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lunedì 3 gennaio 2022

Tangled Thoughts of Leaving - Deaden the Fields

#PER CHI AMA: Experimental/Avantgarde/Prog
Siamo nel 2022 e io sono ancora qui con una tonnellata di dischi della Bird's Robe Records sulla scrivania. Non sono ancora riuscito a smaltire il carico di vecchie release riproposte dalla label australiana. Oggi è il turno dei Tangled Thoughts of Leaving e di 'Deaden the Fields', album d'esordio uscito nel 2011 e ristampato nel 2021 in occasione del più volte celebrato, compleanno dell'etichetta di Sydney. Tuttavia i Tangled Thoughts of Leaving li conosciamo già avendoli, peraltro proprio il sottoscritto, recensiti in occasione della terza release 'No Tether' e quella loro esplorazione del post metal, venato di sonorità doom/jazz e progressive, il tutto proposto rigorosamente in forma strumentale. Diamo comunque un ascolto attento anche agli esordi del quartetto di Perth che apre il disco con l'ambiziosa e ubriacante "Landmarks" che vi stupirà con i suoi 17 minuti di saliscendi emozionali tra puro avanguardismo sonoro, post rock e progressive che cedono a derive jazzistiche, forti peraltro di una perizia tecnica di altissimo livello e grande gusto. Lasciatevi ipnotizzare quindi dal pianoforte delirante della band, dalle trombe e da qualunque altra trovata inclusa in questi lunghi minuti introduttivi. Il resto del disco credo non necessiti di ulteriori specifiche, perchè quello che avevo sentito e apprezzato in 'No Tether', trova sostanzialmente riscontro anche alle origini di una band dotata di grande creatività ed enorme personalità che si concretizzano nelle psichedeliche e ubriacanti note di "Throw Us to the Wind" dove nulla è lasciato al caso, sebbene la sensazione forte sia quella di una grande jam session tra musicisti di grande calibro. Il risultato ancora una volte è di grande spessore, nonostante l'assenza di un cantore che piloti al meglio l'ascolto. Ma qui sono convinto non sia strettamente necessario, tanta la qualità e la quantità dei suoni che convergono verso un punto univoco nell'Universo dei Tangled. Il gioco di luci e ombre prosegue anche nella più breve e riflessiva "...And Sever Us From the Present", dove è ancora il pianoforte a guidare il flusso musical-emozionale dei nostri. "Deep Rivers Run Quiet" ha un incipit ancora delicato che va via via gonfiandosi attraverso il dualismo tra un meraviglioso e malinconico piano ed un più marcato riffing di chitarra che attraverso passaggi di pink floydiana memoria, ci condurrà alla successiva title track, che riassume in poco più di sei minuti l'architettura pensante dei Tangled Thoughts of Leaving, attraverso onirici e fascinosi paesaggi sonori. La chiusura del disco è affidata poi alla lunga (altri 14 minuti) e sperimentale (tra elettronica, ambient, prog e noise) "They Found My Skull in the Nest of a Bird", che fuga ogni dubbio sulla genialità di questi mostruosi musicisti australiani che dal 2011 ad oggi, hanno rilasciato solo piccoli gioielli musicali, che dovrete a tutti i costi, fare vostri. Portentosi. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2011/2021)
Voto: 78

https://ttol.bandcamp.com/album/deaden-the-fields

martedì 21 dicembre 2021

Pirate - Left of Mind

#PER CHI AMA: Math/Prog Rock
Era il primo agosto del 2012 quando recensii questo disco. E la Bird’s Robe Records, nell'ambito della sua filosofia del "riscopriamoli", ecco riproporre una band fuori dall’ordinario. Sto parlando dei Pirate e del loro album di debutto 'Left of Mind', disco uscito in realtà nel 2009. La band si distingue dalle altre produzioni della label di Sydney con una proposta musicale alquanto originale, una fusion di stili e sfumature che partendo dal prog anni ’70, si fonde con colonne sonore e math rock, in cui concedere poi ampio spazio alla follia delirante di un sax impazzito, come accade nella opening nonchè title track, nella psicotica strumentale “Rough Shuffle” o nella stralunata ed oscura "Creepy". Fighi, lo dicevo allora, lo ribadisco oggi a distanza di anni che non ascoltavo questo lavoro. Sicuramente influenzati dal buon Mike Patton e da una qualsiasi delle sue creature, Mr. Bungle o Fantomas, i Pirate nelle otto tracce a disposizione, si divertono non poco a proporne di ogni colore e forma. Non stupitevi pertanto se in “Animals Cannibals” emergono echi di Faith No More o di un certo cyber alternative rock a stelle e strisce, comunque sempre contaminato da suoni freschi e moderni, qui dal piglio anche elettronico con un bel po' di synth a farla da padrona. Ma le qualità dell'ensemble non si discute e potrete anzi apprezzarla ovunque nel corso dell’ascolto di 'Left of Mind': dal basso tonante in apertura di "In the Balance" che ammicca ai A Perfect Circle, all'imprevedibilià alla The Mars Volta di "Daggers", ove avverto anche un pizzico del delirio dei Primus, in una song che, complice la presenza del famigerato sax, diventa anche la mia preferita del disco per il suo moto ondoso instabile. Si, insomma 'Left of Mind' è qualcosa che va accuratamente ascoltato e ponderatamente digerito, perché di certo non rimarrete delusi di fronte a cotanta ispirazione e genialità. Chiaro, riascoltarlo quasi dieci anni dopo mi fa sentire molti altri richiami che in passato non avevo colto e forse per questo mantengo il voto un po' più basso rispetto alla mia prima recensione, comunque una certezza. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2009/2022)
Voto: 80

