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giovedì 7 settembre 2017

Amentia – Scourge

#PER CHI AMA: Techno Brutal Death, Necrophagist, Exhumed
A distanza di sei lunghi anni dal precedente ottimo 'Incurable Disease', la band di Minsk mostra una forma smagliante innalzando ulteriormente il tiro nei confronti della qualità della loro proposta. Dediti da sempre al verbo del technical/brutal death, in questo nuovo 'Scourge', i quattro musicisti giocano al meglio le loro carte calando sullo spartito tutta la loro esperienza di settore. I nostri si presentano questa volta con un prodotto altamente tecnico, violento, d'impatto e assai intenso da ascoltare a tutto volume, con variegati e stimolanti paesaggi sonori, taglienti e sinistri, comandati in maniera egregia, dalla voce gutturale dell'ottimo vocalist Zubov. L'act biellorusso si è poi fatto aiutare da una registrazione che permette tranquillamente di seguire ogni singolo strumento e che mette in evidenza le doti canore quanto le articolate peripezie artistiche del chitarrista Artyom che usa come mitragliatrici, chitarre ossessive e demoniache, uscite tra la follia dei Psyopus e il taglio macabro di Exhumed e Necrophagist, unite a venature di stampo death più classico. Perfetta la sezione ritmica con una batteria supersonica e un basso molto interessante, dal sapore decisamente sofisticato e dalla tecnica raffinata, cosa che offre decisamente parecchia verve all'insieme sonoro. Non sarà l'originalità con cui si distinguerà il combo bielorusso ma sicuramente gli Amentia verranno apprezzati per la bravura, la peculiarità e la personalità con cui costruiscono le loro composizioni, che sempre risultano vive e mutanti ad ogni ascolto. Ottima anche la produzione che opta per un sound reale e umano evitando quel suono finto e ipercompresso che a volte si tende ad utilizzare nel genere. La copertina è ben fatta e decisamente a tema, il disco mostra una durata giusta che si aggira intorno alla mezz'ora e con l'apertura affidata all'iniziale "Kill Me" e alla successiva "I Don't Believe" (brano peraltro stupendo con assolo spettacolare!) che insieme a "Sentence Executioner", rappresentano i tre brani simbolo di un album tutto da scoprire ascolto dopo ascolto, per una band che merita veramente tanta attenzione. In un mare di imitazioni e finti musicisti, gli Amentia risultano come un'isola felice. Entrate in sintonia con il significato del loro moniker e gustatevi la follia nascosta tra le note di questo ottimo 'Scourge'. L'ascolto è quanto meno dovuto! (Bob Stoner)

