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sabato 26 febbraio 2022

Preamp Disaster - By The Edges

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Con gli svizzeri Preamp Disaster (chissà se vuole realmente significare il disastro del preamplificatore), torna a riaffacciarsi sul Pozzo la Czar Of Crickets Productions con una delle sue intriganti creature cosi come abbiamo già avuto modo di apprezzare in passato. 'By the Edges' è il lungo e nuovo EP della band originaria di Lucerna che torna sul mercato a cinque anni di distanza da 'Waiting for Echoes'. In tutta franchezza non conosco i nostri, quindi sarà interessante valutarne il loro sound come un novizio alle prime armi. L'apertura è affidata ai robusti suoni di "Above the Bloodline", traccia piacevolmente melodica a cavallo tra post metal e post rock, con i punti di forza del primo (chitarre belle toste) e di debolezza del secondo (gli eccessivi riverberi tipici del genere). I quattro musicisti elvetici giocano comunque su saliscendi ritmici, roboanti chitarre e psichedeliche atmosfere. Tutto molto carino, già sentito mille volte però. Non serve nemmeno quella voce incazzosa a fine brano a togliermi quella sensazione di eccessiva strumentalità della song. Bene, ma non benissimo. Mi muovo sulla seconda song, "Dark Brilliance" e le cose iniziano a farsi più interessanti con una proposta più atmosferica e delicata (non sono certo una mammoletta ma cerco qualcosa di più emozionalmente toccante e meno scontata). Qui i nostri, emulando un che degli Isis più ispirati (e morbidi), ci regalano un approccio più pacato, prima di una totalmente inaspettata esplosione di violenza con una ritmica inferocita e un growling corrosivo. Poi, un break con ancora un landscape delicato su cui poggiano spoken words, che destabilizzano positivamente la concezione musicale che avevo di questo ensemble. Finalmente, qui le cose iniziano a funzionare in modo adeguato e riesco a scorgere segni di una più ricercata proposta musicale. Chitarre di stoneriana memoria si dispiegano invece in apertura di "Holdun", prima di lasciar spazio ad un incedere lento ed evocativo, con le voci quasi sussurrate del frontman a guidarci nel profondo di un brano accattivante che avrà ancora modo di mostrare atmosfere soffuse e un growling di tutto rispetto alla Cult of Luna, in un finale in crescendo che ci sta alla grande. Non saranno originalissimi, ma mi prendono bene. E le cose sembrano andare meglio con la chiusura affidata alle noste di "Entering One Last Epoch", la traccia più lunga del lotto (oltre nove minuti) che mostra un bel basso in apertura che ammicca allo stoner ed una progressione sonora che ci porterà nei paraggi di un post metal sporcato da atmosfere darkeggianti dotate comunque del loro perchè. Alla fine 'By the Edges', pur non inventando nulla, è un lavoro piacevole e strutturato che farà la gioia di tutti gli appassionati di sonorità post metal. Quindi gliela diamo o no una chance a questi Preamp Disaster, che dite? (Francesco Scarci)

(Czar Of Crickets Productions - 2022)
Voto: 74

https://preampdisaster.bandcamp.com/album/by-the-edges

venerdì 8 maggio 2020

Mnemocide - Feeding the Vultures

#PER CHI AMA: Death, primi Amon Amarth
Passati completamente inosservati dalla critica italica in occasione del loro EP di debutto intitolato 'Debris', gli svizzeri Mnemocide ci riprovano, rilasciando questa volta il full length d'esordio, 'Feeding the Vultures'. Sostenuti dalla sempre intraprendente Czar of Crickets Productions, il quintetto di Basilea si lancia a spron battuto con 12 nuove tracce e un concentrato di death melodico assai nerboruto. Si perchè di questo si tratta fondamentalmente, death metal avete capito bene, ricco di groove ma pur sempre un death metal bello compatto. Questo almeno quanto svelato da "Crash & Burn", che segue a stretto giro l'intro "Manifest". Ebbene, ritmica possente e mai troppo veloce, growling vocals da manuale, un discreto assolo e poco altro. Mmm, qualcosa mi sfugge nella scelta della label elvetica, da sempre attenta ad avere realtà assai particolari nel proprio rooster, nel 90% dei casi accomunate peraltro dalla loro origine comune, la Svizzera appunto. Ora, non sono qui a dire che la proposta del quintetto basilese sia di bassa qualità, giammai, piuttosto mi verrebbe da dire che non ha assolutamente nulla di originale, e proprio qui risiede il problema. "To the Nameless" è un brano diretto, il classico pugno nello stomaco di scuola Bolt Thrower, con quei suoi chitarroni che macinano riff a profusione, e su cui si staglia il vocione incazzato del bravo Matthias, ma siamo però sicuri che questo è quello di cui abbiamo bisogno? Voglio dire, di album del genere ne è pieno il mondo e i Mnemocide non fanno altro che accodarsi a questo carrozzone senza di certo stravolgere la scena. Mi spiace sembrare cosi tranchant nel commentare la fatica costata ai Mnemocide, usando parole piuttosto dure, ma francamente la musica dei nostri non mi trasmette nulla. Quel che è certo è che i cinque musicisti elvetici siano ottimi mestieranti, insomma la perizia tecnica è buona, pezzi come "In Pain" o "Like Ghost" (dove finalmente un ottimo assolo riesce a mettersi in luce) scivolano via piacevolmente, ma mi duole ammettere che arrivato alla conclusiva "Revolution Required", nulla di quanto ascoltato mi sia rimasto impresso nella testa, il che mi costringe a rimettermi all'ascolto di un lavoro che rischia di scadere nell'anonimato in un brevissimo lasso di tempo e che peraltro non mi invoglia a successivi ascolti. Non mancano i buoni pezzi lo scrivevo già poco più sopra, "Again" è uno di quelli, con uno stile che mi potrebbe chiamare in causa gli Amon Amarth, ma ancora una volta mi ritrovo in una posizione non troppo comoda nell'affermare quanto la proposta dell'ensemble sia assai derivativa e nulla di più. D'altro lato, una song come "Let Me Feed You" la trovo di una scontatezza disarmante. E quindi molto meglio ascoltarsi un pezzo oscuro, ottimamente ritmato qual è "Fear Me", la decima song dell'album, per rappresentare degnamente la proposta dei nostri. Un po' pochino ahimè per portare poco più di una risicata sufficienza, serve ben altro per solleticare il mio palato sempre più sofisticato. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets Productions - 2020)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Mnemocide/

