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venerdì 16 ottobre 2020

Slomosa - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Punk, Offspring
Quello dei norvegesi Slomosa è senza dubbio un buon disco di debutto, suonato bene, con giuste sonorità, tanto tipiche se non un po' scontate dello stoner rock. Un genere che annovera tra i più famosi e storici rappresentanti, i Queens of the Stone Age, creatori e divulgatori di un suono che ha fatto storia e che ha influenzato migliaia di band, rischiando di generare una vera e propria dinastia di cloni che però ha impedito allo stoner di evolversi in maniera libera come fu per il primo periodo negli anni '90/2000. Da perfetti estimatori della band di Joshua Homme, il quartetto di Bergen si è impegnato a ricreare conosciute atmosfere e scorribande rock che spingono molto sull'acceleratore, mostrando muscoli e sudore assieme ad una lieve propensione space rock, lodevole caratteristica che nei primi tre brani funziona assai bene, poi va un po' perdendosi. "Horses", "Kevin" e "There is Nothing New Under the Sun", accompagnati da un cantato che stranamente ricorda molto l'effetto epico del positive punk (tra Theatre of Hate e The Offspring), suonano splendidamente carichi di energia, creando quel coinvolgimento nell'ascoltatore, cosa che non si può dire della seguente "In My Mind's Desert", con l'inizio che anima un drammatico presagio, ovvero il ricordo di band mollicce come Lit o Sugar Ray degli anni '90, sfatato solo in parte da un suono ruvido e pesante. Fortunatamente a seguire, parte il giro in puro stile Kyuss di "Scavengers", giusto in tempo per rianimare le mie aspirazioni desertiche e ristabilire i canoni sonori per una band che quando esce dal seminato stoner non riesce ad essere convincente ed interessante fino in fondo. Quello che esce poi da questo disco, per i tre brani conclusivi, risulta essere un susseguirsi di richiami statici verso un rock mascherato di stoner, con suoni e riff, triti e ritriti, volti verso una assidua ricerca dell'orecchiabilità perfetta, della simbiosi musicale verso i maestri, come la conclusiva "One and Beyond" dove i chiaroscuri del brano riescono solo in parte, visti i soliti richiami al genere. A mio modesto avviso gli Slomosa avrebbero doti e capacità per aprirsi verso sonorità più grunge e underground della prima ora, oppure spostarsi verso un sound molto più europeo, liquido, acido e pesante alla 7Zuma7. Lavoro con otto brani altalenanti nel carattere, band con una personalità ancora acerba e un sound troppo derivativo. (Bob Stoner)

(Apollon Records AS - 2020)
Voto: 63

https://slomosa1.bandcamp.com/album/slomosa

giovedì 24 settembre 2020

Biohazard - Means to an End

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Punk Hardcore/Thrash
Allarme, allarme rosso: una sirena annuncia l’inizio di questo album dei Biohazard (il decimo della loro discografia includendo il 'Live in Europe' e la raccolta 'Tales from B-sides'). L'act di Brooklyn è da sempre fautore di un certo hardcore e 'Means to an End' continua quel percorso musicale intrapreso con il precedente 'Kill or Be Killed', dopo il mezzo passo falso di 'Uncivilization'. È innegabile l’importanza di questa band nel panorama hardcore mondiale, alla luce anche degli anni di militanza nell'underground metallico e da quelli già trascorsi dall’omonimo debut che fece furore nel 1990. Questo disco di Evan Seinfeld e soci ci consegna poco più di mezz’ora di musica selvaggia, un mix tra hardcore, thrash e punk. Le song sono veloci, brutali e dirette, prive di quelle contaminazioni nu/rap che avevano influenzato il già citato 'Uncivilization'. I Biohazard ritornano qui ai vecchi fasti di un tempo: brani come “Killing to Be Free” e “Filled with Hate” sono vere e proprie mazzate nello stomaco. Rabbia, odio, violenza e vitalità sono gli aggettivi che si possono tranquillamente attribuire a questo lietissimo comeback della band di New York City. 'Means to an End' è una breve ma intensa cavalcata che riporta alle radici una band granitica nelle sue idee e nella sua proposta musicale. Che goduria sentire Graziadei e Roberts graffiare con i loro killer riff e quegli assoli in pieno Slayer style. Gli echi di 'Urban Discipline' (secondo album della band) sono forti e captabili lungo tutto il corso del disco a riprova che l’energico hardcore dei Biohazard è qui più incazzato che mai ed esige un vostro ascolto! (Francesco Scarci)

