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sabato 11 maggio 2019

Sirena Velena – The Blood Girls (Le Mestruo)

#PER CHI AMA: Dark/Industrial/Ambient
Per la collana di produzioni Ho.Gravi.Malattie. a sfondo artistico/concettuale dell'etichetta torinese underground, HgM, ci giunge un nuovo capitolo tutto da scoprire. Nell'ambito dell'intento di portare a galla e sensibilizzare l'ascoltatore verso malattie o disagi più o meno gravi della vita quotidiana e moderna, l'artista palermitana in questione (Leandra Ardizzone), ci offre un EP, scandito da una voce narrante e scorribande rumoristiche varie, di sole tre tracce, sul tema delicato ed intimo del mestruo femminile, considerato in certe culture una vera e propria malattia discriminatoria per il genere femminile. L'aspetto visitato di questo rituale è visto con severa drammaticità e nel contesto del lavoro ci si addentra in un tipo di sofferenza che enfatizza il lato più doloroso e psichico di tale disagio. Le grida sul finale del primo brano dal titolo "Indisposizione" sorprendono per realistica interpretazione, il pulsare ritmico e ripetitivo dei rumori ed il recitato di "Le Ho", fanno avvicinare il nostro stato d'animo a quello della donna che vive queste situazioni una volta al mese. Unica pecca, ma voluta per esigenze sonore/stilistiche, è che il testo, in italiano, è poco comprensibile per via degli effetti usati che lo disperdono un po', ma resta comunque validissimo il risultato finale, drammatico e tagliente, a dir poco destabilizzante. La tensione si carica ulteriormente sul conclusivo terzo brano dal titolo "Non Posso Alzarmi", con quella sensazione di infermità e incapacità percepibile che la bella voce narrante di Sirena Velena (modella d'arte, performer, sperimentatrice noise) riesce a trasmettere legata al suo modo, molto intelligente, di paragonare ad ugual valore, l'arte del rumore ad una composizione musicale di tutto rispetto. La violenza di questo lavoro è palpabile, coerente e molto veritiera, in un suono diviso tra lo-fi noise, rumoristica e minimal industrial ambient, con il cd che contiene copertina ed un inserto a tema sanguinolento per rimarcare il concept delle composizioni. Il lavoro è disponibile anche in edizione limitata a 26 copie in cassetta (rossa/bianca) all'interno di un assorbente in busta di plastica rossa (peccato non siano stati inseriti i testi dei tre brani). Questa è la linea di confine estrema che separa la musica d'intrattenimento dalla musica di riflessione, l'espressione artistica che, tramite rumori e parole, dà sfogo alla lotta di sopravvivenza quotidiana della donna. Un EP sicuramente molto particolare, ispirato e di nicchia ben riuscito. Musica di culto e d'arte che non può e non vuole essere rivolta a tutti, poichè necessità di una sensibilità più alta per essere recepita ed apprezzata. (Bob Stoner)

