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Visualizzazione post con etichetta KAPA Records. Mostra tutti i post
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venerdì 8 giugno 2018

The Canyon Observer - Nøll

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge/Doom
Tornano gli sloveni The Canyon Observer con un album nuovo di zecca, edito sempre dalla Kapa Records, in collaborazione questa volta con la francese Vox Project. Le coordinate stilistiche del quintetto rimangono fedeli alle origini, un post metal miscelato con sludge e doom, ove le ultime due componenti sono maggiormente enfatizzate e dove il tutto è infarcito di qualche altra trovata, anche di sapore elettronico. "Mirrors", l'opening track è un pezzo che suona più come una lunga intro piuttosto che un brano vero e proprio, sebbene trapeli evidentemente lo stile muscolare dei nostri. La faccenda s'ingrossa con la title track, "Nøll", 150 secondi di sonorità immonde fatte di un drammatico e putrescente sludge, corroborato da un cantato selvaggio. Un bel basso apre "Entities", a cui si accodano chitarre e batteria, in una progressione sonora che si preannuncia ipnotica ed edificante. Una montagna invalicabile creata da una stratificazione ritmica paurosa su cui poggia il cantato di Matic Babič e delle urla disumane collocate in sottofondo (opera probabilmente delle due asce) che evolve in un caos sonoro caustico e delirante. "Lacerations" ha invece un approccio più votato al crust/post-hardcore, con cambi di tempo vertiginosi che sanciscono il quasi definitivo allontamento dalle sonorità che caratterizzavano questi musicisti agli esordi. Tuttavia, nella seconda metà del brano, la band ritorna sui binari della civiltà, offrendo il proprio lato più intimista e meno veemente, che va lentamente rallentando fino all'arrivo di "Abstract", una delle due canzoni più lunghe del lavoro, insieme a "Circulation". Due brani che superano ampiamente gli otto minuti, più sperimentale il primo, con le sue lunghe fughe strumentali figlie di un post rock progressivo di settantiana memoria che si alternano ad un sound più abrasivo che arriva a sfiorare addirittura il black metal. Il secondo invece ha un lungo incipit dal sapore ambient/dronico che a metà brano si lancia in una trance psichedelica. Nel frattempo ci siamo persi per strada la furia rumoristica della scheggia impazzita "Fracture", un po' grind, un po' mathcore ma anche decisamente noisy. L'ultima traccia a mancare nella rassegna è "Neon Ooze", un altro pezzo lanciato da linee di basso tonante suonate però a rallentatore, grida lancinanti e altri elementi disturbanti che hanno il solo effetto di condurci nel nuovo incubo firmato The Canyon Observer. (Francesco Scarci)

(Kapa Records/Vox Project - 2018)
Voto: 75

https://kaparecords.bandcamp.com/album/n-ll

sabato 15 marzo 2014

Ewok - No Time

#PER CHI AMA: Electro Music
Il trio sloveno degli Ewok, con il loro primo full-lenght 'No Time', dimostra ancora una volta quanto l’etichetta “musica elettronica” voglia dire tutto e niente: qui non ci sono il groove dei Propellerheads, i suoni industriali dei Nine Inch Nails, gli arrangiamenti dei 65daysofstatic, il minimalismo di James Blake; non c’è nulla di dubstep, drum’n’bass o ambient. Cosa resta? Poco o nulla in realtà: il risultato è un disco che può forse funzionare in certi club dell’est Europa per scatenarsi dopo mezzo litro di vodka, un insieme di musichette goderecce da party di serie zeta, con quell’atmosfera da festa tardo-adolescenziale mentre i genitori sono fuori casa. Il basso e la batteria, che dovrebbero essere cuore pulsante del big-beat (ascoltatevi Fatboy Slim o Chemical Brothers, giganti del genere), negli Ewok hanno una personalità quasi inesistente. Vengono premiati di gran lunga i synth anni ’80 – noiosi già dalla terza traccia – e la voce, sempre a cavallo tra melodie new wave e hip-hop da dilettanti. Il premio di peggior componente va senz’altro a Milan Jerkic (voce), che esagera con gli “yeah!”, i “c’mon!” e gli “hey” trasformando anche le poche tracce appena interessanti ("Don’t Stop, Mr. Pacman") in una specie di ridicolo ballo di gruppo. Gli Ewok strappano un 55 solo per l’artwork del disco (la copertina è raccapricciante, ma il layout interno è ben fatto) e perché, dopotutto, è il loro esordio: mi piace credere che sapranno migliorarsi. (Stefano Torregrossa)

