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sabato 15 novembre 2014

BrainDead - Behind the Mask of Sanity

#FOR FANS OF: Death/Thrash Metal, Deus Otiosus, Ares Kingdom
Among the countless bands mixing together Death and Thrash Metal, regardless of the influences taken from each genre for preference over the other, this New York act’s debut tends to fall in the middle of the pack as a fairly decent and middling effort. While the thrashing guitars fueled by raging patterns and kinetic energy are present throughout, as well as the deep, chunky Death-Metal style patterns that bring the two together just as much as the vocals do, there’s one rather distressing part about the band that does hinder this somewhat. The band does have a tendency at times to resort to a mid-paced chug that’s almost groove-based that really drains a lot of the energy and style throughout this almost to the point of being not even a mix between these two styles how far apart from the rest of the material these tracks are. The use of a drum-machine on many of the tracks is something to get over as well as it adds a cold, electronic influence on the material that’s far removed from the organic sounds on the rest of the album especially when it’s blasting away with the double-bass feature. Certainly it sounds good when covered up for the most part by the raging, thrashing guitars as the energy there manages to hide it pretty well, but there’s still the matter of the needless minute-long interludes that crop up several times here to contend with. They’re really not that impressive at generating the breather they’re intended for, causing annoyance instead and hamper the flow of the album throughout. Still, the thrashing guitars and deep riffing does make this pretty enjoyable at times. After the pointless noise-collage intro ‘Clean15,’ proper first song ‘Splitting of the Mind’ gets things going with raging thrash guitars amidst blistering drumming, tight patterns and plenty of extended patterns that really showcase a more dynamic assault of riffs than expected which causes this to stand as a fine highlight. This trend continues in much of ‘5 Dimensional Apprehension’ though this one tends to offer a more explosive thrash riff and more energy as the basis behind the track, and frankly other efforts like ‘A Warm Embrace’ and ‘Red Snow’ showcase this style quite effectively. Both ‘Rust & Decay’ and ‘White Walls’ drop a lot of the thrash here for plodding mid-tempo groove and rather bland pacing so there’s not much to like with these, though ‘White Walls’ does kick it up a bit in the second half. Yet another pointless noise-collage interlude in ‘Neat03,’ the electronically-influenced ‘Frozen Perfect Mirror’ comes back as a rather blistering effort that’s more notable for the haunting keyboard melody raging alongside the dynamic riff-work and tight grooves, sounding like a rather lively effort altogether and getting back in the good graces after the three straight weak tracks. The title track does manage to get some of the same thrashing influences and extended, nearly progressively technical style of riffing in here which is a welcome sight being placed again in the mix after it worked so well for the first track on here, while ‘Eternal Contusion’ is yet another winding, twisting epic of progressive riffing, technical patterns and furious drum-machine blasts through tight razor-wire riffing and rather deep, chunky guitars that make for quite an enthralling effort,. The massive ‘15 Hours of Hell’ tends to blow that up into even grander forms with an even more extended canvas to wrap all those influences into. ‘Dreams’ is a pretty experimental effort as it winds a laid-back Gothic ambiance with the cold atmospherics and thrashing guitars into a nice idea that tends to go on a little more than it should but still comes off rather nicely in the second half with slightly more Death Metal influences. The last of the pointless interludes, ‘Organized04’ thankfully leads into the chaotic ‘Permanent Enslavement’ which tends to go into overdrive with the frantic riff-work, pounding drums and tight patterns that really go all out and frantically charge through blistering patterns, making for another strong highlight. These do make for an enjoyable listen here though it does have a few hindering flaws. (Don Anelli)

(Self - 2012)
Score: 65

giovedì 13 novembre 2014

Prayed and Betrayed - The Abundance of a Sickened Mind

#PER CHI AMA: Swedish Black/Melo Death
Non è mai troppo facile esprimere un giudizio esaustivo su un lavoro che consta di sole tre tracce e dura la bellezza di 11 minuti, ma con i finlandesi Prayed and Betrayed, potrebbe valere il famoso detto "Se il buongiorno si vede dal mattino...". 'The Abundance of a Sickened Mind' lascia infatti intravedere le enormi potenzialità del combo di Jyväskylä, che fondato solo nel 2012, ha già rilasciato un paio di EP ed è in attesa del famigerato full length. "Deafblind" apre le danze dell'EP con le sue chitarre in tremolo picking, pregne di un'influenza che rimane nebulosa nella mia testa e stento a identificare. Forse il sound gelido e tagliente ha un che del secondo album di 'Ancient God of Evil' degli Unanimated, ma poco importa per inquadrare esattamente la proposta dei nostri. Il quintetto finnico ci sparerà infatti in faccia i propri infuocati riff carichi di groove, con le vocals grintose di Tatu Hanhikoski, ad urlare tutto il proprio dissapore verso il genere umano. Da sottolineare nella breve traccia, il favoloso e rockeggiante assolo conclusivo. La band è mostruosa tecnicamente e lo si evince nel lavoro alla batteria di Juho Suomi, vero giocoliere dietro le pelli, mentre acuminati sono i riffoni che emergono dal duo d'asce costituito da Antti Lukkari e Panu Korhonen, loschi figuri che sanno graffiare quando ce n'è il bisogno, come già sottolineato nella opening track, ma anche nella seconda "World Surreal", ottima song in cui convivono le anime estreme dei nostri (melodeath e swedish sound) con un certo feeling rock oriented che si esplica soprattutto a livello degli assoli. La terza e conclusiva title track ha un flavour più doomish: oscura, maligna, le ritmiche sono più cadenzate e una strizzatina agli Insomnium più primordiali è quasi d'obbligo, con le liriche che affrontano temi anti religiosi, a delineare la cattiveria intrinseca dell'act finlandese, che sfocia in un assolo più scarno e ruvido, ma che non intacca minimamente il giudizio fin qui maturato, ma anzi apre ulteriori punti di domanda sul futuro musicale di questi cinque ragazzi e amplifica il desiderio di ascoltare nuovo materiale quanto prima. Notevoli. (Francesco Scarci)

