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giovedì 29 novembre 2018

Marilyn Manson - Heaven Upside Down

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Ventennalmente in sospeso nell'iperuranio del vorrei(essereunmusicista)-ma-non-posso (perchénon-hounbricioloditalento), il reverendo Manzotin Manson continua a fluttuare lì attorno come un fantasma abitudinario, tra un Alicecoooperino poltergeist shock rock ("Tatooeed in Reverse" significherebbe non avere rimorsi, nelle fumose parole di Manzotin medesimo), ditonelculosi doppelganger old-school cyberpanchettini (la discreta "Saturnalia"), fatue evanescenze new wave ("Blood Honey") barra David Bowie ("Heaven Upside Down") e, per tutto il resto del disco, un ectoplasmatico consesso glam oltretombale stile Nine Inch Dolls ("Say10" è senz'altro un titolo carino) cantato con la timbrica e la perizia di uno che ha appena finito di vomitarsi sulle scarpe. Il satanismo dei testi ha lo spessore di un monologo di Bargnocla e gli insistenti autobiografismi sono persino peggio (l'importanza del ruolo dell'artista: "I write songs to fight and to fuck", "Je$u$ Cri$i$"; la complessità matematica del cosmo: "One, two, three, four, five, six, seven, eight, nine, ten / revelations come in twelve", "Revelation #12"). "Threats of Romance" macina improvvidamente i riff di "Gypsy" (Uriah Heep) e "Whole Lotta Love" (dei Led Zeppelin). È l'unico motivo per cui varrebbe la pena ascoltarsela. (Alberto Calorosi)

(Loma Vista - 2017)
Voto: 50

http://www.marilynmanson.com/

One Day as a Lion - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rapcore, Rage Against the Machine
Il lungamente atteso e velocemente dimenticato extended play dei One Day as a Lion mette in scena l'unica e ultima furibonda espressione successiva alla fuoriuscita dai R-A-T-M del lirismo acuminato e formidabilmente incursivo di Zack de la Rocha. L'insensatezza oscena delle guerre sante, tristemente attuali, ovviamente sconfessate dai profeti Cristo e Maometto nella fucilante "Wild International" diventa ahimè generica invettiva anticlericale (“Your God is a homeless assassin”, come non essere d'accordo?) nella prosaica "Last Letter". "If You Fear Dying" racconta il ruolo necessariamente e fieramente militante dell'autore, quello stesso ruolo che condusse allo sciagurato discioglimento dei Rage Against the Machine. E poi la brutale violenza di strada ("Ocean View") che assurge a espressione di un'inevitabile apocalisse moderna ("One Day as a Lion"). Se "Wild International", in apertura, riporta vagamente alla memoria il R-A-T-M sound che ricordavate, asciugatevi le lacrimucce, il dissonante prosieguo drum n' drone, squisitamente lo-fi, confusamente collocabile tra certo gangsta-noise ("If You Fear Dying") e i Jane's Addiction impallinati in un driveby ("Last Letter"), riuscirà, per motivi opposti, a fare esattamente ciò che fece il primo album degli Audioslave: confondervi. Il motto “meglio un giorno da leoni che una vita da pecora”, erroneamente attribuito a Benito Mussolini e recentemente ritwittato da Adolf Trump, fu commentato da Gramsci con queste parole: “la fortuna [di questo motto è] particolarmente grande in chi è proprio e irrimediabilmente pecora”. Chissà se Gramsci è mai stato tra le letture di Zack D-L-R. (Alberto Calorosi)

All My Sins - Pra Sila - Vukov Totem

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal/Pagan
Since the '90s, the Slavic countries have been a great source where to find black metal bands with a very particular sound. In countries like Russia, Ukraine or Poland, there is always a good chance to find ensembles whose quality and originality are beyond any doubt. Apart from the obvious technical skills of the involved musicians, in those countries there is another factor which I personally consider remarkably important. The Slavic culture, more precisely the ancient traditions with their huge respect for their history, is still very strong in those lands, and maybe black metal bands have taken those traditions, legends and customs as part of their core sound. This is a great aspect as bringing those influences to the black metal sound makes those bands more original.

All My Sins, a project who comes from Serbia, is another fine example of the aforementioned blend of influences. The band was founded in 2000 by Vladimir Uzelac, who has taken part in several other projects, and by Vladimir Morar. It hasn´t been a very active project if you take into account that they have released two demos and one EP only in almost 18 years. Fortunately, the wait is over and finally the band has managed to release their full album entitled 'Pra Sila - Vukov Totem'. I invite you to take a look to their amazing promo picks and you will realize how important is for them to portray their view of the Slavic culture and mysticism. Even though the imaginary is important for these guys, the music is always the main thing. 'Pra Sila - Vukov Totem' is a debut, where the mixture of powerful riffs, shrieks and Serbian mysticism, works perfectly well.