giovedì 9 gennaio 2020

Scratches - Rundown

#PER CHI AMA: Alternative/Post-rock
Questo disco e questi Scratches devono essere innalzati a furor di popolo e fatti scoprire ad un pubblico internazionale come una certezza di qualità e stile. Certo, non che le loro armi siano innovative, ma la commistione di elettronica e rock sulfureo mostrato su questo loro terzo lavoro intitolato 'Rundown', è impressionante, cosi come la voce di Sarah Maria è divina, ad un passo dai Portishead ed un altro dalla Nico più introspettiva, ad un soffio dalla sensualità malata di Milla Jovovich nella cover di "Satellite of Love" nella soundtrack di 'The Million Dollar Hotel', insomma un'interpretazione vocale di tutto rispetto. I brani sono avvolgenti, struggenti, storie di vita vissuta e ombre nella notte. L'opening track "Between" trafigge ogni cosa che le passi di fronte, "Sorry" travolge con il suo strano rock di mezzanotte con la voce di Sarah che guarda a Skin nelle note più basse. Elegante, acustica ed intima si muove "Virgin Tree", la veste nera e l'infinito soffio di "Ghost in the House" spaventano per drammatica bellezza, la ballata romantica di "Rundown", accompagnata in rete da un bel video con lo stesso inquietante protagonista del brano Between, rappresenta l'incubo ideale. E ancora come non sottolineare la cupa dreamwave di "Lie", la marcia funebre del blues rallentato di "Charon", che ci accompagna direttamente all'inferno delle emozioni con la sua cadenza quasi doom, senza tralasciare la lunga "Song to the Unborn", cosi orchestrale, compatta, definitiva, che coinvolge tutte le sfaccettature sonore della band, dal rock alla new wave, all'elettronica, con sentori di Ulan Bator, post-rock dei Bark Psychosis ed il trip hop come sfondo magico. Accompagnato da un'immagine di copertina assai bella e ricercata, perfetta come immagine per la band svizzera, 'Rundown' è il giusto epilogo di una trilogia di lavori di tutto rispetto, iniziata con il primo album nel 2015 e sfociata in questa piccola gemma di rock emotivo e notturno. Un obbligo d'ascolto per coloro che sono alla ricerca di musica alternativa di qualità, ecco a voi un piccolo gioiello introspettivo. (Bob Stoner)

(Czar Of Crickets - 2019)
Voto: 80

https://scratches1.bandcamp.com/releases

venerdì 1 novembre 2019

The Dues - Ghosts Of The Past

#PER CHI AMA: Psych/Blues Rock, Led Zeppelin, Radio Moscow
Per gli amanti di sonorità vintage/retrò che ci conducano indietro nel tempo di almeno 40 anni, eccovi serviti i The Dues, terzetto proveniente da Winterthur, in Svizzera. 'Ghosts of the Past' - mai titolo fu cosi azzeccato - è il terzo lavoro dei nostri, che include nove song che inglobano nel loro magico fluire, rock'n'roll, funk, psichedelia e blues rock, citando indistintamente nelle loro note, Cream, Led Zeppelin, Black Sabbath, Jimmy Hendrix e molti altri, insomma quei fantasmi del passato menzionati proprio nel titolo di questa terza fatica. E allora vai che si parte con la title track e quel giro di chitarra su cui si va a piazzare la voce di Pablo Jucker, in una song dai risvolti quasi doomish che cita sin da subito, Ozzy Osbourne e soci. "Something for my Mind" è una breve e nervosa scheggia rock che vi farà oscillare il capo e non poco. "Sails of Misery", con quel suo rullare imponente di batteria in apertura, si lancia in un impetuoso rock'n'roll, in cui a farla da padrone sono i giri di chitarra di Pablo (favoloso peraltro nella sezione solista), accompagnato puntualmente dall'ottimo basso di Stefan Huber e dal preciso drumming di Dominik Jucker. L'intro di "Under the Sea" è più pacato e oscuro, il che ci rivela anche una versione più riflessiva dei The Dues, in una song che appare però svuotata e pertanto meno efficace delle precedenti. Con "Love" mi sembra di entrare in uno di quei club dove musicisti con ampi pantaloni a zampa di elefante, si dilettano improvvisando pezzi blues rock, che mancano però di una magica spinta propulsiva. Questo per dire che l'energia emersa nelle prime tre song, sembra via via scemare: anche in "Elements of Doubt" assisto alla stessa cosa, ossia un pezzo blues rock che suona un po' troppo forzato per i miei gusti. Preferisco quell'attitudine genuina e spontanea che avevo apprezzato nel filotto iniziale e che fortunatamente sembra riapparire almeno in "La Realidad", in cui Pablo, oltre a cantare in spagnolo, adotta uno stile vocale differente. Rimane poi la conclusiva "Ley Lines", il brano più lungo e articolato (vista la forte vena psych rock che la pervade e quel suo fantastico assolo conclusivo che chiama in causa molteplici interpreti di quel periodo d'oro) di questo 'Ghosts Of The Past', e che vede i The Dues essere assai più convincenti in quei brani più ricercati e dinamici, che di certo avrebbero spopolato nei meravigliosi anni '70. (Francesco Scarci)

