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giovedì 16 gennaio 2014

Deprecated - Deriding His Creation

REISSUE:

#FOR FANS OF: Brutal Death Metal, Suffocation, Broken Hope
One of the most legendary and important releases in the history of brutal death metal, this four-song EP is still held in high regard by the majority of old-school metallers from the scene’s birth. The most glaring option about this album is that it’s far more technical than expected, as there’s a slew of complex rhythms and patterns at play within this, not just from the blazingly-fast guitars but the bass as well which has a few dynamic areas within the music to showcase it’s chops effectively. Of course, the drumming is the real key here as there’s just absolute devastation left after this one gets going, filled not just with complex patterns and blastbeats but also managing to roll throughout the different tracks with a reckless disregard for the number of hits being played on the kit, giving the music an extra intensity and speed that doesn’t come naturally in the genre. Top it off with the ever-familiar gorilla-grunting and pig-squeal vocals that permeate the genre and this is a rather impressive outing in the genre. The opening title track absolutely slays with dynamic waves of technical drumming, tight riff-work and a dedication to pummel all who stand in the way that there’s no let-up at all in the pace or tempo here as it just flat-out rips with ruthless aggression throughout. Follow-up "Mentally Deprived" is just as good with even more dynamic technicality displayed with some absolutely ferocious break-downs as the tight, swirling guitars buzzing in complex variations throughout with absolutely pummeling drum-work. "Realization of Betrayal" and "Induced Deception" really flow together in much the same way, dazzling technicality for the genre matched with devastating drumming, tight patterns and vicious rhythms that don’t really match the speed or urgency of their counterparts on the first half of the disc, but the brutality within still holds up to this day and they remain one of the more important acts in the genre as this one release attests to. (Don Anelli)

(Unique Leader Records - 2013)
Score: 75

https://www.facebook.com/DeprecatedUSA

lunedì 13 gennaio 2014

Ludovik Material – Passion For Red

#PER CHI AMA: Elettronica/Alternative
Non è mai un buon segno quando, dopo aver finito di ascoltare un cd, l’unico brano che ti va di riascoltare è quello intitolato “Intro”. Non è un brutto disco, quello licenziato da questo trio sloveno. Non in termini assoluti, almeno. Lavoro curato, tanto nei suoni, quanto nella sua presentazione (è sempre un piacere avere tra le mani un cd dal libretto “ciccione”), ma quello che non riesco a capire è dove i tre vogliano andare a parare. Quello di mescolare la musica elettronica e punk-rock è un gioco non più nuovo da una ventina d’anni, e tali e tante se ne sono sentite nel frattempo, da rendere davvero difficile rimanere impressionati da operazioni del genere, soprattutto se gran parte della scaletta ha un retrogusto piuttosto stantio. Ecco quindi che, dopo la Intro strumentale che fa il verso, senza da fastidio, a Stone Roses e Primal Scream, arrivano brani come “Passion for Red”, “Made In”, “Vecérni Program”… , un tantino ingenui e grossolani nell’accostare ritmiche dance e voci femminili pseudo sexy e un po’ caricaturali (avete presente la Gerini nei panni di Iris Blond?), starebbero bene in un film ambientato nella Berlino del 1990, ma sinceramente sono difficilmente digeribili oggi. Gli episodi migliori e più convincenti arrivano da metà disco in poi: sono quelli in cui la ritmica rallenta, la voce si fa meno enfatica e le chitarre si sporcano di feedback e riverberi, come nella malsana “Gun” o la sinuosa “Come”, trovando il vertice nel crescendo poderoso di “Heart for Sale”. Lavoro buono per metà e voto che è la media tra una prima parte fiacca e deludente e una seconda decisamente più interessante. Curioso (senza particolari patemi, però) di seguire le evoluzioni future. (Mauro Catena)

