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sabato 2 febbraio 2019

Morso – Lo Zen e l'Arte del Rigetto

#PER CHI AMA: HC/Punk/Noise Rock
Il posto dell'hardcore nella penisola italiana è sempre stato di prima linea, un laboratorio underground di musiche estreme che spesso e volentieri fu poco considerato, vittima di esterofilia, bistrattato, dimenticato, ma a volte osannato, sicuramente dai fedelissimi tanto amato. I tempi cambiano e si va avanti, ci si evolve. Questo è il caso dei lombardi Morso, che rifacendosi in parte al titolo di un libro assai piacevole, hanno sfoderato un bel disco di musica tesa e moderna, cantato in lingua madre, veloce e convincente. Certo, le derivazioni ci sono ma non eccedono, quindi le mie lodi vanno ad un vocalist (Guido) di tutto rispetto, che si fa notare e che, a discapito di una lingua così difficile da accostare a questo tipo di sonorità, il tutto per farsi capire, adagia un canto così dinamico e potente che, canzone dopo canzone, si ha l'idea di essere davanti ad un disco ben studiato e soprattutto molto ispirato. La formula è un HC di nuova estrazione, con qualche spinta verso il metal, come fecero a loro modo i Negazione, combinata con l'isteria matematica dei The Dillinger Escape Plan sullo sfondo (anche se tecnica e cambi di tempo estremi non sono una priorità della band), il tono polemico tra urla e proclami alla Teatro degli Orrori (anche se qui manca quel lessico spinto, di ardore politicamente scorretto e i Morso inseguono tematiche decisamente più socio/esistenziali), e tutta una serie di richiami in ordine sparso a Marlene Kuntz, Afterhours, Contrasto, perfino i Subsonica, in piccole dosi nelle parti più melodiche (poche e mirate). Così, hardcore, noise e punk alternativo tirato e tosto vanno a braccetto (sarà la buona produzione suggerire un certo richiamo ai Jesus Lizard), suonati al fulmicotone, sparati in faccia all'ascoltatore per far male e toccarlo nelle ferite più vive, evocando un che degli RFT. Il disco vola e diverte, la sua carica esplosiva e il carattere oltraggioso e pessimista dei testi, che hanno la buona virtù di permettere a tutti di potersi rispecchiare (di questi tempi non è poco per la musica italiana in generale), fanno in modo che brani velocissimi come "Liberaci dal Male", "Glamour Suicide", "Il Fine Giustifica i Mezzi" e la favolosa "Ex" (con la sua E meneghina accentuatissima e splendidamente glam!), oppure la conclusiva "Sognavo di Essere Bukowski", diventino inni alla battaglia, inni alla resistenza per la sopravvivenza quotidiana. Alla fine questo album, licenziato via dischi Bervisti (piccola etichetta coraggiosa e piena di buon gusto musicale), è una gran bella sorpresa, un disco sanguigno e intellligente di musica estrema che potrebbe indicare una nuova via percorribile per il futuro della musica alternativa in Italia. (Bob Stoner)

(Dischi Bervisti/Cave Canem DIY - 2019)
Voto: 80

https://dischibervisti.bandcamp.com/album/lo-zen-e-larte-del-rigetto

venerdì 18 gennaio 2019

Anna Sage - Downward Motion

#PER CHI AMA: Hardcore, Converge
Grazie a Wikipedia, oggi ho scoperto che Ana Cumpănaș o Anna Sage era il nome di una prostituta austro-ungarica di origine rumena, soprannominata "la donna in rosso", che si rese famosa, non solo per aver aperto un bordello a Chicago, ma anche per aver aiutato l'FBI nel beccare il gangster John Dillinger. Forse affascinati da questa storia, i quattro ragazzi di Parigi devono aver scelto questo monicker per dare vita alla loro band che con l'EP 'Downward Motion', arrivano al loro secondo atto dopo l'EP del 2014 intitolato 'The Fourth Wall'. La band propone un feroce concentrato di hardcore sparato a tutta forza già dall'iniziale "Last Dose", una song che non lascia molto spazio alla melodia ma che anzi si diletta con un sound all'insegna della distruzione più totale. Due minuti e venti di ritmiche tese, voci rabbiose al vetriolo e rallentamenti apocalittici, che disorientano non poco l'ascoltatore. Con "Goddess", le cose non cambiano più di tanto: vi troviamo suoni dissonanti, vocals che tra urla varie, si danno una ripulita e trovano modo di fare l'occhiolino al post-hardcore, con un approccio più ruffiano. Non fatevi ingannare però, i nostri non devono essere proprio dei gentiluomini, anzi mi verrebbe da dire che sono crudeli violentatori della loro strumentazione che solo in un'apertura atmosferica, sembrano riuscire ad essere più avvicinabili. Per il resto, quelle che ascoltiamo, sono ritmiche di difficile digestione, che si muovono tra rallentamenti sludge e sfuriate metalcore. Ancor più fangosa la terza "When Prophecy Fails", che nella melodia di chitarra posta in sottofondo, sembra evidenziare un briciolo di umanità che pensavo non esistesse nelle corde dei nostri. Ma ripeto, non fatevi fregare, il quartetto transalpino ha un che di malvagio nel proprio sound, il che lo reputo estremamente seducente e caratterizzante. Non è però la solita solfa distruttiva quella che ascoltiamo nelle note nude e crude di questo 'Downward Emotion', la band infatti, nel suo rabbioso incedere, ha la capacità di catalizzare la nostra attenzione con un sound che vanta contenuti interessanti. L'incalzante interludio in posizione quattro del cd, fa da ponte con le ultime due canzoni del dischetto, gli ultimi sette minuti e qualcosa fatti di riffoni controllati, cattivi abbastanza per suggerirmi che ci sono punti di contatto tra gli Anna Sage ed i Converge ad esempio, e che "Missing One" è forse il pezzo più martellante, seppur più cadenzato, del disco. "Rope", l'ultima scheggia impazzita di questo 'Downward Emotion', è invece la song più incazzata delle sei qui contenute, sebbene a metà brano, i nostri espongano un vertiginoso cambio di ritmo, una tirata di freno a mano che provoca il più classico dei testa a coda in tangenziale, per gli ultimi novanta vertiginosi secondi di questo EP, che delineano la grande capacità dei nostri a muoversi sia su tempi serratissimi che su mid-tempo più ragionati. Sicuramente dei tipi da cui diffidare. (Francesco Scarci)

