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domenica 2 dicembre 2012

Netra - Sørbyen

#PER CHI AMA: Suoni molto sperimentali
A molti di voi il nome Netra non dirà nulla, a me invece dice tanto, e per questo infatti li attendevo al varco con la loro seconda fatica, sempre targata Hypnotic Dirge Records. La one band band francese si ripropone con un imponente lavoro di ben 70 minuti, che li per li mi ha lasciato decisamente spiazzato, per i suoi contenuti. Devo essere sincero al primo, forse al secondo, ma anche al terzo ascolto, mi sono sentito deluso dalla nuova performance di monsieur Netra, vuoi per dei suoni troppo freddi che non ne risaltano quel giusto calore che una release di questo tipo dovrebbe emanare, vuoi anche per un suono delle chitarre un po’ troppo lineare. Al quarto ascolto però qualcosa è straordinariamente mutato nella mia testa, e il pianoforte che apre “A Dance with the Asphalt” ha iniziato a minacciare la mia tempra morale e indurmi a rivedere il voto di questo sorprendente “Sørbyen”. “Mélancolie Urbaine” è ormai un ricordo lontano, mettetelo da parte; “Sørbyen” è un sussulto continuo emozionale che dalla delicata apertura della opening track, che ben presto si tradurrà in una cavalcata black (Burzum style) con tanto di urla belluine, si passa alla successiva psichedelica “Crawling”, che sembra provenire piuttosto da un album degli ultimi Muse. Si, ecco immagino di avervi già disorientato, e non poco, perché è la stessa sensazione che ha lasciato a me. Vocalizzi puliti su una base di synth e batteria, prima che una chitarra funambolica prenda il sopravvento e induca la mia pelle d’oca a sollevarsi di due dita. Peccato solo per questa maledetta pastosa produzione, che manca decisamente di pulizia nei suoni. Poco male, posso anche soprassedere; intanto parte la quasi catacombale e strumentale title track e l’impressione è di aver già ascoltato tre brani di altrettante band che giungono da panorami differenti. Divertente no? Ancor di più quando un killer riff apre, accompagnando il rutilante incedere di un drumming impazzito, la quarta traccia, “A Kill for a Hug”, che puntualmente evolve nel modo più inatteso possibile, andando ad esplorare per un minuto i territori trip-hop del precedente lavoro, per poi scatenarsi in un impetuoso turbinio evocativo di suoni, luci, pensieri e colori che mi fanno finalmente realizzare. Eccoli i veri Netra, quelli che ho apprezzato enormemente due anni fa: e quindi, per quale motivo stupirsi se nei solchi di questo cd possiamo imbatterci nel black metal in stile norvegese, o in un elettro sound; che sciocco spaventarmi di fronte al “tump tump tump” tribale del trip-hop o a deliranti giri psichedelici di pink floydiana memoria (“Emlazh”), epici scenari innevati (“Streetlamp Obsession”), song strumentali, divagazioni di matrice jazzistica, vere pop dance song o ninne nanne? Non siate ottusi neppure se accanto alle lancinanti urla del mastermind transalpino su una base romantico/malinconica/drum’n bass, potete trovare vocals soffuse, recitate o pulite, piazzate magari su epiche galoppate o drappeggi di suicial depressive black metal. Ancora una volta, questi sono i Netra e vi intimo di farne presto ascolto, potreste scoprire nuove forme di musica che pensavate non potessero esistere o addirittura potrebbero dischiudersi le porte del paradiso… o dell’inferno. (Francesco Scarci) 