sabato 30 maggio 2020

Wojtek - Hymn for the Leftovers

#PER CHI AMA: Sludge/Hardcore, Converge
Formatisi solo un anno fa (era infatti maggio 2019 quando i cinque musicisti si ritrovavano in quel di Padova) ma con già due EP alle spalle, i Wojtek ci presentano l'ultimo e appena sfornato, 'Hymn for the Leftovers'. La band patavina, forte delle esperienze dei suoi singoli musicisti in altre corrosive realtà underground, rilascia cinque mefitiche tracce che si aprono con le urla dal profondo della brutale "Honestly", di certo un bel biglietto da visita in fatto di ferocia da parte della caustica band veneta. Detto delle urla iniziali e del lungo rumore in sottofondo che ci accompagna per quasi tre minuti, la band inizia a srotolare il proprio sound abrasivo con un riffing lutulento ma decisamente sporco, che chiama in causa i Converge in una loro versione a rallentatore, soprattutto quando i nostri mettono da parte il drumming e si affidano quasi completamente alle voci taglienti di Mattia Zambon e alle chitarre del duo formato da Riccardo Zulato e Morgan Zambon. Finalmente però sul finale, ecco un accenno di melodia, con la linea di chitarra che assume toni vagamente malinconici. Il basso di Simone Carraro apre poi la seconda "Curse", con il drumming di Enrico Babolin che va ad accostarsi da li a poco, e poi via via gli altri strumenti in una song dall'incedere lento e maligno, che sembra non promettere nulla di buono se non asprezze e spigolature sonore di un certo livello, non proprio cosi facili da assorbire, se non quando il quintetto italico ne agevola l'ascolto con una linea melodica in sottofondo, dai tratti comunque alquanto inquietanti. E proprio in questi frangenti che la proposta dei Wojtek (il cui moniker deriva dall'orso bruno siriano adottato dai soldati dell'artiglieria polacca durante la Seconda Guerra Mondiale) acquisisce maggiore accessibilità e fruibilità, altrimenti le cinque tracce diventerebbero un'insormontabile montagna da scalare. Anche quando parte "Crawling" infatti, l'inquietudine regna sovrana nel drumming schizoide del five-piece padovano poi, complici un paio di break ben assestati ed un rallentamento più ragionato, l'asperità insita nel sound dei Wojtek trova una maggior scorrevolezza in un sound altrimenti davvero ostile, come accade ad esempio nella parte centrale di questa stessa track, prima dell'ennesimo cambio di tempo a mitigarne la ferocia. Ancora il basso tonante di Simone e la sinistra ma nervosa batteria di Enrico ad aprire "Striving", un brano che si muove in territori mid-tempo, lenti ma questa volta pregni di groove a mostrarci un'altra faccia della band che, non vorrei dire un'eresia, in questa song mi ha evocato un che dei Cavalera Conspiracy. Più post-punk oriented invece la conclusiva "Empty Veins" che ci racconta da dove i nostri sono nati e cresciuti, accostando al punk anche la sua degenerazione hardcore. Lo screaming lacerante di Mattia lascia andare tutto il suo dissapore sopra una ritmica costantemente disagiata che trova anche modo di lanciarsi in una sgaloppata al limite del post-black, che si alterna con rallentamenti che spezzano intelligentemente la brutalità in cui i nostri spesso e volentieri rischiano di incorrere. Alla fine 'Hymn for the Leftovers' è un'uscita interessante, ma a mio ancora con la classica etichetta "Parental Advisory: Handle with Care", il rischio di farsi esplodere in mano questa bomba potrebbe rivelarsi letale. (Francesco Scarci)

(Violence in the Veins/Teschio Records - 2020)
Voto: 69

https://wojtek3522.bandcamp.com/album/hymn-for-the-leftovers

domenica 24 maggio 2020

VV. AA. - Solar Flare Records

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Noise
Un'altra compilation nelle mie mani questo mese, devo essere stato davvero cattivo negli ultimi tempi. Autori del misfatto questa volta i francesi della Solar Flar Records (supportata dalla Atypeek Music), che raccolgono qui 10 band del loro roster per testimoniare quanto portato avanti sin qui dall'etichetta e quanto dovrebbe prospettarsi roseo il futuro. Il cd si apre con il caustico refrain noise/post-hardcore degli statunitensi Pigs e della loro "Give It", estratta dall'album del 2012, 'You Ruin Everything'. Questo per dire che le tracce non sono proprio recentissime. I nostri torneranno più avanti con una più ritmata e convincente "The Life in Pink". Dei Sofy Major credo abbiamo abbondantemente parlato su queste stesse pagine, mentre non abbiamo mai avuto l'opportunità di saggiare il sound melmoso, schizzato e super fuzzato dei francesi Pord che, con "Staring Into Space", ci riportano al 2014: interessanti ma difficili da digerire senza un bel malox a supporto. Continuiamo col super ribassato sound dei Watertank e della loro "Pro Cooks", una combinazione di doom, noise e post-hc con voci molto (troppo) ruffiane, che mal si conciliano con i miei gusti, confermato anche dalla seconda "DCVR". Ancora chitarre sporche, voci abrasive e atmosfere psichedelicamente distorte con i Bardus, ma potete capire come sia difficile fare valutazioni sulla base di un pezzo, niente male comunque. Gli American Heritage fanno un punk hardcore inverinato che nelle due schegge a disposizione mostrano la verve abrasiva della band. I Fashion Week, per quanto fautori di un sound a tratti intrigante, alla fine non mi fanno proprio impazzire con il loro post grunge di scuola Smashing Pumpkins. Più strani i The Great Sabatini, con un punk noise hardcore all'inizio fastidioso, molto più interessante invece nelle linee più sludge della loro proposta. Ultima menzione per i Carne e "1000 Beers", estratta da 'Ville Morgue' (2013) che mette in mostra un post-hardcore dissonante che sembra ricongiungersi virtualmente al black destrutturato dei compaesani Deathspell Omega. In chiusura gli Stuntman e il loro devastante e irriverente hardcore, la forma più brutale di questo concentrato nerboruto di suoni tremendamente sporchi. (Francesco Scarci)

(Solar Flare Records/Atypeek Music - 2020)
Voto: S.V.

https://www.facebook.com/solarflarerecords

mercoledì 29 aprile 2020

Mahavatar - Go With the No!

