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sabato 18 aprile 2020

Abeyance - Portraits of Mankind

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity
Ah, ma c'è ancora qualcuno nel mondo che suona death melodico che chiama in causa i vecchi Dark Tranquillity? L'ho scoperto solamente oggi, con l'arrivo sulla mia scrivania dell'EP di debutto dei milanesi Abeyance, uscito sul finire del 2019 per la Sliptrick Records. 'Portraits of Mankind' è il lasciapassare dei nostri per farsi conoscere ad un pubblico più ampio. Dicevamo EP e Dark Tranquillity: cinque tracce quindi per un sound fresco e scorrevole come solo la band di Gotheborg riesce ancora a creare. Si parte in tromba con la title track e un riffing serrato che mette in mostra una bella melodia di sottofondo come da insegnamenti di Mikael Stanne e soci. E poi un saliscendi dinamico di chitarre, breakdown, rallentamenti e finalmente degli assoli interessanti. L'attacco della successiva "In Falsehood Dominion" sembra un estratto da un qualsiasi disco dei Dark Tranquillity, anche se proseguendo nell'ascolto, il muro ritmico si fa più violento, con i vocalizzi del frontman piuttosto radicati nel growling death metal, quello comprensibile però. Poi un'altra frenata e la song s'incanala dalle parti di un mid-tempo, prima della sassaiola finale molto più vicina al post-black che al death metal. Un pianoforte introduce "Mine Are Sorrow and Redemption" (quante volte l'hanno fatto anche i nostri idoli svedesi?), giusto una manciata di secondi e poi via con il muro di chitarre, stop'n go, spoken words in sottofondo, i motori si scaldano per partire a mille, ed eccomi accontentato. Probabilmente il canovaccio è piuttosto scontato, ma il risultato non è affatto male in termini qualitativi. E forse la prima considerazione che farei su questo dischetto in ottica futura, è proprio quella di lavorare sull'imprevedibilità della musica, aumentando in questo modo la longevità d'ascolto della band meneghina. Le qualità per fare bene infatti ci sono tutte e questo è dimostrato anche dall'assolo progressive in coda a questo pezzo. Poi, ascoltando le successive "Innerscape" e "Secretly I Joined Dark Horizons", non posso che apprezzarne i contenuti, sebbene si tratti di un paio di pezzi un po' più classicheggiante nel loro incedere e quindi troppo ancorate a stilemi che forse andavano di moda una ventina d'anni fa. E qui arriva la mia seconda considerazione: cerchiamo di lavorare maggiormente in termini di creatività e personalità, mettendo da parte gli indottrinamenti dei maestri. 'Portraits of Mankind' è sicuramente un bel rodaggio, ma in futuro mi aspetto grandi cose dagli Abeyance, quindi attenzione, che vi tengo sott'occhio! (Francesco Scarci)
 

venerdì 1 novembre 2019

Eigenstate Zero - Sensory Deception

#PER CHI AMA: Death sperimentale, Edge of Sanity, The Project Hate
Stoccolma, da sempre centro strategico da cui brulicano band di ogni tipo, dal death metal degli Entombed al pop degli ABBA. Gli Eigenstate Zero sono gli ultimi arrivati e rappresentano il solo-project di Christian Ludvigsson, uno che deve essere cresciuto a pane, Entombed ed Edge of Sanity, il che vi dà immediatamente la dimensione in cui andremo ad immergerci oggi con questo fantastico 'Sensory Deception', debut della band. E qui tutti i nostalgici delle band che ho citato poco sopra (a parte gli ABBA) andranno sicuramente a nozze, visto che già dall'opener "Fringe", verremo investiti da un treno impazzito recante un bel carico di death metal svedese di vecchia scuola stoccolmese. Non pensiate però che il buon Christian abbia preso il copione degli act storici e ce l'abbia riproposto tale e quale; fortunatamente, il mastermind di oggi ha buon gusto, buone idee e per questo, già dalla successiva "1984.2" va ad abbinare il death old school con una forma interessante di cyber metal, cosi come una forte componente sci-fi emerge dalla lunghissima "The Nihilist", una traccia di oltre 11 minuti che se non sviluppata decentemente, rischierebbe di annichilire anche il più preparato dei fan death metal. Pertanto, ecco che un sound in stile At the Gates viene "sporcato" da deliranti influenze elettroniche che rendono la proposta estremamente varia ed interessante, nonchè vincente. Rimane sicuramente il marchio di fabbrica svedese, ma poi si va ben oltre (e per fortuna), sciorinando vertiginosi riff e assoli in un contesto oscuro e malato che sembra evocare anche, in ordine sparso, Between the Buried and Me, Devin Townsend, gli australiani Alchemist, Dillinger Escape Plan, Fear Factory, Dream Theater, Dismember, Nile, Carnival Coal, Gorguts, Lost Ubikyst In Apeiron, Opeth, in un tumultuoso tourbillon sonoro davvero notevole, come quello che accade nella più breve ma altrettanto efficace "Eigenstates". Comunque quando c'e da fare male, il polistrumentista scandinavo prosegue nella sua opera distruttiva: è il turno della deflagrante "Zentropic", devastante ma ricca di molteplici sfumature e pregna di groove. Christian alla fine mette in fila una serie di saette affilate che da "Communion" arrivano alla conclusiva "Fringe", passando da episodi più o meno rilevanti e parecchio lunghi e complicati: "Godeater" sembra un tributo ai Morbid Angel, la lunga (oltre 10 minuti) "Strangelets" nei suoi sperimentalismi mostra accanto al death metal molteplici e stralunati risvolti di carattere jazz, space e prog rock. È decisamente nei pezzi più lunghi che Christian dà il meglio di sè visto che manca ancora "Transhuman", altri dieci minuti in cui l'artista svedese ne combina ancora di tutti i colori, scatenando l'incredibile dose di melodia a servizio di una brutalità di fondo quasi perennemente presente, il che avvicina maggiormente il nostro eroe di quest'oggi ai connazionali The Project Hate. Insomma, che altro devo dirvi per invogliarvi all'ascolto di questo "inganno sensoriale"? Fatelo vostro e basta! (Francesco Scarci)

