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giovedì 18 aprile 2013

Lovijatar - Hämärän Kulkija

#PER CHI AMA: Stoner, Folkish, Hard Rock
Arrivo con colpevole ritardo a scrivere dell’EP d’esordio di questo combo Finlandese, dopo averlo lasciato a prender polvere sulla scrivania per troppo tempo, avendolo frettolosamente bollato come poco più di una curiosità folcloristica (sempre siano maledetti i primi ascolti distratti, ed io che ci ricasco puntualmente). I cinque vichinghi hanno facce che gli avrebbero garantito una parte in “Educazione Siberiana”, e pestano duro sugli strumenti. Lovijatar è il nome di una strega del folclore finnico, al quale il quintetto attinge copiosamente per quanto riguarda le tematiche dei loro brani. Loro stessi definiscono la loro proposta come “Stoner Pagan Heavy Prog” (!!!), che in effetti rende bene l’idea, e per una volta mi affido alle parole della band per descrivere al meglio la loro musica, ovvero “a combination of heavy rolling riffs, hard handed playing, shamanism and the joy of endless sorrow…” La prima particolarità cha salta all’occhio (anzi, all’orecchio), è che solo ora mi rendo conto essere la cosa che mi aveva lasciato perplesso inizialmente, è il fatto che cantano in finlandese. Ok, non è una lingua semplice e sicuramente non consueta, ma alla fine il suo suono non è così dissimile da quello dell’italiano o dello spagnolo, tanto che, in più di un’occasione, mi è sembrato di ascoltare una versione ultra-heavy degli Heroes del Silencio (chi se li ricorda vince un cappellino usato di Videomusic, originale 1994) data una certa somiglianza della voce del cantante, peraltro indubbiamente carismatica. Altre volte, invece, tornano alla mente gli Amorphis epoca “Tuonela”. I pezzi, potenti, ben suonati e ben registrati, ci sono, e ci sono anche ottimi spunti melodici, riff schiacciasassi e una bella coesione di fondo. La barriera linguistica diventa più ostica da superare in canzoni quali “Kun Usva Peittää Minut Saleihinsa”: lenta, rarefatta e giocata tutta sull’evocatività di un testo che, per assonanze casuali con la lingua italiana, strappa qualche sorriso sicuramente non voluto. Notevole invece il terzetto che apre il lavoro: “Lohuen Lahjat”, che dopo un coro a cappella un po’ spiazzante, macina uno stoner potentissimo con belle chitarre dal suono quasi doom, seguita da “Puujumala”, col suo alternarsi di quiete e tempesta, e dalla cavalcata incendiaria di “Kolmisormi”. Non mi stupirei se diventassero delle superstar in patria, anche al di fuori del giro underground. In definitiva, quindi, un lavoro convincente e meritevole di tutta la vostra attenzione. (Mauro Catena)

Havenless - Architecture of Plague

#PER CHI AMA: Death Progressive, Opeth, Cynic
Ennesima new sensation che arriva dalla Francia, a testimoniare quanto sia fiorente in questo momento la terra d’oltralpe. Guardando però la line-up, si nota come i nostri non siano certo musicisti di primo pelo, nonostante “Architecture of Plague” ne costituisca l’EP di debutto. Membri di Reverence, Sael o Ossuaire, tanto per citarne alcuni, costituiscono questo promettente gruppo, dedito prettamente a sonorità death progressive. Consueta intro d’aperura, poi bando alle ciance, lo spazio viene affidato ai tre brani che coprono quasi 25 minuti di musica. Se devo ammettere, non ho particolarmente gradito la ruvidezza della componente death, talvolta ancora un po’ grezza e confusionaria; di contro, devo dare grande merito al five-piece transalpino, nel costruire con ottime intuizioni, le parti più atmosferiche, in cui emergono più apertamente le influenze di act quali Porcupine Tree e Opeth. Ecco pertanto eccitarmi ai suoni notturni di “Restricted” o alla sua contorta componente solistica, e storcere il naso invece di fronte alla ritmica rabbiosa o alla corrosiva prova del vocalist Fred Blanchard, che a mio avviso avrebbe dovuto puntare piuttosto su una prova pulita. “In the Wake of the Phantom's Plague” è un pezzo che apre tirato, in cui la batteria si lascia andare inizialmente ad arrembanti blast beat, prima che il quintetto inizi a suonare come dio comanda, miscelando lo space rock progressivo (fondamentale in questa chiave la prova di PY Marani alle tastiere) con il death a la Cynic e chiuda infine con una fuga affidata al basso di Vincent Mattana e ad una malinconica chitarra acustica. L’act di Tolosa non è affatto male, ma lo trovo ancora un po’ acerbo nella gestione dell’arroganza della musica estrema con l’eleganza di quella progressive; c’è pertanto da lavorarci sopra per cercare di dare un’anima ben più definita al sound dei nostri, che spesso mancano in lucidità. Per chiudere, una semplice curiosità: sul sito bandcamp degli Havenless, i simpatici burloni riportano che l’uscita del cd è schedulata per luglio 2014, con spedizione in aprile 2015, quindi fossi in voi mi affiderei intanto all’economico download dell’EP. Curioso di sentire nuovi sviluppi, suggerendo alla band di virare verso sonorità più soffuse in chiave Cynic. (Francesco Scarci)