Fleurety - Inquietum

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Fleurety è un demone dell'oscurità, luogotenente di Belzebù, esperto di veleni ed erbe allucinatorie che appare nel Grande Grimorio scritto a quanto pare oltre 500 anni fa. Un nome, Fleurety, che a me rimane scolpito nella memoria per essere un gruppo autore di un album pazzesco di black psichedelico, che quasi gli valse l'appellativo di Pink Floyd del black metal. Sto parlando di 'Min Tid Skal Komme' che uscì nel 1995. Dopo quel disco nel 2000, un interessante album di musica d'avanguardia e poi un silenzio perdurato quasi dieci anni, a cui seguì una sfilza di EP, quasi a dirci che il duo norvegese è ancora vivo e vegeto. Ora tutti quei dischetti sono stati raccolti sotto lo stesso tetto, 'Inquietum' appunto, a prepararci ad una nuova uscita della band prevista per fine ottobre. Intanto proviamo ad analizzare questa compilation, confezionata egregiamente dalla Aesthetic Death, in un digipack giallo fosforescente. L'album si apre con "Descent Into Darkness", song che risale addirittura al primo demo della band, datato 1993 e qui rimasterizzata insieme alla strumentale "Choirs" e ad "Absence", originariamente incluse in 'Ingentes Atque Decorii Vexilliferi Apokalypsis'. La prima traccia si manifesta come una forma assai primitiva di quel 'Min Tid Skal Komme' di cui scrivevo poc'anzi, ossia un black metal psicotico e disturbato che offre chitarre ronzanti, annichilenti vocals malate e derive droniche che saranno più palesi nella breve "Choirs", fino a giungere all'infernale "Absence", in un black thrash caustico ed inconcludente che vede i nostri, solo nell'ultimo minuto, lanciarsi in un'avanguardista fuga psicotropa. Si arriva a "Summon the Beats" e "Animal of the City", le due song del 7" 'Evoco Bestia' e mi sembra di aver a che fare con un'altra band: abbandonati i perversi screaming del vocalist, ecco apparire una gentil donzella, Ayna B. Johansen, che offre le sue doti canore su di un sound arrembante, ovattato quanto mai delirante che sembra essere una B-side estratta dal secondo 'Department of Apocalyptic Affairs'. La seconda traccia è invece puro black metal, rozzo e malato, che soltanto negli ultimi 60 secondi lascia trapelare un che di epico ed indomito. Il terzo capitolo della saga include i due brani inclusi in 'Et Spiritus Meus Semper Sub Sanguinantibus Stellis Habitabit': "Degenerate Machine" è caratterizzato da uno strano mix a livello vocale con dei rigurgiti stralunati in stile Solefald uniti ad un qualcosa al limite dell'improponibile traslati in un sound dozzinale quanto mai ferale, ma ricco anche di riferimenti prog che preservano un'aura di misticismo sull'intero lavoro. La seconda "It's When You're Cold" è sperimentazione black noise parecchio difficile da digerire, se non dopo aver ingerito o fatto uso di una dose di sostanze decisamente proibite che inducono poi un lungo sonno lisergico. Il quarto e ultimo capitolo è affidato all'ultimissimo EP, 'Fragmenta Cuinsvis Aetatis Contemporaneae', uscito a inizio di quest'anno e che include "Consensus" e "Carnal Nations", due tracce che probabilmente fotografano l'attuale stato di forma del duo originario di Ytre Enebakk. Una prima traccia che affida la propria ritmica ad un black schizofrenico su cui poggiano strani effetti sonori e onde modulatorie disturbanti generate dai synth deviati di Svein Egil Hatlevik (la sua esperienza nei Dødheimsgard deve essere pur servita); la seconda song invece sembra essere la canzone più normale del cd, peraltro la più legata a quel primo grande album di questi folli musicisti norvegesi. 'Inquietum' è una raccolta davvero di difficile ascolto, consigliata ai soli fan della band, considerato che qui si raggiungono vette di estremismo davvero complicate da concepire. Per pochi intimi. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/thetruefleurety