sabato 28 settembre 2019

The Arcane Order - The Machinery of Oblivion

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Death, Raunchy, In Flames
I The Arcane Order nacquero nel 2005 come valvola di sfogo del chitarrista Flemming C. Lund degli Invocator, qui coadiuvato da Kasper Thomsen (voce dei Raunchy), Boris Tandrup (bassista dei Submission e degli Slugs) e da Morten Løwe Sørensen (batterista dei già citati Submission, Slugs e degli Strangler). La band danese rilascia un anno dopo questo piacevole debutto, 'The Machinery of Oblivion', punto d’incontro tra il metal passato e futuro di quei tempi. Il quartetto scandinavo è bravo infatti nel miscelare sonorità tipicamente death (le ritmiche sono belle toste e incazzate) con le influenze alternative di cui risentiva in quel periodo, complici le derive degli In Flames, lo swedish death (un certo groove di fondo sembra infatti ammorbidire un lavoro che altrimenti risulterebbe troppo monolitico). La Metal Blade ci vede lontano e confeziona un buon cd, da ascoltare tutto d’un fiato, e scatenarsi in mosh frenetici, pogare come assatanati e sbattere come invasati contro le pareti. Se avete amato le uscite di Soilwork, In Flames e Darkane, dovete assolutamente dare un ascolto anche a questo interessante disco. Badate bene, gli ingredienti del cd sono sempre i soliti del genere, però qui ben amalgamati tra loro: chitarre belle potenti disegnano gradevoli linee melodiche, che si inseguono lungo le dieci tracce; la voce di Kasper (già ottimo nei Rauncy) è sinonimo di qualità e anche qui sfoga tutta la sua rabbia repressa; fantastica poi la componente solistica. Comunque sia, il livello tecnico-qualitativo della band è assai elevato; il rischio semmai, in dischi come questi, è che alla fine sia la noia a prevalere per una certa somiglianza di fondo tra i vari brani. A me gli Arcane Order non dispiacciono affatto e ancora oggi a distanza di anni, mi piace potergli dare un ascolto. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2006)
Voto: 70

https://www.facebook.com/thearcaneorder

domenica 1 settembre 2019

Dawn of Relic - Night on Earth

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, Arch Enemy
Dalla Finlandia, vi presento i Dawn of Relic e il loro terzo e ultimo lavoro prima che se ne perdessero completamente le tracce. 'Night on Earth' è un album uscito originariamente nel 2005 e ristampato più volte negli anni a seguire, anche se francamente non ne capisco il motivo. Il melodic black metal sinfonico degli esordi in questa release lascia definitivamente il posto ad uno swedish death metal influenzato in primis da Arch Enemy e in secondo luogo anche dalla melodia fulgente degli In Flames (periodo centrale della loro discografia). Il platter, ottimamente prodotto, offre però solo 30 minuti scarsi di musica, con un sound che ha ben poco da essere ulteriormente approfondito, essendo molto vicino alle band sopraccitate. In “Birth”, la quarta traccia, è ben rimarcabile una forte influenza proveniente dai Sentenced, per quelle sue malinconiche e al tempo stesso frizzanti melodie che emergono dalla chitarra. Ottima, come sempre per i gruppi del nord Europa, la prestazione dei singoli musicisti, non sufficiente però a sollevare un lavoro che in taluni frangenti risulta essere anonimo e noioso. Pensavo che la performance di questi ragazzi finlandesi potesse rappresentare un punto di svolta della loro carriera, per riuscire ad emergere dal sempre più affollato calderone della scena death melodica, ma punti vincenti questo disco ne ha davvero ben pochi: ottimo il songwriting, buona la prestazione del cantante, così come accennavo all’ottima prova dei singoli musicisti. Gli assoli sono anche piacevoli e le ritmiche straripanti, troppo poco però, per riuscire a fare il salto di qualità agognato. Peccato poi, per lo scarso utilizzo delle keys, capaci invece di impreziosire il sound dell’intero lavoro: affascinante infatti, l’ultimo brano del lotto, dove accanto ad una chitarra particolarmente ispirata si affianca anche una delirante tastiera. A differenza del precedente 'Lovecraftian Dark', qui non hanno trovato posto neppure le vocals femminili da fare da contraltare ai growl maschili. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2005)
Voto: 60

https://myspace.com/dawnofrelicmusic

venerdì 7 giugno 2019

Rituals - Neoteric Commencements

#PER CHI AMA: Death/Black Melodico, Necrophobic, At the Gates
E io che pensavo che la Sleeping Church Records si dedicasse quasi esclusivamente al doom/stoner, sono stato immediatamente smentito con l'avvento di questo EP degli australiani Rituals, che con un moniker del genere, sentirli dediti ad un death melodico è quasi una bestemmia. Comunque 'Neoteric Commencements' è un lavoro di quattro pezzi che ci riporta ai fasti del death melodico svedese di primi anni '90. E "Wake of a Dead God's Robe" ne è la prima dimostrazione con un riffing massiccio, contrappuntato da buone melodie e growling vocals che mi hanno fatto pensare a gente del calibro di Unanimated, gli Entombed più melodici nella loro primordiale veste estrema e Necrophobic. Forse con "Drown Amongst Serpents" si può cogliere un più vasto ventaglio di influenze, scomodando anche i primi In Flames e gli At the Gates, fatto sta che il quartetto di Melbourne ci sa sicuramente fare, pur non promuovendo nulla di nuovo all'orizzonte. E allora non ci resta che ascoltare in modo spensierato anche le restanti "Slaves to the Tyrants" e "The Eighth Door", dove nella manciata di minuti a disposizione, la band australiana propina una bella ritmica portentosa, delle growling vocals belle profonde e poco altro che faccia gridare realmente al miracolo. Nella prima delle due song ci ho sentito un che dei primissimi Amon Amarth, quelli più oscuri e decisamente meno epici, mentre la seconda è un altro discreto pezzo di death che non rimarrà certo negli annali della musica estrema ma che comunque si lascia ascoltare con una certa fluidità. Per ora, mi sento di dire che quello dei Rituals non è nulla di cosi memorabile, si auspica pertanto in futuro un full length più illuminato. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2018)
Voto: 62

https://ritualsau.bandcamp.com/

lunedì 20 maggio 2019

Iron Flesh - Forged Faith Bleeding

#PER CHI AMA: Death Old School, primi Entombed, At the Gates
Diavolo, la Epictural Prod. mi ha da sempre abituato a release sinfonico/medievali, non potete pertanto immaginare quanto io abbia strabuzzato gli occhi quando il death purulento dei francesi Iron Flesh sia esploso nel mio stereo. La band di Bordeaux esordisce cosi con questo 'Forged Faith Bleeding', dopo un paio di EP rilasciati nel biennio 2017-18. La prima cosa che ho pensato ascoltando l'opener "Invade, Conquer & Dominate" è stato "cazzo i vecchi Entombed sono tornati", visto che si tratta di una scheggia impazzita di death old school di scandinava memoria con tanto di saliscendi ritmici, sassate solistiche e il classico cavernoso growl. Con "Malignant Kingdom" rimescoliamo, almeno inizialmente, le carte, con un sound decisamente più lento e malvagio, anche se poi il finale si lancia a tutta velocità come un camion contro una folla di persone, con arrembanti riff di chitarra. Il che prosegue selvaggiamente anche in "Ripping the Sacral", un'altra breve mazzata nei denti inferiore ai tre minuti, in una sorta di rivisitazione anche del vecchio e immortale 'Reign in Blood'. I nostri amici francesi non hanno però tempo da perdere, e nella successiva "Harbinger of Desolation" ecco un altro colpo di scena con un asfissiante rallentamento che ci conduce nelle viscere dell'Inferno con tanto di death doom abissale. Un caso isolato a quanto pare, visto che con "Celestial Disciple's Incarnation" si torna a correre come i vari Grave, Dismember e At the Gates erano soliti fare nei primi anni '90. Tanta ferocia, sfuriate brutali, vocalizzi efferati, ma anche una discreta dose di melodia che stempera le intemperanze messe in scena dal quartetto transalpino. Per quanto riguarda il resto del disco, non ci si discosta troppo da quanto proposto sin qui, quindi un death metal di scuola svedese, ben armonizzato, che non disdegna precetti doom ("Stench of Morbid Perversion" e la conclusiva "Where Universes Collide" dal forte sapore "katatonico") o sgaloppate di matrice punk hardcore dai contenuti comunque assai melodici ("To the Land of Darkness & Deep Shadow"), per un lavoro alla fine realmente indicato ai veri nostalgici del genere. Per gli altri, direi di andarvi a recuperare gli originali delle band qui menzionate. (Francesco Scarci)