sabato 1 dicembre 2018

Kevlar Bikini - Rants, Riffage and Rousing Rhythms

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
Era da un po' che non ascoltavo del buon punk/hardcore e devo dire che l'ultima fatica dei croati Kevlar Bikini è arrivata a puntino. Nati come quartetto a Zagabria nel 2010, i Kevlar Bikini hanno prodotto un paio di buoni album e dopo essersi ristretti in un trio, hanno da poco pubblicato 'Rants, Riffage and Rousing Rhythms' grazie al legame con la Geenger Records. Il packaging non smentisce lo stile perpetrato dalla band, un jewel case con una grafica in stile collage che vede un ninja che stende a calci un avversario mentre un occhio gigante fa da sfondo e vigila sul combattimento. Ci troviamo di fronte a dieci brani brevi ed intensi, appunto una raccolta di sproloqui, riff e ritmi trascinanti, dove i primi sono caratterizzati dal cantato forsennato del vocalist che si fa gonfiare le vene del collo fino a farsele esplodere come in "Clerofashionistas". L'intro sommessa ed oscura lascia piano piano il posto al palm muting di chitarra che cresce fino all'esplosione ritmica, con un susseguirsi di riff rabbiosi e corposi che non hanno niente a che fare con lo stile minimalista e scarno di molte band del genere. Un brano che scorre in un attimo e lascia posto a "Nailbiter Blues" che per poche battute ci inganna spacciandosi per un pezzo black metal, ma l'illusione dura poco e si va nella direzione prestabilita, relegando questo omaggio a brevi break disseminati nei quasi quattro minuti di canzone. Lo stile dei Kevlar Bikini convince sempre di più, grazie anche agli arrangiamenti ben fatti e alle influenze noise/metal dei nostri. I pattern furiosi di batteria macinano battute su battute, mentre la timbrica del cantante assomiglia sempre di più a carta vetrata dalla grana grossa e urticante. L'esperienza dei nostri amici croati si fa sentire in ogni passaggio, break e allungo, mescolando sapientemente le loro idee e fregandosene delle influenze che si portano dietro come un cantastorie errante. Il miglior brano è sicuramente "Homo Rattus" che unisce desert/psychedelic/grunge rock in un'atmosfera da film western, dove il sole acceca e la sabbia si infila in ogni orifizio accessibile. La chitarra gioca su una melodia briosa alla maniera di Josh Homme, per poi allungarsi verso power cord onirici, poi il tutto si mescola e si rincorre, dando luogo ad una traccia quasi interamente strumentale lontana dall' hardcore/punk ascoltato fino ad ora. L'entrata del sax però spiazza tutto, esibendosi in un assolo al fulmicotone, semplice ma non toglie che sia un tocco da maestri. Tutto si chiude com'era iniziato, lasciandoci soddisfatti e allo stesso tempo stupiti davanti a cotanta bravura. Non sappiamo se tre è meglio di quattro, ma i Kevlar Bikini sono cresciuti alla grande e sono pronti per far parlare di sè. (Michele Montanari)

(Geenger Records - 2018)
Voto: 80

https://kevlarbikini.bandcamp.com/

giovedì 15 novembre 2018

All My Memories - Umwelt

#PER CHI AMA: Death/Hardcore, Fallujah
I Fallujah stanno facendo scuola. Con la loro tonante proposta di deathcore atmosferico hanno conquistato uno stuolo di seguaci in giro per il mondo, tra cui i qui presenti All My Memories. Si tratta di un ensemble proveniente da Parigi che con 'Umwelt' (un titolo che mi aveva indotto a pensare ad origini teutoniche per la band) tagliano il traguardo del secondo album. Un disco che conta undici tracce belle dirette e immediate e dalle durate non troppo estenuanti. Si parte infatti con i novanta secondi di "Terra Mater" che espongono immediatamente il manifesto programmatico dei cinque francesini, ossia un death/hardcore melodico. Chiaro che un minuto e mezzo sia poco per capire le intenzioni dei nostri ed eccoli lanciarsi immediatamente con la title track, un pezzo possente che mette in luce le buone intenzioni della band transalpina, tra suoni iper bombastici, possenti linee di chitarra che ogni tanto si concedono quelle bombe ritmiche che cosi tanto mi fanno sussultare e apprezzare il genere. E mentre i suoni scivolano piacevolmente tra i roboanti riff e pulsanti tocchi di basso di "Wasteland", a guidare il tutto c'è il bel vocione del frontman Loïc che si dimena tra un growl cavernoso e qualche chorus ruffiano. In men che non si dica, ci ritroviamo già alla quarta traccia, "Thanatos", song più oscura, ma che mantiene l'intelaiatura musicale sin qui goduta. Si prosegue con "Coward", e le atmosfere si fanno più malinconiche nel loro incedere, peccato solo si faccia fatica a goderne appieno, il vocalist per quanto bravo, a mio avviso canta un po' troppo per i miei gusti, avrei dato maggior spazio a quei rallentamenti apocalittici che spaccano in due il brano. Ottimo il comparto tastieristico, e quel piglio electro death all'inizio di "Burn The Heaven" (ma sarà ben più enfatizzato in "Behind The Wall", dove peraltro ci sarà il featuring di Anthony Doniak, dei Here Come The New Challenger), in una song che fondamentalmente si muove sulla falsariga di quanto fatto sin qui e che verrà fatto da qui fino alla fine. Forse in questo immobilismo (ed in un eccessivo numero di pezzi) risiede il punto debole degli All My Memories, anche se deve essere chiaro che 'Umwelt' è un buon album, con tutti i suoi pregi e sbavature. D'altro canto siamo solo al secondo lavoro per la band francese e la strada imboccata è sicuramente quella buona. (Francesco Scarci)