domenica 12 gennaio 2014

Poema Arcanus - Transient Chronicles

#PER CHI AMA: Death Doom Dark, My Dying Bride, Type o Negative
I cileni Poema Arcanus sono dei veterani del death doom e questo 'Transient Chronicles' rappresenta ormai il quinto album per la band sudamericana, che seguo sin dai loro esordi, che risalgono addirittura al 1992. Dopo tanto peregrinare tra un'etichetta e l'altra, i nostri (spero) posssano aver trovato una certa stabilità con la regina delle label dedite a questo genere, la Solitude Production, che ha il merito di ristampare un lavoro originariamente uscito nel 2012. Forti di una distribuzione mondiale, speriamo che i nostri possano godere anche di un palcoscenico più ampio per farsi conoscere. La proposta del quartetto di Santiago non si scosta così palesemente dal passato, continuando a tenere nel proprio mirino i soliti nomi, i primi My Dying Bride e i Novembers Doom, su tutti. La voce è cavernosa (ma spesso anche pulita) sin dall'iniziale "Us, Those Half Dead", con un rifferama non troppo monolitico; mi sembra di aver percepito infatti un desiderio recondito di provare ad uscire dagli schemi di un genere che, giorno dopo giorno, si sta attorcigliando su se stesso, causando una sua progressiva e irreversibile involuzione. La seconda "Stream Of Debris" è melodica e il suo lento ed epico incedere strizza l'occhiolino anche ai Candlemass. Tuttavia anche quando la voce di Claudio prevale nella sua veste più brutale, la musica dei Poema Arcanus, non sembra essere cosi granitica come in passato, preferendo una serie di suoni che si muovono nell'ombra; provate voi ad immaginare una danza di una debole fiammella dietro ad un paralume e avrete una minima idea della linea sonora dei Poema Arcanus. Vi dirò che la cosa non mi dispiace, perchè, seppur il sound mantenga ancora delle ingenue e talvolta scontate linee di chitarra, il suo ascolto rischia talvolta di rendere 'Transient Chronicles' un più che valido lavoro; se poi considerate che in certi frangenti la musica ha rievocato nella mia mente, udite udite, i Type o Negative, potrete certamente capire la mia positività. Belle le melodie di "Fugitive" o l'ispirata tribalità di "Inquilinos", song che rischiano di diventare noiose esclusivamente quando l'act sudamericano prova a pestare maggiormente sul pedale dell'acceleratore, nel tentativo di aumentare la pesantezza della loro proposta. Non so se i Poema Arcanus abbiano trovato una nuova formula, fatto sta che 'Transient Chronicles', pur non inventando nulla di nuovo, ha suonato per un po' (e con piacere) nel mio hi-fi, segno del tentativo forte dei nostri di tirarsi fuori dalle sabbie mobili putrescenti del death doom. Un piccolo ma apprezzabile passo in avanti. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PoemaArcanvs

sabato 11 gennaio 2014

Pas Musique - Abandoned Bird Egg

#PER CHI AMA: Elettronica Sperimentale, Gary Newman, Throbbing Gristle
Pas Musique è un collettivo musicale inventato e guidato dalla mente di Robert L. Pepper, nato nel 1995 ed 'Abandoned Bird Egg' è la loro ultima fatica licenziata ovviamente dalla Alrealonmusique, etichetta che cura tutta una serie di musiche e progetti legati all'elettronica più sperimentale e alla ricerca espressiva alternativa. La band di Brooklyn si divide tra sonorità esotiche e suoni tratti dalla rumoristica/elettronica d'avanguardia più ricercata e destrutturata. In alcuni momenti sembra di ascoltare gli Ozric Tentacles più commerciali, slavati e trattati in acido mischiati ai Banco de Gaia con una collocazione etnica rivolta allo spazio infinito. Non è facile introdurre questo lavoro, la musica è una sorta di chill out per outsider bionici, misantropi virtuali amanti di un'elettronica di confine con ritmiche appena sussurrate e umori/ rumori che incalzano ovunque, rendendo introspettivo e impegnativo il viaggio. A volte surreale, a volte tanto minimale che potrebbe essere una colonna sonora di un monolitico film di Kubrik... Così, fantasmi, mostri, cure psichiatriche e delizie afrodisiache si materializzano progressivamente durante l'ascolto del cd. La difficoltà nel definire questa esternazione elettronica di umori umani è paralizzante ma nulla ci toglie il piacere di esserne delicatamente attratti e sedotti. Dieci brani da inserire nella vostra giornata più astratta e inconsistente, un non senso sonoro che nasconde un fulcro legato ad una forma d'arte primordiale, l'arte di esternare radicalmente i propri sentimenti tramite rumori e suoni... "Dark Canopy" è una chicca, ricca di tanti suoni rubati alla new wave, al dub di Jah wobble, alla Trance music, al Drone/ambient/rumoristica rivista e trasportata in ambienti ultraterreni. Il suono di 'Abbandoned Bird Egg' è come uno stralunato Gary Newman dopo una sbronza, torturato da una macchina extraterrestre fanatica di Throbbing Gristle, oppure, una versione candida e minimale di Wolf Eyes senza la vena maligna... (Bob Stoner)