(Sixteentimes Music/Czar of Crickets Prod. - 2019)
Voto: 69

https://thedues.bandcamp.com/album/ghosts-of-the-past 

venerdì 11 ottobre 2019

Late Night Venture - Subcosmos

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna, Ufomammut, Type O Negative
Strano ma vero, la Czar of Crickets Productions ha deciso di varcare i confini nazionali, selezionando una nuova band da inserire nel proprio rooster, andando a pescare in Danimarca. Si avete letto bene, l'intransigente etichetta elvetica si è spinta in nord Europa per selezionare questi Late Night Venture, un quintetto originario di Hovedstaden, che con 'Subcosmos' arriva al traguardo del quarto album (in discografia anche un paio di EP), il terzo peraltro a chiudere una trilogia cosmica sul genere umano, la vita e l'universo. Il genere proposto dai nostri si affida ad un post metal oscuro e asfittico, ma assai melodico, che acchiappa sin dalle note iniziali dell'opener "Fram From the Light", un brano intenso, pesante, ipnotico, in cui ampio risalto viene affidato agli strumenti, un po' meno alla possente e sbraitante voce dei due frontman. Con "Bloodline", la seconda traccia, la marzialità del brano si fa più urgente, con un effetto senza dubbio vincente, e che richiama per certi versi i Cult of Luna. Ma il ventaglio di influenze dei nostri non si ferma ai gods svedesi, va esteso anche ai Neurosis, a cui i nostri strizzeranno l'occhiolino a più riprese nel corso del disco. Il risultato è davvero buono, avendomi spinto ad andare a spulciare la vecchia discografia della band danese per saperne un pochino di più dei nostri che sono riusciti a toccare le mie corde. Poi quando "2630" (per la cronaca, il CAP del sobborgo di Høje-Taastrup dove due dei membri della band sono cresciuti) prende forma nel mio stereo, ecco che si materializza anche lo spettro dei Type O Negative grazie ad un sound doomeggiante e ad una voce baritonale in stile Peter Steele (pace all'anima sua). Ma la song riserva ancora qualche sorpresa grazie a delle contaminazioni elettroniche che si scorgono in background e ad una esaltante frazione conclusiva, all'insegna di un crescendo ritmico da paura. Sempre più interessanti. E l'oscurità va ingurgitandosi ogni forma di luce con la criptica "Desolate Shelter", una song semi-strumentale davvero angosciante che pesca ancora a piene mani da un post metal contaminato da psichedelia, doom e sludge. Il disco, cosi permeato di influenze techno-cibernetiche (penso all'inizio della title track), è una sorta di insano viaggio distopico nella società malata. "No One Fought You" ha un inizio sognante: le influenze di scuola Isis/Cult of Luna si palesano quando l'apparato ritmico va ad ingigantirsi, ma francamente risulta comunque gradevole assaporare la proposta peculiare del combo danese. L'ultima lunga song, "No Burning Ground", ci consegna altri 10 estasianti e cosmici minuti di questo 'Subcosmos', un disco che vede man mano svelare altre più celate influenze, che citano anche Celtic Frost, Yob e Ufomammut, soprattutto nell'epilogo quasi stoner dell'ultima traccia. Ben fatto. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets Productions - 2019)
Voto: 77