Maud - Fish/Cow


#PER CHI AMA: Noise, Unsane, Jesus Lizard
Tempo fa, cercando notizie in google per ricostruire i tragici fatti della Costa Concordia, mi sono imbattuto nella pagina bandcamp di una band noise tedesca, dove faceva bella mostra di sè un brano intitolato “Schettino”. Per me questo fu un motivo sufficiente per volerne sapere di piú, e cosí oggi, grazie alla generosità dei Maud (questo il nome della band) che ci hanno omaggiato dei loro due album, dedichiamo un piccolo spazio per esaminare la loro esigua ma interessante discografia. I Maud sono un trio, formatosi nel 2009, che ha fondato la propria educazione nei '90s mandando a memoria la discografia di etichette quali Amphetamin-Reptile e, aggiungerei io, Touch and Go. Il disco di debutto arriva nel 2010, si chiama 'Fish' ed è roba da non crederci: registrato praticamente in casa, è un concentrato di furia e ragione, feedback e ritmi spezzati, assalti frontali e divagazioni ritmiche e strumentali davvero impressionanti. Le influenze sono evidenti e si colgono tutte, ma il risultato finale è validissimo. Dai Cows ai Janitor Joe, dai Jesus Lizard agli Unsane agli Helmet, le 10 tracce di 'Fish' macinano suoni, umori ed atmosfere con una lucidità che sorprende per un gruppo all’esordio. Sezione ritmica inesorabile, chitarre disturbanti, voci strozzate e feedback a infilarsi in ogni dove. I brani sono tutti davvero di altissima qualità e cito tra gli altri "LS Sail", "Baklava", "Emily Eternity", "Orange". Quà e là fanno capolino poi citazioni post hardcore ("Qaramel"), altrove si cerca di avvicinarsi al concetto di melodia (lo strumentale conclusivo "Cow is a Good Feeder") mentre il pachidermico incedere di "Elephant" segna l’apice noise del disco, concedendo gli ultimi 3 dei suoi 10 minuti ad una coda composta unicamente di feedback chitarristici. Trascorrono due anni prima che veda la luce il seguito, 'Cow', che sembra voler aggiustare il tiro su quello che forse era l’unico difetto dell’esordio, ovvero una personalità non ben definita. 'Cow' asciuga il suono e la struttura dei brani, concentrandosi sulla potenza e l’impatto. 'Schettino' inaugura una schiera di pezzi quadrati e devastanti: dopo la registrazione della comunicazione radio tra il comandante piú (tristemente) famoso d’Italia e la capitaneria di porto si viene travolti da uno schiacciasassi che non si ferma particamente mai. Basso e batteria sono precisissimi, la chitarra piú chirurgica e controllata rispetto a 'Fish', la voce piú urlata e presente. 'Cow' mette maggiormente a fuoco la proposta dei tre bavaresi ("Moaner", "Cheese", "Postfire" sono veloci, potenti, brevi e asciutte), anche se rispetto al suo predecessore perde qualcosa in termini di varietà. Solo alla fine, con "Primrose", ci si concede di sforare i quattro minuti e riprendere l’eclettismo post hardcore che aleggiava su 'Fish'. Che dire, una bellissima sorpresa quella nascosta nelle tracce di questi cd (confezionanti in eleganti cardboard) e non posso fare altro che consigliarne l’ascolto. Se solo siete fan di uno dei nomi di riferimento, non potrete che rimanerne entusiasti. (Mauro Catena)

('Fish' - Ampire Records - 2010)
('Cow' - Self - 2013)

