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venerdì 5 aprile 2013

Declan Berdella - Indigo

#PER CHI AMA: Suoni Sperimentali 
Gli Expedición a las Estrellas sono una band messicana dedita ad un post rock/hardcore che mi è ormai entrata nel cuore; Declan Bertella è il chitarrista di questa band, che lo scorso anno, in attesa di dar la luce al nuovo lavoro dei EALE, ha pensato bene di uscire con un qualcosa di strano e assai interessante/intrigante. Già dall’intro infatti è possibile intuire che non ci troviamo di fronte a nulla di cosi scontato, un qualcosa di non cosi facile presa e catalogazione. Un carillon apre la seconda energica traccia, “Transmutacion” (dove compaiono tra l'altro un paio di ospiti di EALE e Dervans), che ha un qualcosa del thrash anni ’90 dei nostrani Alligator e IN.SI.DIA. che ben si miscela con sonorità più attuali e post- qualcosa, che non so e non oso definire. Ormai troppo sottili i confini che dividono le sonorità post da qualunque altro genere, e per questo preferisco non sbilanciarmi; e faccio bene, visto che nel mezzo della song, il bravo Declan cede ad un intermezzo ambient, in cui le chitarre quando ripartono, hanno un feeling al limite del depressive. Poi è un po’ l’imprevedibilità a prendere il sopravvento con il thrash che si fonde a ritmi sudamericani. Un drumming deliberatamente cibernetico domina la troppo sintetica e “ataristica” “Feed Them to the Lions”. La marcescenza di “Jose Saenz” irrompe e dopo cinque tracce non mi è ben chiaro se la musica che sto ascoltando sia dello stesso artista o sia il risultato di un collage di più band, comunque la song è oscura e minacciosa, con un finale in cui compaiono anche degli archi e una verve che si rifà ai The Ocean. A Declan piace disorientare l’ascoltatore non c’è dubbio, e lo si evince dai suoni di chitarra che adotta in un brano, piuttosto che in un altro. Con “Chapter II” parte la seconda parte delle tre che costituiscono questo stravagante Lp, di cui auspico una messa su cd, prima o poi. Trovandomi al cospetto di ritmiche techno music, non so più che pensare, vado avanti convinto di trovare sperimentazione a go go, pane per i miei denti. E non mi sbaglio di certo, dato che con la successiva “Framed Pictures of Strangers and Sore Spines” mi sembra di avere a che fare con dei Primus ancora più folli e in una versione post. La musica è in continua evoluzione, Declan ne esplora un po’ tutti gli ambiti, non ponendosi alcun limite e voi dovrete fare altrettanto se vi metterete all’ascolto di questo delirante lavoro, che tra cupi suoni minacciosi, inserti di dialoghi cinematografici, riverberi post rock, frangenti ambient, incursioni disco dance, messaggi subliminali e momenti quasi romantici su ritmiche thrash, ne sentirete davvero delle belle. Bravo Declan! (Francesco Scarci)