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/left-of-mind

martedì 14 dicembre 2021

Closure in Moscow - The Penance and the Patience

#PER CHI AMA: Prog Rock
L'etichetta australiana Bird's Robe Records, si prende la licenza di riportare sul mercato mondiale un assoluto capolavoro, uscito per la prima volta nel lontano 2008, opera dei Closure in Moscow, band originaria di Melbourne, un progetto musicale che più volte fu premiato in patria per meriti artistici (ricordo che il loro ultimo album risale al 2012). La label di Sidney, con una copia cartonata dall'artwork magnifico, completa di note informative e libretto interno, rimette in circolo questo gioiellino intitolato 'The Penance and the Patience', che altro non è, che il primo lavoro di studio dell'act australiano. Difficile dare un' identità alla musica dell'album, vista la quantità di spunti e richiami musicali contenuti in questa opera. Possiamo però dire che al primo ascolto ci si rende conto che il quintetto s'intrufola naturalmente e assai bene, tra le movenze stilistiche in voga tra band del calibro di Coheed and Cambria, (con cui hanno anche suonato live), The Mars Volta e i vari progetti di Omar Rodríguez-López, risultando a tutti gli effetti discendenti accreditati di quel modo di intendere il progressive rock che fece emergere lo stile incontrastato degli Yes tra la fine dei '60 e l'inizio dei '70. Una linea invisibile li unisce alle band citate per qualità e virtuosismo tecnico espresso attraverso composizioni che non conoscono limiti, che tendono ad unire la maestosità di certo classic rock dei seventies, il gusto e la complessità di alcuni brani ricercati del passato in bilico tra powerflower e prog rock, l'impatto del punk alternativo alla At the Drive In e Pedro the Lion, con una velata vena da musical nello stile dei the Dear Hunter connesso con l'estrosità dei Leprous di 'Malina'. 'The Penance and the Patience' diventa cosi un album dirompente fin dalle prime note dell'iniziale "We Want Guarantees, Not Hunger Pains", che mostra subito un impatto duro ma controllato e una splendida forma moderna, di intelligent rock, pieno di cose pregevoli, pensate da ottimi musicisti, cercate ed apprezzate anche dagli ascoltatori più esigenti. I Coheed and Cambria sono sempre dietro l'angolo, come i The Mars Volta del resto, ma i Closure in Moscow riescono a mantenere una propria personalità che li contraddistinguerà anche nelle release successive, con ulteriori sbocchi verso lidi più pop, aggiungendo anche qualche gingillo elettronico qua e là, senza perdere mai di vista la loro sanguigna vena da progsters incalliti, con il gusto per l'AOR e l'hard rock dei mostri sacri di un tempo. Cos'altro dire, "Dulcinea" apre il cuore di tutti i rockers con la sua potente ariosità, "Breathing Underwater" è una sperimentale carica di dinamite e "Ofelia... Ofelia" con quel suo piano sullo sfondo e la sua indole cosi triste, sinfonica e psichedelica, è a dir poco adorabile. Certamente siamo di fronte ad un disco di tutto rispetto e di ottima produzione, stilisticamente impeccabile, tecnicamente virtuoso e sorprendentemente aperto a qualsiasi tipo di ascoltatore, pur trattandosi di un vero e proprio disco prog rock di moderna fattura. Un album da ascoltare per credere, un disco da non perdere, visto che la Bird's Robe ci offre questa seconda chance di metterlo tra gli scaffali delle nostre raccolte migliori. L'ascolto è assolutamente consigliato per riscoprire la sua grande bellezza artistica. (Bob Stoner)

giovedì 25 novembre 2021

Hazards of Swimming Naked - Our Lines are Down

#PER CHI AMA: Post Rock
Siamo ormai agli sgoccioli con le ristampe dell'australiana Bird's Robe Records a festeggiare il proprio compleanno. La scelta di quest'oggi ricade sugli Hazards of Swimming Naked, band strumentale di Brisbane che abbiamo avuto già modo di conoscere nel 2018, in occasione dell'uscita del loro secondo 'Take Great Joy'. L'album di oggi, 'Our Lines are Down', va molto più indietro nel tempo, riportandoci al 2009, quando appunto uscì questo debut album. Pur essendo più vecchio di 'Take Great Joy' di ben nove anni, questa release mi sembra decisamente migliore, miscelando robusti suoni post rock (e l'iniziale "Requiem" conferma questa mia affermazione) di scuola Mono con sonorità più cinematiche, delicate e sensuali che ammiccano ai Godspeed You! Black Emperor. In questo caso, è la lunga e vellutata "I'm a Friend of Edward J Stevens" a corroborare la mia tesi con una proposta onirica, votata completamente al post rock tra delay, riverberi e lunghe fughe melodiche, dove tutto è al posto giusto, e a mancare è al solito, una bella voce che faccia da Cicerone al nostro ascolto. L'intero lavoro si muove lungo queste coordinate anche nei successivi pezzi, dove evidenzierei l'inquietudine che si respira in "Sparks Fly", che prova a infilare nel loro flusso musicale anche un che di math rock. Se "Sveta Pače" è più un interludio ambient tra due brani che vede però la partecipazione di Berndt Vandervelt e Karin Gislasdottir, ho trovato "...And a Whole Assortment of Uppers and Downers" molto più godibile nelle sue lisergiche trovate strumentali e anche più varia, forse per la presenza di una voce parlata a spezzare la monoliticità dei suoni. Ideare dischi privi di un vocalist non è infatti cosa semplice e rischiare di annoiarsi è una delle possibilità più facili in cui incorrere. Il quintetto australiano è però abile nel saper tenere la barra sempre alta, con una prova maiuscola ed elegante. Ovviamente non sempre ci si riesce, e forse la noiosetta "Dreams Don't Come True, That's Why We Dream" ne è la prova concreta. Tuttavia i nostri ci provano in tutti i modi a catturare l'attenzione, addirittura nella scelta dei titoli dei brani: "Don't Cry for Me, Dario Argento" mi tiene infatti incollato allo stereo semplicemente perchè curioso di cogliere se c'è un qualche tributo al nostro visionario regista dell'horror e volendo, lo si può immaginare in una ricerca di sonorità un po' più orrorifiche e inquietanti. Gli Hazards of Swimming Naked alla fine non inventano niente di nuovo e non aggiungono nulla al genere, ma da ottimi strumentisti quali sono, fanno di tutto per tenerci incollati ai loro pezzi, quasi siano vogliano compiere una magia all'interno del loro flusso musicale che però mai si avvererà. Le ultime due citazioni del disco vanno alla più roboante "Aabar Dakhe Habe", un pezzo molto solido che sembra prendere le distanze dagli altri e l'intimista "Kip Keino", una sorta di cortometraggio in bianco e nero, tributo all'ex mezzofondista e siepista keniota Kipchoge Keino. Insomma, 'Our Lines are Down' è un lavoro che merita di trovare un posto nello scaffale di ogni amante del post rock. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2009/2021)
Voto: 75

https://hazardsofswimmingnaked.com.au/album/our-lines-are-down

lunedì 22 novembre 2021

Clayhands - Is this Yes?

#PER CHI AMA: Cinematic Post Rock
Dove c'è Barilla c'è casa, citava un famoso spot televisivo di parecchi anni fa. Parafrasando quel jingle, mi viene da dire che dove c'è Bird's Robe Records, c'è post rock. Quindi, per gli amanti di queste sonorità, eccovi servito il nuovo lavoro degli australiani Clayhands, combo originario di Sydney che è uscito all'inizio di novembre con questo 'Is this Yes?', ambizioso album di cinematico post rock, come da flyer informativo annesso al cd. Partendo da un caleidoscopico artwork di copertina che, per colori e forme richiama i King Crimson, i nostri proseguono in modo altrettanto coerente con un sound assai delicato che potrebbe inglobare al suo interno sfumature progressive, jazz, ambient, improvvisazione pura, musica da colonna sonora e tanto tanto altro, il tutto suonato in modo a dir poco celestiale. Questo almeno quanto percepito dalle colorate note dell'opener "Godolphin" e confermato poi dai tocchi malinconici ma cangianti della successiva "Orchid", dove sottolinerei l'ottima performance di ogni singolo musicista e il gran gusto per le melodie. "Murking" si muove in territori ancor più alternativi, vuoi per un sound molto più ricercato, vuoi per l'utilizzo di strumenti a fiato, non proprio consoni al genere, ma il brano alla fine, nelle sue strambe circonvoluzioni, si lascia ascoltare piacevolmente. Ben più sfocate le immagini prodotte inizialmente da "The Boy Left", prima che la song trovi una sua direzione un po' più definita ma comunque fuori dai soliti schemi post rock, con melodie a tratti dissonanti ma che comunque in questo contesto, donano grande originalità al tutto. Peccato solo manchi una voce a far da Cicerone a questa produzione, perchè con un cantante dalla calda ugola suadente o evocativa, credo che quest'album avrebbe meritato un risultato ancor più esaltante. E allora lasciatevi andare, fatevi avvolgere dalle melodie eteree dei Clayhands, dalla loro impressionante e incessante voglia di stupire con suoni che tra le proprie influenze inglobano ancora Pink Floyd, Shels, i già citati King Crimson, gli Yes e molti altri a dare garanzia di una qualità compositiva davvero eccelsa. È chiaro che 'Is this Yes?' non sia un lavoro cosi semplice da digerire, complice un'architettura sonora ben strutturata e pezzi anche dalla durata notevole: "Polars" supera gli otto minuti mentre la conclusiva "Playgrounds" sfiora i 15, proponendo in questo frangente temporale quanto di meglio i nostri hanno offerto sin qui. Chitarre liquide, incorporee che prendono lentamente forma e si lanciano in sofisticate e magnetiche fughe strumentali da lasciare a bocca aperta. Spettacolari, non c' altro da dire. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 80

