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martedì 3 luglio 2018

Dobbeltgjenger - Limbohead

#PER CHI AMA: Indie Rock/Alternative, Queens of the Stone Age, Incubus
A Bergen, in Norvegia, non si vive di solo metal o black, esistono band che toccano altri confini con risultati interessanti, coprendosi di fantasia e mostrando qualità eccelse. La Karisma Records, etichetta splendida per uscite metal complicate e oscure, lo ha capito ed ha assoldato tra le fila della sua scuderia band geniali e bizzarre che esplorano mondi diversi, aumentando ulteriormente il valore e la quotazione delle sue release. Questo è il caso del progetto Dobbeltgjenger che accosta composizioni bizzarre ad esecuzioni musicali al di sopra della media, fatte da musicisti che amano sperimentare e mischiare generi diversi per confonderli (e confonderci) e farli rinascere in modo stravagante. Così si parte con "Tin Foil Hat", indie rock incalzante dalla vena molto sbarazzina, tra esplosioni chitarristiche noise e blues e con un cantato che ricorda splendidamente i Chambawamba più ballabili e il Beck dei tempi d'oro. "Calling Tokio" è un brano rubato dalle session di una improbabile cover dei Queens of the Stone Age, di un brano del miglior David Byrne, dal gusto esotico e psichedelico, mentre "Like Monroe" continua il richiamo alla band di Josh Homme con venature rock più suadenti e sfumature canore vicine agli Incubus più romantici. Per non annoiarsi mai ecco "Loking My Doors" dove il registro cambia ancora, il pop si fa adulto e ci si imbatte in una inaspettata soul ballad che richiama la magia di Otis Redding in "Sitting on the Dock of the Bay" e il canto alla Extreme di "More Than Words". Nel velocissimo brano "Swing", la compagine di Bergen, immedesimandosi in territori polverosi e desertici, cerca di spiegare le origini del suono dei QOTSA, proveniente dalla leggenda sonora quali sono i Fatso Jetson, mentre "In Limbo" sembra un brano dei più recenti Red Hot Chili Peppers passato però in acido, dove le forme più lisergiche ed astrali della band, venate di magma 70's, vengono fuori in massa mettendo in risalto una performance strumentale e soprattutto vocale, magistrali. "Keep'em Coming" gioca con il funky del leggendario folletto di Minneapolis, cori alla Franz Ferdinand e taglio dance da hit disco alla Parliament. Eccletismo sonoro è la parola d'ordine per questo 'Limbohead', cosi accattivante e affascinante, tutto da scoprire, musica dalle mille sfumature e tante sfaccettature, suonato benissimo e prodotto divinamente, con gusto e fantasia, come quelle racchiuse negli ultimi due brani, "Radio", che rilascia fresco rock alternativo alla maniera degli ultimi Incubus e allucinazioni in stile Beatles/John Lennon e "Mangrove", dove ritornano le strutture care alle ballate soul di classe e al funk rock dei RHCP. Un album che bisogna assolutamente ascoltare liberi da pregiudizi, valutarlo per la fantasia degli accostamenti musicali provenienti da generi diversi, la qualità d'esecuzione e per una voce a dir poco splendida. Autentica sorpresa! (Bob Stoner)