https://www.facebook.com/MAUDmusic

Sequoian Aequison - Onomatopoeia

#PER CHI AMA: Post Rock/Doom
Dalla ricca città russa di San Pietroburgo arriva questo album post-rock, rigorosamente strumentale e prodotto dai Sequoian Aequison. La band è un quartetto formatosi nel 2012 e da allora ha raccolto il materiale necessario per produrre questo 'Onomatopoeia', disponibile in versione digitale, cd e vinile. Quattro brani per più di quaranta minuti di suoni ambient/post-rock, ricchi di malinconia e break di pura rabbia, il tutto per trasmettere nel miglior modo possibile le emozioni dei musicisti. Lo schema è il solito: chitarre strapiene di riverbero/delay, mentre la parte ritmica rimane lenta ed articolata, a volte anche troppo. Per carità, le emozioni sono personali e non possono essere fintamente positive, quindi se queste sono quelle della band, allora va bene così. "Opening Walls" apre con un arpeggio inquietante a cui poi si legano gli altri strumenti, il tutto ad una velocità vicina al doom e quindi ascoltabili se si è in un particolare mood esistenziale. Suoni sempre perfetti per la situazione, ma quello che manca è un tema principale che permetta di memorizzare la traccia o per lo meno di distinguerla da tanti altri brani presenti nell'etere. Infatti "Rest On The Way To Nowhere" coglie questa sfida, sfruttando al meglio il basso e rendendo gli arrangiamenti protagonisti del brano. Le stesse chitarre sono più incisive, con una distorsione non esasperata ma messa al punto giusto, il groove può cambiare in meglio e arricchire la melodia già di per sé, semplice e lineare. L'album è fatto bene, per gli amanti del genere è altro materiale da consumare avidamente, ma la numerosità di ensemble simili, rende la concorrenza spietata e quindi sopravviverà chi riuscirà a dare quel qualcosa in più. Infatti le grandi band hanno interpretato il genere a modo loro, inserendo influenze oppure puntando su suoni e ritmiche particolari. Aspettando che il prossimo lavoro veda la luce più velocemente di questo, speriamo che i Sequoian Aequison evolvano, scegliendo un percorso personale ben preciso. (Michele Montanari)

(Slow Burn Records - 2014)
Voto: 70

https://www.facebook.com/seqaeq

mercoledì 12 novembre 2014

Make Me A Donut - Olson

#PER CHI AMA: Deathcore/Metalcore
Questo gruppo di cinque giovanissimi ragazzi provenienti dalla Svizzera, dal nome piuttosto originale (d'ora in poi MMAD), presentano questo dischetto accompagnato da un curatissimo booklet che mi fa capire fin da subito che i nostri vogliono far sul serio. Di difficile etichettatura, il genere proposto spazia dal classico metalcore alla Slipknot, a derive più pesanti con il deathcore così tanto in voga in questi ultimi anni, fino a elementi classici del progressive più segaiolo (ovviamente nel senso buono del termine). Sicuramente, quello che non manca ai ragazzotti elvetici, è la preparazione tecnica, mentre forse qualcosa da rivedere in fase di composizione ci sarebbe; perchè ascoltando il disco ho avuto la sensazione di ascoltare più o meno sempre lo stesso pezzo, fatto di chitarrone ultracompresse assai precise, basso slappato e ultra effettato, assoli da impeccabile axeman italoamericano (e quindi con conseguente poco feeling), doppia cassa a scandire e doppiare le plettrate delle sei corde, cose già sentite e risentite, per quello che mi riguarda, troppe volte. Per non parlare della voce, a metà strada tra un Tom Araya di trent'anni più giovane e un qualsiasi cantante death neanche troppo propenso al growl, ma piuttosto a quel semi scream-growl che mi ha sempre dato su i nervi. Per carità, gusti personali, ma sto cercando di essere il più obiettivo possibile per cercare di “salvare” un lavoro che ha delle potenzialità secondo me non espresse: “Haunting Seed” è un bel pezzo, così come “We Are Vendetta” e la mia preferita, “Psychic Crystallization”, è davvero valida, ma per quello che riguarda il resto non si supera mai la sufficienza risicata. Formalmente tutto inattaccabile, dalla produzione al lavoro grafico, in questo caso è il contenuto che difetta in qualcosa; non una debacle completa, ma neanche un lavoro che fa strappare i capelli. Peccato, il sapore dell'occasione persa rimane piuttosto persistente. (Claudio Catena)

(Tenacity Music - 2013)
Voto: 60

https://www.facebook.com/makemeadonut

Jackknife Seizure - Time Of The Trilobites

#PER CHI AMA: Groove Metal, Soundgarden
I Jackknife Seizure sono un interessante quartetto di Londra attivo dal 2010, salito agli onori dei metallari grazie alla vincita dell'ultimo “London Metal 2 The Masses” e uno show live al “Bloodstock Festival” la scorsa estate. Questo 'Time Of The Trilobites' è il loro debutto: quattro brani registrati perfettamente – la qualità audio è davvero straordinaria, per essere un EP – che pescano il meglio dalla scena rock-metal degli anni ’90 (Soundgarden soprattutto, sia nella struttura delle canzoni che negli arrangiamenti, e qualcosa dei primissimi Pantera di 'Cowboys from Hell') per tritarli in un metal sbarazzino di ispirazione decisamente più moderna. Evidenti gli echi agli Alice In Chains nel primo minuto di “Wanker (Means You’re a Cunt)”; c’è anche qualcosa degli ultimi Mastodon (ma non certo nei suoni: qui è tutto limpido e definito) nell’incedere dispari di “Mechanical Mosquito”. Il riffing è tagliente e preciso, accompagnato da una sezione ritmica mai eccessiva – non aspettatevi fraseggi brutali e blastbeat al fulmicotone: i Jackknife Seizure prediligono la melodia alla durezza, e gli interventi metal sono misuratissimi (qualche cavalcata di doppia cassa; un paio di accelerazioni interessanti; e più in generale suoni, distorsioni ed equalizzazioni). Su tutto questo, la voce pulita e potente di Gerry, costruisce melodie ben fatte di chiara ispirazione cornelliana. Un EP ottimamente prodotto, che dura una manciata di minuti (solo 25) e scorre via liscio come l’olio. Vale l’ascolto se siete nostalgici del bel rock-metal di una ventina di anni fa e se non siete abituati a brutalità death o ai suoni sporchi dello sludge. Sarà interessante ascoltare i Jackknife Seizure alla prova ufficiale del primo full-lenght. (Stefano Torregrossa)