https://www.facebook.com/latenightventure/

mercoledì 26 giugno 2019

Inez – Now

#PER CHI AMA: Mystic Americana Desert Pop, Mark Lanegan
Secondo album per Inez, al secolo Ines Brodbeck, cantautrice basilese di origini cubane classe '81, che si muove con grazia e un piglio piuttosto sicuro in territori roots con influenze latine piú o meno marcate, nel solco tracciato da artisti quali Calexico o i Giant Sand di 'Chore of Enchantment', senza però disdegnare incursioni in scenari più contemporanei, richiamando le suggestioni cinematografiche della collaborazione tra Danger Mouse e Daniele Luppi. Sapientemente prodotto dal musicista di Tucson, Gabriel Sullivan, già membro dei Giant Sand e fondatore degli XIXA, il disco si snoda fra dieci tracce che sono quadretti dai colori intensi e i contorni sfumati, passando dal cuban blues di Guajiro Negro e Verano, ai Calexico apocrifi di 'Buchblatter', anche se i momenti migliori sono forse quelli in cui si cerca una voce piú personale, ibridando l’incedere desertico dei brani con un linguaggio meno legato ai modelli di partenza, come i chiaroscuri sporcati di synth di "Rising Sun", la sinuosa "Man from War" (che vede proprio “Mr. Calexico” Craig Shumacher come special guest), che vira verso atmosfere Coheniane, o la tenebrosa "Prophet", cantata con Sullivan, la cui voce è talmente simile a quella di Mark Lanegan da richiamare i celebri duetti dell’ex Screaming Trees con Isobel Campbell. Manca forse il guizzo decisivo o un pezzo che spicchi in maniera particolare, ma la qualità media della scrittura è evidente e il risultato finale piuttosto intrigante. Da seguire. (Mauro Catena)

(Czar of Crickets Productions - 2019)
Voto: 70

http://inez-music.com/

martedì 21 maggio 2019

Orso – Paninoteca

#PER CHI AMA: Post Metal strumentale, Pelican
Sono sincero, con una copertina del genere e un titolo così, ho fatto fatica a prendere sul serio la proposta degli Orso. Tuttavia, alla prova del play sono rimasto piacevolmente sorpreso, a riprova del fatto che non va mai giudicato un album dalla sua copertina. La proposta degli Orso è un post metal sludggione strumentale, pregno di ambienti e di dissonanze che penetrano come lame sotto la pelle. Più si prosegue nel disco poi, più i toni oscuri e maligni entrano nel cervello come una colata di petrolio incandescente. L’incipit "Sloppy Joe" riversa lapilli di lava nei timpani dell’ascoltatore, tra bordate di batteria violente, arpeggi in stile Deathspell Omega da far rabbrividire anche il più efferato metallaro. "Choripan" con i suoi otto minuti abbondanti di ambienti, descrive degli scenari da film, senza privarsi di momenti pesanti dove i distorsori prendono il sopravvento sulle scie dei delay. "Horseshoe" dimostra poi come i quattro ragazzi di Losanna siano in grado di scrivere ottimi riff sludge riuscendo ad ottenere quei landscapes alla Pelican, ma anche alla Melvins, fino a sfociare in sfuriate vicine al post hardcore. In generale, ogni pezzo si svolge come una storia a sé e definisce come un racconto, fatto di pieni e vuoti, di rilassamento e di intensità. Un disco non facile 'Paninoteca', dove la sua seconda parte si dimostra assai più ardua da ascoltare, diciamo che avrei apprezzato fosse durato la metà, in ogni caso non è un difetto che disturba più di tanto, quanto la mancanza di significato. Mi spiego meglio, questo disco non manca di tecnica, non di buone canzoni o di arrangiamenti, semmai manca di un messaggio, tutto quello che sta intorno alla musica. Dobbiamo sempre ricordarci che le canzoni sono fatte per essere ascoltate e che l'ascoltatore ha bisogno di un contesto e di un significato per capire in cosa sta investendo, in questo caso quasi un’ora della sua vita. Ecco 'Paninoteca' non mi pare proprio un messaggio adeguato alla proposta musicale degli Orso; se non avessi ricevuto questo disco dal Pozzo dei Dannati, non mi sarei mai e poi mai lanciato nell’ascolto di un lavoro con un titolo del genere. Sarebbe un disco quasi perfetto musicalmente, con personalità, talento e attenzione ai suoni ma ragazzi, siate più seri, la mollica di pane in copertina non si può proprio guardare. Esistono artisti grafici talentuosissimi, per nominarne un paio STRX e Coito Negato che per un investimento esiguo avrebbero potuto rendere graficamente la vostra musica in maniera decisamente migliore; allo stesso modo in cui avete affidato il mix al chitarrista dei Converge e il master a Magnus Lindberg (Cult of Luna), avreste dovuto curare la parte grafica e il messaggio allo stesso modo. Un vero peccato che penalizza pesantemente il mio voto conclusivo. (Matteo Baldi)

