Cerca nel blog

martedì 21 agosto 2018

Roamer - What The Hell

#PER CHI AMA: Noise/Alternative
I Roamer sono quattro musicisti provenienti da Olten, città svizzera incastonata tra le montagne e attraversata da un fiume cristallino che ha sicuramente stimolato i sensi dei nostri ragazzi. Attivi dal 2011 con un paio di EP ed un album, sono tornati aprile scorso con il nuovo album 'What the Hell' edito dalla Czar of Revelations, ovvero il lato meno aggressivo dell'etichetta svizzera Czar of Crickets Productions (la Czar of Bullets infine si occupa di metal e genere affini). "Open my Pants" è la prima traccia e dopo poche battute veniamo scaraventati in una dimensione che non rispetta le comuni regole della fisica. La ritmica sintetica disturba a causa della sua non linearità, ma viene dominata da un basso baldanzoso e dal vocalist che ci sussurra all'orecchio con fare provocatorio. Finalmente il brano si distende, entrano le chitarre con un assolo a tratti dissonante, mentre il martellante e malizioso ritornello ci trasporta verso la conclusione di un brano scarno che ci lascia in bocca il sapore plastico di un noise/alternative pop. "Today" mischia le carte ricordando vagamente l'appeal degli Anathema grazie al pianoforte potente e alla kick drum pulsante, con lo sviluppo che prende poi una strada diversa fatta di una grande intensità ritmica dato dal supporto delle chitarre distorte. Nel frattempo il vocalist cerca melodie dal percorso inaspettato che alleggeriscono il mood del brano. Da una pazzia all'altra, è il momento della title track, "What the Hell", che spinge verso sonorità ancora più noise e pattern poco friendly che mettono alla prova l'orecchio pop rock dell'ascoltatore. Dopo il delirio cacofonico, tutto si ferma con uno stacco leggero di pianoforte e cantato, appesantito solo da un'imprecazione che viene scandita più volte fino alla chiusura. Per addolcire l'album, i Roamer ci deliziano con "Touchscreen" che gronda groove da tutte le parti grazie alla sezione di basso e batteria con gli immancabili innesti eterei, oramai marchio di fabbrica della band elvetica. Un brano che scivola bene, nonostante la composizione sia complessa, grazie agli arrangiamenti che a volte ricordano i Radiohead imbastarditi con i NIN quando serve un po' di grinta in più. Il livello compositivo si mantiene medio alto anche negli altri brani che si differenziano con qualche piccolo excursus alla QOTSA ("Rebel") o ancora NIN ("Number"), caratterizzati però sempre dal cantato che deve molto alla scuola brit dei vecchi Blur. 'What the Hell' è alla fine un album assai godibile, che spezza la monotonia di una serie di produzioni simili tra loro e con poca creatività. I Roamer hanno il merito di aver saputo forgiare un proprio stile che, nonostante lo scarso mainstream, gode del dovuto rispetto. (Michele Montanari)

(Czar of Revelations - 2018)
Voto: 75

https://roamer.bandcamp.com/album/what-the-hell

Moto Toscana - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Funk/Alternative
Uno strano nome, una strana formazione a tre, una scelta stilistica particolare con un sound stoner oriented ricercato e atipico. Il suono della band tedesca è caratterizzato dalla presenza di una batteria che riempie e fa da tappeto ad un basso distorto, padrone della scena, e ad una voce che mette ordine nelle strutture complesse delle composizioni. L'ottima performance del vocalist Andy, sensuale e allucinato alla perfezione, rende assai attraente il lavoro. Quel suo cantato a cavallo tra psichedelia e alternative metal anni novanta, è molto convincente cosi come il sostegno dietro le pelli di Chrisch. Discorso a parte per il basso che qui si rende il vero padrone, tutto è a suo carico, la melodia e le ritmiche pendono dalle sue corde visto che non ci sono altri strumenti utilizzati per arricchire il suono. Il bassista Michi si muove agile e sostiene molto bene le strutture tra bassi gravi e distorti, ritmiche funky, quasi in ricordo della Henry Rollins Band, ed escursioni stoner alla Core di 'The Hustle is On'; a volte il basso saltellante ricorda anche il tiro dei Rage Against the Machine ma Tom Morello non compare mai, e qui sta la particolarità della band e probabilmente anche il suo limite. Tutti i brani sono delle potenziali hit, suonate bene ed orecchiabili, fluidi, trascinanti, non presentano momenti bui e sono a tratti carichi di un vero magnetismo rock, che mi ricorda la musica degli allucinatissimi The Hypnothics, suonata però con tutto il peso di un mammut ed un virtuosismo spinto. L'album è sì interessante, ma non sarà ben accettato da tutti vista l'assenza di strumenti portanti, una chitarra o delle tastiere, cosi verosimilmente, molti lo reputeranno inspiegabilmente incompleto ed il disco risulterà di nicchia, non tanto per il fatto che i brani non siano buoni o troppo eccessivi, per il fatto che come già notato per gli OM, la combinazione di solo basso e batteria, alla lunga, porti a risultati ottimi ma per un pubblico di soli appassionati, musicisti, cultori e sperimentatori. Sicuramente dal vivo questo trio tedesco sarà uno spasso da vedere, e il loro disco, uscito per la Tonzonen Records, è sicuramente da ascoltare. Sono bravi e fantasiosi questi Moto Toscana, quanto bizzarra e coraggiosa è la loro proposta... certo è, che con brani del genere e un range di suoni più ampio, a questi tre preparati musicisti non resterebbe altro che diventare leggenda! (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2018)
Voto: 75