(Alrealonmusique - 2013)
Voto: 65

Vos – Remaining

#PER CHI AMA: Ambient Black sperimentale, Khanate, Sun o)))
Questo album autoprodotto della band denominata Vos di cui non abbiamo notizie, è la forma più raccapricciante e oscura dell'allucinazione perfetta. Un nero viaggio sul confine della paranoia più nera, un'evasione depravata dalle regole umane, una contorta dimostrazione di come si possa spingere il concetto di avanguardia black metal senza remore o paura di nuocere agli altri. Rumori provenienti dall'oltretomba, una chitarra costantemente e deliziosamente in feedback e una voce devastante e infernale niente di più. Sei brani dove il metal d'avanguardia dei Khanate e le sperimentazioni super doom di Sun O))) si scarnificano fino alla privazione della sezione ritmica. L'uso costante del feedback estremo, memore dei primi rumorosissimi Jesus and the Mary Chain, serve a creare brani al limite della sopportazione, al limite dell'accettazione sonora da parte della nostra morale. Un parto assassino che per i più risulterà indigesto ma che comunque mostra una virilità musicale estremamente convincente. I tre minuti e mezzo circa di "A Spider Bites the Thief" ci offrono una tregua con una solitaria chitarra limpida e notturna, pulita, coinvolgente e drammatica per ricadere nel brano a seguire, in una catarsi sonica composta da un'unica chitarra in preda alla misantropia. Screaming atroci e malati in lontananza, una lugubre colonna sonora perversa. Diciannove minuti di oltretomba sonico. Sicuramente inconcepibile ma estremamente affascinante! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/VosUSBM

Persekutor - Power Frost

#FOR FANS OF: Black Metal, Judas Iscariot, Hecate Enthroned, early Burzum
The official debut release from Romanian Black Metallers Persekutor is a rather blatant exercise in minimalism that tends to be quite enjoyable for its running time but goes through its paces too quickly to really mean anything. Raw, simple and sluggish is the name of the game here as the band produces simple chords and riffs replete with haunting drumming and sluggish vocals in a low-fi environment, rendering the instruments into a buzzing tone more often-than-not, though the droning, repetitive nature of the music doesn’t make this stand-out too much. It’s a simple, stripped-down, 2-song EP that really doesn’t offer much in the way of changes overall as you’re stuck for the duration of the songs running time with whatever they give you, and those looking for wild soloing, excess riff-work or dazzling displays of technicality within aren’t going to find much of anything here with both songs right around the three minute mark each. The efforts’ title track may offer up a colder, more sonically enclosed vibe with a lot more emphasis on the atmospheric images within the riffs as the glacial pace moves along throughout, but the gem is "The Twitching Hour," offering up a little more speed, a far more interesting central riff and offers some semblance of hope that the band may have something to work with in the future even within the confines of this melodic, atmosphere-heavy form of black metal. There’s still a ways to go but they’re getting there. (Don Anelli)