Just to be clear, this is not a folk metal album but a quite guitar driven black metal work, with some tweaks and arrangements which give to the work a mystic and epic touch. The album begins with a quite straightforward track entitled “Vukov Totem”, having some excellent riffs and a great level of aggression. Excellently executed shrieks, powerful riffs and speedy drums are a constant in 'Pra Sila - Vukov Totem', but as the album progresses the songs include more arrangements, like in the second song “Zov iz Magle”, where we can listen to some choirs in the background with a distinctive Slavic touch. They give an undoubtedly epic touch to the composition and they appear more times through the album, usually mixing those vocals with the keys, creating an ethereal atmosphere, like it happens in “Vetrovo Kolo”. The mixture between fast and aggressive sections with those arrangements is very well done and nothing sounds out of place. The album has an impressive ending with a long track entitled “Konačna Ravnodnevica” which seems to be divided in two parts. The first half is a long song, one of the heaviest with a hammering pace from the beginning to the end, while the second half is a calmer track with a more atmospheric approach. This is probably my favourite track because even being calmer, it is a very intense composition, with very emotional and touching melodies which stick to your head. Undoubtedly, a truly remarkable end to the album.

In conclusion, 'Pra Sila - Vukov Totem' is an excellent debut by All My Sins. They have created a very solid work of black metal, plenty of aggression, but with some arrangements here and there, which enrich the album. The closing track shows how good this band can be when they slow done a little bit creating songs with a stronger atmospheric touch. Personally, I would be more than happy if they explore this formula a little bit more in a near future. (Alain González Artola)

Subtrees - Polluted Roots

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Grunge/Noise, Alice in Chains
Una Bologna violenta, inquinata fino alle radici esistenziali, un mostro che si aggira tra i portici alla ricerca di vittime per vomitargli addosso il mal di vivere. i Subtrees sono quattro sopravvissuti all'olocausto musicale degli anni '90 si ritrovano a condividere una sala prove nel sottosuolo bolognese, mescolando la loro rabbia in un mix di grunge e noise rock struggente e diretto. Sette sono i brani contenuti in 'Polluted Roots' atti a colpire chi ascolta attraverso i suoni ruvidi e spontanei di "Syngamy", perfetta intro che ipnotizza inizialmente con la ripetitività dei riff di chitarra che crescono fino all'esplosione distorta e all'urlo rauco che travolgono l'ascoltatore. Nel crescendo dell'album si passa a "Everything's Beautiful Nothing Hurt", una ballata scanzonata che s'insinua nei nostri neuroni che scaricano scosse ritmiche ai muscoli delle gambe e delle braccia per farci vacillare in una danza scomposta. Nota di merito per la perfetta scelta dei suoni che rappresentano un inno al grunge di Seattle con qualche sfumatura alternative, per non parlare poi del timbro vocale del vocalist che, nonostante la giovane età, risulta roco e avvolgente quanto basta. Un dono di natura probabilmente aiutato da centinaia di bionde e litri di nocino. Finito il warm up, il quartetto bolognese ingrana la quarta e ci allieta con brani più graffianti e carichi, come "Conversation #1" e "Conversation #2", una doppietta che alza il tiro, allontanando i nostri dagli arrangiamenti simil-pop dei primi brani ed iniziando la discesa nelle oscure profondità dell'io interiore. Il gioco si fa interessante, i riff di chitarra sono aspri, decomposti e ricostruiti in una forma noise, che insieme alla sezione ritmica nervosa ed irrequieta, accompagna la deflagrazione sonora. Gli stop & go tornano sempre utili per spezzare la frenesia ed inserire passaggi simil doom che distendono i nervi e preparano all'attacco successivo. Immancabile l'assolo struggente e sporco che avvinghia come una lingua di fuoco e ci incatena ancora di più ai voleri dei Subtrees. Affrontiamo "Motorbike", presunto tributo all'art cover che raffigura una vecchia Honda Goldwing degli anni '80, un cosiddetto cancello per la pesantezza, ma dal fascino indiscutibile come il brano che rappresenta. In bilico tra il grunge alla Alice in Chains ed il desert rock più mistico, la traccia inizia lieve e dissonante come un motore non perfettamente carburato e pian piano si scalda fino ad assumere la sua forma struggente. Le progressioni allungano il malessere e, ormai riversi a bocconi, arriviamo alla tanto agognata parola fine. Un progetto fuori dal tempo, che guarda indietro per trovare la propria identità e dare risposta alle domande di un'esistenza corrotta da chi è venuto prima di noi. Eredità pesante o no, il rischio di rimanere vittime è alto, troppo. (Michele Montanari)

