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lunedì 4 aprile 2016

Onirism - Cosmic Dream

#PER CHI AMA: Black Symph, Limbonic Art, Bal Sagoth
Fatta esclusione per i Dimmu Borgir (che nel frattempo si sono un po' persi per strada), credo fosse da una decina di anni che non si sentisse in giro qualcosa dedito al black sinfonico. Emperor, Agathodaimon, Ancient Ceremony e Anorexia Nervosa si sono sciolti, i Limbonic Art hanno virato verso un altro genere, cosi come pure i polacchi Lux Occulta. Quella forma di black è ahimè morta. Ci prova la one man band francese degli Onirism a donare linfa vitale al genere, con il debut album 'Cosmic Dream'. Il disco non tradisce le aspettative sin dalla sua veste grafica con una cover cd che riporta a paesaggi intergalattici. I contenuti: un classico tappeto tastieristico (stile Summoning) introduce il disco per poi esplodere in "Beginning of a New Era". Come da copione sono splendide melodie sostenute da pompose tastiere e harsh vocals a guidare il sound di Antoine Guibert (alias Vrath), che si lancia in un'inebriante cavalcata in cui il mastermind francese arriva ad evocare anche lo spettro dei primi Satyricon e Ancient. Che tuffo di vent'anni nel passato. Più avanzo nell'ascolto e la sensazione che provo è quella di percorrere una galleria ove siano state riposte le statue di cera dei miei idoli degli anni '90 che proponevano quel genere. In "From the End to the Origins" ecco venir fuori 'Stormblast' dei Dimmu Borgir, nella etnica "Ephemeral World I" è l'eco di 'Under the Moonspell', piccola gemma arabeggiante dei lusitani Moonspell, ad emergere. Le barocche tastiere di "Ephemeral World I" rievocano il sound fantasy dei Bal Sagoth, mentre con le tonanti "The Curse of Ahriman" e "Weavers of Time" (quest'ultima peraltro vanta un ottimo assolo rock), andiamo a scomodare 'Moon in the Scorpio' dei Limbonic Art e 'Arntor' dei Windir (quest'ultimi richiamati in causa anche nella conclusiva title track). Tutti i grandi classici del passato convergono in 'Cosmic Dream' e questo probabilmente costituisce il vero limite di questa produzione, sicuramente ben suonata, ottimamente concepita e che ha da offrire tutti i cliché di un genere ormai scomparso da tempo e che forse ormai non ha più nulla da dire. Tuttavia, e spero sia il tempo a smentirmi, come l'Araba Fenice rinacque dalle proprie ceneri, auspico faccia altrettanto il black sinfonico, magari proprio grazie agli Onirism e al loro punto di inizio, 'Cosmic Dream'. Crediamoci fino in fondo! (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 65

sabato 2 aprile 2016

Dancing Crap - Cut It Out

#PER CHI AMA: Alternative Electro Rock/Punk
Eccoci a parlare di una delle ultime produzioni targate Agoge Records, ovvero i funanbolici Dancing Crap. La band nasce intorno al 2012 dopo che il fondatore Ronnie ha concluso l'esperienza con il suo precedente progetto. Il quintetto laziale voce-chitarre-basso-batteria mette in mostra un rock intriso di contaminazioni in un album di debutto composto da dieci brani eclettici e che abbracciano influenze molteplici e ben definite. Grunge nostalgico e punk oltreoceano si insinuano negli arrangiamenti con una spruzzata di elettronica qua e la, mentre lo charme del vocalist cerca di ipnotizzare l'ascoltatore con la sua cadenza sensuale e irriverente alla Axl Rose. Le trovate iper tecniche sono lasciate da parte, infatti ogni singolo strumento punta ad amalgamarsi al meglio con gli altri, il basso è sempre ben presente e piacevole all'ascolto, come i pattern di batteria. La chitarra si prende il proprio spazio con riff semplici ma efficaci, sempre a conferma che i Dancing Crap puntano molto sul risultato complessivo. "Burned Down City Soul" è l'esempio lampante di una composizione dall'appeal sbruffone e scanzonato, compreso il fischiettare di Ronnie e i suoi vocalizzi a mo' di filastrocca. Un brano rock piacevole che fila via liscio senza sbalordire. "Sam" ricorda la scuola Ramstein per quanto riguarda il lead synth utilizzato per tutta la traccia che risulta ben sviluppata anche se qualche bpm in più l'avrebbe resa decisamente più incisiva e trascinante. Personalmente avrei scelto suoni di tastiere diversi, puntando sull'acidità della psichedelia o la morbidezza dell'ambient. La timbrica dance lascia un po' perplessi mettendo sul tavolo altre influenze che cozzano con l'incedere rockeggiante del brano. "Needless" è un'altra prova di forza del quintetto che non ha paura di mischiare nuovamente suoni electro con il rock, mentre la timbrica di Ronnie si arrichisce della drammaticità sofferente di Brian Molko. Verso i tre quarti di brano c'è un breve break, simil monologo teatrale, che permette alla branda di riprendere il riff principale e portare a conclusione la canzone. I Dancing Crap sono un buon progetto che mette in atto delle sperimentazioni credibili e tutto sommato piacevoli, forse una botta di vita in più renderebbe merito alla fiamma del rock che comunque imperversa nelle vene di questi ragazzi. Stiamo a vedere come evolverà il progetto, a questo punto sono veramente curioso. (Michele Montanari)