domenica 3 settembre 2017

Distant Landscape - Insights

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock, Katatonia, Anathema, Riverside
Meglio non trovarsi in un qualche turbine emotivo prima di ascoltare il debut album dei nostrani Distant Landscape, rischiereste di venire sopraffatti dalla malinconica proposta che Marco Spiridigliozzi (mastermind della band) e i suoi compagni hanno prodotto. Io l'ho fatto e quale struggente mal di stomaco ne ho ricavato, lo sa solo il buon Dio. Già, perché dopo aver inserito 'Insights' nel mio lettore e avviato l'opener "Same Mistake", mi sono fatto trascinare da quel senso di sconforto, generato dalla perdita di una persona amata, colpa di melodie strazianti che hanno toccato con facilità le corde già sensibili della mia anima, anche se con sonorità (e vocals), che mi hanno evocato inequivocabilmente 'The Great Cold Distance' dei Katatonia, prima vera fonte di ispirazione dei nostri. Lo struggimento prosegue con le note delicate di "Cage Inside Us", una lunga traccia (oltre nove minuti) che partendo da atmosfere intimistiche, cresce pian piano di ritmo ed intensità, passando da un rock seducente ad un sound più robusto ed incazzato, sebbene mostri poi un finale più equilibrato e psichedelico. "First Insight" si apre con un arpeggio e la voce di Marco che emula con eccellenti risultati, il ben più famoso collega svedese, in una song intrisa di tristezza, soprattutto a livello lirico. Ripeto, meglio non ascoltare il disco se non siete sereni, l'effetto potrebbe essere destabilizzante, qui con la voce di una gentil donzella (Judith dei Raving Season), ad aumentare il carico di sofferenza. L'attacco roboante delle chitarre di "The Desire" lascia intendere un passato doom dei nostri, e quel riffone che chiama in causa gli Anathema periodo 'Pentecost III'/'The Silent Enigma', ne è la prova, anche se poi la tensione si allenta e torna lo spettro dei Katatonia ad aleggiare sui nostri, fatto salvo per chiudersi con una eterea spiritualità che ha smosso anche echi degli Alcest. Ancora un arpeggio in apertura per "The Change", e ancora malinconia grondante da ogni linea melodica che sia di voce o di chitarra, che mi accompagnano fino alla sesta "The Love of a Mother for Her Sons". Quest'ultima è una song che per testi e musicalità, ha scomodato un altro classico degli Anathema, "One Last Goodbye", estratto dal meraviglioso 'Judgement', riletto però in chiave più "moderna", stile 'Weather System', con tanto di voce femminile in primo piano. Al finale, ecco attendermi "Distant Landscape", l'ultima fatica in grado di dare il colpo di grazia al mio cuore già infranto e ora sedotto anche dal suo evoluto rock progressive che strizza l'occhiolino ai polacchi Riverside. Alla fine 'Insights' è un bell'album; se solo i Distant Landscape saranno in grado di acquisire maggiore personalità, scrollandosi di dosso le influenze di Anathema e soprattutto Katatonia, sono certo che sentiremo a lungo e strabene parlare di questi ragazzi. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/distantlandscape/

sabato 2 settembre 2017

Captain Quentin - We're Turning Again

#PER CHI AMA: Math Rock Strumentale
È musica decisamente poco scontata (e talvolta anche un po' ostica) quella che arriva dai solchi di questo 'We're Turning Again', fatica numero tre dei nostrani Captain Quentin. È musica irrequieta ma sincera, che ci trastulla con i suoi pezzi strumentali dediti ad un math rock cinematico. Se l'opener non mi ha fatto propriamente impazzire, è la seconda "Caffè Connection" a sedurmi con i suoi ritmi un po' jazzati, i suoi suoni ovattati ed un gusto oserei dire vintage. "Zewoman" è una song più ipnotica quasi al limite del paranoico nel suo finale, mentre con "Malmo" ci abbandoniamo ad oniriche e ambigue sonorità post rock che sembrano aver un effetto rilassante, ma che invece nel loro continuo delirio, stupiscono per il loro ubriacante effetto sulla mia psiche. Non semplice ma suggestivo. Si ritorna a suoni apparentemente più convenzionali con " Avevo un Cuore che ti Amava Franco", titolo per lo meno originale per una song più movimentata delle precedenti ma che mantiene intatta comunque la sua psicotica personalità (qui anche dronica) a sottolineare una performance di carattere da parte di questi Captain Quentin, in un disco che ha ancora diversa carne da mettere sul fuoco. E allora ecco gli sperimentalismi elettronici di "Say No No to the Lady" e di "Aghosto", la prima più orientata a suoni post rock, la seconda invece più oscura e sofisticata nel suo andamento surreale. Il disco chiude con "Yoko, o No?", un evidente gioco di parole che suggella la brillante prova di questi ragazzi con un pezzo spinto verso suoni prog settantiani. Mica male no? Da tenere certamente monitorati. (Francesco Scarci)