Lost Ubikyst In Apeiron - Abstruse Imbeciles Nailed On Slavery

#PER CHI AMA: Extreme Progressive, Devin Townsend, Meshuggah, Cynic
Attenzione, attenzione!! Fermate qualsiasi attività e concentratevi nella lettura di questa recensione perchè mi sa tanto che abbiamo una bomba in mano pronta a detonare da un momento all'altro. Dovremo certamente parlare di new sensation proveniente dalla Francia quella dei Lost Ubikyst In Apeiron, una one man band pazzesca, guidata da Mr. Schrissse, dedita a sonorità estreme, progressive-alternative o come diavolo volete definirle voi, in questo caso tutto passa in secondo piano. 'Abstruse Imbeciles Nailed On Slavery' sembra un lavoro uscito dalla mente del geniale folletto Devin Townsend, arricchita tuttavia di altre splendide trovate. Vorrei però partire menzionando l'artwork del lussuoso digipack prima ancora del suo contenuto, che vale da solo l'acquisto del disco. Poi muoviamoci pure alla musica, ma premetto che parto già conquistato da cotanto gusto estetico. "Nothing to S(l)ave" apre le danze con le su bizze caleidoscopiche, suoni gonfi di una cristallina potenza e raffinata aggressività: chitarroni "meshuggani" si intrecciano dinamicamente con splendide tastiere su un tappeto ritmico vertiginoso, in cui trova sfogo la voce urlata del bravissimo Schrissse e una sezione solistica da paura. I cambi di tempo, le melodie gustose, gli arrangiamenti fanno già di questo debut album un must. Ma andiamo avanti e godiamoci la cibernetica "The Way", song che muovendosi tra i Darkane più sperimentali e i Fear Factory più cyber oriented, ci delizia con cinque minuti di accattivanti melodie e voci filtrate, palesando a livello tecnico, una superiorità imbarazzante rispetto alle altre band, giustificando pertanto gli anni spesi dal frontman transalpino per produrre questo eccelso lavoro, che con la terza traccia (in realtà un interludio), riesce addirittura ad evocare i Pink Floyd di 'The Dark Side of the Moon'. "Final Roar" è un selvaggio ruggito di suoni difficili da descrivere: le chitarre sono rabbiose, le vocals dapprima urlate e poi sussurrate, le atmosfere si alternano tra l'incandescente, lo spaziale e il sensuale, denotando sempre di più la grande padronanza strumentale del mastermind transalpino e inducendomi più volte a verificare se quella che sto ascoltando sia la stessa traccia o sia nel frattempo più volte cambiata nel mio lettore. Complesso nella sua struttura, fine negli arrangiamenti, veloce e pesante quando c'è da non esimersi dal picchiare, ricercato ove richiesto ma soprattutto nei mai scontati assoli, 'Abstruse Imbeciles Nailed On Slavery' è un lavoro che dovete procurarvi domani, anzi no, oggi stesso. Se poi siete restii perchè queste mie parole ancora non vi hanno convinto, ci penserà l'uggiosa ambientazione di "Blind Cyclops" a condurvi in un turbinio di suoni avvincenti e ubriacanti che sapranno soddisfare i vostri palati sempre più esigenti (ma mai quanto il mio). Il nuovo eroe francese si spinge là dove voi umani non potete neppure immaginare, con dei giri pazzeschi di chitarra che consentiranno anche ai puristi del progressive, di avvicinarsi senza remore a questo assurdo lavoro. Con "Swallow the Earth" preparatevi a scalare una montagna di ben oltre 10 minuti di suoni che esordiscono piano ma che cresceranno febbribilmente nel corso di un brano che ha il pregio di non tirarsi mai indietro e provare ad andare oltre i propri confini, con un arrembaggio folgorante che scomoda e supera anche Cynic e Atheist, i maestri del techno death. Il disco nel frattempo ha imboccato strade che neppure potevo immaginare, prima di immergermi nel suo ascolto, per un fantascientifico lavoro che si candida peraltro a stare in cima alla mia top ten di quest'anno. E proprio se di fantascienza vogliamo parlare, dovreste ascoltare le chitarre aliene di "Dead and Gone" e i numeri da circo che il bravissimo Schrissse combina, un nuovo Steve Vai della musica estrema. Ora capisco perchè l'artista ha impiegato ben sei anni per scrivere questa release, la cui complessità, considerato che da solo fa tutto, raggiunge livelli esagerati. La spettrale "Sarkoma" propone altre variazioni ad un tema che si conferma mai scontato, offrendo una serie di sovrapposizioni vocali entusiasmanti per non parlare del consueto pazzesco lavoro ritmico, in cui si fatica a credere che la batteria sia in realtà una drum machine. Ma il prode Schrissse garantisce che dei musicisti in carne ed ossa si uniranno a lui per scrivere il prossimo lavoro, di cui qualcosa già bolle in pentola. Io nel frattempo vi lascio alle conclusive "The Void", song molto vicina agli ultimi Cynic, in cui da incorniciare è il sound potente del basso e " Gaïane", ultima scheggia di follia di un musicista obbligatoriamente destinato al successo. Ora, tutto dipende da voi... (Francesco Scarci)