martedì 8 gennaio 2019

As I Destruct - From Fear to Oblivion

#PER CHI AMA: Death/Metalcore, Dark Tranquillity, Hypocrisy
Debut album per gli australiani As I Destruct che dall'anno della loro fondazione, il 2014, ad oggi, non avevano ancora rilasciato materiale ufficiale. Dopo un singolo messo online nel 2017 su bandcamp, ecco finalmente il tanto agognato full length, 'From Fear to Oblivion'. Come inquadrare la proposta del quintetto di Adelaide? Come un death melodico sporcato da qualche influenza metalcore e groove metal, ma che pesca essenzialmente da un sound di matrice scandinava, penso a Hypocrisy e Dark Tranquillity in testa. Dopo il classico prologo, ecco esplodere "Shattered Hearts", la traccia che delinea fondamentalmente la proposta dell'ensemble, ed evidenzia tutti gli ingredienti tipici del genere ossia un ottimo impianto ritmico che a più riprese chiama in causa tutti i grandi gods svedesi, una buona dose di melodia mista ad un bell'apporto energizzante. Non mancano ovviamente il classico growling e un bel lavoro nel comparto solistico. Con "Black Tie Stigma", il sound si fa più cupo e minaccioso ed il rifferama ancor più serrato, con la batteria letteralmente impazzita (prova magistrale del drummer). Il disco prosegue su questa falsariga, lasciandosi alle spalle un pezzo dopo l'altro senza offrire ahimè troppo spazio alla fantasia. Qui risiede infatti la prima pecca di un album assai robusto ma fin troppo monolitico, che trova in "Question of Faith" una song più convincente delle altre, un mix tra Meshuggah e Hypocrisy, con la muscolosità dei primi a servizio della melodia dei secondi, per un risultato nientaffatto malvagio, seppur dall'esito già scontato. Ecco, la scontatezza, il secondo punto a sfavore dei nostri: ottimi musicisti sia chiaro, però mancano le idee, quelle che ti fanno strabuzzare gli occhi e dire "cazzo che bell'album!". 'From Fear to Oblivion' è un disco che alla fine vive di qualche sussulto: i vocalizzi vampireschi della guest star Mel Bulian (voce dei In the Burial) in "Asher's Lullaby", il forcing esagerato di "My Endless Love", il riffing iniziale di "Thredson" che paga un certo dazio ai Morbid Angel o la forsennata "Vultures of Virtue". Tanti piccoli segnali che ci dicono che la band ha grosse potenzialità ma che evidentemente non le sfrutta ancora appieno. (Francesco Scarci)

(Firestarter Music - 2018)
Voto: 65

https://www.facebook.com/AsIDestructBand/

lunedì 7 gennaio 2019

Inira - Gray Painted Garden

#PER CHI AMA: Death/Groove/Djent, Meshuggah, Tesseract, In Flames
Nel 2018 il metal nostrano è andato alla grande anche al di fuori dei confini italici. Peccato solo che i friulani Inira abbiano dovuto firmare per l'etichetta ucraina Another Side Records (sub-label della Metal Scrap), per rilasciare il loro 'Gray Painted Garden', secondo atto dal 2005 a oggi per i nostri. Avessi avuto la mia label, avrei puntato alla grande sulla fresca proposta della band del Vajont, che tra echi meshugghiani a livello ritmico, un cantato graffiante (e un altro in versione growl) condito da chorus di sapore "in flamesiano", un background tipicamente a cavallo tra metalcore e post-hardcore, hanno reso la loro proposta davvero gustosa da ascoltare. La title track, posta in apertura, conferma immediatamente le mie parole con un pezzo dritto, piacevole, carico di groove (ottime le keys a tal proposito) e melodie ruffiane quanto basta per mantenere comunque intatta l'esplosività intrinseca alla musica dell'act italico. Ancora meglio "Discarded", con quel suo riffing a cavallo tra Gojira, Mesghuggah e Tesseract, ad individuare solo alcune delle influenze dell'ensemble friulano. Le vocals più pulite suggeriscono infatti un altro filone da cui i nostri traggono ispirazione, ossia quello più "mainstream" di Architects e Bring Me the Horizon, ma non fatevi fuorviare da queste mie parole, gli Inira sapranno coinvolgervi con sonorità belle intense, moderne e avvincenti. Bella scoperta, visto che le undici tracce qui incluse, sono tutte delle potenziali hit: detto delle prime due, "This is War" ha un approccio più oscuro (sulla scia dei primi Tesseract) nelle note introduttive acustiche, che la rendono solo in apparenza meno orecchiabile rispetto le precedenti. Si torna a far male con le sghembe melodie di "Sorrow Makes for Sincerity", un brano più cattivo che vede in Meshuggah ed In Flames i punti di contatto più evidenti per i quattro musicisti nostrani. Si prosegue con la più ritmata e malinconica "Venezia", una song in cui le chitarre ultra ribassate dei nostri, sembrano maggiormente echeggiare nei miei timpani, e in cui la porzione solistica ci rende testimoni dell'ottima prova alla sei corde di Daniele "Acido" Bressa. L'unica cosa che mi fa storcere il naso è quanto diavolo canta qui il buon Efis Canu Najarro. L'approccio oscuro evidenziato in "This is War", riemerge più forte in "Zero", una song davvero potente che ci prepara alla più alternative "The Falling Man", in cui emerge qualche affinità con i Deftones, cosa che si ripeterà anche nelle successiva "The Path", la più delicata, suadente ed ipnotica del lotto, a rappresentare anche il pezzo più erotico dei quattro giovani musicisti, sebbene la tensione vada lentamente aumentando sul finale. Analoga come sonorità anche "Universal Sentence of Death". Decisamente più interessante è l'iper ritmata "Oculus Ex Inferi": ottime melodie, coinvolgenti le atmosfere e niente male le sferzate ritmiche che accrescono l'incandescenza dei contenuti. Si giunge, madidi di sudore a "Home", ultimo atto di questo ottimo 'Gray Painted Garden' che ci ha riconsegnato, dopo un bel po' di anni, una band pronta a dire la sua nell'iper saturo mercato musicale. Ben tornati ragazzi. (Francesco Scarci)