lunedì 9 luglio 2018

Thørn - S/t

#PER CHI AMA: Crust Black, The Secret
If I Die Today, Calvario, La Fin e Lamantide hanno pensato bene di unire le proprie forze in un nuovo progetto black crust, i Thørn, da non confondere con gli omonimi colleghi norvegesi che peraltro avevano anche una "s" come ultima lettera del loro moniker. Fatta questa dovuta precisazione, lanciamoci all'ascolto dell'EP omonimo della band milanese, che consta di cinque brevi tracce per un'apnea sonora che dura circa 13 minuti. Un'intro rumoristica/parlata apre la tape che esploderà da li a poco nella morsa black punk hardcore di "Your God is Dead": poco più di tre minuti di sonorità nere come la pece, in cui la forte vena punk emerge grossomodo a metà brano con una ritmica cadenzata che si miscela con le acide vocals di A. Mossudu. "Nahua" parte più lentamente, quasi immobilizzata da delle sabbie mobili invisibili che, dopo 50 secondi, trovano modo di scrollarsi di dosso quel mood sludge e lanciarsi verso una nuova cavalcata punk che non disdegna vaghe reminiscenze grind, le stesse che riassaporeremo nei 40 secondi della tempesta sonica di "Sun Will Never Rise". Un bel thrashcore com'era tempo che non ne sentivo, s'impossessa della scena nel pezzo più lungo del lavoro, i quasi quattro minuti di "Burn the Throne", l'ultima annichilente tappa di questo EP di debutto a firma Thørn, mi raccomando, non quelli norvegesi, ma l'ennesima ottima band proveniente dal nostro tanto bistrattato paese. (Francesco Scarci)

(Indelirium Records - 2018)
Voto: 70

https://thorncrust.bandcamp.com/releases

martedì 5 giugno 2018

Watchmaker - Erased From the Memory of Man

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Grind
Cos’è per voi il caos? Dopo aver ascoltato questo disco sicuramente ne avrete una vaga idea, perchè i 26 minuti di questo cd, rispondono alla perfezione alla mia iniziale domanda. 'Erased From the Memory of Man' racchiude diciotto tracce, tutte collegate fra loro da un unico comune denominatore: la caoticità della proposta musicale di questa seminale band statunitense di Boston. La musica dei Watchmaker è un vero assalto sonoro, fatto di rancidi e violenti suoni thrash metal miscelati rozzamente a schegge grind, ad urla disumane, il tutto spruzzato di suoni cacofonici provenienti da altri ambiti musicali: black, punk-hardcore e death. Fortunatamente il disco non dura molto, altrimenti un volo dal terzo piano, nessuno glielo avrebbe negato. Cos’è il caos per me? Alla fine pura noia... (Francesco Scarci)

martedì 15 maggio 2018

Indicative - III _ awake | existence | decline

#PER CHI AMA: Post Hardcore/Post Rock strumentale
Si muovono tra gli Shellac, i My Sleeping Karma e i Tool questi Indicative, formazione palermitana post math rock, attiva dal 2010. Arriva a noi il disco 'III _ awake | existence | decline' grazie alla Qanat Records, realtà che si occupa di scovare e conservare le perle musicali dell’underground palermitano e alla Pistacho, label indipendente anch’essa attiva sul territorio palermitano. Quest'ultima prova in studio ha le sembianze di un flusso di coscienza ruvido e intenso, pochi spiragli di luce filtrano da un cielo di nuvole bianche che ondeggiano sornione spinte dalle correnti d’aria. È come un collage di paesaggi sonici, accostati per forma, colore e sensazione e intervallati da sporadici interventi di sample vocali e registrazioni di parlato. Gli ambienti più dilatati possono sembrare quasi free jazz come nella ben riuscita "We Get What We Deserve", mentre le parti più intense possono arrivare a cavalcate stile crossover a ricordare i Deftons e gli Incubus come in "Human Consciousness". Anche se il progetto è strumentale, una menzione merita l’utilizzo delle voci a supporto delle canzoni: principalmente si tratta di suoni eremitici di stampo mistico, oppure delle sbraitate piene di dolore a disturbare l’armonia delle epiche composizioni degli Indicative che ne guadagnano in varietà sonora ed espressività. Le chitarre sono aggressive e taglienti e il ruolo del basso è quasi a sostituzione della voce solista mancante; le ritmiche invece sono forse le più variegate a livello creativo, non si risparmiano tempi dispari, sincopi e doppio pedale. Il pezzo più interessante per quanto mi riguarda è "Dissolution" che vede l’utilizzo di ritmiche elettroniche, oltre alle suddette voci e al metodo compositivo a “landscape”, caratteristico della band. Siamo di fronte ad una realtà valida e collaudata, formata da elementi caparbi e prolifici, convincono le skill tecniche e compositive della band seppur creda che gioverebbe una contaminazione più pensante con altri tipi di strumenti, magari che non ricadano nei canoni del post rock, come in parte già fatto nel disco, per arricchire i già variegati soundscapes e renderli ancor più unici. In conclusione, gli Indicative sono una band italiana che può distinguersi e far parlare di sé, vi consiglierei di tenere gli occhi aperti nel caso doveste vedere locandine che riportano il loro nome; vivamente consigliati agli amanti del post rock e progressive atmosferico. (Matteo Baldi)

