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domenica 11 marzo 2012

Frailty - Melpomene

#PER CHI AMA: Death Doom, primi Anathema e ultimi My Dying Bride
La band lettone dei Frailty fa parte dei nostri fedelissimi compagni d’avventura del Pozzo dei Dannati. Abbiamo recensito il primo cd, l’Ep omonimo, ed ora è la volta di “Melpomene”, che contiene le tracce mai ufficialmente pubblicate di “Silence is Everything”, Ep del 2010, oltre a cinque nuove song. Mi arriva direttamente dall’etichetta ucraina, Arx Productions, questo secondo lavoro e devo ammettere che all’ascolto della prima traccia mi ha istantaneamente disorientato; dove diavolo è finito infatti, il death doom atmosferico dei nostri? Mi è subito venuto in mente il cambio stilistico che i My Dying Bride fecero ai tempi di “The Dreadful Hours”, dove ampio spazio fu lasciato anche a feroci galoppate in territori black metal. Se non fosse per l’intermezzo acustico, posto a metà di “Wendigo”, penserei che il sestetto baltico possa aver cambiato decisamente genere, inasprendo di molto il proprio sound. Ci pensa però la successiva “Cold Sky” a ripristinare il tutto e a restituirmi la band che ho apprezzato più che altro, per l’incedere doomeggiante e pregno di vibrazioni malinconiche. Come scrissi per il precedente Ep, la musica dei nostri è in grado di solleticare il mio palato e i miei sensi, per quella sua innata capacità di riportarmi ai fasti del genere con l’esordio degli Anathema, quelli più oscuri e decadenti e i nostri ci riescono nuovamente con questa nuova release. La musica dei Frailty non è cambiata poi di molto e la terza traccia, seppur datata ormai 2010, ci ammorba con 14 minuti di lenti e pesanti riff di chitarra, accompagnati come sempre dai delicati e immancabili tocchi di pianoforte e dai vocalizzi animaleschi di Martins. “Underwater” è un bell’esempio di death doom ritmato, in cui trovano posto pletorici riffoni di chitarra, carichi di quell’eleganza mista a disperazione, che rappresentano un po’ il marchio di fabbrica dell’ensemble della piccola repubblica baltica. “Onegin’s Death” è un arpeggiato pezzo strumentale, in cui fa la sua comparsa anche lo spettrale suono di un violino nel bel mezzo di un temporale; la traccia fa da preludio ai quasi quindici minuti di “The Doomed Halls of Damnation”, che ci fanno sprofondare nuovamente in un minaccioso e tetro funeral doom, foriero di dolore, sofferenza e morte, soprattutto quando il sound rallenta paurosamente in versione super slow motion. Il nodo strozzatosi in mezzo al petto, viene subito spazzato via da “The Eternal Emerald”, song decisamente più andante, che vede anche le clean vocals di Edmunds, avvicendarsi a quelle di Martins e mostrare come le nuove composizioni siano decisamente meno claustrofobiche della precedente produzione targata Frailty. Non so se questo sia un bene o un male, dal momento che ho imparato ad apprezzare la band per quei suoni miscelanti angoscia ed eleganza, lenti, ossessivi e caratterizzati da pesanti ritmiche agonizzanti. Ecco, diciamo che li preferisco maggiormente in versione slow piuttosto che mid-tempo, anche se non posso negare che “Thundering Heights” mostri in chiusura un fantastico assolo che contraddice ogni mia parola. A chiudere ci pensa la strumentale, orientaleggiante e davvero notevole, “The Cemetary of Colossus”, che conferma quanto i Frailty si possano candidare ad essere tra gli alfieri del death doom in Europa, ma al contempo possano decisamente aprirsi ad altre sonorità più epiche e sperimentali. Da tenere accuratamente e obbligatoriamente sotto la lente di ingrandimento. (Francesco Scarci)