The Worst Horse - The Illusionist

#PER CHI AMA: Hard Rock/Stoner
Una mitragliata hard-stoner-fucking-rock’n’roll ci getta violentemente in questo 'The Illusionist'. L’opener “Tricky Spooky” ci aggredisce e ci trascina giù, vorticosamente nel disco, al grido rabbioso dei milanesi The Worst Horse. Un grido che sale dal basso e si protrae fino alla successiva “313 Pesos”, che non accenna a diminuire i toni, con l’imposizione del suo groovvone metallico e fregiandosi di richiami (e ricami) hard blues, sempre ovviamente con gli amplificatori sparati al massimo. 'The Illusionist' è in realtà un concept, improntato appunto sulla figura appunto dell’Illusionista. Questo tetro personaggio è artefice ma allo stesso tempo vittima di malvagità, ormai schiavo di quei mostri interiori che ha voluto seguire ma che ora si impongono al suo volere, gli stessi mostri che sovente s'impossessano anche dei cupidi esseri umani. Le tetre fantasie che s'incontrano nei brani, sono infatti profonda allegoria di una realtà che troppo spesso cede alle malvagità, quei demoni che raschiano il fondo dell’anima umana e tuttavia ne sono anche parte integrante. La title-track, coi suoi richiami ai Motorpsycho più recenti, funge appunto da descrizione-presentazione del nostro Illusionista e della sua eterna caduta. L’album procede senza intoppi, sempre sfoggiando riffoni e groove trascinanti in puro stile Worst Horse, tra pure sonorità stoner alla The Sword ed ispirazioni dark-blues sabbathiane. Elemento fondamentale, anche per lo storytelling del concept, le vocals potenti e laceranti (come nel brano “XIII”) di David Podestà, fondatore del gruppo assieme al guitar-man Omar Bosis. Dopo essere passati per oscuri anfratti e scabrosi pensieri, arriviamo in conclusione, dove ci aspettano sette abbondanti minuti con la sparata hard-rock “It”, brano solido, dal titolo già decisamente evocativo in ambito di demoni e terrori. La struttura è decisamente articolata rispetto agli altri brani, ma pur sempre coesa, traduzione di un ottimo lavoro a livello compositivo e di arrangiamenti del trio milanese (oggi quartetto con l’ufficializzazione dell’ingresso del nuovo bassista). Da segnalare anche la presenza su quest’ultima traccia di un ospite d’eccezione: Luca Princiotta (Doro Pesch, Blaze Bayley) come chitarra solista. Diretto e deciso, ma molto più profondo del previsto nelle tematiche, questo concept-album è sicuramente un’eccellente prova da parte dell’ensemble milanese, che prima di 'The Illusionist' aveva pubblicato un EP omonimo, 'The Worst Horse'. Negli ultimi anni la frequente attività live deve aver temprato le corde di questi ragazzi dal grande potenziale, che ci regalano un’altra piccola chicca da inserire nell’ampio panorama dello stoner-rock nostrano, arricchito però da quell’anima groove ed aggressiva che li contraddistingue. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Karma Conspiracy Records - 2019)
Voto: 82

https://theworsthorse.bandcamp.com/album/the-illusionist

Kamala – Your Sugar

#PER CHI AMA: Psych Rock/Jazz
È un tocco di sana vena artistica quello che supporta la creatività di questa band tedesca, una verve che da tempo non sentivo, forse dai tempi dei super album di Paul Weller oppure degli Aztec Camera, album incantevoli come lo è 'Your Sugar', raffinato, ricercato e colorato. Non mi trovo d'accordo con la dicitura esposta sull'adesivo di copertina che etichetta il quintetto di Lipsia come "the new way of jazz & krautrock", cosa che a mio avviso svia la vera identità della band, ovvero, personalità jazz molto classica in salsa pop, innesti di soul e R'n B e una propensione psichedelica ed easy listening di classe, ottimi musicisti ma di krautrock neanche l'ombra. Questo non è un male visto che la band si contraddistingue per un sound vivace e frizzante, con un cantato intenso e caldo, chitarre avvolgenti che a volte sfiorano certa pop/wave degli anni '80, (il ricordo vola verso Johnny Marr) un paragone di dovere è anche l'accostamento a band di culto dell'acid jazz negli anni '90/2000 come potevano essere gli splendidi Corduroy, con la sofisticata raffinatezza e nobiltà stilistica degli album degli Style Council, mischiata al suono morbido e ultra dilatato dei Kikagaku Moyo (vedi l'album 'Masana Temples') anche se, in termini allucinogeni, molto meno spinti ma comunque capaci di tener sempre aperta la porta verso l'approccio psichedelico. Musicisti di ottima qualità che offrono composizioni aperte e solari ("Chronic Burden" è un gioiellino), dal taglio sonoro molto inglese, un'opera completa e fantasiosa, un percorso che nella sua mezz'ora abbondante di musica ci fa riscoprire il gusto per certe forme di jazz morbide e suadenti, a volte più sbarazzine e pop rock oriented, mai banali o lasciate al caso, a volte più intensamente elaborate ed intriganti. Tutti i sette brani dell'album sono di ottima fattura e nessuno sfigura all'interno della compilation (uscita per Tonzonen Records), mostrando una produzione più che eccellente con una profondità, una definizione e pulizia di suono degni di nota e assai appetibili per chi apprezza veramente la registrazione del suono reale che in più di un momento rispolvera il sound del buon vecchio, classicissimo, caldissimo disco in vinile di alcuni capolavori del jazz internazionale. Il disco, che crea una frattura ed al contempo un'evoluzione con i lavori precedenti della band, è contagioso, di qualità, fatto apposta per chi ama la musica di scoperta e multicolore. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2019)
Voto: 78

https://kamalapsych.bandcamp.com/album/your-sugar

Gabriel Lemaire, Matthieu Prual, D'Incise, Toma Gouband, Mathias Delplanque - Sans Titre #1