martedì 11 novembre 2014

Decapitated - Blood Mantra

#FOR FANS OF: Death Metal
I have been waiting a long time for this album. Unlike a lot of people, I didn't have any problems with 'Carnival is Forever,' even though most people I've talked to don’t really care for that album. And I admit, when I first got it, I gave it a few uninspired listens, then just put it on the shelf and forgot about it. Not quite sure what prompted me to pick it back up a year later and give it another spin, but when I did, I found myself not listening to anything else. Over time it really grew on me, to the point where I prefer it to previous Decapitated albums. So to be perfectly honest, I was hoping for more of the same, and 'Blood Mantra' pretty much does just that. However, it does it far better than I would have expected. This is going to sound like blasphemy, but I think this is now my favorite Decapitated album. Why? Because I see it as the band finally matured and found their feet, their own style. While 'Winds of Creation' (while being the great album that it is) was pretty… how do I say this.. it sounds like it was written by teenagers, which it was. Decapitated are much further into their careers now, and yes, it’s like a completely different band. Gone are the speedy, death metal sections in favor of more rhythm driven guitar playing. That’s not to say that this album doesn't have an abundance of great riffs on it, because it does. It’s just that the style is so different it’s completely silly to even compare the old and new Decapitated. Anyway, onto the what really matters: the music. The album kicks off with “Exiled in Flesh”, before launching into “The Blasphemeous Psalm to the Dummy God Creation”, and I must say, this is exactly what I was wanting to hear. Untraditional guitar work, excellent drumming, and just a rhythmic powerhouse. I was a tad disappointed when Krimh left the band, but new drummer Mlody appears to be doing a damn fine job. The production and sound on this album are worth nothing. It’s pretty similar to 'Carnival is Forever', but meatier, with thicker, angrier guitars. Vocals are nicely laid in the mix, which is a good thing, as I have no problems with Rafal’s style, he fits the music perfectly. Someone like Sauron would just not complement the music well, and as I have said before, that’s all in the past now. The drums and bass are nice and clear, nothing too exceptional or flashy here, they just do their jobs well and serve the songs the way they are meant to be served. The title track is just an absolute monster, it just oozes greatness and class. That opening riff is killer. The verse riffs are killer. The breakdown at 3:56 is killer. The band are in top form and at this point they’re just knocking it out. This is some seriously heavy and addictive song writing. “Nest” sees Vogg taking an even more rhythmic approach to guitar playing here, but not in the Meshuggah sense really, though I could see how some people could find similarities, even though to me the two bands sound nothing alike. What really kicked me in the face was “Instinct”, probably my favorite song on the album. The riffing is just masterfully crafted, and you can tell that a lot of work and care went into this song. Not just the riffs, but in the arrangement as well, which is what truly makes it shine. The breakdown at 3:34 and the section which follows right after is probably one of the best things I have ever heard from Decapitated. “Red Sun” gives you a bit of room to breathe before delivering the final blow in the form of “Moth Defect.” I've heard some people accuse Vogg of abusing the low E string and calling them nu-metal. Either those people have dicks lodged firmly in their ears, or have no idea what they are listening to. Too much chugging? Abusing the low E? May I point you in the direction of “Spheres of Madness”? That’s what I thought. Overall, I was very impressed by this album, and I had set the bar quite high, even though I tried not to so I wouldn't be disappointed with the end result. But disappointed was the last thing I was, as this is a serious slab of just straight up, quality metal. The boys from Poland are on top form, and this is not to be missed. (Yener Ozturk)