(Czar of Crickets - 2019)
Voto: 62

https://orsoband.bandcamp.com/album/paninoteca

sabato 10 novembre 2018

Unhold - Here is the Blood

#FOR FANS OF: Post Metal/Sludge, Cult of Luna, Neurosis
There is a Swiss quintet, better to name it fivesome considering the mass of this album, presenting a humble masterpiece called 'Here is the Blood, the release issued on 9th November 2018 from Czar Of Crickets Production. Everytime I reach such an artwork my biggest struggle is “to have never seen a live performance of this band is such a pity”. The outcome is a mature and full-bodied wave of magnitude, this heavy bernese band is not a newcomer in the metal scenario, they actually look like being active since at least 25 years, not a surprise when it comes to analyse their tracks’ texture, engineering, mixing and mastering: Unhold is definitely candidated to be one of the best niche European sludge realities. Taking a considerable distance from the initial noise roots spotted in the previous LPs, this last work’s style reminds us to Cult of Luna and Neurosis even if the synth layers and the astonishing voice of Miriam Wolf, co-vocal and pianist, define a unique sound amenable to a personal and unique trademark. 'Here is the Blood' starts with "Attaining the Light", brilliant and convincing invitation to enjoy the whole product, "Convoy" pulls us with a stoney riff into a hidden rage corner, announcing the arrival of a bloody flow. The following tracks Deeper in and Curse of the Dime shepherd the path with remarkable vocal atmospheres. In "Hunter", Miriam takes the lead and orchestrates a melancholic break, a teardrop of hope in a ocean of fury but also a bid, a bid to test our integrity, coherence and our responsibility. "Pale" and "Altar" dive again into waters of anger, the hoarse voices of the guitarists Philipp Thöni and Thomas Tschuor, spread oblivion and agony. The last track, "The Chronic Return" encases all the adjectives compliant to this 50 minutes album: emotional, aesthetic, hopeful, existential, a wall of depth. This alpine ensemble latest production is definitely a must buy! (Pietro Cavalaselle)

(Czar of Crickets Productions - 2018)
Score: 80

https://unhold.bandcamp.com/album/here-is-the-blood

sabato 24 febbraio 2018

Darius - Clôture

#PER CHI AMA: Post Metal strumentale, Bossk, Pelican
Torna la Czar of Crickets Productions con un'uscita nuova di zecca, come sempre "made in Switzerland". I Darius, che già abbiamo avuto modo di conoscere col loro debut album 'Grain', tornano con un EP di quattro pezzi devoti ad uno strumentale mix tra sonorità in bilico tra post metal e post rock. "Glaucal" ha l'onere di aprire le danze, con la sua flebile intro che assai presto farà posto alla robustezza delle chitarra del duo formato da Yannick e Sylvain, e poi ad una serie di cambi ambientali. È un po' come se passassimo da una stanza estremamente illuminata ad una con delle luci decisamente più soffuse e allo stesso modo, i cinque ragazzi di Bulle, passano da momenti più pesanti ad altri più delicati, con un risultato anche alquanto soddisfacente, peccato solo che manchi una componente vocale ad alleggerire una proposta forse un po' troppo monolitica sin dall'inizio. Si perché poi le cose, non cambiano granché con "Charlotte" e le seguenti "Pipistolet" e "Trace": si confermano delle introduzioni ai brani a base di chitarre acustiche e suoni da penombra, a cui si susseguono riffoni pachidermici e leggiadri momenti di quiete. In "Charlotte" ad esempio, il preambolo che porta al dirompente lavoro ritmico, si dilata in accordi sognanti un po' ripetitivi, che soddisfano, ma non so fino a che punto, l'ascoltatore. Questo perché, pur essendo le melodie buone, la produzione bombastica e le escursioni in territori ambient azzeccatissimi, il lavoro suona nelle mie orecchie come incompiuto, manca sempre quel qualcosa in grado di guidarmi nell'ascolto, nel trascinarmi in slanci emotivi, come solo una voce sa fare. Scusate se insisto, avete tutto il diritto di dirmi che ci sono band che hanno basato il loro successo solo ed esclusivamente sui loro suoni anziché su di una voce, ma io posso anche rispondervi che forse quelli sono dei fenomeni, mentre ai Darius manca ancora quel quid che mi induca a considerarli tali e quel qualcosa nella loro musica capace di condurmi piacevolmente in un porto sicuro. La band, seguendo le orme dei Pelican, dei Bossk o dei Russian Circle, alla fine risulta troppo aggressiva per i miei gusti per proporre un simile sound senza l'apporto di un vocalist, anche se l'ultima "Trace" sciorina diversi minuti di sonorità eteree prima di decollare. Per quanto strumentalmente bravi, i Darius hanno larghissimi margini di crescita, che io sfrutterei nel migliore dei modi, per staccarmi da una scena che vedo in inesorabile declino. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets - 2018)
Voto: 65