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/is-this-yes

lunedì 1 novembre 2021

Seims - Four

#PER CHI AMA: Post/Math Rock
Era il 2020 quando raccontavamo nel Pozzo di '3 + 3.1', proposta alquanto originale, a cavallo tra post e math rock, a cura degli australiani Seims. Oggi il quartetto di Sydney ritorna con un nuovo capitolo intitolato 'Four' (continuando la storia con la numerologia nei suoi titoli). Dieci nuovi brani che aprono con i tocchi fiabeschi di "The Mountain's Lullaby", song che funge da intro per la successiva "The Pursuit of Intermediate Happiness", in cui a fare la comparsa è una deliziosa sezione di archi (violoncello e violino) ed un crescendo che mantiene un'analogia strumentale nei suoi suoni, in un filo conduttore che sembra voler narrare una storia. Una storia che tuttavia non trova una continuità stilistica con la successiva "Showdown Without a Victim", che cambiando registro, mostra una visione psichedelica dei nostri sorretta comunque da una roboante sezione ritmica dove ci sembra di immaginare un soggetto in fuga da un intricato dedalo di suoni, con un'alternanza ritmica che comunque riconduce sempre all'iniziale emozione generata. Da un punto di vista strumentale, il brano restituisce una serenità emotiva che stempera l'incalzante emozionalità del brano. "Shouting at a Brick Wall" crea invece un senso di attesa con quel suo iniziale giro di chitarra, che non tarda comunque ad arrivare, esplodendo infatti in una ritmica dall'elegante sapore punk math rock, in una proposta musicale che spinge al continuo movimento (grazie anche ad un splendido assolo di violino) fino al suo improvviso ed inatteso arresto. L'inizio ipnotico "Stranded. Isolated" potrebbe tranquillamente collocarsi nella colonna sonora di 'Blade Runner' grazie ai suoi synth che cederanno presto il passo ad un avanzare cibernetico che trova un punto di svolta a metà brano, laddove troviamo un cambio quasi radicale della proposta iniziale. Il brano però non sembra filare nel modo corretto e alla fine dell'ascolto, il risultato sembrerà quasi inconcludente, non catturando completamente l'attenzione dell'ascoltatore, forse per un eccesso di stili e cambi di registro. "Elegance Over Confidence" ha un esordio decisamente più convincente, evocando un che degli Archive, in uno stralunato climax ascendente sottolineato da un'esplosiva prova della batteria (qui molto jazzy) e da una melodia guidata da nevrotici giri di chitarra in grado di tenere costante quel senso galvanizzante innescato. Ancora un muro di synth per "Biting Tongues", l'unica song insieme a "The Mountain's Scream", dove fa la comparsa la voce (tuttavia un po' sottotono) di Simeon Bartholomew accanto ad un riverberato ed esplosivo giro di chitarre. Intro cinematografico per "Nuance Lost in Translation", dai tratti un po' burberi nella parte iniziale prima di sfociare in un sound dai lineamenti orchestrali e orientaleggianti davvero entusiasmanti. "Understatement" è un pezzo arpeggiato che sembra fungere da ponte per la conclusiva "The Mountain's Scream". Dopo un inizio marziale, la traccia evolve grazie ad un tremolo picking sorretto da uno stravagante apporto corale, in una caleidoscopica alternanza di stili ed emozioni che chiudono degnamente questo quarto capitolo targato Seims. (Francesco Scarci/Ilaria de Ruggiero)

(Art As Catharsis/Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 75

https://store.seims.net/album/four

domenica 31 ottobre 2021

Solkyri - No House

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
Già recensiti su queste stesse pagine con il loro ultimo 'Mount Pleasant', riscopriamo attraverso la Bird's Robe Records, quello che fu il debut EP degli australiani Solkyri. 'No House' uscì infatti nel febbraio 2011 e l'etichetta australiana, per celebrarne i 10 anni di vita, ripropone quest'uscita in collaborazione con la Dunk Records in un vinile da 180g. Il dischetto consta di sei tracce con le danze che si aprono con le note soffuse di "Zee Germans", un pezzo in cui a mettersi in evidenza è una malinconica tromba che porta però ad un crescendo inconcludente del brano. Si passa quindi a "Court-A", dotata di una melodia che potrebbe costituire più un blando sottofondo musicale. Le atmosfere si presentano sognanti per l'assolo di un flauto che guida l'ascolto per buona parte del brano e che lentamente va a crescere di portata ritmica e in misura direttamente proporzionale anche di interesse, fino a creare una bolla caotica, disinnescata dalla tenue presenza di pianoforte e flauto che vanno a chiudere il pezzo. Con "This Can't Wait" si parte meglio con suoni più accattivanti e un crescendo più rapido rispetto alla traccia precedente. Lo stile si mantiene comunque morbido nei pressi di un arioso post-rock, tuttavia manca sempre qualcosa, indovinate un po' voi? Eh già, una voce avrebbe enfatizzato l'aspetto emozionale dell'ascolto, anche nei momenti più aggressivi del brano. Un nostalgico pianoforte apre "Strangers", a cui si accompagna l'onnipresente (e spesso fastidioso) flauto e anche degli archi che conferiscono una cinematicità all'intero lunghissimo pezzo, ma di contro anche una certa monoliticità che rende pertanto statico l'ascolto. I dieci minuti del pezzo rischiano alla fine di tediare, visto che la proposta del quartetto di Sydney fatica a prendere il volo almeno fino al settimo minuto, quando con una ritmica più movimentata (e pure intricata), rompe finalmente gli indugi di quella quasi esasperante staticità iniziale del brano. Arriviamo nel frattempo a "Young Man, You Will Die of this Company", una song che potrebbe evocare gli *Shels di 'Plains of the Purple Buffalo', che sembra preparatoria ad un qualcosa che in realtà non arriverà mai. Con la conclusiva "Slowly, We Take Steps (Astronauts)", si torna a percorrere la strada della malinconia con un sound cinematico quasi volto a richiamare le soavi note del Maestro Morricone, in un ultimo atto che chiude quest'opera prima, forse ancora un po' acerba, degli australiani Solkyri. (Francesco Scarci/Ilaria de Ruggiero)