#PER CHI AMA: Experimental/Alternative
Due lunghi brani (assolutamente senza titolo) nati da una performance musicale live di tre ore al museo d'arte di Nantes, costituiscono il contenuto sonoro di questo cofanetto creato sotto la buona stella della sperimentazione ambientale rigorosamente suonata con l'aggiunta di live sampling e processori. Vi troviamo cinque musicisti tutto d'un pezzo, Gabriel Lemaire, sax alto e baritono, Matthieu Prual (la mente del progetto), sax alto e clarinetto, D'Incise, Orla keyboards, objects, electronics, Toma Gouband, batteria, percussioni, singing stones e Mathias Delplanque, live sampling e audio processing. Abili suonatori che sfidano le teorie della composizione rompendo gli schemi, creando arie statiche con piccole divagazioni sul tema, ritmi percussivi mai invadenti ma molto disturbanti a livello emotivo, aiutati nel loro intento da una tensione sempre presente, nulla di oscuro o violento ma una pressione continua sul tasto dell'emotività che spinge lentamente l'ascoltatore ad una crisi di nervi. Per 35 minuti filati, ci si intossica di visioni astratte dal ritmo lento, a volte ossessive, a volte sospese, a volte surreali, oblique, decise nel descrivere un certo disagio con profondità e realistica intensità. Non è un disco di facile ascolto, non è immediato, possiamo considerarlo una colonna sonora ben fatta con una produzione seria e una registrazione dal vivo di alta qualità. Un tipo di ambient ostica, dura e rarefatta che ha bisogno di essere compresa e considerata nella completezza dell'opera con più ascolti. Rumori e umori che si fondono per creare un paesaggio irrequieto, tesissimo. Dietro questi suoni (il disco è uscito per la francese Ormo Records) ci sono musicisti istruiti, che sanno creare e si sente. Non si arriva a questo tipo di ambient rumoristica senza attraversare i campi infiniti della musica classica e il jazz d'avanguardia o la sperimentazione tout court. Un buon estratto per ricercatori di musiche surreali, ipnotiche e sperimentali di lusso. Musica per fluttuare in un mare di pensieri pesanti e neri come la pece. (Bob Stoner)

mercoledì 24 aprile 2019

Il Re Tarantola - Scopri come ha fatto Il Re Tarantola a fare 50000 Euro in una settimana

#PER CHI AMA: Indie/Alternative
Un argomento dettagliatamente eviscerato nella sterminata letteratura musicale pop-punk italiana degli ultimi trent'anni (cfr. Senzabenza, Voina, Four Flying Dick et tantissimi al.): la fenomenologia comportamentale intergenerazionale della sfiga, ("Boero", "Agguati") anche sentimentale ("La Maglietta di Joe Cocker"), perché, amici, nella vita quello che conta ("Sono un Campione a Ballare da Seduto") alla fine è soltanto fanculo riderci sopra (nella copertina il re Tarantola taglia la strada a un gatto nero seduto alla guida della propria auto). Ma anche dada/msoniane epopee turistiche intergalattiche ("Suono per Pagarmi le Multe che Prendo Quando Vado in Giro a Suonare" - sì, è il titolo della canzone), metodi alternativi di fisioterapia applicata ("La Nostra Evoluzione Artistica Deriva Solo dalle Sigarette") e, vedi tu, un'arguta riflessione sulla incolmabile distanza interposta tra noi e certi portaceneri ("Mi Odio"). La vivace, a tratti irresistibile ironia esistenzial/social/scatologica del peloso monarca a otto zampe (a.k. anagraficamente Manuel Bonzi) pesca davvero ovunque, con una predilezione per certi paradossali ribaltamenti di sensibilità freak/antoniana, evidente per esempio nel singolo "Sono un Campione a Ballare da Seduto" ("A guardarmi così non mi dareste una lira / ma se mi conosceste un po' probabilmente dovrei pure pagarvi"). I suoni, a volte un po' artigianali, ("La Maglietta di Joe Cocker") attingono con disinvoltura anche a Blink 182, Green Day, Tre Allegri Ragazzi Morti ecc. ecc. (Alberto Calorosi)