lunedì 2 ottobre 2017

Krane - Pleonexia

#PER CHI AMA: Post Metal, Russian Circle Mono
La scena di Basilea e della Svizzera in generale, inizia a brulicare di band, grazie all'enorme lavoro di scouting che la Czar of Crickets e le sue suddivisioni stanno facendo sul territorio elvetico. L'ultima scoperta sono questi Krane, band formatasi nel 2012 e con all'attivo un primo album, 'Ouroboros' uscito nel 2013. Poi un silenzio durato ben quattro anni, rotto finalmente dall'uscita di questo 'Pleonexia' e dal consolidamento di una più stabile line-up. Il genere proposto è un post metal strumentale, ovviamente con tutte le sue sfumature ambient/post rock e la peculiarità di essere addirittura un concept album di carattere bellico. Il risultato? Notevole, senza alcun dubbio, anche per chi come me non ama i dischi privi di una porzione vocale, anche se qui sarà attenuata dalla presenza di parti parlate. Il ritmo dopo l'intro si fa subito incalzante, i chiaroscuri delicati, i saliscendi memorabili: vi basti ascoltare la meravigliosa "I: Strategic Level", rimarchevole per i suoi suoni, per il riverbero delle sue chitarre, per le celestiali melodie, per quel suo mood malinconico ed autunnale che affiora nei suoi larghi spazi ambient. Un disco in bianco e nero, assai raffinato che mi sento di suggerire a tutti coloro che amano band quali Russian Circle o Mono, ma anche Isis o Cult of Luna, visto che i chitarroni più pesanti pescano a piene mani dai gods del post metal. Non mancano gli intermezzi elettronici corredati da spoken words ("Destabilisation") e da una musicalità che richiama le colonne sonore di Hans Zimmer (quello di 'Inception' o de 'Il Codice Da Vinci' per intenderci). "II: Operational Level" è una song di dodici minuti, avvolta da una tribalità militaresca accompagnata da tonnellate di riff post metal, che trovano una prima pausa a metà brano, grazie alla comparsa di spoken word e che poi tornano a macinare corpose linee di chitarra affiancate da atmosfere sognanti. Forse un po' troppi dodici minuti, ma sicuramente il suono circolare che emerge dalle note della track, trova comunque il suo perché. Il riffing si fa più mastodontico nella quinta "III: Tactital Level", song seppur più breve, ma di grande impatto strumentale. Tuttavia devo ammettere che quel quid che mi aveva particolarmente entusiasmato nella prima vera song dell'album sembra un po' scemare nel corso del disco. Ma parliamoci chiaro, se l'inizio del cd viaggiava su altissimi livelli, qui ci siamo assestati su una qualità comunque davvero buona. La traccia, a parte l'incipit urticante, nella sua seconda metà si affida a toni ben più compassati, anche se poi gli slanci energici non si faranno mancare negli ultimi due minuti del brano. "Combat" sembra essere la continuazione della precedente, con quel suo ritmo tirato ma con una durata alquanto striminzita (meno di due minuti). A chiudere 'Pleonexia' ci pensa l'ambient/noise di "Aftermath", con quel suo surreale dialogo che sembra essere la trasmissione di coordinate di guerra per l'abbattimento di un qualche obiettivo militare. I Krane alla fine hanno partorito un buon album, che sicuramente ha ancora qualche spigolatura da smussare ma che certamente avrà modo di incuriosire frange di fan di qualunque genere. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets - 2017)
Voto: 80

https://www.facebook.com/kranepost/

martedì 29 agosto 2017

NevBorn - Daidalos

#PER CHI AMA: Post Metal, The Ocean, Deftones
Qui nel Pozzo dei Dannati siamo stati testimoni di tante crescite illustri e non. Tra le band che abbiamo visto nascere ci sono anche i qui presenti NevBorn, ensemble che abbiamo recensito un paio d'anni fa in occasione del loro debut album, 'Five Horizons'. Il five-piece di Neuchâtel torna (anzi tornerà visto che la release è schedulata per fine settembre) in pista con un EP mono-traccia nuovo di zecca, edito questa volta dalla sempre più cannibale Czar of Crickets Productions (qui in collaborazione con la Cold Smoke Records), pronta a lanciarsi come un avvoltoio sulla maggior parte delle band valide del proprio paese. I NevBorn rilasciano quindi "Daidalos", song di ben oltre 18 minuti che sembra prendere le distanze dal passato post metal più in linea con le produzioni di Isis e Cult of Luna, per avvicinarsi invece maggiormente al sound più alternativo dei Deftones. Questo almeno quanto testimoniato nei primi tre minuti di questa lunghissima song, che sembra tirare successivamente in ballo, in modo più concreto, i The Ocean, non solo per la presenza di Loic Rossetti, vocalist della band teutonica, dietro al microfono, ma proprio per le sonorità che ammiccano inequivocabilmente al collettivo di Berlino, attraverso arcobaleni sonori che regalano splendidi frangenti atmosferici, in cui il cantante dei The Ocean dà grande prova delle sue eccelse doti canore, affiancandosi a Matthieu Hinderer, la voce di ruolo dell'act elvetico. Ma è la magistrale e riconoscibilissima voce dell'ottimo Loic ad alzare l'asticella, unita ad un sound che si muove tra momenti sognanti ed altri più malmostosi e sludge orientati, che s'intersecano ancora con attimi ambient in un flusso sonoro moderno, piacevole, malinconico, definitivamente emozionale e carico di pathos, che impone un unico obiettivo, far vostro questo delicato e raffinato dischetto che forse potrà fungere da antipasto ad un nuovo attesissimo full length rilasciato da NevBorn e compagni. Certo è che se la presenza di Loic verrà confermata in futuro, siate pronti a sentirne delle belle da questi svizzeri. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets/Cold Smoke Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/nevbornmusic/