(Self) 
Voto: 75

Burned in Blizzard - Whiteout

#PER CHI AMA: Thrash Melodico
L’occhio inquietante della copertina del cd mi guarda da un po’ troppo tempo: ok a noi due. I Burned in Blizzard arrivano da Riga, l’idea del gruppo nasce nel 2010 e si completa nel 2011. Ecco la line-up: Karl Kalvish (voce/chitarra), Matt Claveiniuss (chitarra/voce), Robert Tsesheiko (batteria), Roland “Joe” Ignatyev (basso/voce). Sì, avete visto bene: tre vocalist. No, non cominciate ad alzare il sopracciglio con quell’aria poco convinta. Sì va bene, l’ho fatto anch’io, però guardate che ne uscirà un lavoro fatto bene. Giuro. A questo punto, uno si potrebbe aspettare un prodotto thrash melodico, dove le doti di tre voci vengono messe un po’ qua e là, magari in maniera spiccatamente posticcia. Una cosa del tipo: facciamo delle tracce belle cattive, con un cantato growl onnipresente, dei riffoni tiratissimi, una batteria che neanche il motore di un trattore picchia così, un basso giusto accennato e poi ci aggiungiamo dei cantati più melodici; così ci esce una cosa super meticcia e ci facciamo una bella figura come band eclettica. No, secondo me, qui le possibilità di una tale assortimento canoro sono state sfruttate per bene. Forse la band ha detto qualcosa del tipo: va bene, il genere che ci piace lo sappiamo, partiamo dalla nostra dote di vocalist, usiamola come base e creiamoci intorno delle song come diciamo noi. Facile a dirsi, meno a farsi. Però i nostri sono stati in gamba, hanno fatto un platter equilibrato. Nelle varie tracce si avverte anche lo sforzo compositivo nella continua ricerca di soluzioni e suoni. Le parti strumentali veloci si mescolano bene con quelle più tranquille. E lo stesso fanno le diverse voci, ognuna portando una sfumatura diversa. L’anima strumentale e quella canora si amalgamano in modo abbastanza personale, in cui gli episodi sono quasi sempre riusciti. Alcune cadute infatti ci sono e ci stanno, come è fisiologico che sia, specie nelle tracce più lunghe. Spiccano “Welcome” per la sua carica energetica, le più introspettive “Bloodlees” e “Burn” e la bonus track “Motors” (cantata in lingua lettone, ma non ci giurerei...). Menzione a parte la merita per la strumentale “The Heart”, che sembra venire fuori da un altro album, le cui sonorità variegate, il suo crescendo e il finale sfumato, alla fine mi hanno davvero colpito. Trovo invece in “SinPathetic” una certa mancanza di coerenza che la rende inferiore al resto delle tracce. Pollice decisamente alto, e voi ora potete abbassare quel sopracciglio! (Alberto Merlotti)

(Self) 
Voto: 80

giovedì 4 aprile 2013

Gardenjia - Epo

#PER CHI AMA: Djent, Meshuggah, Vildjartha
Ecco il rischio della musica digitale: scaricarla, metterla in una qualche parte nell’hard disk e dimenticarsi totalmente di avere a portata di mano qualcosa di succoso ed interessante. Mi scusino i baresi Gardenjia, che già avevamo ospitato nelle pagine del Pozzo, in occasione del loro primo lavoro, quella volta però fortunatamente in cd. Tornano dunque con quello che dovrebbe essere il loro full lenght di debutto, un album che prosegue sostanzialmente la strada tracciata dal precedente EP, “Ievads”. Stiamo parlando ovviamente di djent, che tanto andava di voga nel biennio 2010-2012, ma di cui poi lentamente se ne sono perse le tracce, con alcune band che hanno virato il proprio sound verso altre sonorità più ruffiane. Non è certo il caso dei nostri che tentano immediatamente di anestetizzarci con l’ipnotica “Ante Rem”, song che oltre a fare il verso ai Meshuggah, ricalca anche le gesta dei vari Vildjartha e Uneven Structure. Gli ingredienti classici del genere ci sono tutti: le solite chitarre polifoniche e ribassate, che entrano da un orecchio e escono dall’altro, lasciandomi in uno stato mentale distorto e stordito. La tecnica sopraffina non può assolutamente mancare, se si vuole emulare le gesta dei gods svedesi o francesi, quindi anche la band pugliese, esce a testa alta sotto questo profilo. Da un punto di vista musicale, l’approccio alle song non è dei più semplici, dato che un po’ come è in casa Meshuggah, anche qui l’act italico rischia il più delle volte di (s)cadere nell’eccessiva reiterazione di alcuni riffs o poi, come accade nella lunga title track, le chitarre suonano molto disarmoniche e ubriacanti, rendendo il tutto di difficile digestione, ma forse conferendo un maggiore interesse al disco. “In Blue” è un bel pezzo, anche se il riffing suona ormai troppo simile ad altre mille release. Certo sarà anche il genere che lo impone, ma se dopo 3-4 anni di globalizzazione di questo stile, siamo già in una fase di saturazione, sarebbe il caso di trovare nuove soluzioni. La voce del vocalist spazia tra il pulito (non troppo convincente) ad una voce più incazzata, mentre interessante e spesso sottovalutato è il lavoro dietro alle tastiere. Menzione finale per “In Dusk”, in cui fa capolino anche un malinconico sax, che denota una voglia di maggiore personalità nel proprio sound da parte dei nostri. Forse la carne al fuoco è ancora molta, tuttavia, la strada intrapresa dal combo italico, sembrerebbe quella giusta. (Francesco Scarci)