(Agoge Records - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/DANCINGCRAP/

Throat – Short Circuit

#PER CHI AMA: Noise Rock
È con piacere che accolgo il ritorno dei Throat (in un Ep ormai risalente alla metà del 2015), che già da qualche anno mettono a ferro e fuoco la Finlandia a colpi di noise rock brutale e malsano, contribuendo cosí, al pari di band quali Hebosagil e Baxter Stocktman, a sfatare il luogo comune secondo il quale dalla terra dei mille laghi provenga solo dark metal. Il sound del quartetto è intriso fino ai capelli dei miasmi che esalavano dalle prime storiche uscite di etichette quali Sub Pop, Touch & Go e American Reptile, di band quali Unsane, Melvins, Jesus Lizard e i Nirvana di 'Bleach'. Non ha molto senso in questo caso parlare di originalità della proposta, dacchè 'Short Circuit' si limita a mettere in fila una manciata di pezzi, per un totale di circa 25 minuti che, per chi ha amato quei suoni, hanno l’effetto dello zucchero su una fetta di pane per una mosca. Un corto circuito (appunto) emozionale che bypassa ogni razionalità. Semplicemente non si riesce a non ascoltarli a ripetizione, ad alto volume, infine convincendosi che gli anni '90 non siano mai finiti. Noise rock sporco, sgranato come una vecchia foto in bianco e nero, che non fa prigionieri con la sua sezione ritmica granitica, le chitarre affilate e urticanti, una voce in grado di scoperchiare il disagio e la rabbia. Difficile scegliere e non rimanere affascinati in egual misura da queste tracce, tanto dal riff caterpillar e le vocals torturate di “Houston Soup”, quanto dall’incandescente “Dog Wrestle Dog”, e ritrovarsi poi sconcertati a riconoscere, sotto uno strato di feedback e sax urlanti, una devastante cover di “Unjoy” di Björk. Niente di nuovo o rivoluzionario quindi, ma tanta sostanza. Sarà una debolezza mia, ma datemi un disco del genere al mese e farete di me una persona felice. (Mauro Catena)