Seaeye - Journeys Beyond Time

#PER CHI AMA: Shoegaze, Alcest
I cd da recensire stanno aumentando pericolosamente sulla mia scrivania e allora meglio darsi da fare quest’oggi e andare a ad ascoltare quello che dovrebbe essere il debut EP degli ucraini Seaeye. Flebili e romantiche note aprono i due minuti introduttivi di questo “Journeys Beyond Time”, prima che i tocchi alla sei corde di Mr. Mephisto (il factotum della band), lascino intendere palesemente la direzione stilistica dell’ensemble, che si palesa sia a livello strumentale che vocale. Leviamo quindi quel velo di mistero tenuto fino ad ora e diciamo che il mastermind di Kiev, paga un pesante dazio allo shoegaze dei francesi Alcest. Non faticherete pertanto ad immaginare il sound dei nostri fatto di un mix di chitarre acustiche ed elettriche, soffuse atmosfere malinconiche, vocalizzi che si rifanno pesantemente al buon Neige (ma senza mai sfociare nello screaming) e ovviamente qualche rara scorribanda chitarristica in territori black. Ampio spazio è lasciato alla musica che dipinge paesaggi spogli con gonfi nuvoloni carichi di pioggia, ma non quella dei temporali estivi, bensì quella costante e battente sulle finestre, nelle corte grigie giornate autunnali. È il caso della title track , lunga song completamente strumentale o delle successive “Solar Shine”, dove di solare c’è ben poco e “Like a Swallow”, la traccia forse più movimentata del lotto, ma anche quella meno aggraziata ed elegante. “Sunset” è l’outro che chiude questo positivo lavoro che non fa che aumentare le attese e le mie aspettative per questo nuovo combo ucraino. (Francesco Scarci)

martedì 16 aprile 2013

Cemetery Of Scream - The Event Horizon

#PER CHI AMA: Gothic/Dark, Evereve, Ewigkeit
Seguo questa band polacca fin dai loro esordi più remoti (del 1993 il primo demo “Sameone”), quando si dilettavano a fare il verso al death/doom malinconico dei My Dying Bride. A distanza di diversi anni, vado a riscoprire un album (il sesto, datato 2006) della loro discografia e davanti mi ritrovo una band totalmente rinnovata, con un incredibile bagaglio di esperienza, sei album all’attivo e con un nuovo sound, darkeggiante, atmosferico e intrigante, ma soprattutto con un vocalist nuovo... James Hetfield? No, scherzo non vi preoccupate, ma la sensazione all’ascolto dell’iniziale “Prophet”, è stata quella che la voce dei Metallica cantasse su questo disco. Con i successivi brani però, i miei dubbi fortunatamente si dipanano e mi rendo conto che Pawel (vocalist della band), ispirandosi al ben più famoso collega, ha una propria personalità, anche se deve certamente migliorare dal profilo tecnico prima di poter eguagliare il buon vecchio James. Analizzato il cantato (una delle pecche del disco), passiamo alla musica: se la band era estremamente valida quando proponeva quel sound malinconico più di due decadi fa, questo disco offusca quelle potenzialità palesate, mostrando un gruppo di qualità, ma dalle idee non del tutto chiare. La matrice di fondo è un dark sound molto atmosferico, senza tanti picchi adrenergici, a tratti lagnoso (in “Ganges” compare una female vocals veramente fastidiosa), spesso noioso perchè carente proprio di quel quid necessario a far decollare l’album. La musica è eccessivamente melodica, con le chitarre che accennano in rari momenti (e sono i momenti migliori) ad accelerazioni che possono ricordare i teutonici Evereve, ma a dominare la scena sono le tastiere e tutta la serie di sampling e diavolerie varie annesse. “The Event Horizon” non è un pessimo album, ha la pecca di non mostrare mai le palle e di avere una emivita assai breve: dopo poco ci si annoia e si cambia cd e dire che i brani più “movimentati” stanno nella seconda parte del disco... Peccato, dopo cinque anni di silenzio dal precedente lavoro, speravo sinceramente in qualcosina in più... (Francesco Scarci)