(Bird's Robe Records/Dunk Records! - 2011/2021)
Voto: 63

https://solkyri.bandcamp.com/album/no-house

venerdì 15 ottobre 2021

Dumbsaint - Panorama, in Ten Pieces

#PER CHI AMA: Post Metal strumentale
Continuano a cascata le uscite in casa Bird's Robe Records a riesumare album più o meno recenti (e conosciuti) del roster dell'etichetta australiana. Oggi è il turno dei Dumbsaint, ensemble di Sydney che su queste pagine avevamo già incontrato con 'Something That You Feel Will Find Its Own Form'. Quello di oggi è l'album 'Panorama, in Ten Pieces', release del 2015 che seguiva a tre anni di distanza quel 'Something...' appena citato. Il risultato? Sublime, e non lo scopriamo certo oggi con quell'amalgama perfetta tra post metal strumentale (oh dannazione, che peccato non ci sia una stramaledettissima voce che ogni tanto alteri la fluidodinamica dei suoni) e ambientazioni cinematiche che, dall'iniziale "Low Visions" finiscono, attraverso un percorso lungo, articolato e alquanto ambizioso, nelle delicate spigolature della conclusiva "Barren Temples". In mezzo? Sicuramente una buona dose di qualità e un'intensità sonora come quella sviluppata proprio dall'opener. E ancora, un'ottima riflessività (come quella esibita nella più intimista "Communion"), irrequietezza che contraddistingue la contraddittoria e vivace "Love Thy Neighbour", dapprima delicata e poi parecchio energica, al pari della successiva "(Partition)", tanto breve quanto efficace. Non dimentichiamo poi della strabordante forza distruttiva di "Cold Call", forse il brano più aggressivo e nevrotico delle dieci tracce qui incluse, anche il mio preferito. Vorrei citarvi ancora la breve "Graceland", con il suo fresco ed ipnotico post rock e la successiva, lunga, lunghissima e malinconica "Long Dissolve/Temps Mort", che con i suoi splendidi acuti di chitarra mi ha evocato un anomalo mix tra gli enigmatici finlandesi This Empty Flow e i nostrani Threestepstotheocean. Ottima riscoperta, assai utile per chi se li fosse persi sei anni fa, ancor più utile per chi si è dimenticato di avere il disco a prendere la muffa nella propria collezione. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2015/2021)
Voto: 77

https://dumbsaint.bandcamp.com/

martedì 14 settembre 2021

Teal - Hearth

#PER CHI AMA: Alternative/Progressive Rock
La Bird's Robe Records prosegue la propria campagna di riedizioni questa volta con gli australiani Teal e il loro debut EP, 'Hearth', datato 2013. La proposta del quartetto originario di Sydney si rifà ad un alternative rock assai orecchiabile. Cinque le tracce a disposizione dei nostri per poter dire che, anche se vecchio di otto anni, questo lavoro rimane alquanto attuale. Ottime (e un po' ruffiane) le delicate melodie dell'opener "Solitaires", dove a mettersi in luce sono i vocalizzi di Joe Surgey, uno che strizza l'occhiolino, anzi l'ugola, al frontman dei Muse, con risultati peraltro più che soddisfacenti, e con la musica che si muove anche tra le maglie del prog rock, tra chiaroscuri emozionali, guidati proprio dalla voce di Joe e accelerazioni quasi ringhianti, che rendono la proposta davvero interessante. In "Don't Wake Up" non vorrei prendermi del pazzo, ma su di un tappeto post math rock, ci ho sentito dei vocalizzi addirittura alla Bono, con il sound sempre bello carico ma in continuo movimento tra trame più morbide e altre più potenti. Con "Raptor", il combo del Nuovo Galles del Sud, si propone con sonorità che richiamano ancora Matthew Bellamy e soci, anche se qui i Teal sembrano meno esplosivi che in precedenza, fatto salvo per il comparto solistico, breve ma efficace. Se parliamo di esplosività (ma pure creatività) non possiamo non citare "Voss": partenza acustica stile primissimi Pearl Jam, sound mellifuo guidato dalla voce di Joe e poi accelerazioni belle toste che si alternano a parti più atmosferiche ed intimiste con tanto di tremolo picking alle chitarre. In chiusura, la più oscura e meditabonda "Three Hours", che con i suoi costanti rimandi ai primi Muse, chiude degnamente una release che ai più, sono certo, fosse passata inosservata. Chissà che stanno combinando oggi i Teal, ora mi vado ad informare, voi nel frattempo ascoltatevi 'Hearth'. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2013/2021)
Voto: 73

https://tealband.bandcamp.com/album/hearth-ep

martedì 17 agosto 2021

The Nerve - Audiodacity

#PER CHI AMA: Groove Metal, Rage Against the Machine
Era il novembre 2013 quando usciva questo funambolico disco da parte degli australiani The Nerve. Ed io che ero convinto che la label australiana fosse focalizzata quasi esclusivamente sul post rock/metal, vengo smentito dalle bordate di questo 'Audiodacity'. Per la serie ristampe da oltreoceano (Indiano questa volta), ecco il poderoso sound di questi musicisti (membri di Mammal, COG e Pre-Shrunk) che ci scaricano addosso badilate di melma infuocata. L'iniziale "14 Again" sembra un pezzo pescato dalla discografia dei Pantera, la successiva "Witness" fa l'occhiolino invece ai Rage Against the Machine, con quel rifferama sincopato ed un cantato quasi rappato, con una porzione solistica davvero avvincente ed un finale che pesca addirittura dai Faith No More. C'è un po' di tutto degli anni '90 in questo disco, facendomi sobbalzare e poi cadere dalla sedia. Il cantato rappato torna anche in "Poser (First World Problems)", altra hit di poco più di due minuti e mezzo che spingono a quel classico pogo isterico di massa. Ancora bei riffoni per "Be Myself" che evocano un che dei Pantera, con la linea di chiterra un po' più edulcorata ed una voce qui molto vicina al buon Mike Patton. I pezzi vanno ascoltati tutti d'un fiato, per questo mi lascio tramortire dall'hard rock robusto di "Excuse Me" senza farmi troppe domande, un pezzo che prende però le distanze dai pezzi ascoltati sin qui. Non male per groove e potenza ma forse ho maggiormente apprezzato i precedenti brani, sebbene assai più derivativi. Un plauso va sempre alla sezione solistica, sia chiaro. Si torna a volare con "There May Come a Time" ed un sound sempre ricco di melodia, rabbia ed energia che spinge all'headbanging furioso, enfatizzato ancor di più da esplosioni alla chitarra solistica. Ancora un rifferama di scuola texana per "The Insight" ed un cantato qui che potrebbe anche emulare un che di Phil Anselmo. In chiusura, l'indiavolata "Respect", che mette sotto i riflettori l'eccellente performance vocale del sempre bravo Ezekiel Oxe e del mago della chitarra Glenn Proudfoot. Bravi e convincenti. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2013/2021)
Voto: 75