Trevor and the Wolves - Road to Nowhere

#PER CHI AMA: Hard Rock, AC/DC
Nel primo album solista pubblicato dalla catarrosissima voce solista dei genovesi Sadist, rileverete fin da subito un'attitudine elettivamente e ostentatamente wild, pronta a riflettersi innanzitutto nella copertina, qualcosa a metà tra il vicino scorbutico di Dinamite Bla e un Rufus Ruffcut post Wacky Race e, subito dopo, nella ruvidità lignea e immediata dei suoni (chitarra, batteria, riuscite forse a non battere il piede per terra? Sì? Sul serio?) in modi non dissimili da cert'altri celeberrimi boscaioli a corrente alternata/diretta e provenienti dai famigerati antipodi. Riff asciutti, batteria metronomica: l'AB/CD del sound AC/DC omaggiato nella iniziale "From Hell to Heaven Ice" si propaga in realtà per tutto l'album, soltanto saltuariamente (e timidamente) virante verso sensazioni vagamente spacy (il blue-oyster chitarrismo percepibile in "Burn at Sunshine"), o NWOBHorrorM (una fuggevole capatina nel confortevole death metal sound della casa, è gentilmente offerto in "Bath Number 666"), oppure "motörheadeliche" (in "Wings of Fire" e "Lake Sleeping Dragon" ad esempio) o infine hardfolk/ancorapiùhardblues (nel violino scorticato di "Red Beer" o nella kilmister-sadness-blues "Roadside Motel"). Devozione, professionalità e un songwriting indubitabilmente ebanistico. (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2018)
Voto: 65

https://www.facebook.com/brutaltrevor%20/

The Shadow Lizzards - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Groove Rock, Led Zeppelin
Un chitarrismo apertamente 1969/hendrixiano ("Power On" e tante al.) o jimmypage/esco ("Overhaul" e le restanti al.), a tratti eminentemente strumentale (cfr. la lunga coda psych di "Breathtaker", le divagazioni bluesy stile Gov't Mule di "Sea of Curls" e "Go Down"), una voce (non sufficientemente) rauca d'ordinanza, una batteria non sempre mixata a dovere ("Rip Me Off"), qualche timida testardaggine stoner (la paranoid-sabbatiana e successivamente iper-spacey "Warzone") e, splat, giù tonnellate di quella specie di gelatina hammond ("Go Down", "Power", "Rarity" e tutte le al.) color profondo purple utilizzata da qualche anno a questa parte dagli ingegneri del sound più astuti come principio attivo antichizzante: il frondosissimo album d'esordio delle Luccertole (sic) ombreggiate di Norimberga si colloca con monolitica intenzionalità nella prima periferia del popolosissimo empireo zeppelin-centrico, notoriamente pullulante di reggiseni sventolanti e ipertricotici beati in stato sempiterna rock-fattanza, ad osare là dove osano (si fa per dire) autori del calibro di Mountain ("Top of the Mountain", ovviamente), "Rival Sons" e soprattutto "Graveyard". Una manna sonora alla psilocibina per il vostro unico, rugginoso ganglio uditivo rimasto. (Alberto Calorosi)