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Groove Metal
Un’energia che non ha bisogno di nulla se non di se stessa per sopravvivere… Immortalità fisica e spirituale… Questi sono i Mahavatar, band proveniente da New York, creatura messa sotto contratto dall'italica Cruz del Sur Music. La prima particolarità che balza all’occhio di questa band è che, ai tempi della presente uscita, la line-up comprendeva due signore, la chitarrista Karla Williams d’origine giamaicana (si avete letto bene, la patria di Bob Marley) e l’altra, la cantante Lizza Hayson, israeliana, supportate ottimamente da tre session. Le due girls, animate dal desiderio di libertà e d’esplorazione della mente attraverso la musica, hanno cosi partorito quest'album dallo strano titolo e da una anche più difficile assimilazione. 'Go With the No!' è in grado però di coniugare, in una commistione di stili ed emozioni, i più svariati generi musicali, riuscendo nell’intento di catturare l’attenzione anche di chi non ama il metal. Gothic, punk, hardcore, dark, jazz, doom e stoner metal si fondono in questa release, debut assoluto della compagine statunitense, attraverso lo scorrere di un sound oscuro, melodico e tribale, sorretto dalle pesanti e malinconiche chitarre di Karla e accompagnato dall’ipnotica voce di Lizza (che presenta una voce accostabile alla nostra Cadaveria,). I Mahavatar sono bravi a spingerci sul bordo del precipizio con le loro musiche psichedeliche e poi a trascinarci giù nei meandri dell’inferno per poi riuscirne con le sue selvagge e melodiche suggestioni in un caleidoscopico giro di emozioni. Bellissima l’ultima e introspettiva “The Time Has Come” con il suo liseergico incedere, quasi a voler scandire i secondi che ci restano da vivere. Lasciate aperta la porta del vostro cuore e date modo ai Mahavatar di toccarvi l’anima. (Francesco Scarci)

(Cruz del Sur Music - 2005)
Voto: 72

https://www.facebook.com/mahavatarHQ

sabato 18 aprile 2020

Hermon - Blackest Night

#PER CHI AMA: Black/Punk, Darkthrone, Celtic Frost
Era addirittura il 1993, quando i qui presenti Hermon si formarono nella elegante Buenos Aires. Tre anni insieme, nessuna release ufficiale, probabilmente tanto divertimento, birre nello scantinato di una qualche casa, li a strimpellare insieme. I tre musicisti argentini dal 1996 in poi, si sono dedicati ad un'altra miriade di progetti (Windfall, Xenotaph, Artes Negra tra gli altri) prima di riflettersi sul da farsi e tornare insieme solo nel 2018, per dare voce al progetto iniziale Hermon. E finalmente, nel 2019, vede la luce 'Blackest Night', un disco che forse sarebbe dovuto uscire 25 anni prima, vista una proposta a cavallo tra punk, black e death. Questo ci dice infatti l'opener "About the Dark Hours", una traccia che poteva essere stata rilasciata tranquillamente dai Darkthrone negli anni '90. Poi, con "Funeral Black Winter" si scatena l'inferno: ritmica cingolata lanciata a tutta forza, con un mood a metà strada tra i primi Mayhem e ancora con la band di Fenriz e compagni. La proposta, come potete immaginare, è assai oscura, ma ovviamente non aggiunge nulla alle forze del male del passato, a cui aggiungerei altri tre nomi per chiudere il cerchio e dare una giusta connotazione al sound della compagine argentina, ossia i primi Celtic Frost, i Venom e i Bathory. I primi due per la loro aura spettrale e qualche influenza che si ritrova a schizzi nell'album, la terza band per una certa vena epica che si riscontra qua e là nei vocalizzi di Nan "Noctambulo" Herrera. Poi, parliamoci chiaro, dai due minuti di "Thinking to Kill" in avanti, per concludersi con "Black Celebration", il disco potrebbe suonare come una celebrazione della carriera dei Darkthrone, ma per quelli è sempre meglio ascoltare gli originali. Insomma un bel salto indietro nel tempo con questa "Notte più Profonda" che ci porta dritta agli albori del black metal. (Francesco Scarci)

(Sons of Hell Prod. - 2019)
Voto: 66

www.facebook.com/hermon-black-metal-183876585863641

sabato 11 aprile 2020

Licantropy - Extrabiliante

#PER CHI AMA: Surf Rock'n' Roll
Storie di lupi e di lune, di metamorfosi e delirio, di fantasie e demoni squisitamente antropomorfi. Scritte e cantate dal diabolic-trio più diabolic del Triveneto, i Licantropy. Incise ad arte su un compact-disc e confezionate da un’iconica copertina, decisamente evocativa (devo ammettere che mi ha fatto sorridere a prima vista). Se pensate che un tale abstract, non possa riassumere un album simile rendendogli giustizia, beh avete certamente ragione. Non è compito facile raccontarvi con esattezza cosa si può trovare dentro questo disco. Niente paura, non vi ho per niente rovinato la sorpresa, anzi: quelle non mancano. Sempre in agguato dietro l’angolo, brano dopo brano. Dopo una ispanica intro ("Hispanic Wolf") a dipingere il background notturno in cui ci trasportiamo, veniamo investiti dall’impetuoso surf-rock’n’roll sanguigno e affamato dei Licantropy. Aggiungiamoci un pizzico d’influenza punk e una buona dose di psichedelia ammaestrata dagli organi e dai synths di Mr. “Royal Albert Wolf”. Ed eccoci servito. Due brani diretti e sparati come "Big Bad Affaire" e la licantropica "Pale Moon Light", ottimamente impiegabile come colonna sonora per una surfata al chiaro di luna, con i suoi notevoli fraseggi affidati all'Hammond guitar. E ancora, dopo le cavalcate a ritmo di rock della title-track (che contiene addirittura una sezione di scratching), arriviamo persino ad incontrare elementi progressivi: ad esempio in "Bite Me Wolf", con la sua struttura ritmica in continua evoluzione, seppur poco evidente ad un primo ascolto, o nella conclusiva "Coyote", perfetto brano da applausi finali. Dall’incalzante energia iniziale giungiamo, oso dire, ad una dilatazione in chiave stoner. Complessità strutturale, arrangiamenti da manuale ed un’altra abbondante dose di scratch per questo vero e proprio viaggio, verso la fine dell’incubo a luna piena, iniziato una decina di canzoni prima. La visione interpretativa personale di un rock’n’roll più oscuro e notturno, mi ha ricordato un’altra underground-band nostrana a cui sono piuttosto affezionato, gli Slick Steve & The Gangsters, seppur, sia chiaro, ci troviamo su due strade stilistiche abbastanza diverse. 'Extrabiliante' vede la luce come secondo album in studio dei Licantropy, che avevano esordito nel 2017 con 'We Were Wolves', un disco dalle sonorità molto più ruvide e scatenate. Il ritorno del trio composto da Tom Wolf (chitarra & voce), Luke Sky Wolfer (batteria & voce) e Royal Albert Wolf (organo & voce), vede un lavoro di canalizzazione di quella stessa energia in arrangiamenti molto ben studiati. Molta attenzione ai numerosi e ricercati dettagli, che emergono ascolto dopo ascolto: come dicevo, ricco di sorprese che non si raccontano, ma si devono ascoltare. Avvertenze: 'Extrabiliante' può causare irrefrenabile voglia di muovere la testa e battere i piedi a ritmo frenetico. Voluto omaggio al west di Costner 'Dances with Wolves'? (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

