
voto: 60