91 All Stars - Retour Vers la Lumière

#FOR FANS OF: Metalcore/Hardcore, Dagoba, Trivium, All That Remains
Not usually known for it’s Metalcore scene, French proponents 91 All Stars offer up a decidedly fun and enjoyable variant here on their second release. Offering spindly, technical riffing with all the hallmarks of thrash augmented by the stuttering rhythms and breakdowns associated with most hardcore bands, it comes off rather nicely here as a straightforward variation on the style which oftentimes displays the kind of energy and enthusiasm needed for this particular style. Offering up pounding drumming and a fine series of vocal styles in accordance with the wide range of music, it’s all quite a dynamic offering that comes off rather nicely if formulaic. It’s all rather blended together for a rather disappointing amount of time this one spends with those same, familiar patterns featured for the majority of the songs which makes this somewhat drag on in the second half, despite featuring some good songs there. There’s still a lot to like here though with the tracks getting plenty to enjoy throughout here. The opening instrumental ‘Intro’ is a fine set of spic sound collages that sets up for proper first track ‘Omniscience’ which is a strong blend of swirling thrash riffing and stuttering paces alongside a fine series of breakdowns and clattering drumming that brings along plenty of tight rhythms throughout the final half for a rather engaging, enjoyable opening effort. ‘Mon Bien,Mon Mal’ is a lot more of a straightforward blend of swirling metalcore riffs with works within a fine up-tempo pace with plenty of breakdowns and thumping rhythms that bring along plenty of high-speed rhythms into the finale for another strong track. ‘Opprimés’ features deep technical chugging and swirling Metalcore rhythms with a more sprawling tempo that keeps this held back the sprawling riffs leading into a fine series of urgent, up-tempo riffing throughout the final half that makes this one of the few dynamic, varied tracks on here. ‘Richesse Humaine’ features plenty of tight, urgent rhythms with chaotic riff-work scattered throughout the tempered, stuttering rhythms alongside the chaotic breakdowns that brings along plenty of energetic riffing thrashing along through the final half for an impressive highlight. ‘Les Ombres De La Perdition’ blasts through intense and vicious drumming with plenty of swirling technically-proficient riff-work thumping along to rather energetic drumming carrying the rhythms along through the urgent patterns of the solo section and into the finale for another strong effort. ‘Eclipse éternelle’ blasts through tight rhythms and plenty of urgent mid-tempo riffing coming through the series of frantic, blasting drumming with a brief melodic section leading back through a frantic series of swirling blasts in the final half for an enjoyable enough effort. ‘L’ère Du Verseau’ uses a series of twisting Metalcore riffing with the tight, stuttering rhythms featuring plenty of breakdowns and a frantic blast of tight drumming carrying along through the series of frantic blasts before an extended flamenco guitar finale for a strong overall offering. ‘L’Aube Des Princes’ blasts through a series of choppy rhythms with plenty of tight riffing swirling through the technical rhythm patterns kicking into plenty of high-gear throughout the breakdowns leading into the strong final half for a decent if unspectacular effort. ‘Un Sombre Destin’ takes an extended intro with sprawling rhythms before turning into a steady series of mid-tempo riffing with plenty of swirling technical patterns full of sprawling mid-tempo paces leading into the plodding finale to leave a wholly unimpressive track. Lastly, the title track offers thumping rhythms and plenty of sprawling riff-work taking the more mid-tempo pace throughout with the light melodies coming along with the chugging breakdowns alongside the sprawling, grandiose rhythms throughout the final half to end this on another decent track. Still, it’s mostly enjoyable enough to make this a solid enough effort. (Don Anelli)

(Self - 2016)
Score: 80

http://91allstars.com/

Cyranoi - Exist

#PER CHI AMA: Progressive Metalcore/Djent, Fallujah
Io non sono un fan del metalcore lo sapete, eppure questo album l'ho voluto fortemente recensire, mi convinceva nell'architettura dei suoni, nelle partiture vocali e negli arrangiamenti. Sebbene sia l'opera seconda (un EP a dire il vero) che segue a distanza di sei mesi l'EP di debutto del duo finlandese, 'Challenger Deep', 'Exist' si dimostra già disco maturo sin dall'iniziale "Abiogenesis". La song si apre con ariosi synth, che non so per quale arcano motivo, mi hanno evocato Cynic e Fallujah; la song poi divampa in melodicissimi riff imbastiti da musicisti esperti, di certo non di primo pelo. La traccia è una escalation grondante di giri di chitarra, killer vocals (growl e scream) e una buona dose di synth. E sarà cosi per tutto il resto della durata del dischetto. "Pioneers" viaggia su ritmiche più tirate in cui vige l'alternanza vocale tra più forme stilistiche del frontman Joona Jaakola (qui anche in versione "ruffiano" pulita), mentre il mostro alle chitarre, alias Tomi Pohja, abbina una robusta ritmica di accompagnamento a un più vivace e grooveggiante riffing fatto di ricami chitarristici. In un batter di ciglia, ci ritroviamo a "Flesh and Mind", in cui forse l'eco dei Fallujah più meditabondi è verosimilmente riscontrabile in una song dal forte sapore rock, soprattutto a livello solistico, che vede l'apporto del virtuoso chitarrista scozzese (ma di chiara origine indiana) Sithu Aye in supporto dei nostri. "Avarice" è la penultima traccia del disco, decisamente più malinconica a livello di linee di chitarra e anche più assestata su un mid-tempo ragionato, senza però privarsi del marchio di fabbrica dei Cyranoi, ossia le due chitarre che vivono e lavorano in simbiosi. Con "Event Horizon" giungiamo anche ahimè alla fine del platter: qui l'ospite di turno è Niklas Turunen, l'ottimo chitarrista degli Assemble the Chariots (andateveli ad ascoltare mi raccomando), che in compagnia di Tomi, si lancia in una bella rincorsa tra sei corde. Insomma, i Cyranoi è un gruppo che sembra davvero saperci fare, ora non possiamo far altro che attenderli e valutarli sulla lunga distanza. (Francesco Scarci)