(Self) 
Voto: 75

lunedì 1 aprile 2013

The Pit Tips

Bob Stoner

David Bowie - The Next Day
Esben and the Witch - Wash the Sins not Only the Face
Voivod - Target Earth

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Francesco “Franz” Scarci

Maudlin - A Sign of Time
The Black Heart Rebellion - Har Nevo
Obsidian Kingdom - Mantiis

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Alberto Merlotti

David Bowie - The Next Day
Suede - Bloodsports
Depeche Mode - Delta Machine

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Samantha Pigozzo

CMX - Seitsentahokas
Viihteen Uusi Aalto - Kvanttikuolemattomuus
God is an Astronaut - All is Violent all is Bright

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Michele “Mik” Montanari

Black Rebel Motorcycle Club - Specter at the Feast
Il Buio - L'Oceano Quieto

Mud Angel - Promo 2011

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Roberto Alba


Tribulation - The Formulas of Death
Hypocrisy - End of Disclosure
Black Crucifixion - Coronation of King Darkness

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Stefano Torregrossa


James Blake – James Blake
Romero – Take The Potion
The Ocean – Precambrian

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Mauro Catena

Self-Evident - We Built a Fortress on Short Notice
Crash of Rhinos - Distal
David Bowie - The Next Day;

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Kent

Syndrome - Floating Veins
Russian Circles - Station
Midryasi - Corridors

Wilds Forlorn - Bellum Omnium Contra Omnes

#PER CHI AMA: Black Ambient
Un vero e proprio peccato che certe band passino totalmente inosservate ed inascoltate. È il caso della one man band olandese dei Wilds Forlorn che, sotto l’egida di Yuri Theuns, credo vanti un bel record: zero recensioni trovate online di questo disco e una difficoltà assurda a reperire qualsiasi tipo di informazione, se escludiamo uno striminzito sito e la loro pagina bandcamp. “Bellum Omnium Contra Omnes” è una sola traccia di 27 minuti, anche se per come progredisce, sembra scandire l’evolversi in realtà di quattro song ben distinte, che si aprono con una lunga intro ambient, lasciano il posto successivamente ad un brano che si dipana tra il black sofferente, ma ricco di atmosfere e orchestrazioni. Ancora ampio spazio tra un pezzo e l’altro viene concesso a lunghi interludi ambient, che smorzano la tensione palpitante che si respira nel corso dell’ascolto. La produzione non è proprio impeccabile, forse un po’ troppo pastosa, che penalizza il suono degli strumenti, in primis la batteria, di cui è difficile riconoscere il pattern. La voce gracchiante di Yuri ben si adatta invece alla proposta maligna dell’act di Utrecht. Il problema essenziale di questo EP è che non offre alcun tipo di sussulto che attiri la mia attenzione: un black notturno, mid-tempo, ben orchestrato per carità, ma che nel giro di un paio di ascolti rischia di cadere nell’oblio. Sound da rivedere e riascoltare col nuovo lavoro, “We, the Damned”, il cui titolo è perfetto per il Pozzo dei Dannati. (Francesco Scarci)