(Magic Bullet Records - 2013)
Score: 50

https://www.facebook.com/persekutor

Underdogs - Ready To Burn

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Stoner Rock, Kyuss
Gli Underdogs sono un trio nato intorno al 2004 che affonda le sue radici nel movimento stoner/desert rock, genere che tutt'ora ha un bel riscontro a livello nazionale. "Ready to Burn" è il loro primo lavoro (cinque anni or sono) che ha permesso alla band di farsi conoscere al pubblico, grazie anche al supporto della omni presente GoDown Records. Notevoli le collaborazioni degli Underdogs, quali Kyuss, Fugazi, etc., cosi come le ottime parole spese dalla stampa estera. Di ciccia quindi ce n'è, ma non facciamoci offuscare la mente dal buon marketing e ascoltiamo invece come suona questo "Ready to Burn". Dieci tracce (anche se la prima è una sorta di intro) che si librano tra le classiche sonorità desert rock, buona chitarra e sezione ritmica che pompano il giusto e risentono di tutta l'influenza Sleep e Kyuss. L'elemento che diversifica gli Underdogs è la voce, lontana dal classico timbro roco e da uomo vissuto, ma più melodica e rock in stile '70s. Le linee melodiche sono piacevoli da ascoltare e si incastrano bene con gli arrangiamenti, diversificando anche il modo di cantare, rendendo i vari pezzi sempre diversi tra loro. Altro punto a favore è il basso che in tutti i brani non si limita ad essere un mero compagno ritmico tipico del genere, ma diventa spesso protagonista con bei riff introduttivi e break. "Cowboy Style" inizia come una classic ballad un po' malinconica, come un vagabondo che si trascina tra cactus e scheletri di coyote alla ricerca della salvezza. Poi si trasforma e ingrana la marcia alta, aumentando il ritmo e l'aggressività sonora. "You Don't" è il pezzo classico stoner, meno aggressivo nella ritmica, ma più nei suoni distorti sempre grossi e potenti. Pezzo lungo che potrebbe stancare, ma il finale rallenta e ci regala un'atmosfera psichedelica come il ritornello. Buona la qualità a livello di registrazione, personalmente avrei inciso qualche linea di chitarra in più, ma in questo modo l'album è fedele al set up dei live. Direi che come esordio non è affatto male, ora posso passare al prossimo album e scoprire come si sono evoluti gli Underdogs. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2009)
Voto: 70

https://www.facebook.com/underdogstown?fref=ts

giovedì 9 gennaio 2014

*Shels - Laurentian's Atoll

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Post Rock
Ripeschiamo un vecchio album degli *Shels e diamogli un bell'ascolto: si parte con "Atoll". Un intro dalla voce graffiata a cappella, svincolato dalle sonorità che ascolteremo. Fate piuttosto partire a volume abnorme “Water”. Adesso sì che iniziamo a ragionare. Chitarra elettrica marciante, voce piacevolmente spartita tra acuti e ritmica di quel ritmo che lascia i neuroni convulsi. Un bel vortice a mezz’aria tra il pop ed il rock. Lasciate che vi stupisca prima di passare al prossimo brano. A metà canzone se volete sorprendere chi avete di fronte, mimate l’onda che il braccio fa, nell’invito ad un lento. Poi fatemi sapere com’è finita! Tintinnare metallico ripetuto. Batteria. Chitarra. Ridondanze sfumatamente accattivanti. Silenzio. Ripresa che è solo preludio al proseguo di questo “Ghost Writer” che mano a mano che scorre, osa. Urla. Satura l’aria di impasti dark estremamente stridenti con il preludio. Che dire di “City of the Swan”? Dico che questo ascolto sembra muoversi come pennellate lamentose melodrammatiche su muri invisibili che si rifiutano di riflettere il suono. Dico ancora che se in “Water” il dualismo tra lento e saturo di suoni, mi aveva convinto, qui aspetto che il brano finisca. Ma pare che all’alternaza non ci sia fine. Accendiamo la luce. Passiamo a “Lights in the Laurentian”. Chiunque di voi almeno una volta avrà ascoltato musiche zen fatte per assecondare il silenzio e godersi una sessione di massaggi aromatici. Ragion per cui se vi è piaciuto il genere, vi consiglio questo brano. Tranquilli questo pezzo è monocorda, inizia e finisce allo stesso modo. Niente paura! L’album prosegue, ma senza sorprese. “Fireflystarrs” e”Wing for Their Smiles” sembrano un ibrido tra i due brani precedenti. Veniamo all’epilogo di questo “Atoll”. Dulcis in fundo. “M”. Se vi è piaciuto questo album, abbassate le luci, condite l’atmosfera con candele ed un rum d’oltreoceano, perché quest’ultimo brano vi da suoni e tempo per meditare. Consigliato l’ascolto a chi si sente un giano bifronte. (Silvia Comencini)