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 80

domenica 22 aprile 2012

Ov Hollowness - Drawn to Descend

#PER CHI AMA: Black/Epic, primi Katatonia, Windir
Ultimamente, sto constatando che la terra canadese rappresenta un altro territorio con un costante brulicare di band assai interessanti. Oggi ci avviciniamo ad un’altra di queste, messa ovviamente sotto contratto dalla sempre più presente (nei nostri archivi, intendo), Hypnotic Dirge Records e noi non possiamo che esserne felici. Altra one man band quella degli Ov Hollowness, quasi fosse una costante per l’etichetta nord americana; e sempre di suoni assai strazianti si parla. Il factotum di turno, ossia l’enigmatico Mark R., ci presenta sei lunghe tracce, contraddistinte da un riffing malinconico, poco pulito, ma sicuramente di forte impatto emotivo. Fin dalla opening track, “Old and Colder”, ci lasciamo condurre nel grigio e desolato ambiente creato da Mark, dove, palesemente influenzato dagli albori sonori di Katatonia, da lunghe cavalcate “burzumiane” e dall’epicità dei Windir, ha il solo rischio di peccare in termini di ripetitività. La song è infatti piacevole nei primi minuti, poi il ripetere dello stesso riff (per 9 minuti!) espone il tutto ad una certa noia di fondo, anche se tuttavia l’inserimento di alcune parti atmosferiche e di epiche partiture chitarristiche, che si sovrappongono alla ritmica di base, vivacizzano la proposta. Pensavo con la seconda traccia, la title track, di trovarmi di fronte ad un altro brano dal tocco ambient e nostalgico, invece ecco esplodere un sano black a corrodere il tutto con la sua furia, tuttavia sempre pregna di una certo flavour di cupa disperazione. “Desolate” ritorna a indurre desideri autolesionisti a chi si appresta ad ascoltarlo, con quell’alone del “Conte”, costantemente ad aleggiare sulla testa, grazie alle classiche chitarre ronzanti di accompagnamento, un efferato, quanto valido screaming e qualche sporadica comparsa di clean vocals, per un risultato finale a tratti assai valido, e che trova il suo apice nella successiva “Winds of Forlorn”, un mid tempo che, mostrando anche qualche reminiscenza di scuola Amon Amarth, riesce a dare un maggior spazio, all’evocativa prova pulita del vocalist. Lentamente ci avviamo verso la conclusione dell’album: all’appello mancano ancora “Drone”, claustrofobica song come il suo titolo può lasciar presupporre e dalla dinamica quasi suicidal. A chiudere ci pensa “The Darkness”, canzone ruvida, in linea con alcun produzioni black thrash old school e che decisamente si distacca da tutte le altre song del lotto; strana ma efficace, soprattutto alla luce di un assolo decisamente rock’n roll che si staglia su una ritmica che sembra presa in prestito da “Kill’em All” dei Metallica. In conclusione, “Drawn to Descend” è un disco valido, ma che evidenzia ancora qualche lacuna da un punto di vista compositivo. Da tenere comunque sotto stretta osservazione! (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 70
 