The Matador - Descent Into the Maelstrom

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Cult of Luna
Non dovrei più stupirmi di nulla ormai, sono nel giro “metallico” da quasi 30 anni e credo di aver sentito decine di migliaia di album, aver esplorato generi e sottogeneri, aver attribuito ad alcune nazioni il merito di aver inventato alcuni stili o partorito alcune tra le più grandi band di sempre. Ebbene, ho sempre pensato che gli US, che hanno dato i natali a Isis o Neurosis, tanto per citare due nomi a caso, fossero la patria del post metal. Ora scopro che in successione, dopo i We Lost the Sea, ecco arrivare dall’Australia anche questi The Matador con il loro debut EP. “Descent Into The Maelstrom” è un lavoro di chiara matrice post, assai raffinato e dalle molteplici influenze, che nei suoi 30 minuti spazia dagli inquietanti riverberi iniziali di “Kingdom of Glass”, in cui è il suono del basso e delle chitarre a guidare il sound dei nostri, prima che irrompa la voce abrasiva del bravo vocalist. Le atmosfere sono criptiche, a tratti claustrofobiche, ma credo che l’effetto sia dovuto all’ispirazione della band, in fatto sia di concept che di contenuti, all’enigmatico Edgar Allan Poe. E cosi ecco fuoriuscire dagli strumenti del five-piece di Brisbane, lente composizioni costituite da suoni prettamente notturni (emblematica la seconda splendida traccia, “Parallax Error”, quasi un rituale mantrico in grado di sprigionare un’immensa energia) o altri che richiamano il post rock (che va spesso a braccetto col post metal) come nell’inizio di “Eclipse”. La band è poi brava anche ad innalzare irti muri di chitarre come in “The Woman Clothed in the Sun”, nonostante il litanico epilogo e i suoi brevi interludi ipnotici. Comunque è poi l’amore viscerale dei nostri per Isis o Cult of Luna a prevalere e nella conclusiva “Vurt”, tutto quello che la band ha imparato dai loro paladini, si fonde in un brano da urlo, che sancisce la mia nuova ultima eccellente scoperta. Signori ecco a voi i The Matador, potenziali fuoriclasse di un nuovo filone post proveniente dal nuovo continente. Sublimi! (Francesco Scarci)

(Serotonin Productions)
Voto: 80

https://www.facebook.com/thematadornoise

sabato 30 marzo 2013

Somber Light – Akira

#PER CHI AMA: Post Rock, Neo psichedelia, Strumentale
Luglio, Goose Festival. Mentre passeggiavo pacchianamente nel parchetto di Zevio, aspettando che iniziassero a suonare i Riul Doamnei, giunge alle mie orecchie il lamento di una coppia di persone che cercano un posto dove suonare sbandierando la loro fede verso il post-rock; di conseguenza non potevo far altro che andare da loro ed introdurli nella causa del Pit. Nel periodo successivo mi arrivò finalmente, conservato in un doppio cartonsleeve lucido, il loro disco "Akira", un omaggio al grande regista nipponico registrato interamente in sala prove. La loro musica si stacca dal classico post-rock atmosferico ricco di melense melodie e si focalizza principalmente su una chitarra che preferisce evitare le armonizzazioni e sinuosamente si muove tra le singole note con una sezione ritmica a se stante che la sostiene; purtroppo la qualità audio è una lama a doppio taglio, esalta il suono genuino della musica ma crea gravi problemi quando gli strumenti sfociano nel noise e gli effetti sono troppo preminenti. L'album non è semplice da ascoltare, ci vuole tempo per assimilarlo completamente poichè quest'opera è un sottofondo che trascina e confonde l'ascoltatore, capace di disperderlo nei meandri del pensiero. Nel gruppo ora s'è aggiunta una tastiera e l'anteprima del nuovo "Orgaenia" è il risultato perfetto di quello che manca a questa pubblicazione. Essendo una band molto attiva live, vi consiglio fortemente di andare ad un loro concerto appena potete, per giudicare voi stessi il potenziale di questo gruppo. (Kent)

 