https://mototoscana.bandcamp.com/releases

lunedì 13 agosto 2018

Firtan - Okeanos

#FOR FANS OF: Pagan/Black
Firtan is a well known German band founded in 2010 in Lörrach, a nice city located in Baden-Wüttemberg. From the first inception of this project there are only two original members left. Oliver König, who plays the bass and performs the backing vocals and Philipe Thienger, who plays the guitars, keys and the main vocals. They are accompanied by other two members who have joined the band in the last two years. Firtan plays a blend of pagan and black metal with an atmospheric touch played on the stage with a great passion. Their good performances helped them to carve a cult status among black metal fans across Europe. During these eight years the band has released two EPs and an interesting debut entitled 'Niedergang', reviewed on these pages.

Due to the line-up changes, it has taken some time to compose the sophomore album entitled 'Okeanos'. The second effort is always a pivotal release for any band, because it can confirm the potential of the debut, but it also demands a step forward in the band’s evolution. 'Okeanos' is thankfully a move forward for the band and it should confirm Firtan’s potential in this genre. The album opener “Seegang” is a truly powerful and long track, which sums up Firtan’s characteristics. As it is traditional with many German black metal bands, the vocals are truly powerful, very high pitched and full of hate. Philip makes a great job on vocals with polyvalent and strong screams which fit perfectly well the music. Musically speaking, the band sounds more progressive than ever, adding many tweaks to the compositions. The song flows easily from the heaviest and more straightforward sections to the instrumental and calmer ones, which act as a bridge to the next vigorous section. In those calm sections, acoustic guitars are a commonly used resource which works quite well. Other tracks follow a similar pattern, which is not bad at all, because it means that each track of the album is highly dynamic and brings a wide range of riffs and a progressive touch which make the compositions quite interesting. Though the album is clearly a guitar driven work, it contains some atmospheric touches in the form of occasional keys and the addition of some violins in “Nacht Verweil” and the beautiful and melancholic instrumental “Purpur”. Moreover, the band adds some interesting choirs which shine specially in “Uferlos”. They do sound solemn and dark making this track the most atmospheric one. It´s difficult to choose a favourite track but the closing epic song “Siebente, Letzte Einsamkeit” is indeed a serious contender. In its nine minutes, the composition contains all the characteristics that define this album. The background keys play a good role, while the guitars sound as strong and varied as ever. This is indeed a good way to close this second effort.

In conclusion, Firtan has achieved their target with 'Okeanos' which is supposed to happen with a sophomore album. 'Okeanos' sounds like a step forward reinforcing Firtan’s strong points and being a more mature release, with a stronger progressive nature. A band to follow. (Alain González Artola)