mercoledì 30 marzo 2016

Autumnia - Two Faces of Autumn

REISSUE:
#PER CHI AMA: Death/Doom
La Solitude Productions ha festeggiato nel 2015 i suoi primi dieci anni di esistenza e per regalo ai suoi devoti si è incaricata di ristampare tutta una serie di album che erano finiti nel cassetto delle rarità e che avrebbero meritato più visibilità e fortuna al momento del loro lancio. È il caso degli ucraini Autumnia che, come i compagni di scuderia, gli ottimi Fallen, si sono organizzati per riesumare i primi due album fatti uscire tra il 2004 e il 2006, in un doppio elegante digipack, ben curato nella sua grafica intrigante, intitolato 'Two Faces of Autumn'. La band, che nel frattempo ha fatto uscire anche un full length nel 2009, con quest'opera intende mostrare al mondo il proprio progresso artistico, mettendo a nudo un sound fin dalle sue origini, dark oriented e gothic metal, come potrete evincere dall'ascolto del primo cd dal titolo 'In Loneliness of Two Souls', per passare poi ai brani di 'By the Candless Obsequial', contenuti nel secondo dischetto, più arioso e aperto a nuove influenze, sempre impregnate comunque di glamour gotico ma più fantasioso e profondo come concezione e costruzione, con quel tocco malato che non passa mai di moda e crea sempre un'atmosfera apprezzabile in stile primissimi Crematory, Moonspell, Anathema e My Dying Bride. La voce cambia spesso registro e le aperture sempre più interessanti, tendono la mano a un doom atmosferico dai risvolti epici e funerei. Ovviamente bisogna tenere bene a mente che si parla di musica con circa un decennio di vita alle spalle quindi, anche se suonati benissimo all'epoca, questi due album portano i segni del tempo e certe soluzioni sembrano ormai obsolete e scontate, anche se indubbiamente ancora di buon valore. Entrambe le release si ascoltano volentieri, stracolme di tristezza e senso di decadenza, musica dai risvolti drammatici, lungo la cui infinita durata, sembra possa perfino produrre una buona dose di sperimentazione, soprattutto nel cantato, che in parte emula i francesi S.U.P. ma qui riproposto sempre in un'ottica prettamente ed esageratamente doom metal. "Bitterness of Loss" è il brano alla fine che tocca la vetta artistica più alta ed anche il mio preferito, con un ampio ed epico incedere intriso di cupa desolazione e dotata di un cantato teatrale, vario ed espressivo a dir poco straordinario. Ottima ristampa per ritrovare un altro pezzo di storia del doom metal più underground, dimenticata nelle stanze dei ricordi passati. Buon tetro divertimento. (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 215)
Voto: 70

martedì 29 marzo 2016

Jimm - In(can)decence

#PER CHI AMA: Punk/Rock/Heavy/Alternative
Sarà una coincidenza, ma ultimamente le proposte che mi arrivano dalla Francia, sono di promettenti polistrumentisti alle prese con le più disparate proposte musicali; in questo caso, i Jimm (che altri non è che il nome del factotum della band), ci propongono il loro primo lavoro sulla lunga distanza, con testi in francese e un genere che presto andrò ad esporvi. Prima di entrare nel merito e nei particolari della proposta è giusto specificare che le 10 canzoni di 'In(can)decence' sono state interamente composte da Jimm, che ha suonato chitarra e basso oltre che cantare, avvalendosi unicamente dell'aiuto di un batterista, Fred Quota. Premetto di aver ascoltato il disco diverse volte, in un ristretto lasso di tempo, perché non volevo farmi sopraffare dai pregiudizi ma giudicare il lavoro nella maniera più distaccata possibile. Tutto questo perché la proposta qui contenuta, ad un ascolto distratto, potrebbe sembrare talmente anacronistica ed elementare da sembrare uno scherzo; ed invece questo disco, proprio così male non è. Sia chiaro, non è un capolavoro e non è il disco più innovativo del millennio, ma chi dice che un disco, per essere bello, debba essere a tutti i costi una novità assoluta? Io non l'ho mai sostenuto, e questo lavoro nel suo piccolo, ne è la dimostrazione. Partiamo col parlare dei suoni e della cura mostrata nel registrare il disco: i suoni sono ottimi, mai freddi, incasinati al punto giusto, bilanciati in maniera egregia, a dirla tutta, pagherei di tasca mia per sentire suonare dei dischi dei Megadeth così. Ecco, appunto, per fare il confronto ho preso probabilmente il gruppo più lontano dal genere dei Jimm, ma lo sapete, mi piace scherzare. Sì, perché all'interno di 'In(can)decence' possiamo trovare dal punk all'hard rock tradizionale, passando per il metal più spinto, ma possiamo addirittura toccare lidi mai pensati, una sorta di versione francese dei Litfiba di 'Terremoto'. Non so se ho reso l'idea, per lo meno avrò schiarito le idee per i fan italiani del gruppo toscano. A parte gli scherzi, qua dentro possiamo trovare influenze che vanno dai Bad Religion agli Accept, passando per i Gotthard fino ad arrivare all'alternative metal, quindi davvero, ci si può trovare un po' di tutto. E tutto questo, suonato e composto con un certo gusto e perizia, che trovano la loro maggiore espressione in pezzi come “Jour de Gloire”, “Occident Oxydant” e “Sur le Meme Modele”. Davvero una piacevole sorpresa questo lavoro, che pur senza toccare vette di eccellenza assoluta, si attesta su livelli capaci di far passare 37 piacevolissimi minuti a chi vorrà accostarsi all'ascolto. (Claudio Catena)