Vin De Mia Trix - Once Hidden From Sight

#PER CHI AMA: Death Doom, My Dying Bride, Saturnus
Della serie piccoli My Dying Bride crescono, ecco arrivare dall'Ucraina questi Vin De Mia Trix per quella che è una collaborazione tra gli amici della Hypnotic Dirge Records e quelli della Solitude Productions. Avrete capito che siamo al cospetto della solita band dedita ad un death doom che si rifà sicuramente ai maestri inglesi, ma anche ai danesi Saturnus, con un album che monumentale è dir poco, con i suoi 65 minuti e passa di suoni monolitici, a tratti assai ispirati. "A Study in Scarlet" apre il lavoro con una melodia di forte rimando ai gods della "Sposa Morente", che tuttavia col passare del minutaggio tende ad esasperare toni ed atmosfere, con un sound pesante ma anche assai malinconico, che finisce per sfociare nel funeral. "Nowhere is Here" è un'altra mazzata che lambisce i dieci minuti di durata: lenta, melmosa, disperata e ispirata grazie a pregevoli aperture melodiche che si insinuano in fitti e oscuri meandri di notevole suggestione. Al growling possente si affiancano anche delle cleaning vocals, ma è il break centrale a catalizzare maggiormente la mia attenzione, spostando il mio sguardo sul minutaggio e segnandomi il minuto 4.45 come quello maggiormente degno di nota. Si prosegue con un lungo e superfluo intermezzo dal titolo in francese in cui ad essere al centro sono solo leggeri tocchi di pianoforte. Non so se "The Sleep of Reason" voglia essere un tributo a Goya, fatto sta che la canzone richiama altre realtà nordiche come i Doom:Vs o gli onnipresenti Swallow the Sun. Un'altra song fiume, "Silent World" e ancora umori di carattere depressive che emergono in una song cupa che sfodera tuttavia il più feroce latrato death dell'album e in cui le linee di chitarra omaggiano ancora una volta gli esordi dei MDB, prima che la song si soffermi in un interessante break acustico. Ancora un inutile intermezzo prima dei due pezzi conclusivi che proseguono stancamente sulla falsariga dei precendenti brani con il loro death doom atmosferico. Discreto l'esordio per il quartetto di Kiev, un po' poco però se si vuole attirare l'attenzione di chi è costantemente sommerso da sonorità di questo tipo. Urgono nuove idee... (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records/Solitude Productions - 2013)
Voto: 65

http://vindemiatrixband.com/

Pandemonium - Whispers

BACK IN TIME:

#PER CHI AMA: Death Doom
Dopo il Natale, i panettoni e le abbuffate, torniamo ad assaporare, un bel dolce dal gusto metallico, con le note di questo gruppo svedese (Lund), chiamato Pandemonium, e il loro ultimo ormai datato album 'Whispers'. Il cd è composto da 7 brani; superati i preamboli, immergiamoci nel lavoro dei nostri. Il cd sin dalla prima track “Whispers of the Damned” si fa subito notare per la sua violenza e per le atmosfere cupe che riesce a creare. I riff di chitarra suonano distorti e pesanti, la batteria si presenta brutale cosi come il growling, bello grezzo, anche se non mancano parti di voce pulita. Nota positiva per le parti di tastiera ben studiate e suonate, risuonano malinconiche nella brutalità dei pezzi. Le tracce da segnalarvi: “Organic Pain Collector” per quei suoi nostalgici tocchi di pianoforte, “Behold the Firestorm of Ages” per il suo dualismo ferocia/dolcezza e “Behind The Mask” song dal bel tiro. Queste sono le tracce più rappresentative del cd, nelle quali maggiormente si nota la veemenza e l'oscuro feeling che il cd è in grado di emanare. Unica nota stonata dell'album la mancanza di nuovi spunti, di una originalità assai lontana dalle band di primissimo piano, anche se il lavoro nel suo complesso risulterà comunque un valido esempio di death doom melodico con i classici lunghi pezzi che purtroppo alla fine ci riportano al pensiero “questa l'ho già sentito”, per quel suo sound troppo legato agli stilemi del genere. Mi aspettavo di assaporare una pietanza nuova e mi sono ritrovato a mangiare la solita minestra. Auspico pertanto che in futuro ascolteremo la band in una nuova veste, guidata da un nuovo impulso compositivo. (PanDaemonAeon)