(I Dischi del Minollo/ Vollmer Industries - 2018)
Voto: 75

https://subtrees.bandcamp.com/album/polluted-roots

The Pit Tips

Francesco Scarci

Ingrina - Etter Lys
Abstract Void - Back to Reality
Windfaerer - Alma

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Alain González Artola

Ancient Blood - Mysterious Death Domains
Bloodshed Walhalla - Ragnarok
Utstøtt - Járnviðr

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Shadowsofthesun

Daughters - You Won't Get What You Want
The Ocean - Phanerozoic I: Palaeozoic
Morne - To The Night Unknown

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Dominik

Panzer Squad - Ruins
Nattsvargr - Night of the Crimson Thirst
Survival Instinct - I am the Night

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Five_Nails

Birnam Wood - Wicked Worlds
Tristania - Beyond the Veil
Soul Dissolution - Stardust

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Alejandro Morgoth Valenzuela

Oathbreaker - Rheia
Battle Beast - Steel
Helheim - landawarijaR

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Stefano Torregrossa

Whourkr - 4247 Snare Drums
Clutch - Book of Bad Decisions

Laconic Zero - Sun to Death

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Alberto Calorosi

Arabrot - Who Do You Love
Therapy? - Cleaver
Bruno Bellissimo - Ghetto Falsetto

martedì 27 novembre 2018

Ingrina - Etter Lys

#PER CHI AMA: Post Metal, Milanku
Ero preoccupato del fatto che 'Etter Lys' fosse un album strumentale (cosi riporta nei tag bandcamp) vicino a derive post-metal e post-hardcore; vista una durata che sfiora di sei secondi l'ora, la paura di annoiarsi, devo ammetterlo, era forte. Fortuna mia che questi oscuri Ingrina siano dei burloni, visto che già dall'opener, "Black Hole", il vocalist della band si abbandona a degli urlacci che supportano egregiamente un sound potente e carismatico, forte di una componente ritmica costituita da ben due batterie e tre chitarre. Le fondamenta di certo sono quelle del post-metal e la scelta di una cosi possente armata di musicisti, sembra evocare anche la formazione dei Cult of Luna. Fatto sta che il suono dei transalpini è godurioso, è raccomandabile peraltro di beneficiarne in cuffia, per assaporare tutte le sfaccettature di siffatta musica che tende a privilegiare la componente strumentale, tenendo ben presente l'importanza di avere una voce in seno alla band. I brani partono spesso in sordina, "Fluent" lo testimonia, ma poi crescono in intensità e ardore attraverso pluri-stratificazioni soniche deflagranti, urla disperate ma anche straordinarie aperture post-rock che smorzano una ferocia che ogni tanto sembra uscire dai binari del post e virare verso forme musicali più estreme. Niente paura perchè i nostri hanno una notevole padronanza del genere che propongono, quasi ineccepibile (lascio uno spiraglio di beneficio del dubbio) oltre ad un grande gusto per melodie in grado di generare una certa emotività di carattere malinconico. "Coil" è il terzo pezzo del disco e qui la monoliticità post-metal sembra cedere il posto ad un carattere più arioso ed etereo, in una sorta di post-rock e shoegaze, caratterizzati da ottime percussioni, vocals decisamente più diradate e giri di chitarra che sublimano in epiche fughe strumentali e rallentamenti atmosferici. Ragazzi, un pezzone dove tutto è straordinariamente bilanciato, potenza e melodia, rabbia e atmosfera, vocals e chitarre. Diverse sono le similitudini anche in "Resilience", piccola gemma strumentale incastonata in questo 'Etter Lys', mentre "Leeway" sembra strizzare l'occhiolino, in modo intermittente, un po' ai Cult of Luna e ai Rosetta, in un altro pezzone che mostra arrangiamenti da urlo, eccellenti partiture strumentali e momenti di grande atmosfera in grado più volte di indurmi brividi lungo la schiena. Si arriva ai quasi sedici minuti della suite "Surrender" e gli Ingrina mettono in mostra le loro capacità dronico ambientali in un pezzo che fa della sperimentazione il proprio punto di forza. L'andamento è lento, cantava qualche tempo fa un noto cantante italiano, e l'incedere della song emula proprio quell'ondivago avanzare, attraverso l'eccellente commistione di percussioni e chitarre che regalano sprazzi di grande classe musicale, che per certi versi, connette i nostri ad un'altra grande ex band della scuderia Tokyo Jupiter Records, i canadesi Milanku. Fatto sta, che a me questo disco piace, parecchio, lo trovo affascinante, creativo, intenso, regala grandi speranze per la vitalità del genere, un po' spentosi nell'ultimo periodo. L'ultima fatica è affidata a "Jailers", roboante nel suo incipit, cosi spettrale e magnetica nei rimanenti minuti che collocano questo 'Etter Lys' nella mia personale top three dell'anno in ambito post. Un piccolo capolavoro? Beh, manca davvero poco. (Francesco Scarci)