(Art of Propaganda - 2018)
Score: 80

https://firtan.bandcamp.com/album/okeanos

Lenore S. Fingers - All Things Lost on Earth

#PER CHI AMA: Gothic Rock, The Gathering, Anathema
Il secondo album dei calabresi Lenore S. Fingers uscito per la My Kingdom Music, conferma la linea intrapresa dal precedente 'Inner Tales', proponendo musica malinconica, piena di pathos con piccole digressioni progressive e incursioni mirate e controllate di metal gotico. La formula funziona alla perfezione e gli stacchi neo prog di "Rebirth" e della title track "All Things Lost on Earth", unite alla soave, decadente e romantica voce di Federica Lenore Catalano, completano un panorama sognante e cupo alla stessa maniera. Immancabile la vicinanza sonora con i The Gathering anche nelle lievi incursioni elettroniche (vedi la conclusiva "Ascension"), verosimilmente l'aver suonato con i Kirlian Camera deve aver avuto un certo effetto sulla straordinaria voce di Federica perchè il suo tono è sempre esposto al meglio, con una leggera venatura di nordic folk unita ad un tocco raffinato e di classe come poteva essere quello di Harriet Wheeler, regina dell'alternative britannico sotterraneo di fine anni ottanta/inizio novanta, e questo paragone è per me il valore aggiunto della band, che ha tra le sue armi, il potere e la volontà di riscrivere pagine di un genere abusato e per molti versi non più credibile. Così, arpeggi e voce in prima linea a costruire musica dalle tinte grigie, dall'umore triste, con chitarre distorte che escono al momento opportuno e il piano, colmo di note struggenti sul calar del post rock e del classicismo volto alla luna si uniscono per far uscire canzoni come "Lakeview's Ghost" o "Ever After" che simulano il piano di volo degli ultimi ancestrali Anathema. La vena di un gothic metal moderno e dinamico è sempre presente, la bravura dei musicisti si sente in ogni singola composizione, tra l'altro molto interessanti e ben sviluppate in un disco omogeneo ed interessante da ascoltare fino in fondo. Sorpresa sull'intro/ritornello in lingua madre di "Luciferines", anche se la resa migliore resta la lingua d'albione per questo tipo di approccio musicale. Una carrellata di brani ben studiati e sviluppati dove tutto è al posto giusto, buona la produzione che non spinge troppo sui canoni metal favorendo un ingresso naturale del cantato melodico anche nelle linee più dure mantenendo un'ottima naturale qualità d'ascolto. In quest'album niente è lasciato al caos nel nome dei maestri d'arme Novembre. La melodia e la malinconia sopra ogni cosa, uno splendido lavoro per una band in grande crescita. Consigliato l'ascolto. (Bob Stoner)

Kayser - Kaiserhof

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Doom, Slayer, Black Sabbath
Kayser non si riferisce al prefisso di una nota squadra di calcio tedesca, nemmeno il nome di una marca di acque minerali, bensì trattasi della creatura formata da Spice (ex-Spiritual Beggars), Mattias Svensson (The Defaced), Bob Ruben (ex-The Mushroom River Band) e Fredrik Finnander (ex-Aeon), una super band che fu scovata a suo tempo dall'attenta Scarlet Records. Questo super gruppo, traendo spunto dalle formazioni di origine, e da altre influenze che si rendono palesi fin dai primi dieci secondi del disco, rappresenta l’anello di congiunzione che mancava, tra Slayer e Spiritual Beggars. Il risultato, devo ammettere, è molto affascinante, perchè rievoca nella mente, echi ormai lontani, di 'Season in the Abyss' degli stessi Slayer, abilmente miscelati alle melodie seventies di 'Ad Astra' degli Spiritual Beggars, con richiami più o meno forti a Black Sabbath e Megadeth, abilmente reinterpretati con il sound moderno e le tecnologie oggi disponibili. 'Kaiserhof' sfoggia un’ottima produzione, affidata ai Caesar Studios (che hanno ospitato anche Soilwork e The Defaced), presenta un ottimo songwriting e buone vocals che si rifanno palesemente agli Spiritual Beggars, band nella quale Christian "Spice" Sjöstrand ha offerto i propri servigi per anni. La band svedese mostra poi tutta la sua grandissima classe attraverso le prestazioni dei singoli: alla buona prova del cantante si aggiunge l’ottima performance dei due axeman, bravi e già affiatati sia in fase ritmica che in quella solistica (da delirio gli assoli in “Like a Drunk Christ” e “Cemented Lies”); preparato come sempre Bob Ruben alla batteria, con il suo stile molto vicino al fenomenale Dave Lombardo. Insomma, se apprezzate le band sopra citate, non dovreste farvi mancare neppure il debutto 'Kaiserhof'; se poi non siete amanti dell’attitudine “hard seventies” degli Spiritual Beggars, non vi preoccupate, perchè qui troverete di che divertirvi anche con quella cattiveria tipica degli Slayer. (Francesco Scarci)