Union Jack - Supersonic

#PER CHI AMA: Punk Rock/Ska, Rostok Vampires
Dalla Francia ci arriva un po' di musica scanzonata, questo a testimoniare l'ecletticità della scena transalpina, non sempre concentrata a rilasciare release seriose o all'insegna del black più cupo e nefasto. L'aiuto quest'oggi ci arriva da Parigi e dagli Union Jack che si fanno conoscere, almeno al sottoscritto con il loro quarto album, uscito nella prima parte del 2017 per la Beer Records (un nome un programma) che ci infestano con il loro punk rock'n roll allegro e appunto scanzonato. Per certi versi l'approccio di questi tre ragazzacci di periferia, mi ha ricordato quello di una band che mi ammaliò nel lontanissimo 1989, ossia i Rostok Vampires e il loro mitico 'Transylvanian Disease'. E allora lasciamoci andare alle ben 14 canzoni che popolano questo 'Supersonic', di cui vi citerei la groovy "Blackout", la brevissima opener "Cynical Sound Club" che con un refrain stile "Batman" apre il disco e ci introduce allo ska di "Oh Boogie". "Boomerang" ha un approccio più acido e tosto mentre "Don't Look Back" ha qualche influsso a la Mike Patton e compagni nella sua lucida follia. Insomma 'Supersonic' è più di un discreto lavoro dedito al punk rock. Metteteci poi che è stato mixato e masterizzato da un tizio che si è occupato anche di At the Drive-in e Coheed and Cambria, e potrete capire come questo sia un lavoro di punk con i controcazzi, intesi? (Francesco Scarci)

(Beer Records - 2017)
Voto: 75

https://unionjack.bandcamp.com/

Zuul Fx - Live Free or Die

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Industrial Thrash, Fear Factory, White Zombie
Gli Zuul Fx si sono formati grazie al leader Zuul, ex membro dei No Return. Il genere proposto dai francesi si muove sin dagli esordi tra le maglie di un sound industrial e groovy thrash, dalle sonorità moderne, caratterizzato da un ottimo songwriting, che si rifà palesemente al sound di band “alternative” quali Fear Factory e White Zombie, non disdegnando qualche capatina in territori swedish death, cari a Soilwork e compagnia. La musica dei transalpini poggia su una ritmica devastante e veloce, ma sempre assai melodica e grooveggiante. Undici tracce, con un riff portante davvero pesante, sulle quali si staglia la voce di Zuul, bravo ad alternare il classico growling con clean vocals, spesso abbastanza ruffiane, tanto da aver temuto più volte, l’ascolto di brani dal “vago” sapore commerciale. Alla fine, il quartetto francese non si lascia più di tanto andare a divagazioni commerciali; senza ombra di dubbio, talvolta strizzano l’occhio agli Slipknot e altre band nu-metal, ma cosa volete farci, il risultato finale è godibile e si lascia ascoltare tranquillamente. Niente di originale, sia ben chiaro, tuttavia un ascolto lo darei; se sono stati nominati metal band rivelazione nel 2005, un perché ci sarà anche stato. (Francesco Scarci)

(Equilibre Music - 2007)
Voto: 65

http://zuulfx.net/

venerdì 1 settembre 2017

Sulphur - Cursed Madness

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death, Immortal
Dalle lande sulfuree della Norvegia, ecco innalzarsi la creatura infernale dei Sulphur. Il quartetto scandinavo, che conta tra le sue fila anche l’ex tastierista degli Enslaved, nascono dalle ceneri dei Taakeriket nel 2000 e dopo un mediocre demo, hanno catturato l’attenzione della Osmose, che fiutò, nel quintetto, i potenziali eredi degli Immortal. Dopo aver ascoltato 'Cursed Madness', album uscito nel 2007, posso solo dire che potenzialmente potrebbero anche diventare i nuovi Immortal, ma che la strada è lunga e lastricata di parecchio lavoro. I Sulphur infatti si sono palesate come una band fra le tante nell'intasato e malvagio panorama black/death. La musica proposta dai nostri segue gli stilemi classici indicati prima dai Morbid Angel e poi ripresi dagli Immortal periodo 'Blizzard Beasts'. Una sorta di black metal old school, dalle forti venature death, con qualche inserto tastieristico, forse per voler conquistare quella fetta di pubblico non proprio intransigente e più legato al lato sinfonico della musica estrema, è quello proposto dai nostri. Si tratta in ogni caso, di nove tracce, senza infamia né lode, in cui l’aria che si respira è quella tipica, pesante dei gironi infernali. Fortunatamente, ci sono pezzi in cui i ricami delle keys riescono a conferire all’intero lavoro un aspetto pressoché gradevole, ma sono talmente rari, che rapidamente ci si annoia e si finisce per spegnere lo stereo. Nei 40 minuti di musica contenuti, si susseguono palesemente i richiami agli Immortal, per quel feeling malvagio che solo la band di Abbath e Demonaz era in grado di sprigionare. Penalizzati poi da una produzione ovattata, la band si dimostra comunque più a proprio agio sul versante black che death, segno che forse avrebbero dovuto prediligere un genere piuttosto dell’altro. Da ascoltare e riascoltare, per capire se qualcosa di valido effettivamente c’è. (Francesco Scarci)