(Self - 2015)
Voto: 70

venerdì 25 marzo 2016

Ennui - Falsvs Anno Domini

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Esoteric
Bene, ora posso confermare che ascoltare doom metal è un'arte e non una moda, il funeral doom è una filosofia e album come questo lo rendono credibile e condivisibile con un gran numero di palati fini e persone che considerano la musica un grande mezzo di divulgazione di idee e libertà. Gli Ennui sono georgiani e suonano funeral doom, intriso nel lisergico suono della psichedelia, cosparso di sentori black metal dai tratti avanguardistici. Le chitarre sono taglienti, l'incedere del disco è sinistro e oscuro, tutti i brani sono enormi e colmi di pathos ancestrale e luciferino, una sorta di Avalon buio e deprimente, rifugio per anime perdute ma coscienti, che esiste in un mondo di dignità, onestà e umanità aldilà di quello che tv, giornali, politici e potenti di turno, ci vogliono far credere. Da sottolineare immediatamente la prova esagerata dei due chitarristi, Serge Shengelia e David Unsaved, che donano un sound all'intero lavoro di assoluta qualità. Un suono corposo, acido, tagliente e gelido, potente, arricchito di lunghi tappeti di tastiere epiche e di una batteria ossessiva (Daniel Neagoc basso, batteria ed anche dietro al banco mixer), ultra tecnica, dal taglio molto black metal che divaga spesso in tempi atipici per il genere, creando un effetto contrasto con la musica, astratto e variegato, un tantino troppo black forse ma di sicuro interesse artistico. Bello l'artwork e tutta la lista di collaborazioni importanti che vanta membri di Esoteric, Evoken, Colosseum, Comatose Vigil. Uscito per la Solitude Productions nel 2015, 'Falsvs Anno Domini' è un lavoro carico d'infinito, fatto da persone molto preparate e puntigliose, musicisti innamorati del genere, compositori d'alto rango. Ottanta minuti circa di musica urticante, riflessiva e penetrante, un cd saturo di suoni metal estremizzati e devoti al doom più oltranzista. Per finire, le composizioni personalissime e intelligenti, non annoiano l'ascoltatore e lo accompagnano intense in un lungo viaggio emotivo ed estremo per cui come esempio segnalo il terzo brano in scaletta, "The Stones of the Timeless", che mette in risalto una band con tante cose da dire e ancora molte idee in cantiere per il futuro. Una bella prova di carattere e come viene descritto nella pagina bandcamp della band... "È come uno sputo in faccia a tutti i disgregatori miserabili e falsi pretendenti che guidano il nostro mondo verso il collasso". Adorabili, taglienti, pericolosi. (Bob Stoner)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 90