(Nuclear Blast - 2014)
Score: 90

http://www.decapitatedband.net/

Moonless - Calling All Demons

#PER CHI AMA: Stoner Doom, Black Sabbath
“The snow is falling from a led grey sky, it’s the season of evil, it is time to die”. Con queste precise parole, scandite con marcato accento nordico, si apre “Mark of the Dead”, il primo brano di questo primo vero e proprio album dei Moonless, quartetto danese dedito al culto di Tony Iommi. Il lavoro in questione, pubblicato nel 2012 da Doomentia, è stato però registrato nel 2010, sull’isola di Samsø, nel retro del museo della Austin, la marca di automobili della Mini, e non solo. Non so perché l’ho dovuto dire, ma per me questa cosa aggiunge un bel po’ di fascino ad un disco che, già di per se, non può non lasciare indifferenti. Tonnellate di Black Sabbath. Questo, essenzialmente, è quello che troverete in 'Calling All Demons'. I quattro sono praticamente riusciti a clonare il suono della chitarra di Iommi, e a ricreare la selvaggia e oscura potenza dei primi lavori dei Sabbath, compresa – cosa per nulla secondaria – la capacità di sfornare brani assolutamente catchy, che si stampano nel cervello senza volersene andare per un bel po’. Le prime tre tracce sembrano estratte dal manuale del perfetto sabbathiano: riffoni lenti, batteria pestona, basso fuzz che procedono compatti e inesorabili fino al canonico cambio di ritmo di metà brano (splendide, a questo proposito, “Mark of the Dead” e “Devil’s Tool”). Molto bella la voce, un potente ibrido tra un John Garcia più roco e Glenn Danzig. La seconda parte del lavoro (che in totale mette in fila 6 brani) si sgancia dagli stilemi pseudo doom per approcciare uno stile più hard-blues, suonato con immutata convinzione e potenza. Gruppo e disco solidissimi, senza fronzoli, ricami e sottigliezze. Così come una vecchi auto, per esempio una Austin degli anni '60, dalla lamiera spessa e zero elettronica in cui non poteva rompersi praticamente nulla. Niente di nuovo sotto il sole, quindi, se non una quarantina di minuti che hanno il pregio di stare in piedi se suonati in sequenza tra 'Masters of Reality' e 'Blues for the Red Sun'. Ditemi voi se è poco. (Mauro Catena)

(Doomentia/Hjernespind Records - 2012)
Voto: 75

https://moonless.bandcamp.com/

Northern Oak - Of Roots and Flesh

#PER CHI AMA: Death/Black Folk, Jethro Tull, Skyclad, Primordial
Mi sono avvicinato ai Northern Oak per molteplici motivi: il primo, perchè il sito della band di Sheffield riporta che la loro musica suona come un ibrido tra Jethro Tull, Pink Floyd ed Emperor, quindi questo ha solleticato non poco la mia attenzione e fantasia. In secondo luogo, devo ammettere che mi ha sedotto enormemente la cover del disco. Poi, quando ho anche ricevuto l'elegantissimo digipack a casa, ho premuto play e 'Of Roots and Flesh' ha esordito nel mio lettore, non posso negare di essere stato ammaliato quasi immediatamente dalla qualità del suono e dalla proposta folk black dei nostri, anche se catalogarla in questo modo sarebbe alquanto riduttivo e ingiusto. "The Dark of Midsummer", la opening track, è guidata da un meraviglioso flauto (a cura di Catie Williams), struggenti melodie, ma anche da un incedere dal fare progressivo che trova il proprio sfogo estremo in saltuarie galoppate epiche e nelle growling vocals, in background, del frontman Martin Collins. Con la seconda "Marston Moor", nel sound dei nostri ecco incontrarsi l'approccio pagano dei Primordial con il folklore degli Skyclad, con i flauti andare a sfidare la poesia dei violini (di cui qui il maestro è Digby Brown), mentre sullo sfondo chitarre vibranti e harsh vocals, completano un quadro tanto epico quanto selvaggio. Eccola, l'ho già individuata la mia traccia preferita ne sono certo. "Gaia", la terza song, affida il suo intro al caldo basso di Richard Allan, che verrà successivamente seguito da tutti gli altri strumenti, ma per cui spenderei una parola in più per il bombastico sound del drumming, preciso e fantasioso, grazie a Paul Whibberley, altro valore aggiunto del combo albionico. La song poi sembra essere maggiormente ancorata a suoni folk rock che agli estremismi del black metal, relegati solo all'ultima parte della traccia. Raffinati, non c'è che dire, anche a livello di porzione solistica, in cui a mettersi in evidenza alla sei corde è questa volta Christopher Mole. Ancora echi dei primi Skyclad si incontrano in "Nerthus", ma sarà un po' la costante dell'album, per cui mi muovo, passando per la strumentale "Isle of Mists", a "Taken", song dal chiaro sapore doomish, in cui in sottofondo sono altri strumenti del folklore celtico (mi pare un hurdy gurdy) a comparire. La ritmica a tratti si rivela pesante e profonda, alternando passaggi rock ad altri death doom, senza dimenticare un ipnotico break centrale, forse l'unico punto di incontro che ho incontrato sin qui con i Pink Floyd. “The Gallows Tree” potrebbe essere ascrivibile a una di quelle musiche utilizzate nelle tradizionali danze celtiche: mi immagino infatti gente ballare attorno al fuoco in mistica allegria. "Bloom" un altro bel pezzo tiratissimo la cui melodia di fondo si stampa nella testa, un brano che trascina per energia e variazioni di tema, e che va a collocarsi al secondo posto delle mie preferenze di questo 'Of Roots and Flesh'. La title track vanta un bellissimo lavoro al basso, un fremito palpitante in grado di regalare, in combutta con le chitarre, profonde emozioni. La conclusiva "Only Our Names Will Remain" (anche se una ghost track si cela nell'ultimo minuto e mezzo) offre gli ultimi scampoli elettro acustici, di un lavoro assai interessante che rischia solo di difettare per l'eccessivo (sebbene caratterizzante) utilizzo del flauto, vero strumento portante dell'album che molto spesso ruba spazio agli altri musicisti, che meriterebbero invece di dar mostra delle loro eccelse qualità. Non conoscevo i Northern Oak e me ne dolgo, ora andrò in esplorazione della loro vasta discografia, voi nel frattempo divertitevi con 'Of Roots and Flesh'. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 80