domenica 8 aprile 2012

The Foetal Mind - The Grand Contraction

#PER CHI AMA: Black, Post Rock, Shoegaze
Un peccato! Eh già, davvero un peccato che questo lavoro sia quasi completamente strumentale (solo “Big Crunch” è infatti cantata o meglio urlata), perché altrimenti a “The Grand Contraction” avrei riservato sorte migliore, in termini di voto ovviamente. “The Grand Contraction” rappresenta il secondo “figlio” per il duo francese, che dopo l’esordio del 2009, “Suprême Cheminement”, pensa bene (a questo punto oserei dire, male) di rilasciare questo lavoro: a parte la solita inutile intro, l’album attacca appunto con “Big Crunch”, song che mette subito in mostra la marcata vena malinconica del duo, guidato da Lord Trowe e Lord Vaahl. La produzione targata The Foetal Mind è in linea con quelle dell’attenta etichetta canadese Hypnotic Dirge Records, ponendo l’emozionalità ed il pathos, al centro della proposta del combo transalpino. E cosi, ecco i nostri sciorinare, con una certa freschezza, le fluide song che si dipanano con un sound all’insegna dell’inquietudine nell’arco dell’ascolto, attraverso musiche contraddistinde da melodie soft e al contempo toni grevi, che rischiano talvolta di sfociare nel doom o addirittura nel drone. Non solo, perché l’essenza strumentale delle composizioni, porta più di una volta ad associare il sound dei nostri, ad un certo post rock, seppur il riffing di chitarra abbia comunque le classiche venature del black metal atmosferico, come avviene ad esempio nella meravigliosa “Silence”, dove la chitarra offre affreschi aranciati tipici del periodo autunnale o nella più corrosiva “Espirit Nosible”. La componente depressive si sente decisamente forte anche in altre song, dove intermezzi acustici trovano ampio spazio (la title track ad esempio o la cupa “Instrumental”) e questo non fa altro che aumentare il mio rammarico nei confronti di un lavoro che se avesse goduto anche della performance di un bravo vocalist, e di qualche atmosfera in più di tipo shoegaze, avrebbe sicuramente dato il filo da torcere agli Alcest o ai Les Discrets, e certamente avrebbe meritato molto di più la mia attenzione. Da rivedere anche la produzione del disco, che presenta le tracce con volumi di registrazione impostati su differenti livelli. Un peccato si, un vero peccato perché i The Foetal Mind hanno decisamente la caratura tecnica e stilistica per fare sfracelli. Il mio consiglio è quindi di guardarsi attorno e cercare un vocalist con le palle! (Francesco Scarci)

giovedì 22 marzo 2012

Ekove Efrits - Conceptual Horizon

#PER CHI AMA: Black Ambient Post Rock, Tiamat
Non ho neppure avuto il tempo di riprendermi dall’eccitante lavoro dei francesi Netra, che tra le mie mani sbuca un’altra opera targata Hypnotic Dirge Records, che dimostra quanto oculata sia la scelta delle band del proprio rooster, da parte dell’etichetta canadese, capace di scoprire talenti addirittura nella terra della censura per eccellenza, l’Iran. Questa infatti, l’origine della one man band degli Evoke Efrits, costituita dal solo Saman N (o Count De Efrit). Il sound del nostro eroe persiano potrebbe essere inseribile nel filone suicidal black, ma circoscrivere la proposta musicale a questa sola etichetta, sarebbe limitante, se pensate che l’iniziale “Unmeaning Circle”, che denota subitamente una ricerca sonora lo-fi da parte dell’ensemble persiano, mi ha rammentato le cose più darkeggianti dei Tiamat di “A Deeper Kind of Slumber”: sound sognante, oscuro, vocals pulite molto vicine a quelle di Johan Edlund, prima che prenda il sopravvento un’epica cavalcata black. Incredibile ma la proposta musicale dell’act di Teheran mi ha già conquistato e mi fa enorme piacere constatare che dopo i Silent Path, un’altra band proveniente dall’antica Persia, popoli le pagine del Pozzo dei Dannati. La seconda “Faceless Moments” mette in mostra la componente più legata all’ambient depressive dell’artista medio orientale, che presenta come punto di riferimento per il solo riffing iniziale, l’onnipresente Burzum, prima di abbandonarsi a deliranti divagazioni lisergiche; le successive vocals campionate di bambini che popolano il brano, mi inducono a percepire una spettrale e angosciante presenza. La temperatura si abbassa, il vapore dell’alito si rende visibile, una sensazione raggelante mi percorre tutto il corpo, un forte desiderio di piangere mi stringe al petto, che diavolo mi prende? Colpa (o meglio, merito, per la sua enorme componente emotiva) va data alla musica del Conte de Efrit, che mette a freno ogni velleità black, per lanciarsi in meravigliose elucubrazioni post rock che nella struggente, epica, magniloquente (e strumentale) “All that We Lost”, trovano la loro massima espressione. Come il titolo lascia presagire “A Celebration for Sorrow” è invece un inno alla tristezza (d’altro canto cosa c’è da essere allegri al giorno d’oggi?). “Conceptual Horizon” potrebbe essere tranquillamente la fotografia del deprimente mondo in cui viviamo e le disperate chitarre che lo popolano (il cui riffing mi ha ricordato quello dei finlandesi Rapture), il potente mezzo che gli Evoke Efrits hanno per contagiarci con il loro profondo senso di inquietudine. Sprazzi di musica orientale si fondono con suoni ambient/cibernetici in “I Just Wish…”, mentre un’altra gemma incastonata in questo quasi capolavoro, è la teatrale e orrorifica “Hills of Ashes”, che cede il passo alla lenta e soffusa “We Can Fly Once More”, un altro omaggio al sound più intimista dei Tiamat e alle tetre composizioni dei Fields of the Nephilim. Dolcemente, attraverso una serie di song strumentali e ambientazioni oniriche, vengo accompagnato e abbandonato tra le braccia di Morfeo. Sorprendenti! (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 85