(Scarlet Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Kaysertheband

Mindgrinder - Riot Detonator

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Death, primi Fear Factory, Morbid Angel
Un grido di guerra apre il secondo capitolo targato Mindgrinder, band norvegese, scoperta dalla Nocturnal Art, che già nel 2004 aveva impressionato positivamente la critica con il debut album 'Mindtech'. Il gruppo scandinavo, formatosi per mano dell’ex batterista/tastierista dei Source Of Tide, Cosmocrator, ha registrato 'Riot Detonator' agli Akkerhaugen Lydstudio (Emperor, Zyklon, Windir) nell’inverno 2004/2005. Il presente cd, contenente tra l’altro 2 videoclips, non sembra discostarsi dal lavoro di debutto, dove il cyber metal alla Fear Factory si fondeva con la veemenza dei Morbid Angel. Di quell’album, è rimasta sicuramente inalterata la violenza, che passa da registri squisitamente thrash (riscontrabili nella parte centrale del disco), ad altri che rievocano i Fear Factory di 'Soul of a New Machine' (nelle prime due tracce), ma con gli inserti dei synth sensibilmente ridotti, mentre parecchio pesanti restano i riferimenti ai Morbid Angel, soprattutto nei conclusivi due brani. Comunque, un po’ tutte le influenze death/thrash metal degli ultimi 20 anni, convogliano all’interno delle nove tracce di 'Riot Detonator'; pur essendo ben suonato, con una produzione ok, buoni assoli, e una batteria il cui uso talvolta lascia un po’ a desiderare, il motivo di risultare un super polpettone di stili e influenze alla fine stanca l’ascoltatore. Cosa volete che vi dica: a parte qualche episodio, “The Rebellion” ad esempio, dove le influenze dei Grip Inc. sono assai evidenti nell’uso delle chitarre e nell’assolo conclusivo, il resto dell’album viaggia su binari non proprio eccellenti, che meritano sì una sufficienza, ma solo per l’onestà della proposta. Per il resto roba già sentita. (Francesco Scarci)

(Nocturnal Art Productions - 2005)
Voto: 60

https://www.facebook.com/MINDGRINDERNORWAY

Construct of Lethe - Exiler

#FOR FANS OF: Black/Death
Bleak and barbaric, Construct of Lethe creates worlds of cataclysm governed by furious fates and overwhelming oblivion obfuscating its open originality with a haze that drains the color from the land and the living. In a twisted underworld where a guide wearing an azure-plumed hat gazes down the left hand path toward the sea on which subsists a writhing mass frozen in its romantic frenzy, this confinement on the edge of unreason brings the horrified humans to a hopeless realization. There is no salvation as even the Christian visage, crowned in thorns, wails in despair as he demeans himself by reaching out in deference to his new god.

Where a first listen would easily draw comparisons to the dismal crush of Immolation, Construct of Lethe thoroughly explores its confinement with rich and obsessive precision, finding splendid sorts of intrigue in every dingy corner to unearth a new truth of its island while supping from the dark waters of amnesia surrounding it. A churning of constant terror brings itself out even more horrifically when obfuscated by the bewilderment of amnesiac disorientation. This is no oasis, no life-bringing land from which to unburden the confined, but a place of squalor and screams where the fates seek to strip every semblance of sanity from their quarry as the Stygian passage opens to the paths of horror awaiting their true judgment by long ignored deities.

Throughout its bleak forty and a half minutes, moments of color rise, like the cloaked Hermes reveling in his own deified halo as he sets to the light-bringing task of diverting even the son of another god to an Olympian underworld. The confusion, betrayal, and bewilderment show themselves through the hallucinations in “Fugue State”. The liberation from dogmatic principles as holy suns abate comes in sweeping guitars clawing out of blindness and escaping the cradle of madness in blasting fits of “A Testimony of Ruin”, and the rolling reversal, an Immolation mainstay that inverts convention and sensibility in favor of a plummeting pummeling sound, makes “The Clot” hammer a heart into submission.

The Greco-Roman imagery and mixtures of Latin and Greek language in the lyrics accentuate the inescapable darkness throughout 'Exiler', one caused on Earth by the condemned Christ and his cohort now wailing among the insignificant mass, capturing a dauntingly detailed and unapproachably undulating atmosphere where confusion and captivity create a chaotic mindset manically manifesting myths and terrors. Such flights of fancy fantastically reflect the “Fugue State” across the entire album, endlessly blurring the lines between reality and imagination in order to further forge fear in its every aspect.