(Osmose Prod - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/SULPHURBAND

giovedì 31 agosto 2017

Macabra Moka - Tubo Catodico

#PER CHI AMA: Rock/Hardcore/Stoner
La Macabra Moka è una band di Cuneo nata nel 2010 che, dopo aver esordito con il primo full length 'Ammazzacaffè' nel 2014, lo scorso marzo ha pubblicato 'Tubo Catodico' tramite la sempre attiva cordata composta da DreaminGorilla Records / VOLLMER - Industries / Dischi Bervisti e tanti altri. Abbiamo ricevuto la versione per gli addetti ai lavori, quindi possiamo apprezzare solo la copertina che tramite un collage in stile fumetto, rappresenta il peggio della tv italiana (Zanicchi, Magalli, etc.) in versione horror, riallacciandosi quindi al titolo del cd. Il quartetto formato da batteria-basso-chitarra-voce suona un energico mix fatto di rock, hardcore e stoner cantato rigorosamente in italiano, a voler confermare che non ci devono essere barriere di alcun tipo tra la band e l'ascoltatore. "Radio fa" è la prima traccia contraddistinta da riff potenti come le parole che vengono sputate ed urlate nel ritornello carico di disagio e sofferenza, il tutto raccontato tramite la metafora delle trasmissioni radio. Subito si scorge la rabbia giovanile dei primi Ministri e Teatro degli Orrori che in tre minuti spaccati viene raccontata nella versione macabra del nostro gruppo. In "Tormentone d'Estate" i riff sono più alla QOTSA, un'ottima simbiosi strumentale che incalza e colpisce duro, il tutto alleggerito dal ritornello scanzonato che ci sbatte in faccia lo squallore della nostra vita mondana, fatta di apericena e selfie. Poi, riuscire a infilare Federica Panicucci nel testo non è proprio cosa da tutti. Si passa a "LeAquile del Metallo Morto", dove la sezione ritmica martella in modo ossessivo e le chitarre ci regalano suoni corposi che trasudano rock alla vecchia maniera, con tanto di assolo delirante a chiudere con annessa accelerazione finale. Tutta l'attitudine hardcore si concentra in "Ok, il Prezzo è Giusto" che ha l'effetto di un cric preso in pieno muso tanto, parole che tagliano quanto i riff suonati a velocità folle. Se i Bachi da Pietra hanno sfruttato l'entomologia per raccontare meglio la nostra società, la Macabra Moka l'ha fatto sfruttando la televisione italiana, portando il cinismo e l'autocritica a livelli paradossali. Un album coinvolgente, schietto come non ascoltavo da tempo ed oscuro al punto giusto. Da avere assolutamente perché sotto la finta patina di 'Tubo Catodico' si nascondono dei contenuti profondi che nell'ambito musicale ormai pochi hanno il coraggio di decantare. (Michele Montanari)