mercoledì 9 maggio 2018

Confine - Incertezza Continua

#PER CHI AMA: HC/Punk/Grind, Negazione, Napalm Death, Rostok Vampires
Dieci canzoni in poco meno di 15 minuti? O è grind in stile 'Scum' dei Napalm Death o poco ci manca. Quello proposto dai Confine in questa 'Incertezza Continua' è un bell'esempio di hardcore italico, di quello che richiama i Negazione di fine anni '80 ("La Favola di Dio"), di quello cantato in italiano e che vede scorrere nelle vene una bella dose di punk ("La Tesi" mi ha peraltro ricordato i teutonici Rostok Vampires) e che non si nega nemmeno una qualche scheggia grind in tributo ai paladini inglesi di Birmingham (ascoltare "Pargolo" per capire) o che evoca un certo thrashcore marcione (tipo nel riffing corposo di "Franco"). La band veneziana alla fine cattura la mia attenzione con quei pezzi brevi, diretti, talvolta anche carichi di una buona dose di groove (leggasi il chorus di "Infamia" o "Magone"), sprigionando tutta la loro rabbia attraverso testi incazzati e ritmiche coriacee o al fulmicotone ("Maurizio IV" e "Pozzo Strada"), non disdegnando poi nemmeno momenti più ritmati ("La Mia Recita" o la conclusiva title track). Al termine dei dieci brani, la sensazione è quella di essermi ascoltato un disco di durata normale (diciamo sui 40 minuti), complice un'intensità e densità di fondo sorprendente e invece no, non siamo andati oltre al quarto d'ora. Incredibile. (Francesco Scarci)

(Disimpegno Records/Dischi Bervisti - 2018)
Voto: 70

https://confinehc.bandcamp.com/album/incertezza-continua

venerdì 27 aprile 2018

Le Zoccole Misteriose - Il Treno

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
“Dandovi maggiori informazioni verrebbe meno il concetto di misterioso” chiude così il comunicato stampa che arriva insieme a 'Il Treno', nuovo EP de Le Zoccole Misteriose. Potrebbe sembrare un nome idiota ed in effetti lo è, ma questo progetto di idiota ha solamente il nome. Dopo varie esperienze, tra cui anche la composizione di un interessante stoner demenziale, arriviamo a questa ultima prova che potremo definire un disco hardcore italiano viscerale che ha come motore principale lo sfogo e l’urgenza espressiva. Pezzi mai sopra i tre minuti, testi che non superano le due righe, chitarre abrasive, velocità sostenute e voci roche e sguaiate, sono gli ingredienti principali del Treno che ti investe come un convoglio impazzito senza troppi complimenti. Si inizia con "Nascosto" che sa di alcol e serate finite tardi tra forti difficoltà motorie, il bruciore di stomaco e la puzza stantia di sigaretta che copre la stanza. Sono i disagi di una generazione che non ha più voglia di combattere ma solamente di esprimere il proprio schifo e la voglia di vomitare quattro frasi che possano in qualche modo dar fastidio a qualcuno. "Lontano dalla Mia Strada" è il mio pezzo preferito di questo breve viaggio, ove un arpeggio claudicante sostenuto da un imponente basso sorreggono versi cinici e ostinati, spezzati da un ritornello impregnato di punk, “io ti auguro miglior fortuna ma lontano dalla mia strada”, uno struggente saluto probabilmente all’ennesima zoccola che si allontana lasciando dietro di sé macerie e braci ardenti. Si prosegue con "Niente di Speciale" che porta una poetica di negazione del sé: “non sono nessuno, solo qualcuno da odiare” sbraita Raffaele, il pensiero che ci possa essere qualcuno che esista solo in funzione dell’odio che viene provato verso di lui mi disturba e mi fa pensare che l’odio a volte vince e a volte è la forza principale che muove le cose. Si chiude con la title track che si azzarda a superare i tre minuti tutti rigorosamente sparati ai mille all’ora, notevole il break finale al grido di “loro stavano solo cercando”. A volte non serve essere prolissi e sofisticati, a volte serve la semplicità di una chitarra che squarcia i coni e di una batteria che ti picchia in testa per ricordarti che se vuoi dire qualcosa, è meglio dirla subito ed è meglio dirla a tutti perché siamo in viaggio su un treno e non abbiamo la minima idea di quando scenderemo. (Matteo Baldi)

giovedì 12 aprile 2018

Prosperity Denied - Consciousless

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind
La viennese Noisehead Records non è stata un'etichetta troppo lungimirante: dopo la scadente prova dei Misbegotten, ci ha riprovato da li a poco con gli austriaci Prosperity Denied e ahimè il fiasco si è mostrato ancora dietro l'angolo. Il terzetto, formatosi nel 2006 da una costola dei Ravenhorst, proponeva l'ennesimo esempio di death metal, sporcato da influenze derivanti dall'hardcore, dal punk, dal grind e addirittura dal black metal. Il risultato sfortunatamente non è stato dei migliori: undici tracce super aggressive, incazzate, veloci, taglienti, ma come se ne ascoltavano e se ne ascoltano tuttora a migliaia in giro ogni giorno. Chitarre ruvide, non troppo pesanti, una voce al vetriolo, una batteria che bada più alla quantità che alla qualità, confermano quanto già detto: tra le mani non ci troviamo niente di particolarmente interessante. A meno che non siate fans sfegatati di questo genere, di cui tutto è già stato scritto e ripetuto una infinità di volte, lasciate pure perdere. (Francesco Scarci)