The opening in “Rot of Augury” is a strong misdirection, laying its melodic soloing with a bevy of blasting behind it as though calmly guiding sheep into a meat grinder. Stabs of soloing in “Soubirous” bring a moment of calm before fresh tortures are unleashed, taking the tone of the album to glimpse the sanctity of Elysium before being subjected to the “Terraces of Purgation” where puking in the background, angels abominably apostatizing, and Latin chanting create a scene as scary as it is goofy. Nilotic pinches ensure that riffing and lilting guitar moments stay fresh and challenging, brash soloing and varied riffing atop an ever-refreshing cavalcade of drumming pay homage to Morbid Angel as the closing song, “Fester in Hesychasm” shows a band with the stamina and range to expansively explore its esoteric notions. This construct is truly horrifying. (Five_Nails)

(Everlasting Spew Records - 2018)
Score: 80

https://constructoflethe.bandcamp.com/album/exiler

domenica 12 agosto 2018

Grind Inc. - Executed

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Suffocation
Tolgo dal mio lettore il cd dei Gorerotted e infilo il lavoro dei Grind Inc.; con mia grande sorpresa e stupore, mi viene il dubbio che si tratti dello stesso album, in realtà confrontando la durata e il numero dei brani mi rendo conto che in effetti è 'Executed', il cd di debutto dei teutonici Grind Inc. E ora che faccio, cosa posso dire di diverso rispetto alla precedente recensione? Ok, ci provo... La band, proveniente dalla Germania, è stata fondata nel 2001, come side project di Adriano Ricci dei Night in Gales e Jochen Pelser, ma dopo un paio di demo e l’ingresso di Jan e Chris degli Hatefactor, è diventata una band a tutti gli effetti, e ha firmato un contratto con la Morbid Records che ha pubblicato il presente 'Executed'. Sedici brani per 35 minuti di musica: anche qui, ci troviamo di fronte ad un brutal death metal, privo di qualsiasi spunto innovativo e/o interessante e ispiratosi (male) ai maestri di sempre, Cannibal Corpse e Suffocation. Buona la base ritmica, complice anche una produzione che dà estrema enfasi alla potenza del quintetto tedesco. Il solo problema è, che di band che propongono questo genere, ne esistono a migliaia e, se non si lavora nel tentativo di emergere dalla massa, si rischia di rimanere intrappolati nella mediocrità generale, e divenire quindi il bersaglio preferito delle mie recensioni. Mi fermo qui, non voglio infierire, per ulteriori informazioni, leggasi la recensione dei Gorerotted, tanto per me gli album sono identici... (Francesco Scarci)

(Morbid Records - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/grindinc666

Gorerotted - A New Dawn for the Dead

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind, Cannibal Corpse, primi Carcass
I Gorerotted sono stati una mediocre band inglese attiva tra il 1997 e il 2008. Il ridicolo nome, una funerea copertina che raffigura il viso di una ragazza in evidente stato di decomposizione, banali titoli gore, sembrano già delineare quale sia l’attitudine macabra della band. Il disco, rilasciato peraltro anche in edizione limitata con incluso un bonus DVD (con estratti live del Summer Breeze Festival, un video ed altri extra), è stato registrato agli Aexxys-Art Studios di Schwandorf (in Germania) da Markus Roedl, mixato da Stephan Fimmers (dei Necrophagist) e masterizzato da Tim Turan (Status Quo, Marilyn Manson, Emperor, Discharge) ai Turan Audio. Il genere? Beh sicuramente l’avrete già capito... truculento brutal death metal influenzato dai primi lavori di Carcass e Cannibal Corpse, mescolato a passaggi thrashy e ad altri (molto più rari, a dire la verità) in cui emerge la discreta tecnica dei sei ragazzi britannici. Per il resto, a caratterizzare questa 'Nuova alba per i morti' sono le solite chitarre grezzissime, sostenute come sempre dalla disumana prova del batterista (batteria che a volte ricorda più il suono di una pentola che di un tamburo), sfuriate grind, vocals che come sempre si altalenano tra il tipico cantato growl e timbriche più demoniache. Terzo full length per il gruppo albionico ed ennesimo lavoro, in cui alla fine, a dominare è solamente la noia. Esclusivamente per amanti dello splatter-gore. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/gorerottedofficial