(DreaminGorilla Records/VOLLMER Industries/Dischi Bervisti/Tanto di Cappello Records/Scatti Vorticosi Records/Brigante Records & Productions - 2017)
Voto: 80

https://lamacabramoka.bandcamp.com/album/tubo-catodico

Hurtlocker - Embrace the Fall

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Metalcore
Anche la Napalm Records ha avuto la sua fase thrash/metalcore, un genere quest'ultimo che ha saturato il sistema a metà anni 2000. Era il 2007 quando gli Hurtlocker, provenienti da Chicago, a distanza di un anno dal loro 'Fear in a Handful of Dust', hanno rilasciato questo scialbo 'Embrace the Fall' (peraltro anche loro canto del cigno). L’aggettivo scialbo non sta però a definire una band priva di rabbia o con un sound povero di potenza, più che altro sottolinea una release spoglia di inventiva. Qui c’è del discreto e selvaggio thrash metal, estremo nelle sue accelerazioni che sfociano nel brutal, grazie alla presenza di blast beat, riff ronzanti (non del tutto soddisfacenti), growling rabbiose e tediose (il vocalist canta troppo per i miei gusti), poche linee melodiche e una sana dose di cattiveria. Per quanto mi riguarda, il disco è tutto racchiuso in queste poche parole: aggiungo inoltre che le dieci tracce qui contenute, risentono come sempre dell’influsso metalcore americano, non creando quindi nulla di nuovo alla fine. Importante sottolineare il lavoro in consolle di Zeus, già all’opera con Shadow Fall e Hatebreed. Nonostante la buona preparazione tecnica, gli Hurtlocker risultano sì cattivi, ma anche estremamente noiosi. Cambiamo Cd! (Francesco Scarci)

(Napalm Records - 2007)
Voto: 55

https://myspace.com/hurtlocker1

Forever in Terror - Restless in the Tides

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Deathcore, As I Lay Dying
Metalcore, metalcore e solo metalcore... Mi sono domandato più volte se la Metal Blade non fosse in grado di produrre altro. Avrete quindi intuito che ci troviamo di fronte all’ennesimo gruppo dedito a queste sonorità, che la casa discografica tedesca è da sempre pronta a sfruttare per rastrellare un po’ di quattrini. Il quintetto dell’Ohio, qui aiutato dal buon Mark Hunter dei Chimaira, propone il solito death metal melodico contaminato da suoni americani, sulla scia di Unearth e As I Lay Dying, e con qualche reminiscenza che riporta a Dark Tranquillity e Soilwork. Non esaltatevi troppo però, perché il combo statunitense, nonostante strabordi di energia, aggressività e rabbia, è abbastanza carente dal punto di vista delle idee. In 'Restless in the Tides' ci sono tutti gli ingredienti che hanno reso celebre il genere: riffing selvaggio e potente, stop’n go, urla sgraziate (in pieno stile Unearth), cori ruffiani, ritmica serrata e una gran dose di melodia. Peccato che in tutto ciò, non ci sia un briciolo di personalità, che possa rendere distinguibili, i Forever in Terror, all’interno del marasma esagerato di band, che popolano il panorama metalcore. Pessima poi la cover del disco, ad opera di Derek Hess che ha collaborato anche con In Flames e Converge. Sarà stata la loro tenera età all'esordio, di certo non si sono confermati molto più maturi con i successivi lavori assai banali. Consigliato alla fine solo a chi non può fare a meno di acquistare l’ennesimo album metalcore. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2007)
Voto: 50

https://www.facebook.com/foreverinterror

The Pit Tips

Francesco Scarci

Rebirth of Nefast - Tabernaculum
Sun of the Sleepless - To the Elements
Shade Empire - Poetry Of The Ill-Minded

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Don Anelli

Formicarius - Black Mass Ritual
Enragement - Burnt, Barren, Bloodstained
Insatia - Phoenix Aflame

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Five_Nails

Inverted Serenity - You Manifest Your Own Reality
Divine Element - Thaurachs of Borsu
Lifelover - Konkurs