(Tokyo Jupiter Records - 2018)
Voto: 85

https://ingrina.bandcamp.com/album/etter-lys

lunedì 26 novembre 2018

Forteresse - Thèmes Pour la Rébellion

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Leaving behind the classic Norwegian or Swedish black metal scenes, there are some other quite strong scenes, which have risen in different parts of the world. Some nice examples are the Ukrainian or the Polish ones, among others. One of those which has been highly praised by fans over the world is the one of Quebec, in Canada. As many of you surely know, in Quebec, in contrast to the rest of the country, they speak in French and the nationalism is quite strong. In fact, they have held several referendums, where the pro-independence parties were very close to win, though the result was to stay in Canada. Here, black metal has been deeply influenced by this political movement and many of its bands show a quite political approach in their lyrics. Among them, we can find one of the most notorious acts, the Forteresse. The band was formed in 2006 and quite shortly after its inception, they released an acclaimed debut entitled 'Métal Noir Québécois', where their political views were pretty clear. This album is considered a classic effort in the scene and helped Forteresse to carve a respected status among the fans. Musically speaking, Forteresse plays a quite guitar driven form of atmospheric black metal, relentlessly fast but with a strong atmosphere, especially in the old albums where the production was rawer.

Anyway, the band evolved slightly through their career and more than ten years after its creation, the current line-up, formed by the two founders and other two musicians, decided to release a new opus, the fifth record in their history, to make clear that Forteresse is stronger than ever. A jubilee is always important and I assume that the members wanted to do their best. 'Thèmes Pour la Rébellion' is the title of the new beast and I can promise that it doesn´t disappoint. Comparing the new album with the oldest ones, the first big difference is the production. It is clearly louder, cleaner and more powerful. It abandons the classic raw but atmospheric sound, for a heavier one. This might disappoint some old fans, but in my opinion the band still manages to create songs, which are very strong though they keep an atmospheric touch. What has no changed is the energy and speed of their compositions. Fiel, who is no longer in the band, smashes the drums with a relentless pace. The compositions breathe energy and fury. As both the album´s artwork and the songs demonstrate, this album is a perfect inspiration for a, this time only musical, rebellion. After a short intro, the second track “Spectre de la Rébellion” makes clear that this work will take no prisoners. But probably, the highlight of the album, and also my favourite track, is the next one, “Là Où Nous Allons”. What a beast of a song, believe me. Since the initial riff the track oozes strength and fierceness. The guitars are excellent, the riffs are hypnotic yet powerful, while Athros screams with all his fury. As I have already mentioned the cd is quite guitar driven, more than ever I would say, and I can´t recall a moment where the keys are audible, if they are used. Arrangements wise, what I like are the choirs they used a few times, like in “Vespérales”. Those voices give an epic touch to their compositions and I wish they could use them more oftenly.

In conclusion, Forteresse has expanded its musical boundaries releasing in 2016 (but re-edited in 2018) their most poignant and furious album so far. The atmospheric nature of the compositions is still there, though it’s partially buried by the relentless fury and speed of the new tracks. At the end, it is a great album and from the beginning to the end, the tracks will be able to capture and mantain your attention, mainly thanks to the awesome work with the guitars. (Alain González Artola)