martedì 20 novembre 2018

From Ashes Reborn - Existence Exiled

#PER CHI AMA: Swedish Death, Amon Amarth, primi In Flames
Formatisi appena nel 2017, i From Ashes Reborn arrivano velocemente alla release del primo album, questo perchè i nostri non sono certo degli sprovveduti, avendo la formazione, per 4/5, militato in precedenza nei deathsters Badoc. Dalle ceneri di quella band, ecco quindi risorgere il quintetto che vede l'aggiunta in line-up di Ronni, il nuovo vocalist. Il risultato è 'Existence Exiled' e le otto song in esso contenute. Le danze si aprono con le melodie sognanti dell'intro "The Onerous Truth" che in poco più di un minuto consegna a "Fight for the Light" il compito di aprire ufficialmente le danze, in modo più efficace. Presto detto, la band inizia a macinare montagne di riff fumanti, strizzando l'occhiolino al melo death di matrice scandinava. Non mancano pertanto i riffoni roboanti, i break acustici, le growling vocals e le immancabili linee di chitarra un po' folkish che guardano ai primi In Flames ma anche agli Amon Amarth. Ce n'è per tutti i gusti, basta solo accomodarsi e prestare un po' di attenzione alla proposta dei nostri musicisti teutonici e provare a non farsi schiacciare dalla loro furia vibrante, soprattutto quella contenuta in "Follow the Rising", un brano energico (pure troppo a livello di drumming) e ficcante, che soffre il solo problema di voler imbastire la linea ritmica con un po' troppe cose correndo il rischio di sovrassaturare il sound. Questo torna fortunatamente ad essere più intellegibile nella sua esaltante sezione solistica, davvero da urlo. "The Essence of Emptiness" apre un po' nel modo dei vecchi album di Anders Friden e soci, con un bell'arpeggio su cui poi si poggiano un riffing corposo e la bella voce in growl di Ronni, in una song incisiva dall'inizio alla fine. Si può dire altrettanto della breve schiacciasassi "Infected", incazzata e roboante nel suo incedere sempre comunque pregno di melodie che rendono per lo meno il disco piacevole da ascoltare, soprattutto a livello di solismi, sempre davvero ineccepibili e coinvolgenti. Un po' più tradizionale ed incentrata su un mid-tempo invece la title track, con nessuno spunto davvero degno di nota, se non i vivaci virtuosismi alla sei corde che davvero donano parecchio brio al pezzo. Il bombardamento prosegue in "Homicidal Rampage", un altro buon brano che necessita ancora di uno snellimento a livello ritmico per risultare più centrato; qui da sottolineare un riffing più marcescente che si fa ad altri classici spinti al versante death metal, mentre la coppia di asce prosegue il proprio dibattimento in fatto di supporto ritmico+assolo. Demoliti da quest'altra carneficina, arriviamo all'ultima "The Splendid Path", gli ultimi tre minuti e mezzo strumentali che chiudono con eleganza 'Existence Exiled', un disco interessante che abbisogna, come dicevo, di un maggiore alleggerimento a livello sonoro per evitare quell'effetto caos che talvolta si respira durante l'ascolto del disco. Per il resto, direi che siamo sulla strada giusta. Un'ultima cosa, dimenticavo: la produzione di 'Existence Exiled' è stata a cura di Markus Stock (Empyrium, The Vision Bleak, Sun of the Sleepless) nei Klangschmiede Studio, mica l'ultimo degli sfigati, pertanto non sottovaluterei fossi in voi questo lavoro. (Francesco Scarci)

sabato 17 novembre 2018

Gutwrench - The Art of Mutilation

#FOR FANS OF: Death Metal, Autopsy
A very short-lived death metal band from the early days of the subgenre, Gutwrench is the Dutch response to a steadily fragmenting series of death metal styles at the time. With its cohesive and crushing sound, the band harnesses the unhinged intensity of New York death metal, the speed and screaming treble of the Florida sound, and the cavernous horror hiding Sweden's sickness. 'The Art of Mutilation' is a compilation and re-release of the two demos that Gutwrench had delivered within a year and a half period from March of 1993 to September of 1994. The first five tracks comprise 'Wither Without You' while 'Beneath Skin' makes up the final six tracks. Between both of these demos is a previously unreleased song, “Asphyxia”, that serves as a strong transition between these two distinctly different demos.

'Wither Without You' is the exact sort of filthy, meaty, thickly textured metal that spreads teeth and sticks deeply into gums and ribs. Whereas a slice of early rhythm in “Meatlocker” would see its cousin come up in Lamb of God's “In the Absence of the Sacred”, Gutwrench throws that sound into a dike filled with sewerage as the quintet quashes any notion that the percussive New York style was a fluke. Emerging in 1993, this cavernous and hammering cassette was initially distributed by Displeased Records, a company that would also go on to sign the likes of Nile, Cryptopsy, Deeds of Flesh, Disgorge, and plenty of other easily dropped names that pad many a metalhead's collection. Displeased seems to have known the direction the sound would take over time but somehow Gutwrench got lost in the race.

Gutwrench's sound is not only a fascinated with the viscous 'Effigy of the Forgotten' swamp that had overtaken the death metal world at the time, but it provides the variety necessary to keep its sound fresh and appealing with some Swedish as well as Florida licks along with a good sense of flow and groove making “Crawl” live up to its namesake. A great harmony setting off “Necrosis”, sounding a bit bluesy and plenty doomy with some melancholic flair, achieves the pummeling style that we all know and love as it malignantly mutates. However, in Autopsy fashion, Gutwrench drags the song into the dirt so that skin can fester and maggots can feast, malleting those 'Mental Funeral' moments into a coffin fit for an infant.

Gutwrench enjoys the call and response of scraping strings as cymbals storm through the milliseconds between them, creating an unhinged sound that grooves as much as it growls. This makes the storm of guitars in the title track crash with a thick backdrop of swirling cymbal winds and stomp on paper cities like a '50s Japanese monster. The rudimentary beginnings of this band show the strength of death metal's direction through the early '90s, one that relied on raw talent and beastly riffage rather than focusing on production value and incorporating tropes from other styles to create an exquisite sound that grabs an ear. Gutwrench is sheer aggression pushing its limits and making mincemeat out of its audience, fitting seamlessly into its time and unfortunately having been lost by the wayside during its hangover.

'Beneath Skin' comes right out the gate bearing some some striking moments with a most familiar shrill scream across the treble, rising in a harmony, that has me thinking of later more accessible bands and takes its middling pace a step or two into melodic death metal territory as it leans more towards the Gothenburg style that, by 1994, was firmly planting itself. At its heart though, Gutwrench is still a death metal band that thrashes its way 'Beneath Skin' and stomps on the exposed bones of the “Scarred and Hollow”. An overflowing putrescence of riffing and blasting makes such a dissection drown in reverberating muck before finding a rise in an echoing flying riff joined by double bass and pounding snare to make the most encompassing moments in the production erupt from their elaborate catacombs like a startled swarm of bats. Simultaneously gorgeous and treacherous, the massive and meaty “Cain” brings that New York crush to the fore before brutalizing a melody until a snippet of soloing brings this frenzy rampaging to bloody conclusion featuring a slight hint of the synth that Enslaved would ride into nihil nearly a decade later in “The Dead Stare”.