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/audiodacity

super FLORENCE jam - S/t

#PER CHI AMA: Garage Rock
Continuano le uscite relativa al decimo anniversario della Bird's Robe Records, questa volta con il quartetto dei super FLORENCE jam (mi raccomando scritto rigorosamente in questo modo, non mi sono sbagliato). L'EP di quest'oggi rappresenta il loro debutto del 2009 e l'etichetta australiana ci ripropone il rock'n roll dei nostri per darci un assaggio di questi campioni (almeno in patria) di Sydney. La loro proposta? Lo dicevo una riga poco più su, un garage rock di settantiana memoria che sembra coniugare i Led Zeppelin (soprattutto con un vocalist che strizza l'occhiolino o forse meglio dire le corde vocali, con Robert Plant) con un che dei Beatles, mantenendo intatto quello spirito libertino di fine anni '60. Lo dimostrano le chitarre e i chorus dell'iniziale "Ghetto Project Fabulous", cosi come i fumi psichedelici della lenta e doorsiana "The Circle" per quello che un vero tuffo nel passato musicale più lisergico della nostra storia. Certo, siamo ovviamente lontani dalle divinità di quegli anni, però meglio non lamentarsi e divertirsi ripescando vecchie sonorità in grado di coniugare garage, punk, rock, psych e perchè no, anche stoner, con una verve allegra e rallegrante, come quella offerta da "Marcy" o dalla melodia orecchiabile di "Ten Years" e ancora dal roboante sound di "No Time", dove il frontman (in versione Ozzy qui) urla quasi fino a far esplodere l'intera collezione di bicchieri di cristallo che ho in casa. In chiusura, spazio alla malinconica "No Man's Land", una specie di ballata semiacustica, e dai tratti pink floydiani a livello solistico, che chiude un disco forse più indicato per gli amanti di simili sonorità, curiosi di conoscere una realtà che forse si erano lasciati scappare in passato. (Francesco Scarci)

venerdì 23 luglio 2021

Captain Kickarse and the Awesomes - Grim Repercussions

#PER CHI AMA: Prog/Math Rock
Ancora Bird's Robe Records, ancora band australiane quindi, quasi sia un mantra dell'etichetta di Sydney arruolare realtà del proprio paese. La band di oggi è un trio strumentale che propone in questo 'Grim Percussion', un rock muscoloso davvero libero da ogni schema. A certificarlo subito le note della breve intro "Sixes and Dozens", che ci danno un'idea di che pasta siano fatti questi tre aussie boys, che sono in giro ormai dal 2009, quando uscì il loro EP di debutto, 'Falsimiles From The Facts Machine'. Con la seconda "Pogonophobe", ma sarà poi una costante lungo l'intero disco, quello che balza subito all'orecchio, è l'assoluta libertà da parte dei Captain Kickarse and the Awesomes di suonare quel diavolo che gli pare senza paura del giudizio esterno. Si va quindi dal jazz rock singhiozzante di questa song, alla più percussiva "Immaculate Consumption", dove ancora i fraseggi jazz la fanno da padrone. Certo si richiede una certa predisposizione a questo genere di suoni perchè dire che siano immediati da percepire e gradire, rischierebbe di essere una gigantesca bugia. E allora lasciatevi investire dalle sonorità un po' più grasse di questo pezzo e dalla sua delirante follia, affidata alla tecnica sopra la media dei tre musicisti, che in tre differenti occasioni, riusciranno a mettersi in mostra. Un breve intermezzo acustico e via per altri lidi di delirio musicale: ascoltando l'apertura di "Smallcastle", non si può non corrucciare le sopracciglia cercando di capire che cavolo i nostri stiano combinando con i loro sperimentalismi musicali. Dopo un paio di minuti, la traccia prende una sua forma meglio definita combinando prog e post rock, con un tappeto ritmico bello robusto e con ulteriori ammiccamenti a psichedelia e sludge. Il duetto di song costituito da "The Grapes" e dalla title track, si prende da solo quasi 21 minuti di musica stralunata, oscura ed imprevedibile (chi ha detto math-rock?), che saprà disorientarvi ancor di più rispetto a quanto fatto sin qui dal terzetto originario del Nuovo Galles del Sud. Non mancheranno infatti momenti estremamente riflessivi ed introversi, cosi come scariche di rabbia e frustrazione, colate di suoni ridondanti e roboanti che vedono a mio avviso, solo l'assenza di una dissennata forza della natura a urlare nel microfono, il che avrebbe reso la proposta dell'act australiano un po' meno ostico da digerire. Si perchè le cose si fanno ancor più complicate in "A Beard of Bees", un pezzo noise introdotto dal didjeridoo e affidato poi al caos primordiale, prima che "Fourth Party" metta la parola fine a questa fatica targata Captain Kickarse and the Awesomes, a tratti davvero complicata da affrontare. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 73

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/grim-repercussions

mercoledì 14 luglio 2021

Mish - Entheogen

#PER CHI AMA: Post Metal/Djent
Tra le uscite discografiche della label australiana Bird's Robe Records, volte a celebrarne i 10 anni di attività, figura 'Entheogen', secondo album dei loro connazionali Mish, originariamente uscito nel 2017. I Mish li avevamo già conosciuti all'epoca del loro debut, 'The Entrance', nell'ormai lontanissimo 2011. In questo secondo lavoro i nostri si ripresentano con un sound sempre robusto, a cavallo tra djent, post metal, math e qualche digressione in territorio post rock. Si parte discretamente con la feroce opener "Artax", ma è in realtà con la successiva "Red Fortune", che i nostri riescono meglio a mettersi in mostra, sia a livello tecnico (li definivo chirurgici in occasione della precedente release e non posso far altro che confermarne il concetto) che a livello melodico e in termini di originalità. Se dovessi pensare ad un qualche confronto da fare con altre entità del panorama musicale, penserei ai Meshuggah che si mescolano con un che degli Isis e con i loro compagni di scuderia Dumbsaint, in una proposta ove a mettersi in luce è anche il graffiante growling del frontman. La breve "Lyre Bird" si presenta come espressione musicale di violenza inaudita, con linee di chitarra ipnotiche, a tratti ridondanti, ma sempre belle possenti. Da li in poi, in corrispondenza della title track, il sound del combo australiano sembra virare drasticamente verso lidi post rock, grazie ad un arpeggio aggraziato in apertura e delle atmosfere quasi eteree a richiamarmi gli *Shels. Il brano è il primo di una serie in cui la band sembra mostrarci l'altra faccia della loro medaglia e lo fa con melodie, atmosfere e vocalizzi (puliti) completamente differenti dalla prima parte del disco, quasi stessimo ascoltando un'altra realtà musicale. E alla fine sapete che non ho ancora ben capito se apprezzo maggiormente questo lato più sognante della band (che tornerà anche nelle successive "Socrates", strumentale caratterizzata da un piglio stile ultimi Isis, nella lugubre melodia di Lung" o nella litanica conclusione affidata a "Thylacine") o quello più abrasivo che ha ancora modo di palesarsi nell'acidissima "Pinata" e nella schizoide "Verterbrae" (in realtà quest'ultima un mix tra le due facce della medaglia Mish). In attesa di capirne qualcosa di più, vi lascio all'ascolto di questa stravagante creatura australiana, forse alla fine potreste darmi una mano a comprendere meglio quale dei mondi targato Mish risulterà essere il più intrigante. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2017/2021)
Voto: 74

