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#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Neurosis |
Mi accingo a recensire con gioia ed entusiasmo il quarto lavoro degli Huldra. Ormai, ogni qualvolta la band statunitense se ne esce con qualcosa di nuovo, io sono sempre li, in pole position per scoprire cosa bolle in pentola in quel di Salt Lake City, per capire se i nostri saranno in grado o no di superare i maestri di sempre. E ogni volta devo ammettere che i nostri sfiorano l’impresa nel raggiungere i gods della East o della West coast. Non che abbia già sancito che questo nuovo ‘Black Tides’ non sia all’altezza, anzi ora andiamo giusto a scoprirlo meglio. Si parte con “The Eye of the Storm”, titolo di reminiscenza “neurosiana”, dotata anche di una certa alchimia sonora che richiama inevitabilmente la band di Oakland. Le linee di chitarra si rivelano infatti distorte quanto basta per non guastarne il risultato finale, i suoni tesi e oscuri, le vocals di Matt abrasive come sempre. Solo a metà brano, trovano spazio quelle atmosfere eleganti che strizzano l’occhiolino al post-rock, che già i nostri avevano acuito nel precedente album. Non male, ma dagli Huldra le mie aspettative sono ormai molto alte. Con la title track, le cose sembrano prendere una piega diversa, migliorandone notevolmente l’esito conclusivo. A fronte di un incipit all’insegna dell’ambient, la song scorre tra chitarre in tremolo picking e rabbiosi vocalizzi. Altri dodici minuti che scorrono via rapidi e decisi, alternando sonorità caleidoscopiche che si muovono tra chiari e scuri, in cui vorrei rilevare una forte componente malinconica e un bellissimo finale corale, che ci introduce a “The Sky Split Wide Open”, in realtà semplice interludio che fa da apripista ai quindici minuti di “From Out of the Maelstrom”. Il brano apre con il tamburellare leggero di Chris Garrido dietro le pelli, e una chitarra tenue e gentile che funge da sottofondo. L’eco degli Isis in questo pezzo è assai forte, ma ancor di più l’elemento post-rock dai tratti sognanti, che per più di sette minuti ci accompagna e delizia con le sue raffinate suggestioni strumentali, prima di lasciare il posto alle ondeggianti ritmiche che vedono l’intervento di un synth fine e non invasivo a livello di arrangiamenti e l’utilizzo di qualche clean vocals. A chiudere sulle ali dell'entusiamo il disco, ci pensano i quasi 17 minuti dell’infinita (anche nel titolo) “He Was Compelled To Turn Westward Out of Some Misplaced Sense of Hope”, in cui tutte le influenze del sound degli Huldra affiorano in contemporanea. Isis, Neurosis e Cult of Luna (e forse qualche sentore di The Ocean) si ritrovano infatti nei solchi di questa lunga e ben strutturata song, che viaggia lungo i binari del post-metal desolante, graffiandoci e cullandoci con i suoi suoni marziali, educati, vagheggianti e ipnotici, in cui trova posto anche lo splendido suono di un violino. Ottimo il songwriting, da elogiare la band a livello tecnico, l’unico appunto che forse mi sento di fare in questo nuovo ‘Black Tides’, è che rispetto a ‘Monuments Monolith’, la progressione musicale, nel senso d’innovazione della proposta, è quasi impercettibile. Certo che per chi è un fan della band dell’Utah, poco importa, solo che l’impressione è che questo nuovo lavoro sia una sorta di ottime, e sottolineo ottime, B-sides del vecchio cd. In definitiva, ’Black Tides’ è un gran bell’album, ma mezzo voto in meno rispetto al passato è, per diritto di cronaca, dovuto. Comunque sia, ben tornati amici! (Francesco Scarci)