lunedì 30 marzo 2020

Walls of Jericho - With Devils Amongst Us All

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore, The Black Dahlia Murder, Bleeding Trough
Sinceramente con un nome del genere mi aspettavo più una band di power o speed metal, però vedendo prima la casa discografica e mettendo poi il cd nel lettore, mi sono reso conto che fra le mani avevo l’ennesimo esempio di metalcore. Che scrivere di diverso allora per questa band di Detroit, che già non sia stato scritto per le altre centinaia o forse migliaia di band metalcore che popolano il music biz? Il quartetto statunitense ci spara sulle nostre facce il solito polpettone di furia hardcore unita ad attitudine punk per un concentrato esasperante di adrenalina pura. Undici irriverenti tracce, caratterizzate dal solito thrashy riff, esplodono nelle casse del vostro stereo, undici pugni nello stomaco in grado di mettervi presto ko. La release dei Walls of Jericho ormai datata 2006 è energia allo stato puro, che mi fa saltare come una gazzella, sbattere il muso come un topo intrappolato in gabbia, lanciarmi in un headbanging frenetico dall’inizio alla fine, per ritrovarmi madido di sudore alla fine dell’ascolto di questo 'With Devils Amongst Us All', un disco la cui non troppo piccola pecca è quella di risultare uguale ad altri mille dischi metalcore. Da segnalare infine che le vetrioliche vocals sono ad opera di una cantante donna, tale Candace Kucsulain che attacca il microfono con un'incredibile ferocia. Solo per gli amanti del genere. (Francesco Scarci)

(Roadrunners Records - 2006)
Voto: 62

https://www.facebook.com/WallsofJericho/

mercoledì 25 marzo 2020

Bernays Propaganda – Vtora Mladost, Treta Svetska Vojna

#PER CHI AMA: Punk/Indie/New Wave
Tornano dopo tre anni i Bernays Propaganda, band macedone di cui abbiamo seguito i passi fin dall’esplosivo 'Zabraneta Planeta' del 2013, passando per quel 'Politika' che già nel 2016, e sempre per la meritoria etichetta slovena Moonlee Records, aveva lasciato intravedere una svolta verso sonorità più dance-punk, con un uso piu massiccio di drum machine e chitarre più affilate che selvagge. Oggi, in 'Vtora Mladost, Treta Svetska Vojn' (seconda gioventù, terza guerra mondiale), la sterzata è completata in modo netto e deciso, tanto che la prima domanda che ci si fa è dove siano finite, le chitarre. L’evoluzione dallo street punk-wave tutto feedback e Gang of Four di 'Zabraneta Planeta' si è completata in favore di una decina di brani pop declinati mescolando influenze new wave più o meno “morbide” ed elettronica vintage e arriva a lambire interessanti contaminazioni con la musica balcanica e perfino certe strutture tradizionali africane. Il disco è basato sull’incastro e l’interazione tra ritmiche pulsanti, groove elettronici, linee di basso essenziali e un massiccio utilizzo di synth, con una scaletta attenta a bilanciare pezzi prettamente danzerecci e momenti più pensosi ed eleganti. In generale 'Vtora Mladost, Treta Svetska Vojna ' è un lavoro piuttosto stratificato e complesso, a dispetto di un’apparente semplicità e linearità, che richiede diversi ascolti per essere apprezzato al meglio nelle sue non poche sfaccettature Da segnalare la presenza del grande Mike Watt (dei leggendari Minutemen, e poi Firehouse, Stogees e tanto altro) al basso in “Ništo Nema da nè Razdeli”. Spiazzante ma godibile. (Mauro Catena)

venerdì 13 marzo 2020

The Roozalepres - S/t

#PER CHI AMA: Punk Rock
Dalla Toscana con furore mi verrebbe da dire, dopo aver ascoltato queste 12 fottute tracce dei The Roozalepres. Trentaquattro minuti di suoni punk rock lanciati a tutta forza. Cori accattivanti annessi ad assoli arroganti ("Rough'n'Roll Rooze 'Em All"), merce rara per il genere e non solo. "Come and Go" è una bella cavalcata punk che mi hanno evocato gli esordi dei Rostok Vampires e di quell'indimenticabile, almeno per il sottoscritto, 'Transilvania Disease'. Ancora chitarre velenose, melodie che inducono ad un bell'headbanging che a quest'età rischia ormai di procurarmi qualche problemino alla cervicale. Ma sapete che penso, me ne fotto e mi lascio trascinare dal sound di questo quartetto che, pur non inventando nulla di nuovo, assembla in quest'album omonimo un mare di influenze che smuovono anche sua maestà Glenn Danzig ai tempi dei Misfits, coniugando quindi dark, punk e rock'n roll, senza dimenticarsi qualche scorribanda in territori hardcore. Inutile stare qui a fare il classico track by track ed elencarvi peculiarità, pregi e difetti di ogni song, molto meglio lanciarsi allora in pogo sfrenato creato dal combo italico e cercare di dimenticare per una mezz'ora abbondante quel frastuono che ci circonda. Il punk rock dei The Roozalepres (ecco sul moniker avrei di che ridire) è sicuramente molto più rumoroso e divertente. Difficile identificare una song piuttosto di un'altra ma dovendo esprimere la mia opinione, devo dire di preferire la band su ritmiche più tirate come "Frankenstein Heart" o "Riding Cosmos", dove i nostri trasmettono grande energia, piuttosto che pezzi più mid-tempo come possono essere "Black Magic Killer" o "Mean Mean World", una song quest'ultima più Ramones oriented. Alla fine, mi sento di consigliare la fatica di quest'oggi a tutti gli amanti di questo genere di sonorità, poco impegnate e scavezzacollo. (Francesco Scarci)