In-sight - From the Depths

#PER CHI AMA: Swedish Metal ricco di groove, In Flames, Trivium
Nati nel 1996 come una "Swedish metalcore band", i nostri hanno subito diversi cambi di line-up fino ad arrivare a quella odierna, con la partecipazione femminile di Emanuela. L'"Intro" si apre soave, con note di pianoforte: è dopo poco meno di un minuto che attacca una potente rullata, con l'avvio di "Mind the Light", dove compare la delicata ma al contempo energica voce di Emanuela. Il growl di Andrea si contrappone egregiamente a quello della fanciulla, creando una sorta di emulo dei Nightwish (ma senza orchestra) o dei nostrani Lacuna Coil. "Winding Coil" ha un ritmo ben delineato e scandito, che ti porta a muoverti come in preda ad un raptus. "Frost Hate" ricalca bene o male il ritmo di cui sopra, ma con inserti di assoli di chitarra alternati alla grancassa egregiamente suonata. "Insight", a giudicare dal titolo, parrebbe una canzone introversa all'inizio: ma bastano pochi secondi che l'energia esplode e il ritornello inizia già ad entrare nella testa, rimanendoci per un lungo lasso di tempo e portandomi a canticchiarla spesso. "Parasite" riprende l'intro di "Mind the Light", ma la parte femminile viene spinta quasi all'estremo del timbro, sembrando ancora più grintosa: cosa più semplice quando motivata dal growl e dal ritmo cardiopalmico. Una delle canzoni migliori dell'album, a mio parere. Con "Rary" si tocca la parte più melodica (ma non melensa), dove l'unica voce, per la prima metà della composizione, è quella della fanciulla, ma senza perdere quella vigorosa parte di batteria. Dicevo per metà, visto che nella seconda si libera la bestia dando sfogo alla vena death: la si potrebbe definire una canzone alla "Dr. Jeckyll and Mr. Hyde", visto che si conclude con tutta la delicatezza possibile. Arriviamo quasi alla fine di questo primo lavoro con "For the Sake of the Show", dove l'inclinazione brutal squarcia il cielo già rannuvolato, per colpire come un fulmine per tutta la durata del pezzo. Growl puro, batteria berserk e l'animalismo che pervade il corpo, facendo venire la pelle d'oca da tanta bravura. Con "Informulation" giungiamo alla fine: la ricetta è bene o male sempre quella, ma ogni motivo si differenzia dall'altro per la capacità di giocare sul tono di voce e modificarlo a piacimento, rendendolo interessante e piacevole. Di certo non hanno nulla da invidiare alle altre band con una voce femminile all'interno, ma nemmeno allo Swedish metalcore per la parte death: di sicuro sono da tenere d'occhio, perché se sfornano un LP come questo, i prossimi non possono che essere migliori.(Samantha Pigozzo)

(Logic(il)logic)
Voto: 70

http://www.insightband.net/

Animae Capronii – Red Shot One, No Two, Three, Four Thousands!

#PER CHI AMA: Black cristiano, Armageddon Holocaust, Bedeiah
Questa one man band che fa riferimento al musicista italiano Cesare Sannino vanta un infinito e variegato insieme di uscite dal lontano 2003 ad oggi. L'autore si fregia dell'insegna unblack metal (con parecchie band di riferimento a livello mondiale) un genere che, per chi non ne fosse a conoscenza altro non è che una corrente del black metal per nulla diversa musicalmente, look o stile compositivo, tranne che per le tematiche e i testi trattati, che fanno riferimenti al cristianesimo e alla sua interpretazione più o meno come il christian metal (Strypper) o il christian core (The Chariot). L'album che ci è stato spedito è del 2008 e risente tantissimo di una registrazione demo che lo penalizza fortemente e se lo uniamo alle poche capacità compositive dell'autore non ci resta altro che apprezzare la buona vena melodica e la tenacia con cui ci s'immerge nella sua musica. La musica è molto sconquassata, loop di batteria al limite dell'imbarazzo e chitarre suonate sommariamente, tastiere quasi giocattolo a scimmiottare il genere in maniera grottesca. Con questo non vogliamo distruggere il lavoro di questo artista, anzi notiamo che nelle sue uscite dopo questo lavoro sono avvenuti dei notevoli miglioramenti e forse questo cd non era altro che un gioco/esperimento da cui far partire il tutto in maniera più seria. L'attitudine c'è, la passione e la volontà anche. La nostra grande ammirazione per portare avanti il concetto di unblack metal che per certi aspetti è una naturale evoluzione in controtendenza ad un genere abusato in negativo. Il consiglio è di andare ad ascoltare brani come "Hope" o "Lament of Believer" sul myspace per capire veramente la qualità di questo autore e trarre le considerazioni più giuste e magari ascoltare i suoi album più recenti. Non possiamo giudicarlo su questo lavoro perchè sarebbe ingiusto e compromettente nei confronti dell'evoluzione stilistica compositiva avvenuta dopo di esso che è di sicuro interesse. Scoprire per credere. (Bob Stoner)