(Metal Mind Records)
Voto: 55

http://www.cemeteryofscream.com/

Metroid Metal - Varia Suite & Expansion Pack


#PER CHI AMA: Instrumental Prog Metal, Dream Theater, Videogame Soundtracks
Devo confessare di non essere mai stato un fanatico dei videogiochi, cosa che mi impedisce probabilmente di godere appieno della musica di questo quintetto statunitense. Il perché è presto detto: i Metroid Metal sono un progetto nato con il preciso scopo di celebrare e riproporre, in chiave appunto metal, le colonne sonore di “Metroid”, una saga di videogames che, a quanto pare, ha spopolato sulle console Nintendo a partire dagli anni ‘80. Il tutto nasce nel 2003, quanto Grant Henry si imbarca nel progetto facendo tutto da solo, in proprio. Nel corso degli anni la cosa si fa sempre più seria e nasce un vero e proprio gruppo, allo scopo di proporre il lavoro di Henry in versione live. Ecco così che nel 2009 nasce “Varia Suite”, seguito un anno più tardi dal suo seguito “Expansion Pack”, entrambi composti esclusivamente da brani estratti dalla colonna sonora di “Metroid”. Roba per nerd allo stato terminale? Probabilmente si, e di fatto anche il gruppo stesso non fa nulla per negarlo, fregiandosi della partecipazione a festival a tema come il Nerdapalooza (!!!), a testimonianza di come il movimento, negli USA, sia molto più fiorente di quanto sia ragionevole attendersi. Dal punto di vista strettamente musicale, si tratta di un metal estremamente tecnico e ben suonato, oltre che rigorosamente strumentale, con rimandi che oscillano continuamente fra il trash degli anni ‘80 e il prog metal stile Dream Theater. In questo senso i due dischi sono praticamente da considerarsi un corpo unico, uno l’estensione dell’altro, senza particolari differenze di stile o atmosfere. A favore dei cinque giocano sicuramente la passione e una convinzione di fondo che riesce a rendere credibile un’idea al limite del folle, oltre ad una perizia strumentale invidiabile, che non sconfina mai nell’ipertecnicismo onanistico e fine a se stesso (in questo senso stanno già un passo avanti ai sopra citati Dream Theater…). C’è da dire anche che la base di partenza non sembra affatto male, e si può ben riconoscere una certa fascinazione alle atmosfere ora epiche e trascinanti (“Prelude” o “Prime Theme”), ora più ipnotiche e rilassate (“Space Pirates”). Va detto però che, alla lunga, il gioco rischia di stancare, anche per la natura puramente strumentale che acuisce quello che personalmente ho trovato essere il maggior difetto di questi cd, ovvero una certa freddezza di fondo. Infatti il coinvolgimento emotivo di un ascoltatore neutrale, difficilmente potrà essere superiore a quello che si otterrebbe dalla lettura dei resoconti sull’andamento dell’agricoltura in Honduras, e altrettanto difficilmente si riuscirà a considerare i Metroid Metal nient’altro che una (piacevole) curiosità, buona magari da ascoltare durante un rimpatriata fra amici, dopo aver rispolverato la propria vecchia cartuccia di “Metroid”. Sempre ammesso che abbiate degli amici così… (Mauro Catena)