domenica 29 ottobre 2017

One Life All-In - The A7 Session

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
Sono solo sedici i minuti a disposizione della band franco-americana One Life All-In per convincerci della bontà della loro proposta musicale. Formatisi da membri che hanno avuto esperienze più o meno importanti nella scena musicale, i quattro musicisti ci propinano sette song che strizzano l'occhiolino da una parte all'hardcore, dall'altra ad un punk rock d'annata. Dicevo sette tracce, brevi, essenziali, divertenti che convogliano le influenze di cui sopra, in modo moderno: devastanti e tremendamente old fashion i settantasei secondi di "Don't Give Up", più misurata e ruffiana nell'approccio "All-in", che tuttavia in due minuti e mezzo di musica, riesce a cambiare più volte abito e sfoggiare peraltro un bell'assolo conclusivo. "Won't Die With Regrets" sembra puzzare inizialmente di semi-ballad, ma poi tra chorus incazzati e ritmiche cariche di groove, mi convince appieno. Violentissima la ritmica iniziale di "Beats the Daylights Outta Me", un brano che poi tende ad ammorbidirsi, complici le melodie accattivanti e quei cori che sovrappopolano l'EP. Alla fine, 'The A7 Session' è un più che discreto lavoro di musica energizzante, che può contribuire a liberarvi la mente per un quarto d'ora di sonorità fresche, incazzate e assai melodiche. Let's move our bodies... (Francesco Scarci)

giovedì 28 settembre 2017

Since the Flood - No Compromise

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hardcore, Terror, Hatebreed
Alla Metal Blade credo che gli siano serviti parecchi anni prima di rendersi conto che avevano rotto i coglioni con tutto il metalcore che hanno proposto. Ho ascoltato centinaia di band dedite a tale genere proveniente dall'etichetta tedesca; quelle che avevano effettivamente qualcosa da dire, di non scontato intendo, si contavano sulle dita di una mano. I Since the Flood stanno nel calderone di gruppi un po’ piattini, di quelli in cui le parole personalità, originalità e buon gusto, non sanno dove siano di casa. Mi spiace stroncare sin in apertura un lavoro di questo tipo ma, 12 brani, per mezz’ora di musica, non giustificano assolutamente l’acquisto di tale cd. Mi veniva da ridere leggendo commenti del tipo che i Since the Flood potessero essere i nuovi emuli degli Slayer; una cosa è certa, erano (si sono infatti sciolti l'anno dopo questa porcata) sicuramente anni luce lontani dalla band di Tom Araya e soci, sia per il sound proposto che per la velocità d’esecuzione. Questi ragazzi suonano, infatti, un metalcore figlio delle ultime tendenze, un mix tra sonorità alla Hatebreed e Buried Alive. Pezzi brevi, semplici, diretti, tipicamente hardcore si stampano sulle nostre facce, garantendoci 30 minuti di selvaggio headbanging e niente di più. I brani poi si assomigliano inevitabilmente un po’ tutti; alcuni sono identificabili per qualche raro rallentamento, in grado di assicurarci un attimo di tempo per riprendere fiato. Gli ossessionati dell’hardcore diano pure un’ascoltatina, gli altri si astengano. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2007)
Voto: 50

https://www.youtube.com/watch?v=Cxf3wX0Yu-U

giovedì 31 agosto 2017

Macabra Moka - Tubo Catodico

#PER CHI AMA: Rock/Hardcore/Stoner
La Macabra Moka è una band di Cuneo nata nel 2010 che, dopo aver esordito con il primo full length 'Ammazzacaffè' nel 2014, lo scorso marzo ha pubblicato 'Tubo Catodico' tramite la sempre attiva cordata composta da DreaminGorilla Records / VOLLMER - Industries / Dischi Bervisti e tanti altri. Abbiamo ricevuto la versione per gli addetti ai lavori, quindi possiamo apprezzare solo la copertina che tramite un collage in stile fumetto, rappresenta il peggio della tv italiana (Zanicchi, Magalli, etc.) in versione horror, riallacciandosi quindi al titolo del cd. Il quartetto formato da batteria-basso-chitarra-voce suona un energico mix fatto di rock, hardcore e stoner cantato rigorosamente in italiano, a voler confermare che non ci devono essere barriere di alcun tipo tra la band e l'ascoltatore. "Radio fa" è la prima traccia contraddistinta da riff potenti come le parole che vengono sputate ed urlate nel ritornello carico di disagio e sofferenza, il tutto raccontato tramite la metafora delle trasmissioni radio. Subito si scorge la rabbia giovanile dei primi Ministri e Teatro degli Orrori che in tre minuti spaccati viene raccontata nella versione macabra del nostro gruppo. In "Tormentone d'Estate" i riff sono più alla QOTSA, un'ottima simbiosi strumentale che incalza e colpisce duro, il tutto alleggerito dal ritornello scanzonato che ci sbatte in faccia lo squallore della nostra vita mondana, fatta di apericena e selfie. Poi, riuscire a infilare Federica Panicucci nel testo non è proprio cosa da tutti. Si passa a "LeAquile del Metallo Morto", dove la sezione ritmica martella in modo ossessivo e le chitarre ci regalano suoni corposi che trasudano rock alla vecchia maniera, con tanto di assolo delirante a chiudere con annessa accelerazione finale. Tutta l'attitudine hardcore si concentra in "Ok, il Prezzo è Giusto" che ha l'effetto di un cric preso in pieno muso tanto, parole che tagliano quanto i riff suonati a velocità folle. Se i Bachi da Pietra hanno sfruttato l'entomologia per raccontare meglio la nostra società, la Macabra Moka l'ha fatto sfruttando la televisione italiana, portando il cinismo e l'autocritica a livelli paradossali. Un album coinvolgente, schietto come non ascoltavo da tempo ed oscuro al punto giusto. Da avere assolutamente perché sotto la finta patina di 'Tubo Catodico' si nascondono dei contenuti profondi che nell'ambito musicale ormai pochi hanno il coraggio di decantare. (Michele Montanari)