(Tonzonen Records - 2018)
Voto: 75

https://theshadowlizzards.bandcamp.com/

Ritchie Blackmore's Rainbow - Memories in Rock II

#PER CHI AMA: Hard/Heavy, RJ Dio
Volonterosamente determinato a riempirvi gli scaffali e al contempo vuotarvi le tasche con quella nota logica di marketing cara alla politica italiana denominata annusa-le-mie-scorregge-puzzolenti, il Becchino Permamentato formerly-known-as-guitarist, sbatte fuori il terzo live-fotocopia in meno di due anni. Duemila16: 'Memories in Rock', di cui avrete senz'altro ammirato la copertina raffinata grosso modo come un bootleg filippino degli anni novanta. Duemila17: 'Live in Birmingham 2016', in cui avrete indubbiamente gradito la scaletta clonata (fuori "16th Century Greensleeves", dentro "Burn" e "Soldier of Fortune") come una pecora cinese canterina. Duemila18: 'Memories in Rock II', di cui avrete sicuramente apprezzato la clonazione al quadrato, nella copertina, uguale nientemeno che a 'Rainbow Rising', e nella scaletta (dentro tutti i summenzionati, più "All Night Long", "Temple of the King" e crepi l'avarizia, pure un fottuto inedito). Già, l'inedito. Il primo da ventitré anni a questa parte. Si parla di almeno diecimila metallari nel mondo ricoverati per complicazioni cardiache. Quasi la metà sarebbero reggiani. Un franoso mezzotempo 101% AOR aperto da un truffaldino (ma decente) riff Dio-era e nevrilmente percorso dai consueti clichet chitarristici di Mr. Becchino P. che potrebbe stare giusto sul lato B di 'Bent Out of Shape' o nelle bonus track di una qualunque release della Frontiers. Oppure qui. Si intitola "Waiting for a Sign". Un titolo, se ci pensate, straordinariamente comico. (Alberto Calorosi)

(Minstrel Hall Music - 2018)
Voto: 45

http://www.ritchieblackmore.info/

Swans - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Punk/No Wave
Già nell'EP d'esordio, i suoni vi risulteranno circolari come tangenziali cittadine e ossessivi come bollette, ciò che forgia a fuoco, è arcinoto, l'intera discografia della band, oltreché la vostra pazienza. Le dissonanze siderurgiche generate dalla chitarra sconquassata di Bob Pezzola, quando non intersecano scelleratamente il sax lancinante, ma soprattutto lancinato, di Daniel Galli-Duanis, individuano quella traiettoria urgentemente e furiosamente percorsa nei dischi successivi e, al contempo, una ancora identificabile prossimità con certi scenari coevi etichettati fantasiosamente almeno quanto certi copricapi floreali britannici del periodo. Post-punk, noise-rock, no wave. Joy Division, Bauhaus, Birthday Party ("Take Advantage"), persino i Talking Heads di 'Fear of Music' ("Sensitive Skin"). Il songwriting di Michael Gira è scorticante, sì, ma solo se contestualizzato, altrimenti vi risulterà comicamente orwelliano e un cicinino acerbo. “Play with a pig, and you become a pig / play in the mud, and you sink in the mud / fall in a hole, and you stay in a hole / you'll be there to look at”, "Take Advantage". Niente da obiettare. Ma tutto qua? (Alberto Calorosi)

Julie's Haircut - The Wildlife Variations

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psych/Kraut-rock
Un motorik insistentemente cosmico (scuola krautrock, Faust, Neu!) che sfreccia supersonico attraverso scintillanti nebulose costituite da dietilamide di acido lisergico. "Dark Leopards of the Moon". Una bucolica ballata sydbarrettiana autodissolventesi, arricchita di elettronica analogica, come potrebbe escogitarla un Beck Campbell di ritorno da un concerto dei Notwist. "Johannes". Tinte notturne e incombenti (Tindersticks, Chris Isaak, Apollo 440), una specie di trip-hop inverno-solstiziale. "Bonfire". Un calypso automatico eppure evolutivo, un elementare giro di basso e percussioni, e poi altro ancora. Forse un matrimonio chimico di suoni. "The Marriage of Sun and the Moon". Le quattro composizioni dell'EP 'The Wildlife Variations' risultano ancora una volta ecletticamente aromatiche ma per questo non meno intriganti, in totale continuità con la rivoluzione psych-prog già intrapresa con 'After Dark, My Sweet" nel 2006 e ultimata nel 2009 col magniloquente 'Our Secret Ceremony'. A centro pure stavolta, in estrema sintesi. (Alberto Calorosi)