Golthoth – Ruins of the Damned

#PER CHI AMA: Black, Emperor, Dark Funeral
Questo cd datato 2007, dal titolo "Ruins of the Damned" è autoprodotto e rappresenta il primo demo/EP dei Golthoth, formazione di Treviso dalla personalità molto marcata. Dal loro myspace veniamo a sapere che hanno dato di recente alle stampe un full lenght con un nuovo chitarrista e da quel che abbiamo ascoltato ci è parso di sentire un lieve cambio di direzione, di costruzione e sonoro nei nuovi brani, rendendoli più omogenei e più appetibili al pubblico del metal estremo. Tornando al demo la cosa che più colpisce è il gusto e il calore che si trasmette in tutti i quattro i brani, cosa che in questo genere non è facile trovare. Il suono dei pezzi riporta alla mente una chicca del metal oscuro, ovvero l'album "The Beginning" dei Mercyful Fate (ovviamente la voce è completamente diversa da quella di King Diamond!), così carico di suggestioni '70s/'80s proiettate nel futuro del metal estremo. Sarà il suono vintage delle chitarre, il modo di interpretare vocalmente i brani, così variegato e sentito o il suono naturale della sezione ritmica, uniti ad una composizione moderna e potente che rende il tutto così speciale e appetibile. Una forma di black metal con mille sfaccettature che nella prima traccia ricordano per la voce alcune cose dei Falkenbach o degli In the Woods per poi evolversi in echi dei primi Dimmu Borgir, in maniera meno sinfonica, più vicini agli Emperor e per certi aspetti più classic metal. Nelle due tracce centrali c'è velocità e un sound spigoloso che li avvicina al suono dei Dark Funeral mentre nella traccia finale vi troviamo innesti doom e voci growl ben assestate senza mai far cadere l'ottimo retrogusto vintage metal che contraddistingue questo EP. Un demo di tutto rispetto quindi, molto disinvolto, carico di oscurità e capace di catturare l'attenzione, abile a proiettare in avanti una band molto promettente. Aspettiamo di ascoltare il nuovo materiale per vedere quale altra sorpresa ci riserverà questa ottima band. Buon ascolto, ne vale proprio la pena! (Bob Stoner)

venerdì 29 marzo 2013

Buildings – Melt Cry Sleep


#PER CHI AMA: Noise Rock, Jesus Lizard, Shellac, Unsane
Mentre ascoltavo per la prima volta il secondo cd di questo trio di Minneapolis, mi sono per un attimo convinto di essere tornato nel 1993. Per una mezz’ora ho provato di nuovo la stessa rabbia repressa che il solo Kurt Cobain sembrava potesse capire, la stessa non-voglia di prepararmi al compito di matematica e lo stesso bisogno di giocare a pallone con gli amici fino a non sentire più la fatica. Tutta colpa (o merito) di quello che usciva dalle casse dello stereo. Quell’assalto all’arma bianca di noise, rock martoriato e punk blues belluino, che sembra il risultato di una creazione di laboratorio, per ottenere la quale si sono mescolati un 60% di Jesus Lizard epoca "Liar", un 30% di Shellac di "At Action Park", e spruzzate di Unsane e Melvins. Sezione ritmica sugli scudi, con tanto di basso caterpillar a demolire qualsiasi cosa gli capiti a tiro ("Wrong Cock"), chitarra tagliente come un bisturi maneggiato da un boscaiolo ubriaco ("I Don't Love My Dog Anymore") e voce filtrata che gratta e ferisce come una spazzola dalle setole di ferro arrugginito. E ancora scosse telluriche sostenute da un interplay basso-batteria come vorremmo sempre sentirne, code strumentali rallentate e quasi stoner e in generale una coesione tale da far di questo lavoro una gran bella botta in piena faccia. Il suono è dunque per forza di cose derivativo, ma non per questo poco convincente, anzi riesce ben presto a vincere la diffidenza e il sospetto iniziali di trovarsi di fronte a un qualcosa di studiato a tavolino. E’ un disco denso e rovente, "Melt Cry Sleep", dove tutta l’urgenza e la paranoia riversata vent’anni fa da David Yaw e compagni, non viene qui scimmiottata e riproposta come un copione mandato a memoria, ma piuttosto appare metabolizzata dai tre che ne sono interpreti sinceri e appassionati. Secondo centro per la Double + Good records, che dopo il magnifico lavoro dei Self-Evident, ci regala questo concentrato di potenza primordiale molto poco rassicurante. (Mauro Catena)