lunedì 20 marzo 2017

The Universe By Ear - S/t

#PER CHI AMA: Prog/Blues Rock
Allacciate le cinture perché stiamo partendo per esplorare l’universo dell’ascolto. Chiaro il pay-off del messaggio con cui la sempre attiva Czar of Crickets Productions di Basilea ci introduce la band The Universe By Ear. Inizio a razzo con "Seven Pounds", un brano di 8’24’’ dove il power trio svizzero scalda per bene i motori dell’astronave. Il sound è dilatato e le parti strumentali prevalgono sul cantato, la chitarra traccia la rotta di un progressive rock che potrebbe intrigare i fans della vecchia scuola prog ma anche i più attenti alle nuove sonorità di band come Flaming Lips e Mars Volta. Con il secondo brano "Repeat Until Muscle Failure", il terzetto sfodera la grinta per una possibile hit inserita nella categoria prog sotto i 3 minuti. Sembrerebbe una contraddizione nei termini ma l’esperimento riesce bene e la canzone conquista l’ascoltatore grazie al suo ritornello assai catchy. I pezzi successivi rientrano nei canoni di un prog psichedelico a prevalenza strumentale, dove i musicisti gestiscono bene le parti. "Dead Town" inizia con un riff chitarristico di matrice blues che la band elabora assai bene aggiungendovi effetti, sovraincisioni di chitarra e voci filtrate. "Idaho" nasce eterea e pianistica per crescere poi in intensità, con le voci in coro che vengono doppiate dalle parti di chitarra. In "Ocean/Clouds" la band sfodera il pezzo più lungo che prelude alla chiusura del lavoro: una partitura prog di quasi dieci minuti. Il disco si conclude con la breve e semiacustica "Dead Again", con echi di Pink Floyd appena accennati. La paletta dei suoni a disposizione dei The Universe By Ear è abbastanza ampia e l’omonimo disco riesce a contenere tutto il repertorio fatto di scale hard rock, assoli di chitarra caratterizzati da un sapiente abuso di leva, intesa come trem-bridge, cascate di note e fughe melodiche. Se vi piace il genere, la loro musica sarà la scoperta di un universo nuovo per le vostre orecchie. (Massimiliano Paganini)

(Czar of Crickets Productions - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/TheUniverseByEar/

lunedì 30 gennaio 2017

Scratches - Before Beyond

#PER CHI AMA: Rock Blues, Nick Cave
Una voce femminile, calda e sofferta al punto giusto, è il primo elemento che contraddistingue gli Scratches, band svizzera originaria di Basilea, ma dalle sonorità decisamente americane. La band nasce nel 2010 nell’ambito dalla collaborazione tra Sarah-Maria Bürgin, cantante-tastierista e Sandro Corbat, chitarrista. Il teatro come passione comune per entrambi. Dopo un primo album come duo realizzato nel 2014, 'Fade', la formazione si completa con Jonas Prina alla batteria e Marco Nenniger al basso. Il loro secondo album 'Before Beyond', uscito in questo freddo mese di gennaio, è un pregevole lavoro, dove è possibile riscontrare un’antica passione per certe linee ritmiche di derivazione tipicamente trip hop, coniugata con l’amore per le colonne sonore intrise di blues. Il disco si apre con “Medusa’s Hair”, riff di chitarra in loop e ritmica rallentata. La voce di Sarah-Maria è carica di soul e roca quanto basta per richiamare alla memoria grandi cantanti americane degli anni sessanta e nel terzo brano, intitolato “Beautiful”, qualcuno potrebbe persino scorgere il fantasma di Janis Joplin. Echi di Nick Cave invece si possono sentire nella successiva “Give Me Your Pain”, profonda nelle parti di chitarra e sussurrata nella voce. Il disco prosegue con “The Crow & The Sheep”, in cui il quartetto elvetico privilegia sonorità decadenti, da murder ballad. È questo il mood generale dell'ottimo lavoro targato Scratches, una narrazione delle sofferenze umane filtrata attraverso i colori scuri del blues. Un buon album in definitiva, consigliato agli amanti di sonorità ipnotiche e malinconiche, prodotto egregiamente dalla sempre attenta Czar Of Crickets. (Massimiliano Paganini)

(Czar Of Crickets - 2017)
Voto: 80

https://www.facebook.com/scratchesband/

mercoledì 24 agosto 2016

Khaldera - Alteration

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale, Russian Circle
La Czar of Crickets prosegue nella sua opera di sondaggio di band provenienti dal territorio svizzero e quest'opera, che va avanti ormai da un paio di lustri, sta mostrando i suoi frutti, ossia un brulicare importante di realtà underground rosso crociate davvero interessanti. E 'Alteration' rappresenta il secondo EP di una di questi gruppi, i Khaldera, un trio strumentale che ha da offrire tre brani votati a un post metal ragionato che poggia le proprie fondamenta su un materasso di suoni vellutati ("Impending Tempest") ma anche in grado di mostrare un certo coraggio nel cambiar marcia e irrobustirsi in una song più grossa qual è "Inevitability of Transition". Come al solito, la mancanza di una voce si fa sentire malamente per il sottoscritto, che vive questa situazione come una zoppia impossibile da correggere, anche se ensemble quali Russian Circle o Pelican, hanno fatto della loro esclusiva strumentalità il punto di forza. Pertanto fatevi sotto, non siate timidi, lasciatevi investire dal crepuscolare sound di questo terzetto elvetico che nella conclusiva "Afterglow" avrà modo anche di sciorinare riverberi post rock in una quanto mai inattesa tribalità a livello di percussioni, per un brano al limite dell'ambient. Diciotto minuti forse sono un po' pochi per giudicare un lavoro cosi eterogeneo e di per sé complicato qual è 'Alteration', però la curiosità per un futuro full length si fa largo assai più forte. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets - 2016)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Khaldera/