(Woodworm/Trovarobato - 2012)
Voto: 78

http://www.julieshaircut.com/

Blackfield - Blackfield IV

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Rock
Si porta malauguratamente a compimento il processo di de-Stefanerd-izzazione (di questo 'B-IV', S-W non firma nessuna canzone, né la produzione) e, parallelamente, si schiudono ancora un po' gli orizzonti musicali di questo 'Blackfield IV'. Sentite per esempio, con alternate fortune, le blande dissonanze liofilizzate che chiudono la più che discreta "Pills", oppure gli inopportuni campanelli natalizi di "X-ray" o, nelle melodie, una maggiore attenzione early-psych-beatlesiana ("Kissed by the Devil" e "Firefly"). Oppure ascoltate la giuliva crapuloneria pseudo-celtica della terribile ma divertente "Sense of Insanity", con uno svogliato S-W alla seconda voce, contemporaneamente riflettendo sul fatto che utilizzare Steven Wilson come seconda voce è un po' come usare Pelé come raccatapalle, oppure Glen Hughes come bassista. L'elemento di maggiore freschezza e novità sarebbe rappresentato dalle importanti ospitate (in "X-Ray" Vincent Cavanaugh degli Anathema, vi ricorderà un Paul Carrack disidratato in "The Sky With Diamonds"; in "The Only Fool is Me" – ma, accidenti, perché non in "Kissed by the Devil" – Jonathan Donahue dei Mercury Rev, vi sembrerà l'ex-giardiniere di John Lennon eccezionalmente di buonumore in una rara giornata di sole londinese; in "Firefly", Brett Anderson dei Suede, vi farà venire alla mente un attempato Gene Pitney che canta "Something's Gotten Hold of My Nose" alla prese con una insidiosa caccola recalcitrante) se soltanto fossero state integrate un po' più convintamente nella scialba (e cortissima) scaletta di questo quarto decadente album. (Alberto Calorosi)

(Kscope - 2013)
Voto: 58

https://www.blackfield.org/

martedì 23 aprile 2019

The Pit Tips

Francesco Scarci

Shokran - Ethereal
Suldusk - Lunar Falls
In the Woods - Cease the Day

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Matteo Baldi

Julinko - Nektar
LEDA - Memorie dal Futuro
Black/Lava - Lady Genocide

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Alain González Artola

Mesarthim - Ghost Condensate
Schattenfall - Melancholie des Seins
None - Damp Chill of Life

Chalice of Suffering - Lost Eternally

#FOR FANS OF: Funeral Death Doom
Chalice of Suffering is a band coming from Minnesota, USA. The ensemble is certainly new as it was created in 2015 maintaining a quite stable line-up consisting of six different musicians. The only change was the departure of Robert Pollard in 2018. Almost all the members have a rich experience in other current or past projects, especially the guitarists Will Maravelas and Nikolay Velev, who play or have played in more than different 10 bands. Taking into account this, it’s not a surprise that the band managed to release its debut only one year after its foundation. The first release was called 'For You I Die', whose eye catching album cover was indicative of the subgenre the band was playing. Chalice of Suffering navigates between the thin borders of funeral doom and atmospheric doom/death metal. Though generally speaking, the pace is influenced by the former style, the music includes some aspects which inevitably remind some atmospheric doom/death metal bands.