(Karisma Records - 2018)
Voto: 85

https://dobbeltgjenger.bandcamp.com/

mercoledì 6 giugno 2018

Tusmørke - Fjernsyn I Farver

#PER CHI AMA: Psych/Space Rock, Yes, King Crimson
Il traguardo del sesto album non è cosa da poco. Ci sono riusciti i norvegesi Tusmørke con questo 'Fjernsyn I Farver' (che starebbe per "Televisione a colori") e il carico di musica folk psych prog rock che esso si porta. Sei i brani a disposizione dei nostri per cercare di stupirci con le loro melodie funamboliche che sembrano provenire direttamente da fine anni '60. Lo dimostra immediatamente la title track posta in apertura al disco, in cui flauto, percussioni varie e un cantato stravagante (in lingua madre) irrompono e dichiarano apertamente l'amore della band per i signori del calibro di King Crimson, Yes o Jethro Tull (ma più per un'assonanza legata all'utilizzo dei flauti), giusto per citare alcuni degli act più famosi ai quali i Tusmørke si ispirano. Notevoli i giochi di luce che l'ensemble riesce a creare, tra rallentamenti e accelerazioni psych rock, in cui il pallino del gioco è tenuto costantemente dai synth e da una voce non poi cosi facile da digerire. "Kniven I Kurven" conferma l'importanza del flauto nell'economia della band: esso apre infatti la song, mostrando un'ampia sinergia con le percussioni e un sound in generale che mi proietta indietro nel tempo di almeno una cinquantina d'anni, ove le chitarre sembrano invece relegate in secondo, anzi terzo piano. La traccia ha un incedere che potrei definire banalmente allegro, tuttavia manca di una spinta che la riesca realmente a rendere cooinvolgente. Il quintetto di Oslo prosegue con la propria proposta in "Borgerlig Tussmørke", un brano che appare come l'ideale colonna sonora di una fiaba, anche se il coro a metà brano sembra preso in prestito da "Hey Jude" dei Beatles. Che i nostri non siano degli sprovveduti lo si evince anche dalla debordante e sabbatiana "3001", una canzone che prende le distanze dalle altre song, sebbene l'intro risuoni come un videogames anni '80. La traccia si snocciola come un classico dei Black Sabbath, con addirittura la voce del frontman a voler emulare quella del buon vecchio Ozzy e un break a poco più di metà brano, che fa sprofondare il sound dell'act scandinavo in una porzione psych doom. Molto in stile Carlos Santana invece l'inizio di "Death Czar", cosi caraibica nei suoi suoni fragili e psichedelici, soprattutto a livello percussivo, con un finale più rock oriented che ne rigenera le sorti. "Tøyens Hemmelighet" è l'ultimo pezzo di questo disco, che vuole raccogliere una mistura di suoni funk e folk, evocandomi un che dei Carnival in Coal nel loro album 'French Cancan' ed in particolare nella cover di "Fucking Hostile" dei Pantera. Ascoltare per credere. (Francesco Scarci)

domenica 29 gennaio 2012

Nordagust - In the Mist of Morning

#PER CHI AMA: Progressive Metal, Änglagard ed Anekdoten
Circolato come demo nel 2007, rimasterizzato e remixato nel 2010, il disco dei Nordagust contiene brani che iniziarono a prendere forma già a partire dal 1996. Pare che il nome Nordagust abbia origini mitologiche, e sia riferito al vento del nord. Ed è proprio il vento l'elemento che impatta su di me e mi trascina via nei ripetuti ascolti di quest'album. Un vento che arriva ovunque, tutto incontra e parte del tutto porta via con sé. Un vento carico degli odori della natura, talvolta secco, altre volte ebbro di umidità, testimone delle cose del mondo e narratore di poesia antica. Non può che essere di natura emozionale l'approccio con questo disco, che fin dall'opening (e title) track, accarezza e scuote la memoria di sensazioni che non hanno più rispondenza nella quotidianità binaria che ci soffoca. E così si trova la giusta posizione, si chiudono gli occhi e si ascolta il vento del nord. Inizialmente la nostra natura ci induce alla diffidenza ed, immobili, possiamo solo accorgerci del vento su di noi, e provare a respirarlo. Scivolano così via echi di Änglagard ed Anekdoten, ma è solo una folata, impossibile da afferrare; ed è inutile voltarsi indietro, perché quel vento è già passato e nuove raffiche con un penetrante odore di mellotron ci suggeriscono Barclay James Harvest ed alcuni dei momenti più cupi di King Kimson; ed ancora un'interpretazione tipicamente watersiana e passaggi progressive tipicamente made in Italy. Poi pian piano si prende confidenza con il vento, e si prova a lasciarsi trasportare da esso. Ed ecco che danzando, scompaiono le immagini evocate precedentemente ed una brezza animista ci conduce attraverso squarci norvegesi, la bruma, i sentieri, i ruscelli, le foreste. E l'ultima, fondamentale intuizione: è natura ma è allo stesso tempo la descrizione di un paesaggio dello spirito. Non ci può essere una conclusione ad effetto in questa recensione; il vento, eterno, continuerà a soffiare, e “In the Mist of Morning” continuerà a rivelare nuovi affascinanti panorami. (Dalse)