Davide Laugelli - Soundtrack of a Nightmare

#PER CHI AMA: Instrumental Prog, Devil Doll, Goblin
Nelle torbide elucubrazioni bassistiche di "A Night in Stonehenge", la linea melodica pare prog/ressivamente inabissarsi alla ricerca della sensazione più primordiale. La paura. L'horror-prog strumentale di Davide Laugelli vi sembrerà arrischiato ma affatto inedito: nel sogno avrete la sensazione di fluttuare dalle parti di Devil Doll (la suspense), John Carpenter (l'iperuranio sintetico da cui emergono gelidi i suoni), Goblin (la costruzione architettonica del brano). Suoni sinistramente funzionali, fatta eccezione per la batteria, troppo compressa, specie a basse frequenze (sentite il tùp della grancassa). Sensorialmente opposta la conclusiva "Climbing the Wrong Mountain", emotivamente ascensionale e indubitabilmente claudiosimonetti/ana. L'album si apre con una prosaica renderizzazione dell'Opera 49' di Brahms, la ninna nanna di tutti i carillon per bambini di questo mondo e si chiude con il bi-bip della sveglia collocata sul vostro comodino, incorniciando l'album e fornendo una (fin troppo) precisa collocazione all'interno della vostra psiche. (Alberto Calorosi)

Motorpsycho - The Tower

#PER CHI AMA: Alternative Rock
In comune con 'Black Hole/Blank Canvas' ci sono la durata pachidermica (in entrambi i casi prossima agli ottantacinque minuti) e la singolarità storica (specificamente, la volatilizzazione del batterista). Ma più di tutto una sorta di generalizzata attitudine trasversalmente secante. Là, tra i fervori anni '90 e le sofisticazioni, perdonate, fusion early '00. Qui, di nuovo i bollori anni '90 e le galoppate psych-prog affiorate negli anni '10. Generalmente si esordisce con un granitico riff-proto-metal 21st century crimsoniano, successivamente digressivo verso interludi quasi pastoral-prog (c'è il mellotron in "The Tower", il flauto in "In Every Dream Home") e prolungati tumulti psychotic-jam, vale a dire niente di troppo differente da ciò che trovaste su 'Behind the Sun' a suo tempo. La violentemente going-to-californiana "Bartok of the Universe" è invece aperta da un sconquassato riff che potrebbe riportare alla mente certe malvagità di 'Folk Flest' ("Kebabels Tårn", giusto per stare in tema di torri). Più che altrove, succede che le canzoni si decompongano in prominenti improvvisazioni ternarie modalmente psych-jazz (i 6/8 di "Intrepid Explorer") o jazz-psych (i 12/8 di "A Pacific Sonata"). Come già accadde in 'Child of the Future', si presta rinnovata attenzione alle armonizzazioni vocali, dichiaratamente CSNY/esche ("Stardust" e "The Maypole"), un lavoro senz'altro complicato, trattandosi delle armonizzazioni vocali di figuri quali Tacchinobentstrozzato e Tacchinosnahstrozzato. Il ruffianissimo singolo "A.S.F.E." fuoriesce da Barracuda con un colpo di coda per addentarvi direttamente il cervello. "Ship of Fools" sposta in avanti di qualche decibel la transenna della conoscenza umana relativamente al concetto di roboanza. Il ventiquattresimo babelicissimo album dei Motorpsycho, il primo con Tomas Järmyr, ex Zu, a manovrare i tamburi, vi parrà una supernova di energia e creatività. Avete sentito bene. Il ventiquattresimo album. Roba da non credere. (Alberto Calorosi)

(Stickman Records - 2017)
Voto: 85

http://motorpsycho.no/2017/07/the-tower/

Fotocrime - Principle Of Pain

#PER CHI AMA: Dark/Post Punk
Gli anni '80 in tutto il loro oscuro splendore rifulgono potenti in 'Principle of Pain', album d'esordio degli americani Fotocrime. I Joy Division sono uno dei riferimenti che mi salta più alla mente, dato dalle sonorità delle chitarre quasi strozzate, mai troppo aperte e che illuminano il sentiero come una moltitudine di fiaccole su un viale notturno in pieno inverno. Anche la batteria cadenzata e regolare, riporta alla mente gruppi seminali come i The Cure e i Depeche Mode, il rullante pare un colpo di revolver e le ritmiche sono coinvolgenti e fanno venir voglia di tenere il tempo con il piede. La voce di R. infine agglomera tutto e tiene insieme le canzoni con versi decadenti, timbriche scure e toni bassi in stile vagamente Trent Reznor. La sensazione generale è di equilibrio e di pace, ma non una pace angelica e splendente, più una pace che deriva dall’accettazione di sé, dall’accettazione che il male esiste e che è parte della vita, e che il male può essere bellissimo. Uno dei pezzi che mi ha più colpito è "Confusing World", una traccia in pieno stile post punk, ove la melodia è triste seppure il ritmo del pezzo sia incalzante, fino ad arrivare ad un ritornello orecchiabile in stile Killing Joke. Notevole anche "Gods in the Dark" con la collaborazione di una voce femminile assolutamente azzeccata per il genere e per la canzone, che per l’occasione sfoggia una lauta sezione di sequencer degna dei migliori Kraftwerk. Le rose, i serpenti e i pugnali si impongono nell’immaginario dell’ascoltatore, in un ambiente gotico, notturno quasi vampiresco, dove sembra di stare in un castello medioevale ad un ricco banchetto di carne al sangue, frutta e vino rosso versato in grandi coppe dorate. Gli astanti ridono sguaiatamente e s'intrattengono in orge ed ebrezza, i demoni alati danzano liberi assieme agli spettri, ad illuminare la stanza solo le fioche candele e la luce della luna filtrata delle lunghe tende di seta che pigre si muovono con il vento. Un ambiente da favola, un’atmosfera che fa venire una grande nostalgia di quello splendido periodo di musica che erano gli eighties, del chorus sulle chitarre, degli eyeliner e dei vestiti in pelle con milioni di fibbie. (Matteo Baldi)