(Kapa Records - 2013)
Voto: 55

lunedì 13 gennaio 2014

Ludovik Material – Passion For Red

#PER CHI AMA: Elettronica/Alternative
Non è mai un buon segno quando, dopo aver finito di ascoltare un cd, l’unico brano che ti va di riascoltare è quello intitolato “Intro”. Non è un brutto disco, quello licenziato da questo trio sloveno. Non in termini assoluti, almeno. Lavoro curato, tanto nei suoni, quanto nella sua presentazione (è sempre un piacere avere tra le mani un cd dal libretto “ciccione”), ma quello che non riesco a capire è dove i tre vogliano andare a parare. Quello di mescolare la musica elettronica e punk-rock è un gioco non più nuovo da una ventina d’anni, e tali e tante se ne sono sentite nel frattempo, da rendere davvero difficile rimanere impressionati da operazioni del genere, soprattutto se gran parte della scaletta ha un retrogusto piuttosto stantio. Ecco quindi che, dopo la Intro strumentale che fa il verso, senza da fastidio, a Stone Roses e Primal Scream, arrivano brani come “Passion for Red”, “Made In”, “Vecérni Program”… , un tantino ingenui e grossolani nell’accostare ritmiche dance e voci femminili pseudo sexy e un po’ caricaturali (avete presente la Gerini nei panni di Iris Blond?), starebbero bene in un film ambientato nella Berlino del 1990, ma sinceramente sono difficilmente digeribili oggi. Gli episodi migliori e più convincenti arrivano da metà disco in poi: sono quelli in cui la ritmica rallenta, la voce si fa meno enfatica e le chitarre si sporcano di feedback e riverberi, come nella malsana “Gun” o la sinuosa “Come”, trovando il vertice nel crescendo poderoso di “Heart for Sale”. Lavoro buono per metà e voto che è la media tra una prima parte fiacca e deludente e una seconda decisamente più interessante. Curioso (senza particolari patemi, però) di seguire le evoluzioni future. (Mauro Catena)

venerdì 1 novembre 2013

The Canyon Observer - Chapter II: These Binds Will Set You Free

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Sludge, Post Metal
Ecco l'album perfetto d'ascoltare la notte di Halloween. Che maestosa sensazione infilarsi le cuffie, spegnere la luce e ignorare quei bambinetti che suonano alla porta con il loro fastidioso ritornello “dolcetto o scherzetto?”. Meglio abbandonarsi alle tenebre sonore generate dal sound degli sloveni The Canyon Observer. Funeral, sludge e doom ovviamente a deliziare le mie orecchie, il tutto spruzzato di venature post. “Part I: As We Surrender to Lust” è un delirante viaggio nella notte: atmosfere rarefatte, chitarroni ultra ribassati e lenti su cui poggiano le acidissime e corrosive vocals del cantante. Con “Part II: And the Pleasures of Pain”, sprofondiamo negli abissi: da brividi l'atmosferico incipit, un po' stile Neurosis ma con maggiori influssi funeral, dovute ad un ritmo che stenta a decollare e che rende l'ascolto particolarmente asfissiante. Poi un bel giro di chitarra/basso, corredato da vocals malefiche, spezzano il loop malsano che lentamente mi stava prendendo la testa e ricama misantropiche melodie. Con “Part III: We Can Descend Into the Unknown” i nostri non si perdono tanto in chiacchiere: il ritmo è più spedito, uno squarcio di luce inizia ad emergere nelle note, e il post metal/sludge assume una maggior preponderanza sui suoni funeral iniziali. Le vocals oscillano tra il growling profondo, le urla disumane e il clean, mentre uno splendido break centrale dalle tinte post rock, assume il comando delle operazioni da qui alla fine del pezzo, cullandomi con i suoi delicati suoni. “Part IV: And Drift Away” chiude paurosamente la mezz'ora di ottima musica messa in scena dai nostri nuovi amici sloveni, con una song dal forte feeling malinconico. Ottima scoperta questi The Canyon Observer, da tenere assolutamente monitorati in futuro. (Francesco Scarci)