http://www.northernoak.co.uk/

domenica 9 novembre 2014

Vampillia - Some Nightmares Take You Aurora Rainbow Darkness

#PER CHI AMA: Math/Experimental/Ambient
Ritornano i folli giapponesi Vampillia, già recensiti in occasione del precedente lavoro, dal fido Bob e valutati con un 110 cum laude. Abbandonati gli estremismi sonori di quella release, i nostri diminuiscono anche drasticamente il numero di song contenute nell'album ma le novità non si limitano solo a questo. 'Some Nightmare Take You...' infatti propone una nuova veste per la band del Sol Levante. La title track, posta in apertura del disco è infatti una canzone di oltre sette minuti che si muove ondeggiando su un tenue tappeto di chitarre classiche, violini e un finale drone/noise/wave. I nostri non si smentiscono, anche se non è il folle grind mischiato a musica classica a saturare le mie orecchie. Con “Fedor” ritornano a farsi sentire gli strumenti elettrici e quindi mi attendo verosimilmente il delirio. L'inizio infatti è affidato a una batteria schizofrenica, chorus celestiali e fraseggi ambient prima della definitiva esplosione del tipico sound dei Vampillia: schegge impazzite di grind/math su cui si innestano pianoforte, strumenti ad arco, chitarre classiche e frammenti di urla farneticanti, che sottolineano ancora una volta la genialità del combo giapponese, uno che quando c'è da sperimentare non si tira certo indietro. Il sound fiabesco riprende con la terza “The Volcano Song”, in cui ancora sono eteree voci di donzelle unite a violini a dare una parvenza di normalità ad un sound che spinge per liberarsi da quelle catene che lo tengono costretto alla normalità. Qualche riffone infatti ben più pesante cerca di erompere nella quiete ultraterrena che quegli angeli provano a mantenere con i loro soavi vocalizzi, ma questa volta la follia rimane del tutto controllata fatto salvo per un bellissimo assolo conclusivo accompagnato però da mefistofeliche vocals e da un drumming tribale e ossessivo. È forse il suono di una spinetta quello che apre “Silences” song che nei suoi primi 30 secondi mette in scena tutta la teatralità musicale dei Vampillia: musica classica e grind, un binomio perfetto per un risultato fuori dal comune. Il disco prosegue con una serie di pezzi che non superano i due minuti di durata in cui emerge forte l'anima dei nostri. In “Dream” la musica di questi pazzi sembra richiamare le colonne sonore cinematografiche degli anni '50, mentre “Hope” potrebbe rievocare gli anni '60. A chiudere il disco ci pensano le delicate atmosfere di “Kizuna”, l'ennesimo pezzo che stravolge completamente il concetto musicale dei Vampillia, che in nove brani sono stati in grado di dire tutto e il suo contrario. Genialità e follia allo stato puro. (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/Vampillia-official

Deportivo Lb - Gigante

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Crossover, Linea77
I Deportivo Lb vanno subito premiati per essersi autodefiniti brutal-pop, magari per la goliardia o giusto per rompere le palle a chi classifica ogni cosa. La band nasce così nel Piacentino nel 2003 e unisce cinque prestanti ragazzotti con la passione per i riff potenti e pestati. 'Gigante' esce nel lontano 2008 e raccoglie il lavoro fatto dalla band in cinque anni di attività, ben tredici brani per un totale di sessanta minuti. L'album è sorprendente, nel senso che unisce sonorità alla RATM, Linea 77 e altre influenze in maniera molto semplice e armoniosa, potenza come piovesse e suoni un po' nostalgici, almeno per chi ha superato i trenta'anni come il sottoscritto. In certi passaggi si sentono anche venature dei vecchi Timoria, tipo quando la band, in "Il Macaco Julian" inizia in maniera ipnotica, sostenuta da gran chitarre che schiacciano ed elargiscono pressione sonora. Il brano è arrangiato con attenzione, anche nella parte ritmica dove la batteria scalpita a dovere e il basso si fa sentire nei punti giusti e sostiene la struttura per tutti i sei minuti abbondanti. Il cantato (in italiano) è un mix di growl e cori che arrichiscono al brano. Forse i cori andavano studiati un po' meglio, solo per il fatto che il livello generale è buono e quindi può sbilanciare. Pregevole il break a tre quarti della canzone, l'assolo lento di chitarra è ricco di riverbero e delay che concede al suono di aprirsi e spaziare, dando respiro a chi è al di là degli altoparlanti. Poi il finale si ingrossa nuovamente, a ricordare di che pasta sono fatti i Deportivo Lb. "Lo Specchio" mostra il lato più psichedelico della band, con un'intro di basso irriconoscibile e riff dal sapore orientale. Pochi minuti per mostrare che la band si destreggia bene anche con pezzi meno cattivi e più riflessivi. "Il Pellegrino Luis" ci illude di essere una ballad, ma l'illusione dura solo un minuto e poi la devastazione dei nostri si abbatte come un gigante iracondo. Riff claustrofobici e ritmica ansiogena che lascia spazio poi ad un break limpido e cristallino, che cresce fino alla conclusione del pezzo. 'Gigante' è un buon album, probabilmente se fosse stato spinto bene e seguito meglio in alcuni fasi di produzione avrebbe dato risultati ben diversi. A questo punto resta da vedere se la band è ancora attiva e se ha intenzione di bissare questo cd, magari stavolta il vento soffierà a loro favore. La generazione che non ce l'aveva è cresciuta, forse in meglio. (Michele Montanari)