(Go Down Records - 2020)
Voto: 69

https://www.latest.facebook.com/roozalepres

domenica 15 dicembre 2019

7am - Benefit for Iggy´s Shirt

#FOR FANS OF: Punk/Garage Rock
'Benefit for Iggy's Shirt' is the 2019 release from Slovenian alternative rockers 7am - lead by Anabel on vocals and bass, Mico on guitar and vocals and Devor on drums. 7am are punk rockers at heart who play their instruments and wear their influences on their sleeves, delivering a sound reminiscent of Northern England's indie rock scene of the early 2000's with hints of Weezer and with a taste of The Ramones thrown in for good measure. Fronted by Anabel on lead vocals and bass it differentiates 7am from the male dominated vocalists of the genre making their sound fresh. Singles "Ugly Life" and "Everytime" kick off proceedings and immediately deliver a sound you can get excited about. In the midst of dull generic sounding rock pop it's great to find something authentic you can stomp your feet to. Single "I Can't Believe" transitions nicely into power rock pop whilst enjoying every sound the guitar can create. Tracks "At Least I Tried" and "Nevermore" see 7am showing their more minimal side with the sound feeling more intentional. 7am capture their raw live sound on this record mixing messy aggressive guitars, head bobbing base lines and sweet vocals with depth that set their sound apart from music in the alternative rock genre - delivering an enjoyable record from start to finish. (Stuart Barber)

sabato 9 novembre 2019

Nouccello - S/t

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
Al giorno d'oggi è sempre più complicato scrivere le recensioni. Questo lavoro mi è arrivato infatti privo di qualsiasi informazioni, giusto un cd inserito in una foderina trasparente con una scritta sopra, Nouccello. "E chi diavolo sono questi" è stata la mia prima domanda? I Nouccello ("che razza di moniker è questo" è stata la mia seconda) è una band formatasi da un paio d'anni da ex membri di Straight Opposition e Death Mantra For Lazarus ("ma dove diavolo vivo che non conosco nessuna di queste band", il terzo quesito di oggi). La proposta musicale del terzetto pescarese è un hardcore cantato in italiano che si presenta con le note nevrotiche dell'opener "Piano B", una song oscura pervasa da un profondo senso di irrequietezza, che mi conquista immediatamente, sebbene quello proposto non sia proprio il mio genere preferito. "Vertigine" è più litanica a livello vocale; qui ciò che apprezzo maggiormente è il drumming, cosi tentacolare e presente, soprattutto nella sua marziale conclusione. Devo dire che a colpirmi è anche la facilità con cui il trio italico riesce a cambiare umore all'interno di brani cosi brevi (tra i tre e i quattro minuti di durata media) ma intensi. "Aternum, Pt. 1" è un pezzo strumentale che funge verosimilmente come sosta di ristoro prima di imbarcarsi all'ascolto delle successive e dinamitarde song. Arriva infatti "Lo Spettro" e vengo investito dalla violenza punk di voce e ritmica, in quello che è un pugno diretto e incazzato in pieno stomaco. "Episodio 5: Trappola in Mezzo al Mare" si srotola in modo narrativo con un melodia di fondo malinconica, pur mantenendo inalterato lo spirito ribelle della band. "Specchio Riflesso" si apre curiosamente con la voce di un ragazzino a dare istruzioni su come suonare "Tanti Auguri a Te" con l'armonica, poi è solo un'esplosione di pura violenza. Ancora stranezze nell'incipit di "Colpisci il Mostro", prima che la song si muova su direttive musicali più ritmate e bilanciate (ancora ottima la performance del batterista), ove sono ancora i cambi di tempo a colpirmi positivamente, perchè la sensazione finale è quella di aver ascoltato quindici brani anzichè otto. A chiudere, le note post-rock di "Aternum, Pt. 2", il secondo capitolo strumentale di questo lavoro omonimo, che mi ha fatto conoscere ed apprezzare una band, fino ad oggi a me totalmente sconosciuta. (Francesco Scarci)