Like the obscurity in which these demos reside, the members of Gutwrench maintained marginal roles in the death metal underground with guitarist Edwin Fölsche being the only member to come up again in as recognizable a band as Pentacle, playing guitars on the 1996 EP 'The Fifth Moon'. In all, Gutwrench seemed to have moved on long before the turn of the millennium and the beginning of this new era where underground sounds are so easily accessed and finally giving this band its deserved due. Dirty, corroded, and very much a product of its time, Gutwrench's short output is as enjoyable as it is a time capsule, filled with gems from decades past and buried in the rough underground but entirely worth being unearthed. (Five_Nails)

domenica 7 ottobre 2018

Aeolian - Silent Witness

#PER CHI AMA: Folk/Death/Black, Amorphis, Insomnium
Siete fan dei Dark Tranquillity, degli In Flames o forse degli Opeth? Avete detto che vi piacciono anche Dissection, Amon Amarth e Amorphis? Siete incontentabili, ma anche tanto fortunati perché oggi arrivano in vostro aiuto i maiorchini Aeolian, che convogliano tutte le influenze di cui sopra, in questo interessante 'Silent Witness', un concentrato di death black folk assai melodico. L'incipit è da urlo visto che "Immensity" ingloba un po' tutte le band citate con una certa eleganza che si concretizza in ottime linee di chitarra, pregevoli growling vocals e assoli da paura che valgono da soli il prezzo del cd. Le melodie folkish a la Amorphis o nella vena dei primissimi In Flames, si materializzano in "The End of Ice", song assai matura che vede sul finale esplodere un altro brillante assolo con dei vocalizzi epici davvero intriganti. Insomma, ci siamo già capiti, a me quest'album mi prende e non poco. Un rifferama stile Nevermore irrompe in "Chimera", un bel pezzone thrash che mi ha rievocato una sfortunata ma altrettanto brava band di fine anni '80, gli Anacrusis, votati ad un thrash progressivo veramente speciale. Questa song ha echi di quell'ensemble, anche se poi ovviamente i nostri nuovi eroi di Palma di Mallorca prendono una strada differente che ammicca anche agli Insomnium. Tanti i punti di forza dell'album per cui eviterei un track by track per soffermarmi invece su quei brani che più mi hanno sconfinferato, a partire dall'intro acustica di "Return of the Wolf King" e da una traccia che segue i dettami degli Amorphis in modo piuttosto personale, coniugando il folk con intemperanze black e divagazioni prog. Bravi, ben fatto. Se l'inizio devastante di "Going to Extinction" mi ha ricordato, per quel suo urlaccio, i Cradle of Filth, la song comunque conferma quanto di buono ascoltato sin qui. Ancora un bel folkish thrash death con "Elysium", cosi come entusiasmante è l'altra intro austica di "Wardens of the Sea" che con il esotismo, evoca gli Orphaned Land, per poi tramutarsi in una più normale canzone death, sicuramente carica di un buon groove. "The Awakening" è la classica quiete prima della tempesta scatenata da "Black Storm", dirompente blackish song tra incessanti ritmiche tiratissime e splendide melodie. Ci sono ancora un paio di brani ad attendervi per il gran finale dove a mettersi in luce sono le ottime linee di basso e un sound che strizza l'occhiolino agli Opeth ("Witness") e in parte ai Cradle of Filth ("Oryx"), per quel suo screaming che si alterna con tutte le linee vocali sin qui godute, in una song oscura ma parecchio variegata. Diavolo, mi ero detto di evitarmi il track by track, ma ci sono cascato in pieno e allora visto che ho saltato solo "My Stripes in Sadness", sappiate che si tratta di un buon brano che vede una rilettura da parte del quintetto delle Baleari, degli insegnamenti degli Insomnium. Alla fine che dire, se non che 'Silent Witness' è un lavoro ben fatto, ben curato, ottimamente prodotto (ma qui c'è lo zampino di Miguel A. Riutort Cryptopsy, Hirax e The Agonist), di cui ne posso solo fortemente consigliare l'ascolto. (Francesco Scarci)

(Snow Wave - 2018)

giovedì 30 agosto 2018

This Ending - Inside the Machine

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death
Dalle ceneri dei A Canorous Quintet, death metal band svedese che ha avuto una certa notorietà in ambito underground negli anni ’90, sono nati i This Ending. E la proposta del quintetto scandinavo, identico nella line-up alla band originale, rigenerato dalla cura Metal Blade, in questo debut album non ha prodotto nulla di nuovo rispetto al passato. I nostri hanno cambiato nome, dopo una serie di esperienze con altri gruppi, ma il genere proposto risulta sempre lo stesso: il classico swedish death metal, riletto, se vogliamo, in chiave più moderna e tecnologica. Suoni bombastici, riffoni su basse tonalità, un growling cupo alternato ad uno screaming nervoso, una batteria bella corposa e sincopata grazie a interventi in blast-beat, ove nei frangenti più grind oriented risulta poco brillante (nonostante dietro le pelli sieda Fredrik Andersson, ex-batterista degli Amon Amarth), linee di chitarra melodiche ma non troppo, qualche vago inserimento industrial, giusto per modernizzare il sound, e il lavoro è completato. I dieci brani che compongono 'Inside the Machine' viaggiano tutti su mid tempos ragionati e calibrati, senza disdegnare in qualche frangente, fughe in territori più estremi, dove mi pare intuire, la band sembra trovarsi più a proprio agio. Il disco alla fine è piacevole, forse un troppo monolitico, con idee non del tutto originali e che alla lunga rischia di stancare l’ascoltatore. Tuttavia gli amanti del genere, un ascolto lo diano pure, potrebbero riscoprire qualcosa di interessante. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2006)
Voto: 65