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/entheogen

martedì 22 giugno 2021

Mushroom Giant - Painted Mantra

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock Strumentale
Era il 2014 quando 'Painted Mantra' vedeva la luce la prima volta. Dopo sette anni, la Bird's Robe Records restituisce una seconda vita a quel disco degli australiani Mushroom Giant, ormai band leggendaria del sottobosco locale sin dal 2002, in compagnia di altri mostri sacri quali We Lost the Sea, Sleepmakeswaves, Meniscus o Dumbsaint. In occasione del decennale dell'etichetta di Sydney, ecco quindi rivedere la luce un lavoro che fa di prog e post rock strumentale il suo credo. Nove pezzi che prendono le distanze dal classico post rock, fatto salvo per l'assenza di un vocalist, ma che da un punto di vista musicale, vede invece i nostri picchiare come fabbri sin dalla roboante apertura affidata a "The Drake Equation", un pezzo solo inizialmente onirico, ma che da metà in poi, si lancia in un centrifugato quasi killer di heavy prog davvero godibile. Si ritorna ad atmosfere pink floydiane con "Four Hundred and Falling", con quella forte aura malinconica che fino a metà brano ancora una volta sembra cullarci e che nel finale cresce emotivamente aumentando a pari passo, un interesse per una proposta che fin qui pareva piuttosto scontata, a dire il vero. Il finale però è da applausi. Come quelli che scrosciano per la lunghissima "Scars of the Interior" e i suoi quasi 14 minuti di parti arpeggiate, sognanti, ambientali; si dice a proposito, che il quartetto di Melbourne sia davvero forte dal vivo con parti visuali di grande effetto, da testarne insomma l'esperienza. Quello che mi convince della band è la capacità di coniugare la componente post con eleganti linee progressive dove i quattro musicisti sembrano trovarsi più a proprio agio. Fatto sta che, pur non essendo il sottoscritto un fan di offerte strumentali, qui mi lascio abbindolare dalle fughe rabbiose a cui seguono inevitabilmente lunghi ristoratori break atmosferici, che non fanno altro che prepararci ad un nuovo saliscendi musicale, ove la tecnica di questi aussie boys, viene fuori alla grande. Devo anche ricordarmi che questo 'Painted Mantra' è uscito sette anni fa, mica ieri. "Aesong" ha un fare quasi esotico a livello ritmico (ottima la batteria per la cronaca), quasi a condurci in una qualche isola al largo dell'Australia, con l'hammond comunque ad accompagnare con grazia e leggiadria, il comparto ritmico, qui vicino alle ultime prove degli Opeth, tuttavia ricordandosi che i gods svedesi hanno iniziato ad esplorare questo ambito ben dopo rispetto al "fungo gigante" di quest'oggi. L'ensemble continua a confezionare ottimi brani uno dopo l'altro: "Event Loop" è puro rock progressivo che ci porta a metà anni '70, con break affidati a basso e chitarra che a braccetto, ammiccano l'uno all'altro. Mancherebbe un vocalist ma questa volta voglio soprassedere e lasciarmi avvolgere dalla psichedelia di questa song o dalla successiva "Primaudial Soup", la cui batteria sembra quella in apertura di "Sunday, Bloody Sunday" degli U2, mentre a livello melodico, mi ha evocato un che dei Muse, inseriti comunque in un contesto più potente e coinvolgente. Lo ripeto, una voce avrebbe fatto le fortune di questo lavoro dal carattere cosi ondivago, stravolto peraltro costantemente da una marea di cambi di tempo. Se dovessi trovare un difetto, potrei dire l'eccessiva durata; quasi un'ora di musica filata, senza una voce, io la trovo sempre un'esperienza abbastanza sfidante, soprattutto in quei frangenti troppo meditabondi come può essere la prima parte di "Triptych". Poi fortunatamente il brano si muove dagli anfratti post rock e pestare maggiormente sull'acceleratore sfiorando il post metal con tanto di quella che mi pare anche una sezione d'archi. Ma c'è ben altro qui dentro, mille sfaccettature e dettagli che lascio approfondire a voialtri, godendo della performance di questi australiani che hanno ancora il tempo di inebriare i vostri sensi attraverso le decadenti note delle conclusive "Lunar Entanglement" e "Majestic Blackness", le ultime oscure perle di questo lavoro che a distanza di sette anni, non avete più alibi di lasciar andare. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2014/2021)
Voto: 75

https://mushroomgiant.bandcamp.com/album/painted-mantra

giovedì 13 maggio 2021

Dumbsaint - Something That You Feel Will Find Its Own Form

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
Riesumiamo i Dumbsaint e il loro debut 'Something that You Feel Will Find Its Own Form' semplicemente perchè fa parte della re-release series della Bird's Robe Records in occasione dei dieci anni di compleanno. L'album è uscito infatti nel 2012 e il nostro Mauro (per cui riproporrei la sua visione) ne parlava come un esempio di post metal (strumentale) cinematico ed estremamente affascinante. I nostri nascono nel 2009, e la loro peculiarità sta nel fatto che le loro esibizioni live siano caratterizzate dalla proiezione di filmati appositamente realizzati per fondersi al meglio con la propria musica, quasi come in un’installazione artistica multisensoriale. La paura che le note, qui deprivate del loro naturale elemento completante, non siano in grado di reggersi in piedi da sole, viene presto spazzata via dall’ascolto di questo solidissimo lavoro. Vale quindi la pena di dare un’occhiata al “pacchetto completo” sul canale youtube della band (per esempio il folgorante singolo “Inwaking”), per godere appieno dell’esperienza così come era stata pensata all’origine dai propri autori. La prima volta che ho ascoltato questo disco l’ho fatto in maniera piuttosto distratta, mettendolo nel lettore mentre sbrigavo altre faccende, e mi sono sorpreso a mollare quello che stavo facendo per seguire con attenzione quello che usciva dalle casse dello stereo, completamente rapito dalla complessità, la stratificazione, la potenza degli intrecci ritmici e armonici dei tre australiani. Una musica di questo tipo richiede assoluta perizia strumentale, e sotto questo profilo i Dumbsaint sono davvero bravi, in particolare mi preme sottolineare la prestazione monstre del batterista Nick Andrews, responsabile della varietà di ritmi e strutture che si susseguono senza sosta lungo tutto l’arco del disco. Stratificazione, si diceva: il post metal dei Dumbsaint sembra funzionare a più livelli di coscienza e riuscire sempre a trovare la strada per scardinare le nostre gabbie e i nostri scudi, e farsi strada prepotentemente con i suoi crescendo, le sue strutture irregolari ma sempre perfettamente - quasi matematicamente – compiute, la sua potenza, non viscerale ma controllata senza che questo suoni come un difetto, tenuta a bada e poi liberata improvvisamente. I rimandi a band più blasonate quali Isis e Pelican non mancano, ma quello che fanno i Dumbsaint è qualcosa di ancora diverso e persino più ardito. In più di un passaggio sembra di ascoltare i Tool di 'Lateralus' orfani dei magnetici vocalizzi di Maynard James Keenan, senza tuttavia che la sua assenza si faccia sentire più di tanto. Non so per voi, ma per me questo è un grosso complimento. (Mauro Catena)