(Silent Uproar)
Voto: 60

http://metroidmetal.bandcamp.com/

Aedera Obscura - Aedera Obscura

#PER CHI AMA: Black Gothic, Cradle of Filth, Agathodaimon
Il sestetto milanese ci offre questo primo full lenght interamente autoprodotto e composto da Eric Fachinetti, formato da ben dieci brani, tutti di media durata, tranne l'ultimo dal titolo “Lost” che supera i sette minuti. Il territorio su cui si aggira la band è il symphonic black metal di casa Cradle of Filth ed affini, con tastiere in grande spolvero e ben ragionate, fantasiose e dalle strutture interessanti anche se in alcuni casi troppo devote alla musica dei Filth e Agathodaimon. La struttura ritmica è di buona fattura e stranamente mette in evidenza una batteria (dai suoni migliorabili) e un basso ben lanciati, a discapito in taluni casi, delle chitarre che risultano un po' sottotono e scariche, senza quella violenza necessaria alla buona resa di questo genere musicale. L'album si fa ascoltare senza intoppi e sia le numerose parti melodiche/sinfoniche che la prova vocale di Alessio Cremonesi lo rendono fruibile a tutti gli effetti. Alla resa dei conti, Cremonesi ha uno screaming intenso e sentito, serve qualche miglioria nel pulito anche se molto fantasioso, figlio di Vintersorg e Borknagar, è padrone della scena e la divide come sopra citato al cinquanta e cinquanta con un lavoro degno di nota di tastiere e programming di egregia fattura (ascoltate l'iniziale “My Murmurous Mind” e “Arcana Coelestia” per credere). Forse un tocco in più di cattiveria nella produzione avrebbe ulteriormente aumentato le potenzialità di questo album che ha brani dalla buona presa immediata, dal retro gusto gothic e dalle strutture sofisticate e cristalline. Forse la ricerca del suono perfetto e limpido ha reso gli Aedera Obscura meno aggressivi di quanto in realtà siano ma sicuramente ha donato a questo lavoro un tocco di originalità tutta particolare e vitale, che invita ad esplorare il loro mondo e ad assaporare questi brani lentamente cogliendone tutte le sfumature presenti. Un grande sforzo compositivo, una resa ottima e cosa ancora più positiva è che più si avanza nell'ascolto dei pezzi e più si è coinvolti dalla loro grande atmosfera. Una band dalle grosse possibilità e dalle buone idee, tanta carne al fuoco, qualcosa da rivedere ma in generale un gran bel lavoro! (Bob Stoner)

lunedì 15 aprile 2013

Romero - Take The Potion

#PER CHI AMA: Stoner Doom, Kyuss, Sleep, Baroness
La domanda all'ascolto di ogni nuovo disco del genere è sempre la stessa: c'è ancora spazio per l'originalità nello stoner-rock? Ecco la mia risposta: non so e non m'importa. Mi sono persuaso negli anni che lo scopo dello stoner/doom sia sempre stato un altro: il viaggio, più o meno personale, nel quale si coinvolge l'ascoltatore. Oggi come oggi, diciamoci la verità, non c'è più bisogno di vivere nel deserto per suonare dell'ottimo stoner rock: è questa la lezione imparata dai Romero, terzetto stoner/sludge con base in Wisconsin, al loro debutto con "Take the Potion". Il disco è distribuito gratuitamente online, accompagnato da un progetto su Kickstarter (che ha già raggiunto la quota richiesta) per produrre un certo numero di vinili. I fans, a seconda del tipo di sostegno dato, hanno ricevuto gadget straordinari (magliette o poster, ovvio, ma anche flaconi di pozione in stile voodoo, live performance dedicate o lezioni private col batterista), a riprova che i Romero sanno bene come muoversi nel mercato musicale moderno. Sette brani, quaranta minuti: qua e là spuntano, come detto, i Black Sabbath e i Kyuss – ma anche gli Sleep, i riff violenti degli Alabama Thunderpussy, l'anima blues, il doom vecchio stampo, le atmosfere space, lo sludge dei Baroness. Niente di nuovo, dite? Può darsi: ma un niente-di-nuovo nel complesso ben suonato e costruito. I Romero miscelano tutti gli ingredienti a loro disposizione in una produzione più che interessante, anche se forse appena carente di personalità: un viaggio ben fatto – che funziona alla grande dopo un paio di cannoni, ma offre molti piacevoli spunti anche da sobri. Nessuna canzone emerge più delle altre: ma fischietterete le strofe corali di "Compliments & Cocktails" per un bel po', godrete dell'esplosione dopo i primi tre minuti della lentissima "Couch Lock" e senz'altro vi perderete nei sette minuti abbondanti di "Distraction Tree". Peccato solo per l'eccessivo uso, qua e là, del caro vecchio terzinato alla Kyuss: non serve più il deserto per fare stoner, e questo si è capito. Ma non serve nemmeno cadere per forza nella vecchia ritmica rimbalzante che è già stato il successo di Jon Garcia e soci.(Stefano Torregrossa)