(DreaminGorilla Records/VOLLMER Industries/Dischi Bervisti/Tanto di Cappello Records/Scatti Vorticosi Records/Brigante Records & Productions - 2017)
Voto: 80

https://lamacabramoka.bandcamp.com/album/tubo-catodico

giovedì 24 agosto 2017

The Destiny Program - Subversive Blueprint

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Hardcore, Caliban, Heaven Shall Burn
La Nuclear Blast ad un certo punto, ha pensato bene di mettersi a fare concorrenza alla Metal Blade, puntando su band metalcore. Era il 2007 e dalla Germania ecco arrivare quattro ragazzoni, a rimorchio del successo ottenuto dai connazionali Caliban e Heaven Shall Burn, con una proposta del tutto simile. 'Subversive Blueprint' rappresenta il terzo album per la band teutonica, un concentrato esplosivo di metalcore, dal forte sapore americano e reminescenze hardcore old style. Dodici tracce legate da una serie di elementi comuni: affilate chitarre metalcore, sulle quali si inseriscono le urla tipicamente hc del vocalist Johannes Formella, decisamente a suo agio quando canta in modo rude e incazzato, un po’ meno (e troppo emo!!) quando utilizza le clean vocals. Al di là di questo, l’album suona discretamente, anche se dopo un paio d’ascolti, la musica cade ahimè nell’anonimato. Non bastano infatti, altre influenze derivanti dal rock o dall’alternative (in primis dai Deftones), a sopperire ad una mancanza globale di idee, che questo filone sta palesando già da diverso tempo. I Destiny Program fanno bene il loro compitino, giusto per raggiungere una striminzita sufficienza, troppo poco però per attirare la mia esigente attenzione. Se siete alla ricerca dell’ennesimo disco metalcore, l’act tedesco può fare al caso vostro, in caso contrario, lasciate perdere e passate oltre. (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2007)
Voto: 60

http://www.destinyonair.com/

domenica 23 luglio 2017

Opalized - Rising From the Ashes

#PER CHI AMA: Metalcore
Nati a alla fine del 2015, i ragazzi d'oltralpe Opalized, senza perdere tanto tempo in saluti e smancerie si dedicano immediatamente alla stesura, nonché registrazione dell'album 'Rising From the Ashes'. Il disco è interamente autoprodotto e devo dire con un'ottima resa moderna del sound, con bassi potenti e una bilanciatura perfetta delle frequenza. I nostri propongono un metalcore assai commerciale a cui non si può chiedere niente di più di un ascolto disinteressato. Il tutto infatti suona troppo scontato, con parti stoppate e aperture di chitarre melodiche, con qualche bel riff interessante per carità, batteria sempre dritta, growl alternato a parti pulite. Ho cercato qualcosa di più sul conto della band sul web ma sono rimasto abbastanza deluso nel non vedere live al loro attivo se non qualche data nel prossimo autunno. Alla ricerca di un video, mi è spuntato quello del batterista che finge di suonare la parte della registrazione di batteria in uno studio senza nemmeno un microfono, e proprio non ne capisco l'utilità. Comunque il gruppo è molto attivo sui social avendo più di 20.000 followers, forse a loro interesserà maggiormente questo, piuttosto che fare musica nel vero senso della parola. La parte più bella del disco che mi sento di consigliarvi? L'intro (ed è tutto dire) di "Black Flag", un bellissimo pezzo di bossa nova. Assolutamente bocciati, ma non tutto è perduto. (Zekimmortal)

lunedì 26 giugno 2017

Debeli Precjednik / Mašinko - Godina Majmuna / Majmun Godine

#PER CHI AMA: Post Punk/Hardcore
La Moonlee Records, già etichetta dei conosciuti Repetitor e di altre ottime band slovene/croate, collabora da tempo con i Debeli Precjednik/Fat Prezident (DP), band punk rock/hardcore, attiva dal lontano 1994. Da allora la band è sempre stata costantemente attiva, con circa nove tra album ed EP, rimanendo sempre fedele alle sue origini (il cantato è molto spesso in croato) ma che strizza l'occhio al punk della West Coast, quello alla Bad Religion per capirci. Il quintetto è la prova vivente che se suoni e credi in quello fai, la sacra fiamma del rock alimenterà la tua musa per sempre, o per lo meno per un bel pezzo. I DP sono a pieno titolo la miglior band dell'area balcanica, con alle spalle centinaia di concerti, e tornano dopo un paio di anni di pausa con questo split insieme ai Mašinko, altra band croata d'indubbio talento. Quest'ultimi nascono nel 2010 e la line-up è composta da sei elementi che prediligono il punk rock scanzonato ed ironico che ha lo scopo di entrare subito in testa e rimanerci a lungo. La copertina dello split è una bellissima rappresentazione grafica della nostra società, vista come un treno a vapore carico di scimmie che viaggia su binari pieni di rifiuti, il tutto capeggiato da un grasso capitalista in completo che ghigna soddisfatto. Il cd all'interno contiene dodici tracce, sei per band, quindi trattamento equo per le parti in questione anche se con una visibilità ben diversa. "Surrender Now" dei DP è la prima traccia che ci catapulta immediatamente sulle coste della California con un sound perfetto per il genere: la song è veloce come ci si aspetta e scivola giù facilmente come una birretta fresca in una giornata afosa. La struttura è la classica ripetizione strofa/ritornello con tanta energia e groove, mentre il cantante ha la timbrica che calza a pennello, squillante per quasi tutto il brano, ma verso la fine mostra quanto possa essere graffiante e potente. Il breve assolo di chitarra funge da bridge per cui si arriva presto alla fine ed è chiaro perché la band riscuota tanto successo ai concerti. Immaginatevi un live nelle verdi terre dell'est dove il pubblico balla e scalcia come fosse su una dorata spiaggia americana. Passiamo a "Zbogom Svi" e la band torna a cantare in croato, il che si presta benissimo al genere per sua cadenza e inflessione, mentre i musicisti aumentando ancora di più i bpm ed insieme a cori e riff di chitarra e basso, confezionano un altro brano assai godibile. Ma i DP non sono solo dei ragazzacci dallo sguardo beffardo e malizioso, infatti si sono anche messi in gioco con una brano profondo e introspettivo come "Subotom Kićo, Nedjeljom Slabinac (Crimson remix)" fatto di chitarra acustica, pianoforte e violini. Lontanamente può richiamare i lenti dei Green Day, ma il quintetto riesce nell'impresa e noi non possiamo che dire grazie. Dopo i brani dei DP tocca ai Mašinko che come detto, sono più grezzi e cacciaroni, infatti i sei brani grondano punk rock vecchia scuola, tanto che loro stessi dicono di dovere molto ai grandi Atheist Rap che hanno gettato il seme punk in Serbia già negli anni ottanta. "Srkijev San 21" apre le danze e lo fa con stile: il brano sembra registrato live con tanto di pubblico che acclama la band prima che i musicisti inizino con l'attacco. Le ritmiche sono già sentite come i riff, ma il tutto è ben arrangiato con suoni ruvidi al punto giusto; bravo peraltro il cantante che dimostra la sua esperienza e di dimena tra i velocissimi riff con disinvoltura. "041" riprende le fila e come un filo conduttore ci porta sempre più in profondità nel mondo dei Mašinko, veri animali da palco che vivono il punk rock come vuole la tradizione. Brani serrati, veloci e quasi sempre sotto i tre minuti di esecuzione. Arriviamo alla penultima traccia e ci imbattiamo in "Monumentalna" che probabilmente rappresenta l'opera magna della band. Dopo i suoi primi centottanta secondi cala di tono e permette al sestetto di lanciarsi poi in una nuova folle corsa con tanto di assolo di chitarra. Non finisce qui e con un breve break in stile folk, si ritorna al tema iniziale per portare il tutto a conclusione. 'Godina Majmuna / Majmun Godine' alla fine è uno split interessante che mette insieme due band simili, ma non troppo, ci regala così uno spaccato dei Balcani e della sua ricca scena punk rock/hardcore, lasciando lustrini e poser ad altre scene musicali sparse nel mondo. Qua si suona e si suda ancora come trent'anni fa, rispetto! (Michele Montanari)