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Alberto Calorosi

The Night Flight Orchestra - Internal Affairs
The Mavericks - Brand New Day
Cucina Sonora - Evasione

martedì 29 agosto 2017

NevBorn - Daidalos

#PER CHI AMA: Post Metal, The Ocean, Deftones
Qui nel Pozzo dei Dannati siamo stati testimoni di tante crescite illustri e non. Tra le band che abbiamo visto nascere ci sono anche i qui presenti NevBorn, ensemble che abbiamo recensito un paio d'anni fa in occasione del loro debut album, 'Five Horizons'. Il five-piece di Neuchâtel torna (anzi tornerà visto che la release è schedulata per fine settembre) in pista con un EP mono-traccia nuovo di zecca, edito questa volta dalla sempre più cannibale Czar of Crickets Productions (qui in collaborazione con la Cold Smoke Records), pronta a lanciarsi come un avvoltoio sulla maggior parte delle band valide del proprio paese. I NevBorn rilasciano quindi "Daidalos", song di ben oltre 18 minuti che sembra prendere le distanze dal passato post metal più in linea con le produzioni di Isis e Cult of Luna, per avvicinarsi invece maggiormente al sound più alternativo dei Deftones. Questo almeno quanto testimoniato nei primi tre minuti di questa lunghissima song, che sembra tirare successivamente in ballo, in modo più concreto, i The Ocean, non solo per la presenza di Loic Rossetti, vocalist della band teutonica, dietro al microfono, ma proprio per le sonorità che ammiccano inequivocabilmente al collettivo di Berlino, attraverso arcobaleni sonori che regalano splendidi frangenti atmosferici, in cui il cantante dei The Ocean dà grande prova delle sue eccelse doti canore, affiancandosi a Matthieu Hinderer, la voce di ruolo dell'act elvetico. Ma è la magistrale e riconoscibilissima voce dell'ottimo Loic ad alzare l'asticella, unita ad un sound che si muove tra momenti sognanti ed altri più malmostosi e sludge orientati, che s'intersecano ancora con attimi ambient in un flusso sonoro moderno, piacevole, malinconico, definitivamente emozionale e carico di pathos, che impone un unico obiettivo, far vostro questo delicato e raffinato dischetto che forse potrà fungere da antipasto ad un nuovo attesissimo full length rilasciato da NevBorn e compagni. Certo è che se la presenza di Loic verrà confermata in futuro, siate pronti a sentirne delle belle da questi svizzeri. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets/Cold Smoke Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/nevbornmusic/

Landskap - III

#PER CHI AMA: Psych Doom Rock
In apertura di 'III' ci si trastulla con quel vintage graffiante ("Wayfarer's Sacrifice" e "Awakening the Divide", che per chiarire il concetto, sfoggia una palese citazione di "Gypsy" nel bridge) di matrice desert-nordica, quindi più meno dalle parti di Graveyard (stiamo ovviamente parlando del deserto della taiga che si estende alle spalle di Göteborg) e Rival Sons (dopotutto Long Beach è a nord di qualcosa, per esempio di San Diego), il che suggerisce una certa prossimità ai momenti più riverberanti dell'atto prima della band britannica. In contrapposizione, la straordinaria e irrotazionale epica conclusiva di "Mask of Apathy", costruita con gli stessi mattoncini di "To Harvest the Storm" e inopinatamente caratterizzata da una repentina e sublime discontinuità steppenwolfica (più precisamente born-to-be-steppenwolfica). Applausi a scena aperta: l'obnubilante crescendo emotivo in 19/8 di "TheTrick to Letting Go" esprime una maestosità che a confronto 'Anathema' degli Anathema sembra una ballatina voce-tremula-e-chitarra-scordata di quelle canticchiate dai perditempo nei corridoi della metropolitana londinese. Produzione abbordabile e limpidissima, crooning straordinario tra un Jim Morrison col tovagliolo sulle ginocchia e un Ian Astbury che sta cavando le zecche dal suo cane. Un album, nonostante la breve durata, immensamente fatiscente. (Alberto Calorosi)