http://www.ekoveefrits.com/

domenica 18 marzo 2012

Netra - Mélancolie Urbaine

#PER CHI AMA: Black, Ambient, Trip Hop, Sleepless
Sapete quanto io ami la sperimentazione, potrete pertanto capire il mio entusiasmo di fronte a questa affascinante produzione in casa Hypnotic Dirge Records. Ebbene, i Netra sono una one man band proveniente dalla Bretagna, capitanata da Mr. Netra, il factotum della situazione. La proposta musicale? Beh, sicuramente se non ci fossero state delle urla disumane a popolare tutti i sognanti pezzi inclusi in quest’album, avrei pensato che tra le mani, mi fosse erroneamente giunto un lavoro dei Portishead o dei Massive Attack. Si, avete letto bene, il letto su cui poggia la musica del losco act transalpino è infatti del puro trip hop. Che delizia per il mio esigente palato, che ora non riesce già più a farne a meno e soprattutto auspica che qualcosa possa presto bollire in pentola, dal momento che la storia contenuta in “Mélancolie Urbaine”, risale addirittura all’estate 2006, pur essendo stata rilasciata soltanto nel 2010. Sette splendidi e ispiratissimi pezzi, che ispirandosi alla oniricità del genere di Bristol (la città inglese che diede i natali ai Massive Attack), si disciolgono in liquidi passaggi che affondano le proprie radici in passaggi dub, psichedelia e post rock. Il sound dei Netra è lento e oppressivo sin dall’iniziale “City Lights” nella cui raffinatezza, sento riecheggiare inevitabilmente anche gli Ulver del monumentale “Perdition City”, anche se poi lo screaming (assai raro a dire il vero) del vocalist, ci riporta ad un più autolesionista suicidal black (unico residuo rimasto, nel sound introspettivo dell’act francese, del genere estremo suddetto). La musica di “Mélancolie Urbaine” è decisamente oscura, fatta di atmosfere retrò, passaggi eterei, divagazioni elettroniche e frangenti avanguardistici. L’eco dei Massive Attack, anche nel cantato ritorna tangibile in “Terrain Vague”, mentre la malinconia che traspira l’intero lavoro mi ha ricordato per certi versi la proposta di due band sciolte, gli svizzeri Sadness e gli Israeliani Sleepless, anche se il sound era decisamente più metallico. L’elegante ricerca musicale realizzata, le influenze jazz-blues, il calore che pervade l’intera composizione, la struggente emotività che impregna tutti i 42 minuti di quest’intrigante opera, l’alone shoegaze che aleggia intorno a tutte le song ivi contenute, ci consegnano un lavoro pregno di contenuti non solo musicali. Bella scoperta ho fatto oggi; con i Netra ho capito che c’è ancora speranza che il metal non venga risucchiato dal lento processo di involuzione a cui sta andando incontro da tempo. Rilassanti! (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 85

http://www.facebook.com/pages/netra/115486751822328