domenica 4 giugno 2017

Rumpelstiltskin Grinder - Buried in the Front Yard

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Speed/Thrash, primi Metallica, Kreator
Mi sono sempre chiesto come ci si potesse chiamare in questo modo così assurdo? Chi si ricorderebbe mai un nome del genere? Poi inevitabilmente, mi viene di associare la presenza, nel nome nella sua interezza, di “Grinder” ad un genere splatter gore; invece mi devo ricredere dai primi quattro accordi che quello che ho fra le mani, non è altro che un album di thrash metal anni ’80 con i suoi suoni retrò, le sue “grezzate” ma anche con tutti i positivi aspetti che aveva il genere, così schietto e vero. E così i Rumpels...vattela a pesca, quintetto proveniente dalla Pennsylvania ci stupiscono con la loro ventata di energia e un pizzico di follia, che solo la Relapse Records poteva avere il fegato di produrre nel 2005. 'Buried in the Front Yard' è un disco onesto di speed-thrash metal influenzato dai primissimi Metallica, ma anche dal sound dei Kreator dei primi lavori, che conserva lo spirito eighties anche nella produzione, non propriamente al passo con quelle degli tempi. La proposta degli statunitensi non si limita però a ripetere pedissequamente gli insegnamenti dei maestri, ma arricchisce il proprio sound di altre componenti: di una vena hardcore tipicamente americana, di passaggi doomish e altri richiami punk. La band consta di ex membri di band quali Divine Rapture e Evil Divine; il batterista, Patrick Battaglia, dalle chiare origini italiane, mostra uno stile semplice ma fantasioso. La band era qui al suo esordio e diavolo se si sente, altri due album hanno seguito prima di un lungo silenzio che perdura ormai da un lustro. (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2005)
Voto: 65

https://www.facebook.com/RumpelstiltskinGrinder

sabato 13 maggio 2017

Cowards - Still

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Ottima uscita per i Cowards che si confermano una delle realtà hardcore metal più oscure e affascinanti del panorama francese. Solo 19 minuti in questo EP per puntare ad un infuso al veleno che contiene sfuriate hardcore, sludge, schegge di black metal alla Deathspell Omega e sentori malatissimi di rabbia e ribellione, racchiusi in un contenitore di tecnica e composizione visionaria estrema. La voce è una sciabola che semina fendenti ovunque, mentre la musica, tra rasoiate ed energia nera, sostiene un concetto di hardcore evoluto e dal sottoscritto anche assai ben voluto con punte di noise e colori black che si sposano a puntino, una sorta di maestoso Breach e Cursed sound estremizzato e riadattato come in uso ai giorni nostri. I primi tre brani, "Still (Paris Most Nothing)", "Let Go" e "Like Us" volano distruttivi e feroci sulle ali della velocità e del rumore più piacevole per lasciare posto a due rivisitazioni in stile puramente Cowards. La prima "You Belong to Me" dovrebbe essere la rivisitazione di "Every Breath You Take" dei Police e se qualcuno riesce ad individuarne qualcosa batta un colpo. La seconda, "One Night Any City" vorrebbe essere "One Night in NYC" dei The Horrorist ed anche qui vi sfido a riconoscerla perché per me potrebbe essere tranquillamente un fuori onda dei Killing Joke epoca 'Democracy'. Comunque ottime interpretazioni entrambe che si sommano egregiamente all'intero lavoro, mantenendolo costante ed omogeneo nel drammatico suono e nel drastico, splendido concetto musicale del combo transalpino, che dopo il buon full length del 2015, 'Rise to Infamy', ci delizia con una nuova uscita targata Dooweet, uscita sul finire del 2016. Copertina poi dall'artwork fantastico, una costante per i Cowards... Spettacolare! (Bob Stoner)