Evenline - Dear Morpheus

#PER CHI AMA: Alternative/Nu Metal, System of a Down, Alter Bridge
L’invocazione all’onirico è chiara nel nome del disco ma in realtà, oltre ai sogni, gli Evenline hanno una forte componente emozionale che è descritta in modo lucido, teatrale ed espressivo. La formazione parigina è composta da quattro elementi, voce chitarra basso e batteria, in attività dal 2009 e con alle spalle l’autoprodotto EP del 2010, 'The Coming of Life'. 'Dear Morpheus' esce nel 2014 ma quello che ascoltiamo oggi è la versione Deluxe che presenta, oltre ad un cd aggiuntivo, una copertina nera con un simbolo simmetrico dal sapore vagamente esoterico, che alla vista risulta elegante ed essenziale. La stessa cosa non si può dire a proposito della cover originale nella quale vi era un richiamo alla stanza, del film Matrix, ove Morpheus offre a Neo la scelta tra rimanere addormentato e venir catapultato in una realtà che molto probabilmente non sarà di suo gusto. Ora se il riferimento è effettivamente al film, è un buono spunto per chiedersi che pillola sceglieremo noi se ci venisse offerta la cover originale che somiglia piuttosto allo studio di un telegiornale. Ma ora è il momento di affidarsi totalmente al tasto play e lasciar andare i sensi. La musica inizia con il suono di un carosello antico, riesco quasi a vedere la ballerina giocattolo senza un occhio e con la gonna mezza staccata che gira mestamente. D'un tratto un assalto crossover mi risveglia dal sogno e mi trasporta all’esasperato e toccante ritornello di “Misunderstood”. A sentire le chitarre mi vengono in mente i Korn e i System of a Down, suoni propri del nu metal che contrastano in modo piacevole con le linee vocali di Arnaud, anche se spesso le melodie si avvicinano più alle linee degli Alter Bridge e Staind. Da sentire almeno una volta è la title track dove Arnaud dà prova della malinconica e decadente espressività della sue linee vocali. L’apice del brano tuttavia è raggiunto nella disperata invocazione di un qualcosa che sia in grado di liberare l’anima dal dolore, concretizzato nel verso “Purge my soul from this growing pain”. Questa breve parentesi tocca alte vette di piacere, una mitragliata di fango, liberatoria come nessun'altra nel disco. Il brano fa riferimenti alla natura e in particolare all'acqua ma anche ai ricordi, si percepisce un’aria di melanconia cupa e romantica, forse il sentimento che ha dato origine e che più è descritto in 'Dear Morpheus'. I testi sono una parte importante dell'opera che denota una forte predisposizione al cantautorato, con la voce chiara e molto presente per l'intera lunghezza del disco. Le immagini che le parole ci regalano sono eterogenee e non sempre collegate tra loro. A volte si sente che la lingua utilizzata nel cd non corrisponde a quella con cui sono stati pensati i testi: lo si può intuire dalla sintassi e dalla pronuncia che, seppur molto buona, lascia trasparire la bandiera dei quattro musicisti transalpini. Veniamo ora al secondo cd di questa Deluxe Edition che reca il titolo 'In the Arms of Morpheus'. Si tratta di una raccolta di canzoni presenti nella versione studio ma qui suonate dal vivo in un set acustico. Il primo impatto è che i pezzi in questa dimensione trovino una forma che meglio si addice rispetto all’elettrica. I testi hanno modo di stendersi e rendere le immagini in essi contenute più libere di prendere forma nella mente dell’ascoltatore. In particolare la versione acustica di “Hard to Breathe” è quasi più riuscita della versione elettrica: si tratta di un blues diabolico con un ritornello cristallino e lucente, trademark a cui gli Evenline ci hanno abituato. Nel set acustico, anche il basso suonato in slap e la batteria leggermente più tappata rispetto all’elettrico, riescono a sostenere i pezzi in modo da conservare quella spinta rock che li ha generati, ma allo stesso tempo non vanno a invadere i testi e le melodie; qui l’equilibrio viene sicuramente raggiunto. La chiusura del disco è affidata a “Already Gone”, voce e piano, un commiato da accendino acceso, lacrime e cuore infranto. Pare che qualcuno sia stato lasciato e che non riesca ad accettare la vita senza la sua metà. Triste si, ma non mi faccio troppo coinvolgere dalla malinconia, sono sicuro che grazie a questo pezzo Arnaud non avrà nessun problema a trovare un'altra ragazza! (Matteo Baldi)

(Dooweet - 2015)
Voto: 75

The Pit Tips

Emanuele "Norum" Marchesoni

Rhapsody Of Fire - Into The Legend
Rhapsody Of Fire - The Cold Embrace Of Fear -
Sunpocrisy - Eyegasm Hallelujah

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Francesco Scarci

Oranssi Pazuzu - Valonielu
Earth's Yellow Sun - The Infernal Machine
Novembre - Wish I Could Dream it Again...