(Grindcore Karaoke)
Voto: 70

http://www.romeroisloud.com

Aidan - The Relation Between Brain and Behaviour

#PER CHI AMA: Post-metal strumentale, Drone, Cult Of Luna
Prima ancora di sapere qualcosa sugli Aidan, premo play e ascolto il loro debutto, "The Relation Between Brain and Behaviour". Non mi aspetto nulla di più di post-metal – qualunque cosa questa etichetta voglia dire oggi, dopo essere stata applicata indifferentemente sia ai Melvins che ai Pelican, tanto per dire. Il lavoro è ispirato ad uno dei casi più famosi della neurologia statunitense: nel 1823, il giovane operaio ferroviario Phineas Gage restò orribilmente ferito sul lavoro: una barra di ferro gli penetrò nella testa, perforando completamente il lobo frontale sinistro. Il caso, studiato approfonditamente dal dottor Harlow, è iscritto negli annali della medicina. I titoli delle tracce ne raccontano le vicende, l'incidente, le successive analisi, la morte e la sepoltura al cimitero di San Francisco. Sette brani completamente strumentali, in grado di passare con facilità dall'orchestrazione elettronica della cupa intro, "Lebanon, 1823" all'altalenante "Left Frontal Lobe" in costante tensione tra accelerazione e lentezza doom; dall'ispiratissima "No Longer Gage" all'altro capolavoro dell'album, "Pulse 60 and Regular", tanto serrata all'inizio quanto inquietante nel lungo bridge centrale di chitarra. Il tutto è condito dal suono sporco tipico dello sludge, che differenzia gli Aidan di diverse misure rispetto, ad esempio, ai colleghi Cult of Luna o ai Karma To Burn. Ma ecco la prima delle due sorprese di questo lavoro: pur essendo strumentale, pur essendo ispirato ad altri grandi del genere, "The Relation Between Brain and Behaviour" traspira personalità da tutti i pori. È un disco che si ascolta piacevolmente dall'inizio alla fine, è suonato senza inutili tecnicismi ma con precisione, gusto e presenza, ed è prodotto in maniera eccellente e con grande cura ed equilibrio nei suoni (ascoltatevi il finale di "Lone Mountain": capolavoro). La seconda sorpresa? Gli Aidan sono tre ragazzi di Padova. Sì, avete letto bene: Padova.(Stefano Torregrossa)

domenica 7 aprile 2013

Deep Mountains - Deep Mountains

#PER CHI AMA: Black, Avsky, Centuries Of Deception, A Forest Of Stars
Scrivere della band in questione non è facile poiché in rete poche sono le notizie a riguardo, poche le immagini e le traduzioni e soprattutto i “Deep Mountains” vengono da Tai'an, Shandong province, a nord della Cina. Nella bella copertina ermetica si legge che la band è devota alla natura, alla poesia delle foreste, alla tradizione cinese e che l'immagine frontale è dell'artista cinese Haisu Liu (1896 – 1994), che è stato registrato tra il 2009 e il 2010 e porta il logo della Pest Production, la stessa dei Zuriaake. Dalle poche notizie che abbiamo sembra sia l'unico full lenght della band ed è un vero peccato perché una commistione di suoni così pieni d'atmosfera e visionaria poesia è veramente difficile da trovare oggi giorno. I Deep Mountains riescono a far convivere romanticismo, tristezza, rabbia e misticismo contemporaneamente senza mai sciogliere o far cadere l'equilibrio di cui si regge l'intero album. Il loro sound è molto legato al tradizionale black metal e sulle parti più veloci ricorda progetti particolari come Avsky, Centuries Of Deception o A Forest Of Stars, anche se con più straordinaria passionalità e armonia che ci porta ad apprezzare lunghe introduzioni e ponti con suoni e rumori d' ambiente dal buon sapore post rock, mescolate ad un retrogusto di musica tradizionale cinese e chitarre acustiche a volte molto bluesy e persino gitane, ben suonate e in alternanza ad aperture doom ed infine veloci scorribande black grigie e malate. L'album è un lavoro da ascoltare innumerevoli volte, molto difficile da apprezzare al primo impatto perché ricco di atmosfere differenti legate da un umore decadente e romantico che conferisce all'intero lavoro una veste da concept album che induce l'ascoltatore ad intraprendere un viaggio musicale. Cosa distingue i Deep Mountains dagli altri gruppi? L'attitudine alla costruzione dei brani in una forma più psichedelica e visionaria, una sorta di post rock suonato con i canoni del black metal più sanguigno e questa è una vera chicca perchè difficilmente si sentono suoni così differenti accostati insieme. Le parti più lente, suonate con una chitarra sensibilissima hanno l'aria devastante di una “One” dei Metallica suonata da William Ackermann in preda alla depressione e si alternano a partiture veloci epiche intersecate da violino e tastiere che rendono il tutto così magicamente “cinese”. e qui scopriamo che il gusto per la psichedelia è ben radicato nella band poiché l'uso di effetti d'ambiente, flanger e riverbero anche nelle cavalcate veloci, sono di casa. Immaginate un calderone dove tutto è calibrato e allo stesso tempo così selvaggio ed etereo che persino lo screaming più drammatico può portarti in un'atmosfera di sogno, uno stupendo malinconico sogno dagli occhi a mandorla. Piccola perla cinese! Da ascoltare! (Bob Stoner)