(Dooweet - 2016)
Voto: 85

https://cowardsparis.bandcamp.com/

giovedì 27 aprile 2017

Karma Zero - Monster

#PER CHI AMA: Deathcore/Hardcore
I Karma Zero sono una band francese attiva dal 2008 che ci presenta questo loro secondo lavoro, 'Monsters'. Trattasi di un concept album che propone un interessante parallelismo tra saghe horror e corrispettivi incubi socio-metropolitani del mondo di oggi. A livello tematico direi che l’esperimento è interessante, pur non riscontrando nei testi dei brani un’effettiva analisi profonda del malessere dell’uomo di oggi, cosa che mi sarei aspettato di trovare. O che forse speravo di trovare. Il contesto sonoro in cui la compagine transalpina si muove è quello dell’hardcore-deathcore. Troviamo quindi ritmiche granitiche alternate a sparatissimi riff scavezzacollo (a tratti esaltanti) con voce raschiata e straziata come gli stilemi del genere prevedono. Muovendosi su tali coordinate, il rischio di diventare troppo monolitici e quindi di annoiare è però dietro l’angolo. Tuttavia, i nostri riescono a superare questo limite del “-core” producendo un album invero piacevole, piuttosto cangiante e assolutamente brioso. In primis, attribuirei il merito alle vocals, davvero fiore all’occhiello soprattutto nella modalità harsh magnificamente distorta, che davvero istiga alla violenza e brilla per tutta la durata del lavoro. Le metriche del cantato sono ortodosse rispetto alla consuetudine HC-deathcore ma l’elaborazione/effettazione del suono le rende preziose. La doppia voce (main e quella del chitarrista) mantiene efficacemente viva l’attenzione, anche con variazioni significative. Vedasi ad esempio la title-track, dove un refrain melodico (ma assolutamente non stucchevole) spezza la tensione, pur mantenendo assolutamente brutale il tutto. A livello chitarristico vorrei menzionare la traccia “Horror”: in essa il riff riesce ad essere devastante ma velatamente intimista, cosa che dà alla canzone una profondità ed un’atmosfera che ho particolarmente apprezzato. Buona e coinvolgente la registrazione, seppur avrei personalmente messo più in rilievo le chitarre. La band propone anche la sua versione di "Blind" dei Korn, brano che probabilmente i nostri utilizzano nei live acts per scaldare l’audience. Non male, ma nel complesso superflua. Sugli scudi invece “Trapped”, devastante e paradigmatica del brand-Karma Zero! (HeinricH Della Mora)

martedì 4 aprile 2017

It's Everyone Else – Heaven is an Empty Room

#PER CHI AMA: Industrial/Digital Hardcore/Electro Noise
A fine novembre del 2016, la Noise Appeal Records ha fatto uscire l'album di debutto del duo sloveno degli It's Everyone Else. Un lavoro ritmicamente intenso, carico di violenza selvaggia e distruttiva, liberatoria, debitore e seguace delle traiettorie sonore già tracciate dai vari Prodigy, Skinny Puppy e Atari Teenage Riot, un frammento di potente saggio di musica dal gusto inequivocabilmente industrial, elettronico quanto basta per accostarlo al digital hardcore ma con sconfinamenti nell'alternative punk, complice certe geniali trovate che hanno reso famose band del calibro dei Chumbawamba, con vocals maschili e femminili che si alternano nell'imitare lo stile di Pixies e Rage Against the Machine oltre ai già citati precedenti gruppi. L'industrial non se la passa molto bene ultimamente e considerate le poche idee innovative, riusciamo ad individuare un'alta dose di creatività nel duo di Ljubljana, l'originalità non è proprio di casa ma le lezioni lasciate dai maestri del genere hanno dato buoni frutti in questo box di circa mezz'ora, dove il calderone di suoni rievoca spettri e vette musicali di tutto rispetto. Il disco vola velocissimo con i suoi dieci brani intrisi nel silicone e rivestiti di lattice; il tocco perverso, estremo e ribelle si nota fin dalla prima nota e genera nell'ascoltatore una buona sensazione di familiarità col genere ed allo stesso tempo di curiosità che lo porta a seguire uno dopo l'altro lo sviluppo delle canzoni. La voce di Pika Golob dona un tocco di glamour trasversale ed oscuro con il suo canto sofferente e di scuola alternative punk alla Kim Gordon mentre Lucijan Prelog spinge sull'acceleratore, focalizzandosi sulla falsariga del punk più indie, combattivo ed estremo che ricorda i gruppi già citati di Zack de la Rocha e Alec Empire. La presenza costante di atmosfere sinistre e oppressive, la prevalenza scenica del noise e la variabile EBM, rendono ancora più accattivante la figura del duo di Ljubljana, ed è per questo motivo che brani come "The Truth About Mirrors" e "Sleep is So Cruel" diventano canzoni memorabili che alimentati da brani lampo come la rumorosissima "Nineteenninetyfive" o l'allucinata e isolazionista "Lone", completano un ottimo manifesto di elettronica d'assalto futurista che anche dopo infiniti ascolti riserva ancora delle nuove sorprese sonore. La scelta dei suoni, la produzione più che buona e una copertina che ingloba il sinistro, nero disagio che avevamo già apprezzato in 'Adore' degli Smashing Pumpkins ampliano a dismisura la potenza di fuoco di questa coppia di killer armati di sintetizzatori, coinvolgendo e trascinando chi ascolta con la stessa energia di una band hardcore. Saranno difficili da accettare per la massa, magari anche un po' derivativi, ma questo album è un vero carico di materiale infiammabile, dinamite pronta ad esplodere nelle vostre orecchie! Sottovalutarli sarebbe un grave errore, disco consigliato, da ascoltare ad alto volume, altissimo volume! (Bob Stoner)