(Self - 2008)
Voto: 60

http://www.pandemonium-metal.com/

Orbit Culture - Odyssey

#PER CHI AMA: Swedish Death, In Flames, Meshuggah, Gojira
Arriva giusto in tempo per essere messo sotto l'albero di Natale del “Pozzo” questa release digitale degli Orbit Culture. Il quartetto svedese non tradisce le proprie origini, proponendoci un gradevolissimo death melodico di scuola prettamente scandinava. La denominazione di origine controllata (e garantita) è confermata non appena faccio partire il player multimediale (per questo non potrò parlare di ciò che concerne artwork e packaging) in cui degli ottimi suoni fanno breccia nei miei timpani, riservando a loro un trattamento per così dire da “bastone e carota”. Precisissimi fraseggi alle 6-corde sfornano melodie molto riuscite che si alternano a batoste sonore create da riffoni in loop da headbanging forsennato; le growling vocals sono ben calibrate e mai fastidiose, il tutto miscelato sapientemente da un lavoro in studio estremamente chirurgico, solido e validissimo. Il lavoro in questione si compone di cinque tracce, più le stesse cinque tracce in versione strumentale (trend del momento a quanto pare, vedere per credere alla voce Evilness) che come ho avuto modo già di dire, consentono di apprezzarne meglio il lavoro “strumentale” ma non danno alcun valore aggiunto; in questo caso nessun problema, perchè bastano le cinque tracce complete di vocals per capire che questo 'Odyssey' è un lavoro ottimo, sotto ogni punto di vista. L'EP, se così lo si può definire, brilla di luce propria, anche se qualche bagliore di luce riflessa arriva da altrove: in alcuni riff si può scorgere la grande influenza degli immensi In Flames di 'The Jester Race', come più in generale i riferimenti a formazioni tipo Gojira e Meshuggah sono evidenti. Essendo ormai diventati veri “standard” del genere, ciò non intacca minimamente il valore di questa release che si mantiene veramente alto. Mi fa un piacere immenso venire a contatto con realtà di formazioni in grado di sfornare lavori di questo calibro, perchè è l'ennesima conferma che in giro c'è un sacco di ottima musica tutta da scoprire. Grande merito a questi quattro ragazzi svedesi per aver prodotto un bel lavoro, per essere in possesso di ottime capacità tecniche e soprattutto di avere delle idee ben focalizzate sul tipo di genere proposto; tra le mie tracce preferite sicuramente compaiono “Wildfire” e “The Planck Distance”, senza scordare la tellurica “The Sparrow”. Signori, qua il voto sarà alto; quando un disco non ha nessuna sbavatura di sorta, tipo questo, è merito esclusivo dei suoi autori. Pollice alto per gli Orbit Culture!!! (Claudio Catena)

mercoledì 8 gennaio 2014

Orob - Into the Room of Perpetual Echoes

#PER CHI AMA: Black Progressive, Samael, primi Katatonia
Un enigmatico intro apre il secondo EP dei blacksters francesi Orob. 'Into the Room of Perpetual Echoes' è un bell'esempio di black progressivo contaminato da sonorità post-metal che consentono al combo di Tolosa di prendere le distanze sia dal movimento post black che da quello più prettamente post metal. "The Pathway" è una song ben bilanciata tra sfuriate black, aperture progressive e fraseggi post, con il vocalist che si dipana tra uno screaming feroce e un cleaning cibernetico. E' forse con la successiva "Marrow" che i nostri mi convincono maggiormente: si tratta di un sound oscuro marcatamente mid tempo, dalle venature elettroniche, che ammicca ai Samael, ma che percorre al tempo stesso un proprio sentiero personale fatto di tempi dispari, improvvise accelerazioni e ritmi sincopati. "Celestial Abandoned" è una dark song estremamente controllata, il cui incedere ha un carattere minaccioso che rimarrà tuttavia tale per tutta la sua durata. Continuo ad apprezzare la performance di Thomas Garcia alla voce, sia nella sua forma granguignolesca che litanico-depressiva. Probabilmente la traccia risulta essere un po' troppo piatta lungo i suoi quasi nove minuti, ma quel suo giro di chitarra ipnotico, suona molto Katatonia era 'Brave Murder Day', il che mi piace e non poco. "Through Roots and Burrows" nel suo liquido inizio ha un tono malinconico e nelle sue note emergono le influenze post rock della band transalpina, prima che irrompa la parte più tirata dell'album, tuttavia si tratta della song che meno mi ha impressionato del disco: piatta e sconclusionata, troppo ancorata ad una tradizione old school, anche se al minuto 5, forte è il desiderio di divagare dal seminato e proporre qualcosa di più sperimentale, quasi avanguardistico, seppur sotto una luce catacombale. A chiudere il lavoro ci pensa "Neptune's Torch", un'altra song dal ritmo tirato (qui l'influenza del post black è palese) in cui vorrei segnalare assolutamente il brillante assolo finale che innalza qualitativamente la valutazione finale di questo lavoro, a cui vi suggerisco di dare una chance per scoprire una nuova interessante realtà musicale, gli Orob... (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/orobband