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Matteo Baldi

The Eagles - Greatest Hits
Brian Eno - Before and After Science
Porcupine Tree - Fear of a Blank Planet

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Bob Stoner

Ottone Pesante - S/t
Follow the White Rabbit - Endorphinia
Anekdoten - Until All the Ghosts are Gone

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Stefano Torregrossa

Truckfighters – Hidden Treasures of Fuzz
Earth’s Yellow Sun – The Infernal Machine
Les Claypool’s Duo De Twang – Four Foot Shack

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Jeremiah Johnson

Under the Church - Rabid Armegeddon
Thunderheart - Night of the Warriors
Nervosa - Victim of Yourself

giovedì 24 marzo 2016

Seventh Genocide - Breeze of Memories

#FOR FANS OF: Post-Black Metal, Deafhaven, Sunbather
This second release from the Italian post-black metal collection, offers a rather strong if somewhat lackluster approach to the genre that’s mainly undone by it’s severe brevity. Based on long-winded patterns of folkish acoustic work with black metal-styled tremolo riffing at it’s center, there’s a rather strong sense of light melodies and blazing, furious black metal featured here that’s overwhelmingly addictive as it goes along with the long-winded sections weaving plenty of swirling tremolo rhythms. There’s just the fact that this one is based on only four proper tracks with the instrumental outro and it really doesn’t leave much of a chance for any kind of impressions here when it easily could’ve supported another extra few tracks tacked on with nothing really upsetting the flow of the album doing that as it’s somewhat short-sighted by the few tracks here. The opening title track takes a long-winded acoustic guitar intro with a turn into raging, pounding drumming and swirling tremolo riff-work relentlessly marching through the straightforward and intense rhythms with a light folk final half for a nice opening impression. ‘Be’ features light acoustic patterns into furious pounding rhythms lead by utterly ferocious drumming with plenty of rattling tremolo riffing swirling around the lighter folk melodies in the final half for an engaging if somewhat lighter black metal offering. ‘Behind This Life’ uses a brief folk intro before blasting into the furious pounding drumming and swirling tremolo riff-work running through a fine series of alternating patterns that shifts nicely from black metal to folk with the extended acoustic finale for a decided highlight effort. ‘Summer Dusk’ opens with fine mid-tempo riffing and plodding drumming working a decidedly weaker tempo as the swirling tremolo riffing bubbling under the main rhythms leading throughout the main sections as the rambling, extended folk-led finale for a disappointing effort going for more black metal than a straight-mixture. Lastly, instrumental album-closer ‘Il Lampo’ works a light acoustic intro with pounding drum-work swirling through a series of melodic buzzing tremolo patterns with plenty of rumbling drumming that settles on fine mid-tempo pounding alongside the folk elements through the final half for a decent enough finishing note. Overall, though this release still feels a track or two short of what it could’ve really been. (Don Anelli)

(Naked Lunch Records - 2015)
Score: 75

martedì 22 marzo 2016

Lutece - From Glory Towards Void

#PER CHI AMA: Swedish Black, Marduk, Dissection
Parigi, Francia. 2016. Le tenebre calano sulla capitale e il loro volto è impersonificato dai Lutece, act transalpino attivo già da un paio di lustri e con tre album pubblicati, di cui 'From Glory Towards Void' rappresenta la loro ultima produzione. Il nuovo album continua in linea con i precedenti lavori, offrendo un black dalle ritmiche serrate ("Let the Carnyx Sound Again"), ma anche dagli ampi respiri atmosferici ("Melted Flesh"), in cui continua a mantenersi forte una certa componente epicheggiante che rende il lavoro più accessibile del previsto, pur proponendo un genere estremo. Merito sicuramente delle chitarre, che mostrano un approccio che definirei heavy, anche se la ritmica si presenta comunque tirata e pesante, complice un roboante basso e un drumming che viaggia a velocità supersoniche con blast beat schizoidi, su cui si staglia lo screaming assai arcigno di Hesgaroth. Ma il riffing si conferma sempre e comunque melodico ("The Venom Within" e "Architects of Doom"), nella sua alternanza tra sfuriate black in stile scandinavo (Sarcasm e Dissection sono ben udibili anche nella title track) e ritmiche mid-tempo. Fatto salvo per qualche passaggio a vuoto ("Labyrinth of Souls"), in cui i nostri provano a ripescare i primordiali suoni dei Samael, 'From Glory Towards Void' alla fine è un album che si lascia ascoltare dall'inizio alla fine, pur non proponendo nulla di cosi innovativo. Quel che è rimane chiaro per l'intera durata del disco è che il quintetto transalpino non si lascia certo pregare quando c'è da inferire con riff che assomigliano più a colpi di rasoio ben assestati a livello della giugulare che semplice plettrate sulla sei corde; ne sono un esempio la ficcante "The Last Standing Flag" o la debordante "Living My Funeral". Tuttavia, dovendo esprimere la mia personale opinione, posso dire che preferisco la versione mid-tempo dei nostri, ossia quei momenti più ragionati in cui l'ensemble sembra aver più chiaro cosa fare e cosa dire (splendida a tal proposito "The Dance of Rolling Heads"), anche se le cavalcate black, in stile Marduk, non sono certo disprezzabili, anzi. Insomma per concludere, ho come l'impressione che questo terzo disco dei Lutece possa rappresentare un lavoro di transizione che conduca i nostri verso l'Olimpo del black metal di matrice svedese. Avanti cosi. (Francesco Scarci)