https://www.facebook.com/ThisEndingband/

martedì 26 giugno 2018

Stortregn - Emptiness Fills The Void

#PER CHI AMA: Black/Death, Dissection, Dispatched
Dalla Svizzera con furore mi verrebbe da dire: l'ensemble proveniente da Ginevra, giunge al ragguardevole traguardo del quarto lavoro, e dire che io non li avevo mai sentiti nominare prima di oggi. 'Emptiness Fills The Void' esce per la Non Serviam Records, interessante etichetta olandese votata alla promozione di black band melodiche. E questi Stortregn non sono da meno, con una proposta costituita da nove pezzi di black death melodico di scuola svedese che chiama in causa, più o meno, band del calibro di Dissection e Unanimated, anche se i cinque ginevrini non riescono ancora a raggiungere le vette dei gods scandinavi. Certo, non posso rimanere impassibile di fronte all'aggressività di "Through the Dark Gates", song sparata a tutta velocità e tra le cui linee efferate di chitarra elettrica e blast beat, si celano partiture acustiche che vanno a mitigare la tempesta sonora scatenata dai nostri. Come non sottolineare poi una song come "Circular Infinity", cosi irrequieta, ma dotata di un azzeccatissimo assolo che ne spezza il carattere funambolico, anche a livello vocale, dove il growling/screaming del frontman Romain Negro, diviene una calda voce pulita. Un arpeggione sinistro apre "The Forge", pezzo dalla ritmica ondivaga che anticipa "Nonexistence", la mia traccia favorita, questo perchè qui i solismi si sprecano: le chitarre delle due asce Johan Smith e Duran K. Bathija infatti s'inseguono in una song dal forte sapore classicheggiante, ricordandomi i Dispatched di 'Motherwar' ma anche un che dei giochi di prestigio del buon vecchio Yngwie Malmsteen. La lezione è stata appresa alla grande dagli Stortregn che sul finale tirano un po' il freno a mano, lanciandosi in una malinconica chiusura. "The Chasm of Eternity" dura poco meno di tre minuti: è strumentale e ha il ruolo di mostrare la vena progressive rock dei nostri facendo da ponte tra la prima metà del disco e la sua seconda parte che esplode con il fragore deathcore di "Lawless", quasi un pezzo alla Fallujah, almeno all'inizio. L'evoluzione non è poi cosi positiva come per la band americana visto che raddrizza il tiro tornando al black death dei primi pezzi. "The Eclipsist" ha un altro inizio affidato alla chitarra acustica che poi evolve in un attacco di oscuro death dinamitardo fin troppo quadrato. Fortunatamente, tornano in nostro aiuto le partiture acustiche che minimizzano l'eccessiva monoliticità di una proposta talvolta troppo precisa, troppo lanciata su dei binari che non troveranno mai un punto d'incontro. Certo, non posso fare finta di nulla davanti alla perizia tecnica dei musicisti, e spaventoso a tal proposito è Samuel Jakubec dietro le pelli. Tuttavia alla band manca quel calore avvolgente che hanno reso grandi album capolavori quali 'Storm of the Light's Bane' o 'Ancient God of Evil'. Arrivare infatti al gran finale di questo disco e trovarsi di fronte gli undici minuti di "Children of the Obsidian Light", non è proprio cosa da poco da affrontare: già annichiliti dalla robustezza di "Shattered Universe", ci sono ancora gli arpeggi in apertura della track finale da assorbire, le ritmiche sincopate, le grida del vocalist e ancora tanta, troppa carne al fuoco, tipo le ubriacanti scale ritmiche e i trasognanti assoli, tanto per dirne un paio. 'Emptiness Fills The Void' alla fine è comunque un buon disco, forse assai ostico da affrontare, tant'è che mi ci sono voluti davvero parecchi ascolti per arrivare a stendere queste conclusioni. (Francesco Scarci)

martedì 5 giugno 2018

Ribspreader - Congregating the Sick

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, Edge of Sanity
1,2,3... Neppure il tempo di prepararsi psicologicamente a questa release degli svedesi Ribspreader, che subito ci arriva un fendente micidiale tra i denti, con un assolo tagliente posto in apertura dell’album. Questo è il biglietto da visita di 'Congregating the Sick', album uscito nel 2005 di appena 31 minuti, che riprende chiaramente il tipico sound death metal alla Edge of Sanity (periodo 'The Unorthodox'). Forse per la presenza alla chitarra solista di Dan Swano (ex frontman proprio degli Edge of Sanity), la sezione ritmica risente pesantemente dell’influenza della band svedese. Comunque sia, la sezione ritmica potrebbe tranquillamente stare su 'Nothing but Death Remains' o sullo stesso 'The Unorthodox', così come pure, risultano molto simili la timbrica del vocalist e la struttura dei brani: pezzi brevi (sui 2-3 minuti) che viaggiano su mid-tempos, con vaghi accenni melodici, feroci accelerate, ma che ahimé alla fine, non danno vita ad alcun sussulto rilevante, se non al classico headbanging, troppo poco però. Si tratta dell’ennesimo mediocre album di death metal che sicuramente avrebbe avuto fortuna 25 anni fa e che, nonostante la presenza di Dan, non riesce a sprigionare alcun feeling positivo. Vorrei tanto capire cosa se ne fa il buon vecchio Dan Swano di suonare in una band cosi simile all’altro suo side-project, i Bloodbath, mah... Poco c’è da salvare di questo lavoro: a parte qualche buon assolo di Dan, anche la registrazione, avvenuta ai Soundlab Studios di Orebro, non è che sia proprio delle migliori. La cover poi... (Francesco Scarci)

sabato 13 gennaio 2018

Stass - The Darkside

#FOR FANS OF: Swedish Death Metal/Doom
Stass is a death metal quintet at the helm of Crematory's Felix Stass and Paganizer's Rogga Johansson. For fans of both Crematory and Paganizer, you guys have already a clue of what Stass' music is all about. Indeed, it is pretty much a fusion of the traditional Swedish melodic death metal and gothic metal with a soft touch of doom elements.

Those who dig the Gothenburg sound and Scandinavian approach extreme metal, will find the band's debut full-length album 'The Darkside' enjoyable. In fact, even enthusiasts of a more doom-laden music and gothic flavored extreme metal music will take a lot of pleasure on this album. However, I personally deemed this record mundane and lacking of a heavy punch. But my judgment on this offering does not mean that the whole record is not worthy to listen to.

Tracks like "Warriors Land", “Crawling from Ashes” and “The Final Disease” are foot tapping and catchy into the ears of the listeners, though it has some pretty bland characters. The warmongering spark of the guitar riffs that are accompanied by hasty and pitiless means of the tenacious drum work, brings forth a very bellicose manner to the mentioned songs. That evident blend between modern death metal and the presence of the raw essence of the genre during the early to mid-90s, can be found on the songs that I had indicated above. Perhaps, if the rest of the tunes in this offering had the same characteristics with "Warriors Land", “Crawling from Ashes”, and “The Final Disease”; the album would have been an entirely solid offering.

“Angel of Doom”, like the three songs I had uttered, is also an upside on this full-length. Its very sludgy and gloomy segments give a very nasty and hostile undercurrent to the song. The haunting mood of this one brings to mind a very similar sound that is found in the music of Candlemass and Paradise Lost. And though that unilluminated ambiance topped the whole nature of the track, its Swedish death metal feel can still be felt strongly throughout its whole playing time.

Outside the four catchy songs I mentioned, the rest of the tracks in the album are boring and to some extent frustrating due to the lack of savagery and atrociousness that a band labeled as death metal should have. I have the highest respect for both Felix and Rogga, as these two had accomplished numerous excellent recordings with their respective bands in the past, but what they had produced with Stass is just not that memorable and convincing enough to make 'The Darkside' a worthy album that should stay in every metalheads' collection shelves in a long time.