(Arx Productions)
Voto: 75
 

domenica 22 gennaio 2012

Frailty - Lost Lifeless Lights

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus
Ed eccomi stavolta, a parlare di una band, i Frailty, in circolazione da otto anni, nella lontana (ma non tanto) Lettonia: l'album che mi accingo ad illustrare risale al 2008, il loro primo full-lenght. Le tematiche sono concentrate prevalentemente sulla morte e spiritualità, con qualche accenno alla mitologia. L'intro sembra preparare l'ascoltatore ad un viaggio nelle profondità dell'animo umano, avvalendosi di suoni distorti e caotici: “I Know Your Pain” e “The River of Serpents” ricalcano perfettamente il sound del doom/death, con suoni pesanti e lenti, esprimendo al meglio il messaggio di dolore e malinconia che traspare dai testi. Batteria e chitarra ripetono lo stesso motivo, mentre verso la fine lasciano spazio a note di pianoforte, in modo tale da accrescere il pathos. “Ariadne” è più veloce e meno pesante, mentre Martins viene accompagnato da Edmunds nei ritornelli, dando così l'impressione di solennità per questa ode ad una fanciulla perduta; persino l'assolo di chitarra illustra molto bene il peso della perdita, aiutata anche da note di tastiera appena percettibili. Si torna alle atmosfere cupe ed introverse con “Graphics in Ebony”, dove il growl si alterna ad una voce melodica e grave, con un'atmosfera, oserei dire, magica ed eterea: è solo dalla metà in poi che il tono diventa più sul demoniaco andante (oserei dire pseudo-isterico), ma senza mai perdere la vena doom/death che li caratterizza. “The Fall of Eve” segue lo stile della precedente, ma con un timbro più melodico, rendendo il tutto di più facile ascolto. È con “A Summer to Die” che le cose cambiano: il cantato ricalca quello precedente di “Graphics in Ebony”, avendo cura di curare il ritornello in modo tale da renderlo anche canticchiabile ed orecchiabile (senza mai cadere nel commerciale più blando). La malinconia più nera fa da sfondo per “The Scorn”, il brano più longevo di tutto l'album; note di pianoforte introducono una chitarra distorta e una batteria pacata, con la voce più grave che Martins possa mai trovare. Sebbene all'inizio il motivo sia lento, soltanto poi inizia ad essere più accelerato, con la voce demoniaca (di cui sopra) e un loop di chitarra unito alla batteria che si ripete, sottolineando la solennità della morte; si torna poi alla lentezza dell'inizio, come una sorta di mare scuro con le onde inerti che si ripetono ogni volta. Chicca del brano: un momento di totale tristezza e fatica, in cui persino il cantante pare fatichi a parlare. Il brano prosegue e si conclude con un assolo di chitarra molto tranquillo, quasi ad aver esaurito tutte le forze. Con la cover dei Monro di “Lugsana” si conclude l'album: un ottimo brano per finire in bellezza un viaggio all'interno del doom/death lettone, che nulla ha da invidiare ad altre band maggiori o più conosciute. Per chi ha voglia di esplorare il metal proveniente da stati “neonati”, questa è un'occasione da non perdere. (Samantha Pigozzo)
 
(Solitude Productions)
Voto: 70
 

sabato 27 novembre 2010

Frailty - Frailty EP


Voi non avete idea di quanto sia fiero ogni volta che mi capita in mano un cd a tiratura limitata numerato a mano… è il caso dei lettoni Frailty che escono con questo Ep di cinque pezzi, che in realtà non sono altro che vecchio materiale della band baltica, mai rilasciato prima del full lenght “Lost Lifeless Lights”, uscito lo scorso anno. Sapete già della mia forte simpatia per le band dell’ex blocco sovietico, perché sono convinto che abbiano veramente un sacco di cose interessanti da trasmettere con la loro musica pregna di vibrazioni e i Frailty non sono certo l’eccezione. I nostri partono subito alla grande con una song di otto minuti abbondanti, “Silent Winter” e già dal primo ascolto sono in grado di solleticare il mio palato e miei sensi, con il loro death doomeggiante, ricco di pathos e malinconia. Immediatamente torna a riecheggiare nella mia mente “Serenades” degli Anathema: le atmosfere angoscianti presenti in ogni traccia, quei riff di chitarra carichi di pesantezza, plumbee nuvole portatrici di pioggia, disperate melodie e un growling profondo caratterizzano questo lavoro di 5 pezzi e poco più di mezz’ora di durata. Della prima traccia mi piace tutto, in più c’è quel suo riff accattivante di chitarra che fa capolino qua e là e ti si pianta nella testa, continuando a risuonare nella la mia mente. Si, mi piace l’andatura dei combo proveniente dalla piccola Lettonia: c’è classe, eleganza, cattiveria al punto giusto, sono convinto che i nostri possano essere in grado di far parecchia strada. “Black Phoenix”, “Scarlet Prophecy” sono ottimi esempi di come si possa fare death doom al giorno d’oggi, senza inventare nulla di nuovo, ma solo dando ascolto al proprio cuore e alle note contenute nel suo interno. È cosi che mi sento io oggi, come “The Shining”, la song più deprimente del lotto: quel suo incedere pachidermico, quelle sue ancestrali atmosfere alla “Gothic” dei Paradise Lost, con il growling mischiato allo screaming e un profondo senso di solitudine, vuoto e malessere ad avvolgere le nostre membra. La conclusiva “A Flower In The Dark Tide” partendo dalle ultime evoluzioni dei danesi Saturnus, mostra tutto l’amore del sestetto di Riga per questo genere musicale e per gli ultimi feroci My Dying Bride, e io non posso che esserne felice. Ho trovato un’altra band in grado di donarmi emozioni, una band capace di miscelare nel proprio sound death black heavy e funeral doom. Che volete di più dalla vita? Io un nuovo cd dei Frailty... (Francesco Scarci) 

(Self)
Voto: 75