mercoledì 16 marzo 2011

Helheim - Asgards Fall


Che bella sorpresa! Voi non avete idea di che cosa abbia provato dopo aver infilato questo mcd di 6 pezzi nel mio impianto stereo, un intelligente mix tra viking e black metal. Lasciate perdere i precedenti vuoti lavori della band norvegese, finalmente H'grimnir e soci (qui aiutato anche da Hoest, vocalist dei Taake) hanno colto nel segno, facendo un bel passo in avanti rispetto al precedente album “Kaoskult”. Fin dall’iniziale “Asgards Fall I”, il quartetto di Bergen ci propone il proprio personalissimo ed evocativo sound, fatto di sfuriate black da contraltare a passaggi folk in cui fanno la comparsa tipici strumenti della cultura nordica, decisamente suggestivi e più volte usati in passato anche da Quorthon, nella versione più epica dei suoi Bathory. La seconda traccia è un breve intermezzo che ci introduce ad “Asgards Fall II”, mid-tempo di ben 12 minuti che ci consegna degli Helheim rinnovati (e a questo punto non vedo l’ora di ascoltare anche l’imminente full lenght): l’epicità si fa ancora più forte ed echi di “Hammerheart” dei già citati Bathory si mischiano al sound degli esordi degli Einherjer, miscelando il tutto con gli Enslaved più folkish del periodo “Below the Lights”. Mi sembra quasi di essere stato catapultato nel Valhalla, con gli Helheim che narrano le gesta incredibili dei guerrieri descritti dalla mitologia norvegese, proponendo il tutto con suoni estremamente melodici (bestemmia!!!) ma evocativi, esaltanti e che si imprimono facilmente nelle nostre teste con dei motivetti orecchiabili (ah seconda bestemmia!!!); ma dopo tutto che male c’è, cerchiamo di ampliare un po’ di più i nostri confini mentali e goderci quanto di buono il panorama estremo ha da proporci. Tuoni minacciosi chiudono il brano e la trilogia iniziale e ci aprono le porte alla seconda parte del cd, introdotta dallo scacciapensieri di “Helheim VII”. E via si riparte con il black di “Dualitet Og Ulver”, cavalcata che ricorda il riffing glaciale ma efficace dei mai troppo compianti Windir fino a chiudere questa sorprendente release con “Jernskogen”, rifacimento (abbastanza inutile) di una song già proposta nell’album “Blod & Ild”, vero e proprio capolavoro della band scandinava. Se il buon giorno si vede dal mattino, le mie mani si stanno già sfregando in attesa di ascoltare “Heiðenðomr ok Motgangr”, che probabilmente potrà rappresentare il vero e proprio trampolino di lancio per una band che non è mai stata troppo presa in considerazione nel panorama black internazionale. Le buone premesse ci sono tutte, ora vogliamo i fatti! (Francesco Scarci)

(Karisma Records/Dark Essence)
Voto: 80

domenica 3 ottobre 2010

Galar - Til Alle Heimsens Endar


Se anche voi come me siete rimasti scossi dalla scomparsa dalle scene dei grandi Windir (il vocalist Terje "Valfar" Bakken morì infatti in circostanze misteriose nel 2004), non temete perché una nuova creatura è finalmente pronta a sostituirli nei nostri cuori. Si tratta dei qui presenti Galar, già autori di un discreto cd nel 2006 “Skogskvad”, ma che con il nuovissimo "Til Alle Heimsens Endar" sorprendono tutti gli addetti ai lavori per le loro sonorità che non possono non rievocare le cavalcate pagane di cd come “Arntor” o “1184” dei già sopraccitati Windir. Mi sono emozionato ed infiammato subito nell’ascoltare le note di questo “Fino alla Fine di Tutti i Mondi”, proprio per l’emozioni che da subito si sono manifestate in me, come una sorta di deja vu per qualcosa che avevo già vissuto anni orsono all’ascolto dei capolavori dei vichinghi norvegesi. I giovani Galar, non sono da meno, e fatti propri anche gli insegnamenti di altri maestri quali Ulver o dei folkers Isengard o Storm, ci regalano sette emozionali tracce di black pagano. Il duo di Bergen, aiutato da Phobos dei Malsain/Aeternum, prende ancora spunto dalla tradizione mitologica nordica per dipingere desolati paesaggi ghiacciati, combinando un sound estremo raffinato (Enslaved docet), con il tipico riffing di matrice norvegese, intermezzi acustici, richiami alla musica classica (meravigliosa la strumentale “Det Graa Riket”), elementi folk e ovviamente il viking metal (“Ván” e “Ingen Siger Vart Vunnin”), in un incedere emozionante e suggestivo di suoni che da tempo non sentivo. Ottime le linee di chitarra, eccellente la prova del vocalist capace di spaziare dallo screaming black ai vocalizzi puliti alla I.C.S. Vortex (o potremo addirittura smuovere il padre dell’epic black Quorthon), "Til Alle Heimsens Endar" ci consegna una band davvero matura e capace di stupirci per la bellezza delle antiche melodie e la freschezza della loro proposta musicale. Forti di una eccelsa produzione ai Conclave & Earshot Studios (Taake, Enslaved) i Galar rappresentano una graditissima ed inattesa sorpresa di questo primo semestre del 2010. Spero si possa parlare a lungo di loro… (Francesco Scarci)

(Karisma Records/Dark Essence Records)
voto: 80