sabato 26 dicembre 2020

Slowly Building Weapons - Echoes

#PER CHI AMA: Post-Punk/Shoegaze/Post-Metal
La Bird's Robe Records da sempre ci ha abituati a morbide sonorità post-rock strumentali. Quest'oggi invece mi sorprende con un'uscita fuori dalle righe. La proposta degli Slowly Building Weapons (SBW), quartetto originario di Sydney, è all'insegna di un mix tra post-punk, shoegaze e black metal. Si avete letto bene, black. Io mi ero già lasciato ingannare dalle tiepide sonorità poste in apertura con "Armada of Ghost", prima che delle chitarre super corrosive scatenassero una furia colossale per una manciata di secondi. Una sorta di sassaiola tremenda abbattutasi improvvisamente sulla testa e poi suoni più doomish giusto a creare un po' di confusione mentale in chi vorrebbe provare ad affibbiare un'etichetta a questi quattro tizi particolari. Con la seconda "Foal to Mare", i nostri ci conducono dalle parti di uno shoegaze intimista che con i suoni dell'opener non hanno davvero nulla a che fare, fatto salvo per quella voce delicata che mi ha ricordato un che dei finlandesi This Empty Flow o degli Handlingnoise, due band che potrebbero avere più di un punto di contatto con questi SBW. Con la terza "We are All Animals" si torna ad accelerare il ritmo con improvvise percussioni telluriche che si inframezzano a parti ancora dal piglio shoegaze. "Acid Gold Sun" è un po' più robusta a livello ritmico, con dei suoni forse un po' impastati nei quali rischia di perdersi la voce di Nicholas Bowman, ma la vena melodico/malinconica che permea questo brano, ne risolleva comunque le sorti. E questo mood malinconico si mantiene anche nella successiva "Dissolving", che ammicca ancora a quelle band finniche che con i Decoryah, avevano aperto un filone musicale davvero originale. I nostri mancano forse ancora di quel pizzico di originalità in più che mi aveva portato ad amare follemente quelle band, però devo ammettere che il sound degli SBW ha comunque il suo perchè, soprattutto laddove i nostri impongono un ritmo più solenne ai brani. Più fumosa "Heaven Collapse", la traccia che forse meno mi convince di questo 'Echoes'. Non si offendano i quattro australiani quindi se decido di skippare avanti a "Disc of Shadows", un brano breve ma ficcante, con una ritmica densa e oscura che va riproponendosi nella spettrale "Echo from Hill", un altro pezzo interessante ma che sembra mancare di una verve più spiccata, visto un finale quasi interamente lasciato a voce e percussioni. Magnetico l'incipit di "The Final Vehicle", una song in bilico tra post metal e alternative rock, con un finale a sorpresa all'insegna di un doom disarmonico. Ancora percussioni tribali nella prima parte di "Omega" (il finale sarà ancora sludge/doom), ultimo atto di questo interessante 'Echoes', un disco certo di non facile assimilazione ma che sarà in grado di regalarvi attimi di inquieta emotività. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)

domenica 27 settembre 2020

Solkyri - Mount Pleasant

#PER CHI AMA: Post Rock/Math
Quando si parla di Bird's Robe Records è inevitabile pensare immediatamente a qualche realtà australiana dedita ad una qualsiasi forma di post strumentale. Non mi sbaglio quando infilo il cd dei Solkyri nello stereo e mi ritrovo una band originaria di Sydney (ma questo l'avevo già letto nel flyer informativo) che propone appunto un post qualcosa senza avere un vocalist. Questo è quanto lascia trasparire la song in apertura di 'Mount Pleasant': "Holding Pattern" è infatti una miscela irrequieta di post e math rock, che lascia spazio a ritmiche sghembe nella prima parte e si concentra in suoni più intimisti nella seconda. "Potemkin" inizia graffiante tra ritmiche infingarde e stop'n go, in un rutilante incedere non proprio cosi armonioso e melodico come mi aspettavo. Sono alquanto ostici questi quattro ragazzi della East Coast, sebbene abbia l'impressione che loro si rendano conto di poter tirare fino ad un certo punto la propria proposta ma poi essere costretti a dover mollare, dando più spazio ad un sound melodico e pulito che qui si mantiene però criptico e nervoso. "Pendock & Progress" sembra più shoegaze oriented (solo nella prima metà però), un tema quello della malinconia, che tornerà anche nelle successive "Meet Me in the Meadow" e "Time Away". La musica dei nostri è sicuramente piacevole e chi apprezza questo genere di sonorità non dovrà certo lasciarsi scappare questo lavoro che per lo meno mostra meno prevedibilità rispetto a tanti altri dischi analoghi. Quello che lamento ovviamente io, Don Chisciotte del 2020 che lotta contro i mulini a vento, è forse che un elemento fondamentale come la voce non dovrebbe mai mancare, in quanto caratterizzante la proposta di una band, in male o in bene sia chiaro, ma a volte bisogna prendersi certi rischi. Però, che volete che vi dica, io mi infilo le cuffie, inizio ad ascoltare, ma dopo un po' mi subentra comunque una grande noia, per cui devo interrompere e pensare di riascoltare in un altro momento. Mi è capitato anche qui lo devo ammettere, sebbene i buoni pezzi non manchino. Penso alla già citata "Meet Me in the Meadow", emblema proprio shoegasiano, o ancora alla spettacolare "Summer Sun", il mio pezzo preferito: inizio tiepido quasi si trattasse di una melodia da tramonto di fine estate. Poi la traccia evolve, acquisisce dinamicità, potenza, verve forte di quei riverberi spettacolari di chitarra e pulsioni tooliane che la rendono decisamente diversa dalle altre e anche più abbordabile ed interessante. In chiusura, un altro pezzo degno di nota, "Gueules Cassées", una cavalcata roboante di poco più di sette minuti che avrebbe certamente meritato un vocalist a piazzarci quattro urlacci in mezzo per avvalorarne ulteriormente la qualità. Insomma, della serie chi si accontenta gode. (Francesco Scarci)