sabato 28 luglio 2018

Organ - Eterno

#PER CHI AMA: Doom strumentale
In attesa di ricevere buone nuove dagli Amia Venera Landscape, andiamo a gustarci uno dei side project della band veneta: gli Organ. Formatisi nel 2014 per mano appunto di membri degli AVL, dei Discomfort e degli Hobos, gli Organ propongono, in questo lungo 3-track (della durata di quasi 28 minuti) intitolato 'Eterno', un concentrato orrorifico di doom strumentale. La band attacca con i dieci minuti e passa di "Aidel", song dall'intro dronico che pian piano evolve in una lenta e strisciante cavalcata doom, tra suoni potenti e rallentamenti da brivido, che risentono evidentemente del retaggio delle rispettive band madri, il che si traduce in lugubri riffoni dal chiaro sapore hardcore. Questa caratteristica dà quel pizzico di peculiarità alla band originaria di Venezia/Belluno. Sarebbe infatti troppo semplice saccheggiare la storia del doom mondiale e proporla in forma strumentale, i nostri invece ci mettono un po' della loro personalità, proponendo una visione alquanto melmosa del loro sound. Per forza di cose, la proposta degli Organ tende a sconfinare un po' qui e un po' là, in territori post metal e sludge, mantenendosi comunque focalizzata all'interno di binari doom dai forti tratti psichedelici, come testimoniato dalla seconda parte della opening track. Un bel riffone schiacciasassi fa il suo esordio in "Faithless" e qui il quartetto veneto ricorda che, oltre ai maestri Black Sabbath, anche i primissimi Cathedral si sono dati da fare egregiamente nel mondo doom. L'ossessività del riffing, unito a degli arrangiamenti deflagranti e ad una fortissima ripetititità di fondo, costituiscono l'ossatura portante del pachidermico trip al quale dovremo sottostare anche in questi asfissianti otto minuti della seconda traccia. Non bastano quelle tastiere in sottofondo a smorzare i toni mortiferi della song, così cupa e lenta nel suo incedere ipnotico. E non aspettatevi nulla di buono neppure da "Decadence", il terzo atto di questo EP, che prosegue nel suo malsano avanzare a rallentatore. Ecco, francamente, una cosi monolitica proposta senza un briciolo di growl, risulta parecchio difficile da digerire, soprattutto perchè il suono dei nostri non è particolarmente dinamico, fatto salvo un giro di chitarra riverberata in quest'ultima traccia, che ha nuovamente un pericoloso effetto disturbante per il cervello. Comunque, il terzo brano appare il più sperimentale dei tre, soprattutto per un altro bel cambio di tempo a metà pezzo e altre piccole diavolerie ricercate dall'ensemble italico. 'Eterno' alla fine è un lavoro che mi sento di consigliare a pochi eletti, o a chi è veramente preparato psicologicamente a scalare una cosi insormontabile montagna. (Francesco Scarci)

Cheap Trick - We're All Alright!