(Vina Records/Scatti Vorticosi Records - 2019)
Voto: 74

https://www.facebook.com/nouccello/

domenica 3 novembre 2019

Lambs - Malice

#PER CHI AMA: Crust/Post-Hardcore
Che fine hanno fatto i Lambs che ho recensito ormai tre anni fa su queste stesse pagine, in occasione dell'uscita del loro EP 'Betrayed From Birth'? Quella era una band di corrosivo post-hardcore/post-black, mentre i Lambs di oggi, sembrano piuttosto una realtà apparentemente più riflessiva, immersa in un contesto più vicino al post-metal. Questo è almeno quanto si evince dalla song posta in apertura di 'Malice', dall'eloquente titolo "Debug" (song che vanta peraltro la partecipazione di Paolo Ranieri degli Ottone Pesante e il musicista genovese Fabio Cuomo). Che si tratti quindi di una correzione del tiro da parte della compagine cesenate o che altro? Lungi da me trarre conclusioni cosi frettolosamente, visto che il finale della stessa si lancia verso un primigenio caos sonoro che richiama quello stesso corrosivo suono crust che avevo evidenziato in occasione del precedente dischetto, proseguendo addirittura con un sound ancor più aspro nella successiva "Arpia". La traccia si apre con ritmiche sghembe che strizzano nuovamente l'occhiolino alle band black della scena transalpina, per poi infilarsi in mefitici e fangosi meandri sludge (dove i nostri sembrano trovarsi più a proprio agio) e lanciarsi infine, come un treno fuori controllo, in un'ultima cavalcata dalle tinte oscure, non propriamente nere. È quindi il turno di "Ruins" e qui il ritmo va più a rilento, almeno fino al minuto 4 e 37, quando una grandinata improvvisa si abbatte sulle nostre teste. In "Perfidia", una song lenta e magnetica, i nostri si affidano all'italiano per il cantato e il risultato, devo ammettere, si rivela ben più efficace di quello in inglese. Certo, la song è assai particolare, muovendosi tra crust punk, math, uno sfiancante sludge e schizofrenia pura, risultando alla fine la mia song preferita. C'è ancora tempo per l'ultima sassaiola, quella affidata a "Misfortune", un brano che tuttavia parte piano con un timido esempio di post-rock in stile *Shels, con la tromba di Paolo Ranieri in sottofondo. Come anticipato però, di sassaiola si tratta e non c'è niente da fare, non la si può scampare quando esplode nella sua furia distruttiva. I Lambs cercano di attutirne i colpi, rallentando pericolosamente l'incedere intimidatorio del pezzo. Il giochino riesce alla grande ma alla fine provoca un giramento di testa non da poco, che mi sa tanto che mi accompagnerà per parecchio tempo. (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2019)
Voto: 72

https://lambsit.bandcamp.com/album/malice

Woundvac - The Road Ahead

#PER CHI AMA: Grind/Hardcore
Dopo tanto black e post-metal ascoltato in questo periodo, avrei bisogno di qualcosa che sradichi tutti quei suoni e faccia un po' di pulizia nella mia testa. Gli americani Woundvac, con il nuovo 'The Road Ahead', potrebbero fare al caso mio. Accendo lo stereo abbastanza ignaro di quanto mi aspetti, sebbene quella copertina piuttosto splatter lasci presagire il peggio. E infatti quando "The Last Nail" fa seguito all'intro del disco, ecco che vengo investito dalla furia nichilista del quartetto di Phoenix che mi assale con un grind/hardcore senza compromessi, in grado di polverizzare in un battibaleno qualunque forma di contaminazione musicale alberghi ancora nelle mie orecchie. Un due tre, la band sciorina uno dopo l'altro dei pezzi assassini che citano Napalm Death o Terrorizer tra le loro influenze, sebbene le harsh vocals del frontman statunitense non siano cosi profonde come il growling dei colleghi inglesi e il suono risulti più secco rispetto alle due band citate. Poi di fronte alla carneficina compiuta dei nostri non posso altro che alzare le mani e lasciarmi investire dalla tempesta sonica elargita dal malefico terzetto costituito da "Tightening Chain", "Never an Option" e la lunghissima (quasi quattro minuti), ma anche più ritmata, "Institutional Bloodshed". Feroci, furibondi, malefici, violenti, incazzati, trovate anche voi altri aggettivi che definiscano l'essenza ferale di questi terroristi del metal estremo. L'erasing alla mia testa è completato, il risultato raggiunto. (Francesco Scarci)

sabato 12 ottobre 2019

Acid Brains - As Soon as Possible

#PER CHI AMA: Grunge/Punk Rock
Gli Acid Brains sono una storica band toscana, formatasi addirittura nel 1997 e dedita ad un alternative-punk rock, che torna a farsi largo sulla scena con questo nuovo sesto album dal titolo ben chiaro, 'As Soon as Possible'. Appena possibile quindi date un ascolto a questo lavoro che si muove dall'ipnotica opening track, "Our Future", giocata su profonde partiture di basso e voce, a cui segue una bella e potente linea di chitarra. Con "Go Back to Sleep", le carte sul tavolo si sparigliano e si torna a parlare di un classico punk rock, orecchiabile e canticchiabile quanto basta per farci venire voglia di saltare e urlare come pazzi, proprio come lo sguaiato urlo che il frontman riversa verso la fine del pezzo, mentre le ritmiche corrono arrembanti e ci conducono con furia a "Sinners". Il motivetto di chitarra e voce iniziali entrano nella testa e da li non se ne escono grazie a quella graziata ritmica che contraddistingue la song. Suoni leggeri che sfiorano addirittura la psichedelia in "Really Scared", un pezzo che mostra un'apertura quasi di scuola floydiana, prima che la song s'incanali in una linea melodica più lineare rispetto alle precedenti, sicuramente più seriosa e meno scanzonata, quasi a dire che gli Acid Brains vanno presi sul serio. Ma l'eterogeneità è parte del DNA dei nostri e allora in "Not Anymore", eccoli proporre un sound decisamente più roccioso e grunge oriented (penso ai Nirvana più rozzi e cattivi), e non a caso questa sarà anche la mia song preferita del lotto. C'è tempo ancora per un paio di canzoni cantate questa volta in italiano, "Capirai" e "Canzone di Settembre": la prima, nonostante il riffing bello compatto che chiama in causa i System of a Down, perde potenza quando si palesa il cantato in italiano. La seconda, è un esempio di pop rock che ho fatto più fatica a digerire, cosi lontana dai miei canoni sonori, ma ci sta considerata appunto l'ecletticità degli Acid Brains. Discreto ritorno, peccato solo che la durata del cd sia piuttosto risicata, avrei optato almeno per un paio di pezzi in più. (Francesco Scarci)