Overall, Stass had come up with a prosaic record with their debut 'The Darkside'. Yes, there are a few decent songs in this release but the rest of the tracks are nothing but a bunch of uninteresting and forgettable materials. But I am not giving up on this band yet. For all one knows, these guys might pull something off good in the future that'll make Stass a more interesting band to keep on my radar. After all, it's Felix and Rogga that we are talking about here. (Felix Sale)

(Mighty Music - 2017)
Score: 60

venerdì 8 settembre 2017

Anterior - This Age of Silence

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Heavy/Thrash/Metalcore
Dici Metal Blade, pensi ad una serie di lavori che oscillano tra il death metal melodico, il metalcore e il deathcore. Gli Anterior rientrano nella prima categoria, anche se sottilissima è la linea di demarcazione che li separa dal metalcore. 'This Age of Silence' ha rappresentato il debutto assoluto, per il combo gallese e direi che il risultato non è assolutamente malvagio. L’influenza primaria che si può ravvisare nelle linee di chitarra di questo disco, è il classico british heavy metal alla Iron Maiden, arricchito logicamente dalla rabbia e dalla melodia dello swedish death metal. Nove buoni pezzi per quasi tre quarti d’ora di musica, potranno certamente catturare la vostra attenzione: la band gioca nei propri brani a rincorrersi, grazie all’abile prova delle due asce, Leon Kemp e Luke Davies, che costruiscono ottimi riff thrash, alternati a frangenti progressive, sfuriate metalcore, passaggi acustici e soprattutto ottimi assoli, merce assai rara; ma anche la prova degli altri musicisti è davvero sopra le righe. Nove tracce dicevamo, che traggono la loro ispirazione dai grandi del passato, Iron Maiden ma anche dai Metallica, prendendo poi spunto (notevole talvolta) anche da Children of Bodom e Arch Enemy, in testa, con quel cantato in growl sempre a farla da padrone; la classe non manca, i mezzi per far bene neppure, ciò che latita è l’originalità, quel bagliore di personalità che potesse far decollare questi ragazzi verso il successo, che ahimè non è mai arrivato dato lo split del 2012 in seguito al secondo 'Echoes of the Fallen'. Disco carico di intensità ed energia che avrebbe meritato di più se solo si fosse mostrato più originale. (Francesco Scarci)

martedì 15 agosto 2017

The Wake - Death-a-Holic

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity
Il secondo album dei finlandesi The Wake non è proprio quel che si dice un gran bel lavoro, sebbene il discreto esordio del 2003, 'Ode to My Misery', che sancì l’ingresso nella scena metal, di questo quartetto dedito ad un death doom malinconico. In due anni le cose sono però cambiate e forse a causa dell’ottimo riscontro economico e critico ricevuto dai Dark Tranquillity, il combo nordico ha pensato di aggiustare un po’ la mira e dedicarsi a tempo pieno nel clonare il colosso svedese. Il risultato che ne esce fuori, sfiora più volte il plagio, con i ragazzi provenienti dalla piccola cittadina di Karjaa a fare il verso alla band di Mikael Stanne e compagni. Dal punto di vista tecnico, la band è indubbiamente ineccepibile, però poi la somiglianza e i frequenti richiami ai ben più famosi colleghi svedesi assume connotati al limite dell'imbarazzante. Gli spunti interessanti ci sono pure, ad esempio la seconda parte di ”Downward Groove” ha un ottimo assolo che squarcia un brano che potrebbe stare tranquillamente su 'Damage Done' dei già citati Dark Tranquillity; o la successiva “Instrumental” si sforza di uscire dal torpore dei ghiacci polari, ma il risultato ahimè, non è alla fine dei migliori. Mi stupisce il fatto di dover porre l’accento su questa marcata somiglianza tra la band finlandese e i Dark Tranquillity, anche perché solitamente i gruppi provenienti dalla Finlandia nel 90% dei casi lavorano per crearsi un stile musicale proprio, dotato di una propria personalità. Non è certamente il caso dei The Wake, che rientrano in quel 10% di band che scopiazzano a destra e a manca per poter cercare di emergere dal pentolone di gruppi metal mediocri. Peccato, perché i numeri a proprio favore, la band lappone li avrebbe, eccome. Evidentemente alla band non interessava più di tanto venire a galla visto lo split di qualche tempo più avanti. (Francesco Scarci)

(Spinefarm - 2005)
Voto: 50

https://myspace.com/thewakeofficial

lunedì 29 maggio 2017

Ghusa - Öswedeme

#PER CHI AMA: Death Old School, Dismember, Grave
Ammetto che ignoravo l'esistenza di questa meravigliosa creatura francese che dal 1989 dispensa death metal di stampo scandinavo con grandissima dote. I Ghusa, acronimo di "dio ci odia tutti" (God Hate US All), sono al loro secondo album (ci sono anche due demo all'attivo ed una compilation celebrante i loro 25 anni di attività) e devo dire che il quintetto parigino è pienamente sul pezzo. 'Öswedeme', uscito agli inizi di maggio per la White Square Music, segue le orme dei grandi nomi del death metal svedese old school, quali primi Entombed, Dismember e Grave. L'album si apre con una meravigliosa intro presa direttamente dalla colonna sonora di '28 Settimane Dopo', film horror fantascientifico, ed è una attesa che ti fa rosicchiare le unghie, finché parte "H" e tutto si compie. La voce di L. Chuck D. è veramente fantastica, calda e catarrosa al punto giusto, ogni riff è azzeccatissimo e ben calibrato, ogni bridge ed assolo è nel posto giusto, un death metal fatto con il buon gusto, di assoluta devastazione si, ma con i guanti bianchi da parata. In "Death or Glory" e in "Epitaph" si ha l'innesto anche di parti vocali pulite, che fan capire che si può fare death metal anche aggiungendo elementi estranei ai puristi del genere, spero solo non storcano il naso, non sanno che si perdono altrimenti. Le sfuriate in blast beat non mancano e quando i giri di chitarra si aprono, è quasi impossibile non soccombere all'headbanging furioso. "Sickening" e "In Gods We Fear" mantengono la tensione alta, mentre con "Carve Up" si oltrepassa il confine della violenza, con riffs monocordi quasi black, in cui il drummer Pyromancer sfodera un'assoluta padronanza dello strumento con un'ottima prova in fatto di velocità. Mentre la maggior parte delle tracce non varcano la soglia dei 3 minuti e mezzo, "Fying in a Dark Dream", è il classico mantello di chiusura dell'album, quello che sfonda gli otto minuti, ma solo perché all'interno si racchiudono in realtà due canzoni distinte, staccate da una manciata di secondi. Insomma, questo è veramente del fottuto Swedish Old School Death Metal e loro sono i Ghusa, quasi 30 anni di attività la cui classe è sparata davanti ai nostri occhi. Avanti così. (Zekimmortal)