#PER CHI AMA: Hard Rock
Se il riffone dell'introduttiva "You Got It Going On" vi susciterà l'inestimabile sensazione tipo come di scendere dalla moto e assistere a una gara di schiaffoni tra godsofmetallari e pausiniani all'autogrill di Somaglia, ecco, di sicuro vi sbagliate se solo pensate che il diciottesimo album dei piucchesenescenti Trucchetti Da Quattro Soldi vi lascerà lì così, a guardarvi i Dr. Maertens. Nel prosieguo, né il punkabilly "Radio Lover", né la stooges-punkeggiante "Nowhere", tantomeno la sleaze-like "Brand New Name On an Old Tatoo" si permetteranno di allentare la catena di trasmissione delle vostre rissose emozioni. E non saranno i mid-tempo astutamente escogitati qua e là e neppure le tentazioni folk-autoriali collocate nella seconda parte dell'album (pensate alla tom-spettynata "She's Alright" dondolante su accordi squisitamente southern, oppure ai beatles/ismi collocati nel finale di "The Rest of My Life" o nell'intera, conclusiva, "If You Still Want My Love" o ancora nella beatlesianissima "Blackberry Way", cover dell'unico hit degno di queste tre lettere dei già-beatlesianissimi-per-i-cazzi-loro "Move" nell'anno del signore millenovecento68) a farvi sfilare i tirapugni. Ascoltate questo album sorprendentemente ben scritto esclusivamente attraverso diffusori di bassa qualità, tipo quel maledetto walkman taroccato che pagaste comunque un patrimonio e che consumava due pile grosse come polpacci di cicciobello per un solo ascolto della vostra cassetta da novanta preferita, che aveva su ovviamente 'Heaven Tonight' e 'Dream Police'. Il problema, lo so, è infilare la cuffia sotto il casco. (Alberto Calorosi)

(Big Machine Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/cheaptrick

venerdì 27 luglio 2018

Majesty of Silence - Zu Dunkel Für Das Licht

#FOR FANS OF: Black/Gothic
Majesty of Silence is back with a brand new album entitled 'Zu Dunkel Für Das Licht'. The band is by no means a rookie as it was founded 22 years ago in Aarau, Switzerland. During the early years, they released three albums at a reasonable rate, but afterwards the band remained inactive during a long time. And, when many years pass, it is taken for granted that there won´t be any comeback, fortunately it wasn´t the case and Majesty of Silence was re-activated in 2016. It seems that the band was reinvigorated because it hasn´t taken too much time for the current two members to release a new album. It has to be mentioned that the band´s first line-up consisted of three members. Around 2005, an additional member joined the band, but nowadays Majesty of Silence continues as a duo with two of the founders, Peter Mahler and Christian Geissmann. 
 
Musically speaking, Majesty of Silence plays an interesting blend of black metal and gothic metal where the classic raspy vocals are dominant and the tempo is clearly faster and much more aggressive than we usually see with classic gothic metal bands. As it can be expected, the band adds some interesting keys which also have a mixed influence, at times they sound more black metal-esque and in other cases, they have a pure gothic metal touch. From time to time some female vocals appear, and they are a good contrast to the heavier and darker side of this band. During the first years the band used to sing in English but it was a matter of time that the band introduced the German language in their lyrics, which, in my opinion, makes the band sound even darker. German is indeed a powerful language and it sounds great when an extreme band uses it. 
 
'Zu Dunkel Für Das Licht' is, like its predecessors, a quite long album, as it has 14 songs and it lasts more than 70 minutes. Personally, I don´t like such long albums because they can become quite boring. Moreover, it is indeed difficult to keep a great quality when the release is so long. Fortunately, it seems that these guys have worked hard on this album and it’s clear that the band has tried to compose a varied yet powerful album. The balance between the black metal and gothic influences is a trademark characteristic of the new album. As for the production, the album has a powerful sound and both guitars and drums sound strong and convincing. Songs like the album opener “Der Untergang” or “Endstille” have very fast sections, tough like it happens with the rest of the album the pace is quite varied. Other tracks like “Dem Engel Noch Zuhören” have a greater gothic touch with very nice keys, which are simple but catchy and give a great atmospheric touch to this and other similar songs. I personally love how this track ends with that hypnotic key and a beautiful female voice in the background. The atmospheric intros are another winning formula used in several songs, those dark and calm intros are suddendly broken by the guitars and drums which enter furiously, Majesty of Silence surely knows how to make great debut for the songs, and “Zweiundzwanzig” is a good example of this use and one of the heaviest songs of the album. The female vocals are another satisfying addition that transpires in several tracks like the aforementioned one and “Sonne”, for example. 
 
In conclusion, Majesty of Silence has made a great comeback with an undoubtedly powerful and dynamic album. 'Zu Dunkel Für Das Licht' is a long work that brings us all the ingredients you can expect from a black-gothic metal band. Furious vocals occasionally accompanied by female vocals, powerful and dynamic guitars, catchy and enthralling keys and powerful drums. This album may be too dark for the light but not for our ears. Come to the Swiss darkness and enjoy! (Alain González Artola)

(Rockshots Records - 2018)
Score: 85

https://www.facebook.com/Mosmetalband/