Tritonica - Disforia

#PER CHI AMA: Post Hardcore/Alternative
I Tritonica sono un power trio formato da chitarra/basso/batteria che hanno debuttato l'anno scorso a Roma con un EP e quest'anno ha pubblicato questo 'Disforia', full length prodotto da Dischi Bervisti. Il digisleeve cartonato a due ante è caratterizzato da un artwork astratto con spruzzi di colore potenti, dove i colori blu e rosso predominano. Se in psichiatria la disforia è l'alterazione dell'umore con una predominante inclinazione verso la depressione, i Tritonica esprimono tale concetto attraverso undici brani in bilico tra post-hardcore, alternative ed influenze grunge/stoner. Nel loro percorso attraverso la psiche umana, la band romana sprigiona ansia e terrore con la opening track "al-Ghazālī", dove le granitiche distorsioni e le dissonanze ad irritare i nostri neuroni, la fanno da padrone. Un brano veloce e rude, che urla contro il progresso e l'industria tramite ritmiche affannate e discontinue che si dilatano nell'intermezzo psichedelico. Se la parte strumentale richiama i Bachi da Pietra, il cantato in italiano confonde le idee, assomigliando prima a Cristiano Godano, diventando poi più rabbioso e incontrollato per enunciare un testo impegnato e accusatorio. "Alchimia del Fato" si sintonizza su frequenze diverse, ballando a lungo intorno al falò della vita alla ricerca del proprio io su un tappeto di funghi allucinogeni che cresce e monta verso il riff distorto che ne chiude il viaggio dopo circa sette minuti. Lo schema appena visto continua anche con "Jimi" che dopo un incipit soave e lisergico, si lancia in una progressione hard blues con pattern improcrastinabili e riff di chitarra e basso dall'impatto devastante in pure stile desert rock. Vari stop and go si susseguono lasciando spazio ai fraseggi di basso inizialmente quieti e leggeri che trasmutano in maniera oscura verso il finale. 'Disforia' è un concept album complesso a livello lirico, strumentalmente là dove serve, che si rilassa poi per dare spazi di riflessione alla mente che vive battaglie intestine di continuo. Solo alla fine, si arriva all'accettazione della pazzia che ci circonda e "Mimonesis" lo fa senza l'uso di parole, con continui sbalzi di decibel in una lunga e struggente sessione di jam che sembra morire ogni volta, ma invece riprende sbattendo la coda come un pesce che vuole aver salva la vita. A tutti i costi, perché è l'istinto di sopravvivenza a guidarci. (Michele Montanari)

(Dischi Bervisti - 2018)
Voto: 75

https://tritonica.bandcamp.com/album/disforia

giovedì 22 novembre 2018

Runeshard - Dreaming Spire

#PER CHI AMA: Orchestral Dungeon Metal, Bal Sagoth
Chi si ricorda dei Bal Sagoth alzi la mano: bravi, è una black metal band inglese, capitanata da Lord Byron, concentrata su temi prettamente fantasy che trattano di civiltà barbare nate "prima di Atlantide", re-guerrieri, necromanti e sacerdoti di terrificanti divinità legate all'immaginario orrorifico di H.P. Lovecraft. Perchè questa mia introduzione? Perchè l'ensemble di oggi sembra essere posseduto da quello spirito chtuliano che caratterizzava Lord Byron e soci nei loro lavori. 'Dreaming Spire' è il debutto assoluto dei Runeshard, anche se Bálint Kemény, uno dei due membri, milita anche in Astur, Elanor e Ignotus Enthropya. L'EP consta di tre pezzi più "The Coronation", una bella intro suonata con l'organetto. Ma è dalla seconda song, la title track, che le cose divengono palesi e la vicinanza stilistica con gli albionici, quasi plagio. I pomposi synth sembrano infatti provenire da uno dei fatati lavori dei Bal Sagoth, penso in particolare a 'Battle Magic' e alle sinfonie magniloquenti in esso contenute. Analogamente, la traccia dei Runeshard srotola quasi sei minuti di sonorità epico-sinfoniche, il cui tema sembra strettamente collegato con draghi e castelli incantati, cosi come certificato anche dall'artwork di copertina. La musica pertanto qui, come nelle successive "Crimson Gates" e "Atlantean Sword", si muove su riffoni heavy - no, non posso dire black - montagne di dungeon synth ed orchestrazioni trionfali, suoni da menestrello e vocalizzi che si alternano tra un growl graffiato e calde voci pulite, in 17 minuti votati a battaglie insanguinate per salvare la nostra principessa dal perfido incantesimo di un mago o presunto tale. Che la saga dei Runeshard abbia pertanto inizio, spero solo che, a differenza dei Bal Sagoth, i nostri possano trovare più variazioni al tema, che alla lunga rischia di stancare notevolmente. Intanto, fiato alle trombe e godetevi questo 'Dreaming Spire'. (Francesco Scarci)