(Bird’s Robe Records/Dunk!records/A Thousand Arms - 2020 )
Voto: 72

https://solkyri.bandcamp.com/album/mount-pleasant

venerdì 28 agosto 2020

Iiah - Terra

#PER CHI AMA: Post-Rock
Formatisi nel 2013 in quel di Adelaide, gli Iiah sono un quintetto dedito ad un fluttuante post-rock cinematico, fatto di catartici momenti ambient impreziositi da ottime linee di chitarra. Questo è almeno quello che ci dice "Eclipse", la song che segue a ruota la strumentale ed ipnotica opening track di questo 'Terra', secondo album per la band australiana."Eclipse" è un dolce affresco musicale guidato dai gentili tocchi di chitarra del duo formato da Ben Twartz e Nick Rivett (anche se in realtà pure il vocalist Tim Day si occupa di chitarra e tastiere). Il risultato che ne consegue è il classico post-rock senza particolari sussulti e che anche nella seconda traccia si conferma strumentale. E allora attendiamo di sentire la terza "Aphelion" per capire su quale modulazione si attestano le corde vocali del frontman e comprendere qualcosina in più dei nostri, che musicalmente potrebbero essere collocabili a fianco di formazioni tipo This Will Destroy You, We Lost the Sea o Sleepmakeswaves. La voce di Tim ha una buona timbrica (evocante il cantante degli Anathema) e in questo caso viene raddoppiata dalla voce soave collocata più in sottofondo, di Maggie Rutjens. Il risultato è suggestivo, quanto meno rilassante e ben si adatta con la melodia e le ritmiche sul finale più crescenti. "Sleep" prosegue il mood rilassato abbracciato dalla band che ricorda in un qualche modo le sonorità sognanti dei Sigur Rós, il problema semmai è che alla lunga rischi di divenire troppo ridondante e noioso e la tentazione a skippare al brano successivo si fa più forte che mai. E qui arriviamo a "20.9%", oltre nove minuti di musica che o mi danno una poderosa carica per risvegliarmi o mi spingono definitivamente verso le braccia di Morfeo. Fortunatamente, le chitarre in tremolo picking che esplodono quasi all'inizio del brano, mi fanno propendere per la prima soluzione, facendomi apprezzare le buone linee melodiche imbastite dai nostri, che rimangono tuttavia incellophanate in strutture un po' troppo limitate, senza mai tentare un vero e proprio azzardo musicale. Forse risiede qui il vero limite della band che per quanto sia piacevole, alla lunga stufa perchè privo di un vero e proprio guizzo vincente. Rimangono ancora da ascoltare le conclusive "Luminescence", morbida ma ancor priva di mordente, sebbene nella seconda parte si dia maggior risalto alle chitarre. In "Displacement" ricompaiono le voci in un background musicale fortemente malinconico che trova qualche spunto interessante nella seconda parte che ricorda nuovamente gli Anathema più emotivamente disperati, ma che comunque la elegge a mio brano preferito. L'ultima song è la lunghissima "Lambda", 13 minuti che si aprono con la tribalità del drumming e prosegue all'insegna di un post-rock sognante, emotivamente votato ad una straziante malinconia e che risolleva decisamente le sorti di un disco che nella prima metà stentava davvero a decollare. Sicuramente un passo indietro rispetto al disco d'esordio, ma sono certo che in futuro gli Iiah sapranno rifarsi. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)
Voto: 68

https://iiah.bandcamp.com/album/terra

sabato 27 giugno 2020

Seims - 3 + 3.1

#PER CHI AMA: Math/Post Rock/Avantgarde
Quello dei Seims è il tipico lavoro di casa Bird's Robe Records, un'etichetta che seguiamo ed apprezziamo da anni qui nel Pozzo dei Dannati. E cosi, un po' come tutte le band della label australiana, anche la compagine di Sydney propone un sound (semi)strumentale, all'insegna di un ibrido sperimentale tra post rock e math. Peraltro, come il titolo suggerisce, '3 + 3.1' include l'album '3' uscito nel 2017 e l'appendice successiva, '3.1' appunto, rilasciata lo scorso anno, qui ora raccolte in un'unica release. Sette pezzi quindi da ascoltare, cominciando dall'opener "Cyan", una song che inizia a fare chiarezza sul concept relativo ai colori e alla scelta ora più sensata dell'artwork di copertina. Una traccia che parte come avvolta in un nero velo che sembra lentamente in grado di dischiudere colori via via più brillanti, muovendosi da un post rock chiuso e riflessivo verso lidi western (splendide le trombe e gli archi a tal proposito) e poi sul finale, follemente più math rock oriented, con un risultato piacevole e originale, che non manca di robustezza e divagazioni electro jazz avanguardiste. Il secondo colore è "Magenta", e sfavillante quanto la sua tonalità, anche il brano sembra lanciarsi in sonorità dirompenti, che tuttavia non raggiungono la medesima qualità emozionale dell'opener, ma palesano piuttosto una difficoltà nella costruzione di un'architettura sonora altrettanto convincente. "Yellow", il giallo, è la terza tappa nel mondo dei colori dei Seims, e anche qui la proposta del quartetto capitanato da Simeon Bartholomew (supportato da una marea di ospiti) sembra trovare qualche difficoltà in termini di fluidità sonora, sebbene i nostri vaghino in stralunati ed asfissianti mondi noise, math, prog, psichedelicamente ondivaghi come il suono delle chitarre qui contenute. Il pezzo dura oltre 12 minuti e vi garantisco che non è cosi semplice da affrontare senza rischiare la follia mentale (soprattutto nella seconda parte), complice anche l'utilizzo di vocalizzi che sembrano provenire da un gruppo di amici completamente ubriachi ed un finale affidato ad un ambient etereo che stravolge completamente quanto ascoltato fino ad ora. L'unione dei primi tre colori genera il nero imperfetto che dà il nome alla quarta "Imperfect Black", ove ad evidenziarsi è la voce femminile di Louise Nutting su di una linea melodica completamente dissonante che ci conduce ad "Absolute Black", primo pezzo di '3.1' che mostra nuovamente quella verve splendente che avevo apprezzato nella traccia d'apertura e che anche qui risuona in un'ingovernabile struttura matematica davvero imprevedibile soprattutto quando imbeccata da viola, violoncello, tromba e trombone che rendono il tutto decisamente più godibile. Fiati ed archi non mancano nemmeno in "Translucence" (che dovrebbe essere la trasparenza), un pezzo che fatica un pochino a decollare ma che nella sua seconda metà mette in mostra comunque qualche ulteriore buona cosa dell'act australiano. A chiudere il disco ci pensa la roboante e melodica "Clarity", il brano probabilmente più immediato del cd e più semplice se si vuole avvicinarsi alla band. La melodia è davvero coinvolgente e funge da colonna sonora al video estratto dal disco, una sorta di mini documentario sull'esperienza della band in tour in Giappone che ci racconta qualcosina in più di questi meritevoli Seims. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)
Voto: 74

https://store.seims.net/album/3-31

martedì 11 dicembre 2018

Hazards of Swimming Naked - Take Great Joy

#FOR FANS OF: Post-Rock, Godspeed You! Black Emperor, Mogway
This melodic Australian post-rock album is a joy for the people who like to dream during their listenings, a delightful piece of harmonious music, a work almost wordless except for the nostalgic and sweet remake of the Icelandic lullaby "Sofðu Unga Ástin Mín" where a female voice lulls fear and anger, letting us dive into a lake of peace and hope. Hazards of Swimming Naked reveal in this 2018 their second album, almost nine years after their debut ‘Our Lines are Down’ and promise to launch a tour starting apparently from the 15th of December 2018. This latter release is one of those albums that make me thankful to write music reviews, in a bunch of unknown artists this Brisbane’s collective switch a light on and illuminate my boring afternoons, a breathing proof that a singer is not necessary to compose a great rock album. What I liked the most is for sure the sensation of resonance and nostalgia played by the brilliant arpeggios, the feeling of an enjoyable sadness orchestrated by pieces of trombones, arches and bells. ‘Take a Great Joy’, in conclusion, is a sweet electric fable, one of these tales that we never want to stop listening: an epic announcement in "There Was Never a Right Time", an adventurous development in "Waiting for 5120", a breakdown in "Curtis", a mysterious ascent in "I Don’t Know This Road", a reflexion in "This Common Thread" and, in the end, an inevitable advice: "Accept the Mystery". Well done mates! (Pietro Cavalcaselle)