domenica 15 settembre 2019

Vile Nothing - Pessimist

#PER CHI AMA: Crust/Hardcore
Un po' di insano punk-crust-hardcore proveniente dalla Svezia è quanto proposto oggi dai Vile Nothing e dal loro 'Pessimist'. Si tratta di un EP di quattro pezzi che irrompono con la ferocia molestia di "In Disgrace, With Fortune", un brano breve ma incisivo, costituito da chitarre sparate ai 200 km/h e da una batteria al limite del grind, per poi rallentare paurosamente sul finale con una tirata di freno a mano da cappottamento garantito. "Erased" prosegue con un'altra ritmica al fulmicotone su cui s'installano le vocals sbraitanti del frontman; da notare che come sul finire della traccia in apertura, cosi anche in questa seconda song, sono presente i classici bombastici tonfi del deathcore a contaminare ulteriormente la proposta dell'act di Stoccolma che con il proprio sound non fa altro che darci un sacco di schiaffoni. Vi basti ascoltare la ficcante proposta della terza "Dåren Är i Lådan" un pezzo di 67 secondi devoti ad un tremebondo mathcore. Il finale apocalittico è dispensato dalle note furenti di "Abhorrence", l'ultimo straripante ed iconoclasta inseguimento dei Vile Nothing. Paurosi. (Francesco Scarci)

martedì 20 agosto 2019

Jesus Franco and the Drogas – No(w) Future

#PER CHI AMA: Garage/Punk, Queens of the Stone Age, Iggy Pop
Se pensavate che al mondo i seguaci degli ultimi QOTSA fossero solo dei cloni inespressivi, allora dovrete ricredervi ascoltando questo disco dei Jesus Franco and the Drogas (uscito per la Bloody Sound Fucktory). 'No(w) Future' è divertente e ben fatto, intossicato dall'irriverente verve degli Eagles of Death Metal ed in perfetta sintonia con la follia degli ultimi dischi della band di Josh Homme ("Acufene"), carico di emozioni psych di tutto rispetto tra the Dukes of Stratosphere, Hey Satan e Nudity, con una voce gogliardica in puro stile Captain Beefheart ("No Talent Show") per cui non rimarrete delusi. La cosa che più convince in questo quinto disco della band di Ancona è la ricerca e la volontà assidua di sperimentare in campo psichedelico, sempre ai confini della realtà, tra orecchiabilità rock'n roll ("Right Or Wrong") e pupille dilatate, con una capacità esagerata di riuscire a rendere accessibili anche divagazioni allucinogene complicate ed indigeste. Tutti i brani sono un pugno allo stomaco altamente tossico, adrenalinici e deviati, a volte dai toni in salsa psych estrema ("Some People") o sparati come se il mondo non dovesse mai fermarsi e, cosa che risulta assai gradevole, è che oltre ad essere ben suonati e prodotti con un suono tipicamente garage, non risparmiano l'ascoltatore, cercando di stupirlo in continuazione, sfornando uno dopo l'altro, pezzi pieni di vita e mai banali, devastanti ed incendiari, la perfetta colonna sonora per un sequel di 'Paura e Delirio a Las Vegas'. Questi abili musicisti giocano con il garage punk ed esplodono nella psichedelia claustrofobica, il garage rock'n roll è una base solida e mai nome di una band è stato più azzeccato, per una musica figlia del più vizioso ed anfetaminico Iggy Pop ("Blast-o-Rama"). Si ritorna sui toni storti e sperimentali del divino capitano in "Brain Cage", mischiandolo ad un tono vagamente più heavy e pesante alla stregua di certi pezzi degli Amen, anche se suonati in chiave più ipnotica e meno hardcore. Nel concludere, la band anconetana inserisce il brano più soft della raccolta, "Wake Up" che aspira ad una forma di alienazione e prende le distanze dalle precedenti composizioni proponendo un volo psichedelico assai avvolgente con una voce che ricorda molto da vicino il mito sotterraneo di Mark Stewart and the Mafia. In sostanza, 'No(w) Future' è un album prezioso nel panorama sotterraneo italiano, pieno di colori e divagazioni lisergiche di varia forma e tipologia, un caleidoscopio esaltante, un disco ben fatto! (Bob Stoner)

(Bloody Sound Fucktory - 2019)
Voto: 73

https://www.facebook.com/jesusfrancoandthedrogas/

domenica 7 luglio 2019

Mercy's Dirge - Live, Raw & Relentless

#PER CHI AMA: Black/Thrash, Celtic Frost, Possessed
Prosegue l'excursus sulle band rumene da parte della Loud Rage Music. Oggi è la volta del debut dei Mercy's Dirge, 'Live, Raw & Relentless', un album uscito autoprodotto nel 2018 e riproposto dall'etichetta di Cluj-Napoca nell'aprile 2019. In realtà, il disco contiene brani contenuti nell'EP uscito lo scorso anno e nei demo di metà anni '90 della band. Si proprio cosi, visto che il sestetto di Suceava aveva fatto uscire un paio di tapes nel 1993 e nel '95 prima di sciogliersi nel '97 e ritornare poi nel 2015. Il disco potrete pertanto immaginarlo come una sorta di bignami di rozze sonorità black/thrash/death di fine anni '80, un po' come mettere sotto lo stesso tetto Venom, Possessed, Celtic Frost, primi Sepultura, Kreator e Bathory, in un disco che francamente mi sento di consigliare solo ai nostalgici del genere. Undici tracce per quasi un'ora di suoni che definirei retrò proprio per non scrivere vintage e che poco ormai hanno da dirmi, avendo vissuto a quel tempo l'ondata di tutti quei mostri sacri. Se poi, siete giovani e non avete mai avuto tempo di approfondire le band di cui sopra, ma sarebbe un vero sacrilegio, allora provate a dare un ascolto anche al nevrotico sound dei Mercy's Dirge, alle architetture ruspanti (quasi punk-hardcore) di "Devilish Wish", ove accanto al cantato urlato, trova addirittura spazio una voce pulita. Tra gli altri brani, mi ha colpito l'epicità occulta di "In the Name of...", cosi evocativa nel suo cantato arcigno che troneggia su quella ispida ritmica sparata sul finire a tutta velocità. Il disco prosegue su questa scia fino alla conclusiva, seminale ed heavy "Senseless Agony", in una sorta di finestra su vista death/punk dei favolosi anni '80. Insomma, praticamente nulla di innovativo, solo un bel salto indietro nel tempo alla riscoperta di vecchi suoni ormai dimenticati nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