sabato 20 febbraio 2016

The Leaving - Faces

#PER CHI AMA: Psych Folk Acustico
Lasciate dissolvere il noise dagli ampli saturi di suoni perché in questo viaggio il silenzio e le pause se la giocano alla pari con la musica. Frederyk Rotter, voce e chitarra degli Zatokrev, una band svizzera dedita da oltre dieci anni al doom/death/sludge metal, ci presenta il suo progetto solista a nome The Leaving. Le coordinate sono quelle di un folk acustico, prevalentemente voce e chitarra, roba che si può scrivere e suonare se si è nati nel Pacific North West degli USA o in qualche piovosa campagna scozzese, ma anche nel Canton Basel-Stadt, da dove proviene appunto l’autore. "In Faces" è il brano di apertura che richiama anche il titolo dell’album: qui la voce e lo stile rimandano ad un eroe del folk inglese come Bert Jansch, quasi sicuramente ignoto ai fedeli supporters degli Zatokrev. La narrazione prosegue con canzoni in bilico tra Nick Drake e Steve Von Till, dove la chitarra acustica è accompagnata da preziosi inserti di violoncello e, talvolta, da lapsteel, basso e batteria, il tutto sempre suonato con molta misura e facendo attenzione a non prevaricare sulla voce. Qualche eco di Neil Young compare in "Hands", brano dove il suono vintage crunch di una chitarra elettrica dialoga con la lapsteel. L’umore generale del disco è quello delle ballate che continuano a crogiolarsi in uno spleen mai troppo decadente, piuttosto melanconico nel suo incedere. Solo nell’ultimo pezzo intitolato "Pulse", la tensione sale e i The Leaving sembrano volerci ricordare da dove provengono: la voce del frontman si abbassa drammaticamente di tono e i cori raddoppiati sono la cosa più vicina allo stile degli Zatokrev, pur restando sempre in territori acustici. Molto buona la produzione del disco, con collaborazioni americane nelle fasi di mixaggio e masterizzazione. Disco consigliato, anche per il bene delle vostre orecchie. (Massimiliano Paganini)

(Czar Of Crickets - 2016)
Voto: 85

https://www.facebook.com/theleavingofficial/

sabato 20 giugno 2015

Ashtar - Ilmasaari

#PER CHI AMA: Black Doom, Sludge
C’è fermento nell’ultimo periodo in Svizzera. Non c’è infatti solo la Hummus Records a regalarci ottimi esempi di sonorità post. Si aggiunge la Czar of Crickets Productions, che già avevamo avuto modo di apprezzare qualche tempo fa con gli Unhold e che oggi, a dimostrazione che non si trattava di un episodio sporadico, ci presentano un misterioso duo di Basilea, gli Ashtar. Formatisi nel 2012 e composto dalla gentil donzella Witch N. (voce, basso, chitarra e violino) e dal feroce (almeno in foto) Marko Lehtinen (voce, chitarra e batteria), i nostri si fanno portavoce di un oscuro black dalle forti sfumature sludge. Sei le cupissime tracce a disposizione del duo elvetico per convincermi(vi) della bontà della loro proposta. Il cd si apre con l’ossessiva amalgama doom di “Des Siècles Qui…”, brano denso e melmoso, come nella migliore tradizione sludge, il cui unico punto di contatto con il black, è rappresentato dalle arcigne vocals dell’affascinante strega e qualche sfuriata a livello ritmico. Non so se “She Was a Witch” voglia ribadire la natura magica della front female svizzera, ma ciò che emerge forte dal brano è la malvagità che trasuda dalle sue nebulose note che ne evidenziano un piglio quasi tribale a livello della batteria e un che di stoner nei riff delle chitarre. Sicuramente pregno di tensione, acuita anche da una certa reiterazione dei suoi angusti suoni, il debut album degli Ashtar si rivela ancor più interessante nella lunga “Celestial”: tredici minuti di avvolgenti e dilatate sonorità mefitiche, che mettono un forte senso di angoscia quando una diabolica chitarra acustica si affianca al muro ritmico su cui si ergono gli striscianti vocalizzi della streghetta Witch N. Ma la traccia ha modo di muoversi ariosa in diversi interludi post rock che trovano ampi spazi in lunghe e fluttuanti fughe strumentali. “Moons” è un altro esempio di stoner doom, dotato di una indiscutibile carica groove che gli consente di prendere le distanze dalle sonorità funeral doom tipiche dell’est Europa o dai classici del passato, My Dying Bride o primi Anathema. Se proprio fossi costretto a darvi qualche punto di riferimento, ecco che opterei piuttosto per gli Esoteric, ma credo che l’influenza sia più che altro dettata dalla presenza dietro la consolle di Greg Chandler. “These Nights Will Shine On” è una traccia più movimentata, in cui compare finalmente anche il grugnito di Marko ad affiancare Witch N. alle voci, in quella che è la song più “nera” di ‘Ilmasaari’, ma in cui emergono prepotenti le qualità e le potenzialità degli Ashtar, nel dipingere un sound buio quanto una notte di novilunio. Il suono mefistofelico di una chitarra acustica e di un magico didjeridoo, spalancano le porte della conclusiva “Collide”, l’ultima tappa di questo viaggio verso le viscere della Terra. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets Productions - 2015)
Voto: 75