(White Square Music - 2017)
Voto: 85

https://www.facebook.com/ghusaband/

venerdì 5 maggio 2017

Scritikall - Draft

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Meshuggah, primi Orphaned Land
Francia, Francia, sempre più Francia: il paese dei nostri cugini sta confermando da parecchio tempo di avere un panorama musicale davvero invidiabile con band assai buone in un po' tutti gli ambiti musicali, e con uscite peraltro sempre più frequenti. Il fermento è elevatissimo, la creatività ai massimi livelli. Gli ultimi arrivati sono questi Scritikall, una band non proprio di facile collocazione per quanto proposto. 'Draft' dovrebbe essere il loro primo album, anche se non ho trovato molti riscontri a tal proposito. Il genere musicale? Non saprei, sebbene sul flyer informativo si parli di Arch Enemy, Melechesh, Breed Machine e The Arrs, quali band di riferimento. Sono ancora in stato confusionario perché la opening track dell'album, "Yelling", non mi aiuta particolarmente nel delineare la proposta del quartetto francese. Posso dire che il sound è affidato ad un compatto mid-tempo di matrice thrash death, con un vocalist che si muove tra un growling di facile comprensione ed un cantato più sporco, le linee di chitarra offrono partiture deraglianti pur muovendosi su riff cadenzati, però mai troppo convenzionali. Il che è confermato anche dai tempi asincroni della successiva "Endorphin", che rivela un approccio che strizza sicuramente l'occhiolino ai Meshuggah, ma che poi appare sporcato da qualche ulteriore influenza che esce dal seminato tipicamente Swedish death, sebbene la stralunatezza della seconda traccia sembra maggiormente evocare la musica dei godz svedesi. Diciamo però che nulla appare scontato in questo disco e con la terza "Still Intact", le cose si fanno ancora più complicate, con il sound che diviene più oscuro pur viaggiando sui binari di un death ultra ritmato, ma su cui poi compaiono dei chorus orientaleggianti che evocano i primi Orphaned Land, giusto per sparigliare le carte in tavolo. E più si va avanti, maggiormente le cose si fanno complicate, perché "Disturbs and Manhandles", pur proseguendo su questo concept ritmico, ha da offrire voci pulite, break improvvisi, linee di chitarra marziali, quintalate di groove e melodie catchy. Un intermezzo acustico ed è la volta dell'ultima song, la title track "Draft", gli ultimi nove minuti di sound mitragliato in stile Scritikall, una band che non disdegna i blast beat pur andando a marce basse, una band che ha il solo difetto di affidarsi a pattern ritmici ancora troppo scolastici. Sarebbe necessario infatti andar fuori dal seminato per delineare un sound che ha tutte le carte in regola per acquisire una sua propria fisionomia, ma a quanto pare dal vivo c'è da divertirsi, vista la presenza di VJ, effetti vari e tanta tanta energia. C'è da lavorare parecchio ma sicuramente siamo sulla strada buona. (Francesco Scarci)

mercoledì 3 maggio 2017

Moldun - S/t

#PER CHI AMA: Death/Metalcore, At the Gates, Machine Head
Sebbene quest'album sia uscito nel maggio 2014, ci tenevo a sottoporre all'attenzione dei lettori del Pozzo dei Dannati il nome Moldun. Ai più non dirà assolutamente nulla, a qualche amante delle serie TV invece, non sarà sfuggito che la band islandese abbia fatto una brevissima comparsa nella prima fortunata serie di 'Fortitude', dove l'ensemble suonava in un pub una song, "This Time You Dig the Hole", strabordante di groove e rabbia, caratteristiche che hanno avuto l'effetto di catalizzare, nel concitato evolversi del film, la mia attenzione e spingermi a prendere contatti con la band islandese e saperne di più dei Moldun e di un side project di cui parleremo certamente in futuro. Nel frattempo godiamoci queste nove tracce dinamitarde che vi faranno amare il quintetto di Reykjavík e la loro verve artistica all'insegna di un death melodico sporcato di venature thrash/metalcore. Si apre con l'irruenza di "12.9.05", una data a quanto sembra tragica o comunque fonte di discordia per i nostri, che non so se si rifaccia all'arrivo dell'uragano Maria o quant'altro, fatto sta che la song dapprima feroce, lascia poi il posto ad un passo più ritmato e decisamente melodico, con i vocalizzi del frontman Haukur, graffianti più che mai e tributanti gli At the Gates. "A Doomed Night" continua la sua opera di devastazione (per lo meno) iniziale, per poi assestarsi su un death-mid tempo, mutare ancora pelle e lanciarsi in pericolose scorribande in territori estremi, e ancora offrire ubriacanti cambi di tempo e sul finale, addirittura acidi rallentamenti al limite del doom. Della terza traccia vi ho già parlato in apertura: vi basti ricordare la splendida melodia che traina il pezzo e il pattern ritmico davvero catchy, che strizza l'occhiolino al periodo più violento (ed ispirato) degli In Flames. Ottimi i cambi di tempo a metà brano cosi come le caustiche vocals del cantante in una song carica di energia che mi spinge a volerne sempre di più. E i Moldun mi accontentano con un pezzo un po' più classico nel suo approccio, "Vermin", traccia che sottolinea l'apparato ritmico dei nostri, qui a richiamare anche i Machine Head per robustezza e poi nei suoi continui repentini cambi di tempo, ad evocarmi altri mostri sacri del thrash metal, gli Over Kill. I Moldun sanno muoversi con disinvoltura anche su pezzi più rallentati: è il caso di "Of Pigs", song che inizia piano e che ovviamente trova modo di sfogarsi attraverso accelerazioni, rallentamenti, stop & go funambolici ed appesantimenti del sound. Eccolo il segreto dei Moldun, cambiare costantemente approccio, essere mutevoli e di conseguenza vari, pur non impressionando poi per l'utilizzo di inutili orpelli tecnici o di melodie più ruffiane. Il quintetto della capitale nordica picchia duro, inutile girarci attorno, ma lo fa con sapienza e con l'intelligenza di un mestierante di lunga esperienza. E dire che quest'album è solamente il loro album d'esordio, sebbene alcuni suoi membri vantino pregresse esperienze musicali. Ci si continua a divertire anche con l'esuberanza claustrofobica di ''Goodbye & Godspeed'' che vede il cantante sperimentare nuove forme vocali o con la feralità di "Dead Hope", una song che palesa una sezione ritmica affilata come rasoi, in quella che è la vera cavalcata dell'album, con chitarre sparate alla velocità della luce. Un drumming militaresco apre "Homesick", brano che mostra delle belle e melodiche (a tratti) linee di chitarra, con un finale decisamente ipnotico e sperimentale rispetto alle precedenti tracce. Sebbene giunti al finale, posso constatare che i nostri, ancora belli freschi, persistono a picchiare come degli assatanati, scagliandosi su chi ascolta con la veemenza dell'ultima "Morbid Love". Che altro dire, se non auspicare l'uscita di un nuovo lavoro a breve ed invogliarvi intanto nell'ascolto di questo mastodontico album di debutto dei Moldun. Ottima prova di violenza, non c'è alcun dubbio. (Francesco Scarci)

(Copro Records - 2014)
Voto: 80

https://moldunband.bandcamp.com/releases