(Doubleplusgood Records)
Voto: 80

http://buildingsband.bandcamp.com/

Mud Angel - Introduction Promo 2011

#PER CHI AMA: Rock/Grunge
Inutile dirlo, a volte la vita riserva delle piacevoli sorprese. Concerto dopo concerto, decine di cd accatastati a casa e in macchina, svariati giga di musica, ma quello che ascolti continua a mancare di quella scintilla creativa che ti possa distogliere dallo stato di apatia musicale cronico. Eppoi, mentre sei al bancone della tua osteria di fiducia con la fida pinta di rossa in mano, senti provenire delle note suadenti dal fondo del locale. Chitarre ruvide, voce rauca, basso grosso e batteria nervosa, mi portano indietro nei '90s quando c'era una fervida scena grunge che proveniva dal lontano continente scoperto recentemente da noi europei. Ringraziato il mio dio per il fatto che non fosse il solito gruppo tributo, mi lascio trasportare dai riff e dalle voci. E ora ho tra le mani questo promo che contiene quattro brani discretamente registrati, che permettono di assaggiare un po' di fango angelico con il pericolo di diventarne dipendenti. "Devil's Daughter" apre le danze con un rifettino leggero di chitarra e wha wha che fa gli onori di casa ai quasi cinque minuti di puro rock del pezzo. Suoni vintage e arrangiamenti a tema creano l'atmosfera giusta, se poi ci mettiamo la grande voce del cantante e le back del batterista, stenti a rimanere lucido. A tre quarti del brano le ritmiche forsennate si smorzano per lasciare spazio ad un break che rasenta la psichedelia degli anni '70. "Believe in Me" è probabilmente il brano che maggiormente pesca a piene mani dalle sonorità di Seattle, ma le usa a suo piacimento con un uso intelligente degli arrangiamenti e della ritmica che si devono adoperare per non cadere nei soliti schemi. L'assolo di chitarra sembra uscito dalle magiche dita di Slash per come è concepito ed eseguito. Respect, niente da aggiungere. La terza traccia "It Seems" propone una ballad in cui il vocalist dei Mud Angel sembra il fratello di sangue di Brandon Boyd (Incubus) per le sfumature che le sue corde vocali regalano, soprattutto nella parte iniziale della traccia. Infatti in questi due minuti chitarra-basso-batteria si intrecciano ad arte. Solamente in questa canzone avrei lavorato un po' di più in mastering per correggere alcuni dettagli come il ride della batteria che nel ritornello risulta un pò troppo alto, ma queste sono solo seghe mentali. "Mario" è indubbiamente il mio pezzo preferito, veloce e irriverente come deve essere il buon rock, tanto gas e pochi freni come su una Charger del 1969. Aggiungo che i live dei Mud Angel sono godibili, sia in elettrico che in acustico, quindi non fateveli sfuggire. La sacra fiamma del rock arde nei nostri giovani e promettenti Mud Angel, che essa possa arrivare il più in alto possibile e incenerire ciò che di mediocre ci circonda. Fuoco cammina con loro, oserei dire. (Michele Montanari)