Mat Cable - Everyone Just Going Through Something

#PER CHI AMA: Alternative Rock
E questi Mat Cable chi diavolo sono? Leggo la loro biografia che mi riporta all'anno della loro fondazione, il 2013: da allora la band lombarda ha confezionato un paio di EP, fino ad arrivare a questo debutto sulla lunga (ne siamo proprio sicuri?) distanza. Fatto sta che 'Everyone Just Going Through Something' è il nuovo disco del trio italico, che esce per la Alka Record. La musica proposta la indirizzerei in un rock alternativo che da "The Rim" a "Your Fire", ci propina 28 minuti di musica che vede in molteplici influenze, la sorgente musicale per i nostri. Dirmi fan di queste sonorità che pescano un po' dal post-punk revival britannico, dall'indie e dall'alternative rock mi pare un po' eccessivo, però c'è un qualcosa nella musica del terzetto nostrano che talvolta catalizza la mia attenzione. Forse quella melodia di sottofondo dell'opening track che sembra la musica di una giostra infernale o il rock sporco della seconda "June" che s'insinua nella testa con quel suo rifferama arrogante quanto basta per indurci al più classico dell'headbanging. La voce di Raffaelle Ferri poi è sicuramente interessante, mi ricorda qualcuno che francamente non sono riuscito a mettere a fuoco, nonostante i molteplici ascolti. Incendiaria, almeno a livello ritmico la terza "Hey Doc" che vanta più di un qualche punto di contatto con gli Arctic Monkeys. Con "Hair" facciamo un salto temporale indietro nel tempo di 50 anni (accadrà anche con "You Like Me"), là dove mi immagino band sopra un palchetto con pantaloni a zampa di elefante, capelli cotonati, qualche schitarrata di accompagnamento, una voce suadente e il gioco è fatto. Con "Heart of Stone" facciamo un balzetto in avanti con i tempi e arriviamo a proporre un discreto punk rock, ruffiano nel chorus e nelle melodie. Il disco scivola via velocemente, complice la breve durata dei brani, fino ad arrivare a "Terror", scelta dalla band come singolo dell'album insieme a "Your Fire" e anche eletta dal sottoscritto come mia song preferita, forse per quel suo fare più pesante e ammorbande rispetto alle altre track. Dicevamo di "Your Fire", una bella mazzata nei denti che sancisce la fine delle ostilità di questo 'Everyone Just Going Through Something', lavoro interessante ma ancora un pochino acerbo. C'è strada da fare, meglio mettersi in moto dunque. (Francesco Scarci)

(Alka Record Label - 2019)
Voto: 64

https://www.facebook.com/matcablemusic/

lunedì 1 luglio 2019

Tense Up! - S/t

#PER CHI AMA: Math Rock, Fantomas
Premesso che ho quasi sfasciato il cd per estrarlo dalla custodia (e questo anche il motivo perchè cui ci abbia impiegato un bel po' a recensire il dischetto), vi racconto un po' dell'EP omonimo dei Tense Up! Dall'area di Reggio Emilia, ecco arrivare un duo con le idee chiare e brillanti, che ha catturato le attenzioni della Dischi Bervisti cosi come pure la mia. Vincenzo e Luca s'incontrano, o forse meglio dire, collidono, dando alla luce questo lavoro di soli sei pezzi dove s'incrociano math rock, psych, punk e surf rock & roll, il tutto a creare una cavalcata tirata, dall'inizio alla fine, da "Mr: Memory" a "Private Traps", in un roboante e arrogante incedere di chitarre grezze, su cui si installano come uniche voci, estratti di film noir anni '60, spoken words, urla e addirittura versi di animali. Poi è un flusso di suoni angoscianti e tormentanti che si muovono su ritmiche inusuali, schizoidi ("Carrusel") e alternative, suonando a tratti davvero dissonante, e per questo, davvero avvincente. E allora, sebbene non mi ritenga un fan del genere, devo ammettere di essere rimasto ammaliato non poco dalla proposta dei due folli musicisti emiliani, la cui creatività risiedeva già nel proporre un artwork di copertina con la protagonista de 'La Donna che Visse Due Volte', ossia quella Madeleine, scelta da Hitchcock e interpretata da Kim Novak. E allora non vi rimane altro che farvi investire dai dialoghi (in inglese ma anche in italiano) inclusi nell'album che raccontano un po' di più della stravagante proposta di questi amanti del cinema, ma anche di una musica che nella sua riverberante e aberrante stravaganza, ho trovato davvero originale. Se siete degli amanti dell'imprevedibilità di casa Mike Patton, e cercate qualcosa che per una ventina di minuti sia in grado di catalizzare la vostra attenzione, beh i Tense Up! faranno sicuramente al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Dischi Bervisti - 2019)
Voto: 74

https://www.facebook.com/tenseupband/