Three years after the releasing of the debut, these guys come back with their sophomore work entitled 'Lost Eternally'. Although the album artwork could led us think that the band has gone to a more atmospheric black metal style, the core sound of Chalice of Suffering is still dominant. In fact, the band continues to mix the aforementioned styles, though the funeral doom influences are undeniably strong. Once again the songs are quite long, reaching in the whole album a full hour of duration. 'Lost Eternally' has 7 different pieces whose style is strongly atmospheric, something which I really appreciate in bands with such a slow pace. I wouldn’t say that keys play a main role, though their presence is noticeable and important through the whole record, being a nice example the third track “Forever Winter”, which has an evocating atmosphere. Vocally, the band tries to escape from the monotone vocals as the use of clean and narrated vocals add a welcoming variety. The narrated and whispered vocals, when they are used correctly, add a dramatic touch and the idea of an ongoing history. As it happens with the keys, the third track is able to show also how the band successfully used this resource, creating a typically doom metal song, but with some interesting characteristics and a healthy variety. The guitars are quite good, being as heavy as expected and playing with a very slow tempo. Thankfully, and though they have in many moments the characteristic monorithmic tone, they retain a melodic touch which enhances the cold yet dramatic atmosphere of the band´s compositions. In songs like the title track, the guitars play a major role accompanied by melancholic and sorrowful keys. This song is a fine example of how Chalice of Suffering is a purely funeral doom metal band, but still adding a slightly more melodic tone. Probably, the most intense track is “Miss me, But Let Me Go”, which includes some double bass sections and very interesting tempo changes, which make this song stylistically one of the most different and captivating of this album. The band has some Celtic influences considering that a band member who plays bagpipes. Strange enough, I can only recall the use of this instrument in the opening track “In The Mist of Once Was”, which I must say it’s my favourite track, thanks to the initial hypnotic and mysterious atmospheric introduction and the inclusion of the bagpipes themselves. This instrument fits surprisingly well with this genre, reminding me the positive debut of Downfall of Nur.

If I had to complain about this album, this would be the issue. The bagpipes should be used more frequently as they would give a higher touch of originality to the music by Chalice of Suffering. Apart from that, 'Lost Eternally' looks a very competent album able to satisfy every single doom maniac out there. (Alain González Artola)

lunedì 22 aprile 2019

Ellende - Lebensnehmer

#FOR FANS OF: Post Black
The black metal scene in the German speaking countries has traditionally been focused on a certain type of black metal where relentless songs were the norm, always intensive but retaining some sense of melody, which I have always found interesting. In recent times bands like the Germans Der Weg Einer Freiheit or the Austrian Ellende, without leaving aside this traditional approach, have increased this sense of melody creating albums where the atmosphere is particularly intense. Now it’s time to turn out our attention to the Austrian project Ellende. This one-man band was created by Lukas Gosch in Graz back in 2011 and this project is exclusively his property though he uses live members to play gigs.

Ellende plays a rather interesting mixture of black metal with atmospheric and post metal influences. From the very beginning, the quality of the stuff composed by Lukas was very good, though this project gained a bigger recognition in the scene thanks to the album 'Todbringer' which caught the attention of many fans. Thanks to this success, Lukas signed a new deal with the always recommendable label Art of Propaganda, which has made possible the release of the third and newest opus 'Lebensnehmer'. From the very first moment that you take a look the its macabre and war related artwork, you realise that this stuff is an ode to darkness and a melancholic approach to existentialism. Ellende’s stuff is primarily black metal with a strong atmospheric and mournful touch, where the guitars play a major role. This instrument´s tone varies from the most furious moments, mixing the most intense black metal with some post influences, and other sections where the riffs have a more tranquil and hypnotic touch. Those parts are the best ones in my humble opinion as they show the intense work Ellende has done composing these tracks. Like the guitars, the rest of instruments vary their tone and pace according to the approach of each song. This makes the compositions to flow very naturally from some fast and furious sections to the most mid-paced and even slow ones, where melodies are more prominent. A nice example of this could be the song “Der Blick Wird Leer”, which contains very contrasted parts. The keys play a secondary role in Ellende, though they have certain moments to shine during very short though inspired sections like in “Augenblick”, for example. Lukas likes to introduce some guitars with a more acoustic touch, as it happens in “Der Wege” or the excellent closing track “Atemzung”. The use of purely acoustic or, like this time, acousticesque electric guitar chords helps to reinforce the atmospheric and gloomy characteristics of Ellende’s music.

Ellende’s third instalment confirms the progression and quality of this Austrian project. 'Lebensnehmer' is an excellent work where the project reinforces its strengths and sounds more confident than ever. This album should help the band to increase its niche of fans, not only in the German speaking lands, but also in every country where people can appreciate this excellently done black metal. (Alain González Artola)

(Art of Propaganda - 2019)
Score: 85

https://ellende.bandcamp.com/album/lebensnehmer