Lazenby - S/t

#PER CHI AMA: Pop Rock
Ascoltare il disco dei Lazenby (il cui nome richiama l'attore George Lazenby, che vestì i panni di James Bond nel 1969) ti riporta alla dimensione paesana della musica: una festa di fine estate con una band di amici che si esibisce sul palco. Claudio, Roberto, Mauro e Massimiliano sono un quartetto che si divide tra Varese e Lugano, che propone un mix musicale fatto di sonorità pop (guidate dalle tastiere di Roberto) e cantautorato italiano (trainato dalla voce e dagli ottimi testi di Mauro). La band raccoglie in questo EP omonimo, sei pezzi estratti da un notevole serbatoio di brani già scritti (sembrerebbero addirittura una settantina). I Lazenby si presentano come degli ottimi esecutori ma, purtroppo, ad un'analisi più approfondita, non aggiungono nulla a quello che tanti, prima di loro, hanno già cantato e suonato. Più volte durante l’ascolto dei brani infatti, ho avuto l’impressione di aver già sentito quella canzone, che rimandasse a qualcosa di già ascoltato. La voce di Mauro in alcuni brani viene a mancare e non si fonde a pieno con la musica come, a mio parere, dovrebbe fare. Non sto dicendo che questo sia un brutto disco, ma che forse non lasci molto nella testa di chi ascolta. I brani si succedono in sequenza, senza prevalere l’uno su l’altro: una nota di merito va sicuramente alla bluesaggiante "Dove Finisce la Ferrovia" e all’arpeggio di "Ottobre", ultima traccia dell’album, ove per un attimo si spera in un guizzo finale, che ahimè tarda ad arrivare. Un peccato perché a mio avviso, le potenzialità ci sono tutte e dal vivo probabilmente, i nostri potrebbero davvero sorprendere. (Daria Burla & Francesco Scarci)

Parqks - S/t

#PER CHI AMA: Shoegaze/Post Rock
I francesi Parqks sono un trio nato nel 2010, originario di Limoges. Dopo il demo del 2012 (peraltro suonato interamente live), i nostri hanno prodotto la loro opera prima nel 2015, questo 'Slow Ascent Melancholia'. Si tratta di un album strumentale contenente sette tracce che mescolano eteree melodie shoegaze ("Siberia") ad aperture post rock più robuste ("Nubla 93") che sfociano spesso e volentieri, in tappeti sonori distorti ("Shade Is A Light That Faded"). Con "Say Goodbye & Goodnight" invece, a farla da padrone sono flebili attimi di pura malinconica atmosfera, che ha il merito di allentare l'atroce scandire del tempo. Non sempre è scontato trovare in canzoni strumentali una struttura che preveda strofa e ritornello, tuttavia il terzetto transalpino ci riesce degnamente nella opener "The Evening Was Cold But We Felt Warm Inside", ove la mancanza del cantato scompare di fronte a una composizione di questo tipo. In questo caso, le vocals sarebbero addirittura di troppo, grazie all'utilizzo di due chitarre e una batteria, e al fatto che la band non disdegni neppure l'uso di synth, come l'MS20 della Korg, per farsi accompagnare con pad e vari soundscapes. Direi proprio una scelta azzeccata vista la qualità timbrica dei suoni prodotti. Personalmente auspico che i Parqks continuino nella loro evoluzione sonora per poter imboccare nuove strade di sperimentazione sonica. Ho l'impressione infatti che si divertirebbero molto e i loro fans con loro. (Alessio Perro)

(Self - 2015)
Voto: 70

https://parqks.bandcamp.com/