Elderblood - Son of the Morning

#FOR FANS OF: Symphonic Black Metal, Dimmu Borgir, Carach Angren
Being a debut, there’s very little reason why this one is as good as it is but therein lies the fact that this Ukrainian act has just positioned themselves at the forefront of the genre with this commanding, impressive release. Being a Symphonic Black Metal act, there’s very little about this that should appear as a surprise to any listener for the band simply opts for an excessive amount of cinematic-style keyboards that appear as if they’re scoring the battle to an epic battle in a Fantasy/Adventure film, which is precisely the case here but then the band throws one of the few genuinely impressive curveballs around with the ability to actually compose material for the guitars to go winding through the lead on here. Filled with tough, muscular rhythms bristling with technical rhythms and blinding speed, there’s a majesty and grace afforded to these rhythms that nicely off-sets the swirling keyboards and makes this music all the more enjoyable. With all this impressive material up-front of the album, there’s little reason why the spectacular drumming holds up or the dynamic bass-lines keep this going but there’s just so much to like here that this one really gets a lot to like about it. While some of the epics could’ve been trimmed down some, there’s still not much to dislike here as the most expansive epic here is the most enjoyable and blistering piece of music on the album so there’s little to not like about that feature here as the songs are just that good. After the pointless noise collage of ‘Gates to Oblivion,’ proper first song Dies Irae’ gets this going nicely with a stellar combination of their influences wrapped in a tight, muscular package that overwhelms to the point of utter enjoyment. ‘Manifestation ov Dark Essence’ is pretty similar only does so with less time, proving that the band doesn’t need to pen epic-length material to have an epic sound and comes off as one of the better highlights here. Even better, the title track manages to come off as utterly, incredibly bombastic with an overload of symphonic keyboards mixed nicely alongside the chaotic guitar patterns while generating a lot of great rhythms and faster tempos than anything before it, serving as a back-to-back highlight. The melancholic ‘My Death’ attempts to place mid-tempo plodding and atmospheric keyboard work instead of the bombastic symphony-laden approach which gets a little tiresome just due to the meandering mid-section but still has the right approach to remain likeable enough. ‘Triumph of the Beast’ is yet another epic-length barnburner like the title track which gets in plenty of raging symphonic leads, tight guitars and pounding drumming with a touch of the atmospheric for yet another stand-out effort. While not an overall bad song, ‘The XI-th Angle’ does tend to sound like most of the others here so it doesn’t really stand out in any special way yet still contains all the greatness of what made the others so enjoyable so it does have a lot to like about it. The expansive epic ‘Naglfar’ pretty much makes most of the other tracks here obsolete with a solid nine-plus minutes of technical guitar-work, blazing drumming that hurtles forth at maximum speed for the duration of the track and off-set with gorgeous keyboards shimmering and humming along wielding explosive energies and non-stop tempo variations, making for one of the most enjoyable pieces of music in the scene and single-handedly making this a must-buy release. While not up to par with that gorgeous epic, ‘Egocide’ is still quite enjoyable with a multi-sectioned approach of plodding, mid-tempo work with gorgeous, lighter keyboards up front while delving into traditional blasting-heavy approaches and plenty of bombast in the second half. About the only really weak effort here, ‘Re-Birth’ is just too slow and lethargic to make the most of its ho-hum bombast and middling tempo. ‘Dreamless’ is simply just a simple, spacey keyboard melody signaling the end of the journey as this ends on a positive note. Like a breath of fresh air in the genre, this is easily one of the more impressive Symphonic Black Metal acts to come along in a while and is the start of a hopefully impressive career. (Don Anelli)

(Paragon Records - 2013)
Score: 85

https://www.facebook.com/Elderblood

sabato 8 novembre 2014

Conjonctive - Until the Whole World Dies...

#PER CHI AMA: Deathcore
È con questo debut album che gli svizzeri Conjonctive giungono sul mercato, dopo aver fatto la classica gavetta tra live, EP e quant'altro, maturando la giusta esperienza che trasuda tra le note di 'Until the Whole World Dies'. Infatti, questo disco tutto sembra tranne che un album di debutto. Votati al deathcore più intransigente, si notano influenze thrashcore e perchè no, qua e là, anche elementi di symphonic black che riportano immediatamente alle sonorità create da gruppi quali Dimmu Borgir, Cradle of Filth e compagnia bella. Dico subito quello che secondo me è il tratto distintivo del gruppo: il simbiotico dualismo delle vocals, una maschile ed una femminile, che dal primo all'ultimo secondo ci presentano un growling che dire estremo è dir poco. Mai un secondo di pausa, mai una clean qua e là...sempre e solo growl; oddio, per quello che mi riguarda non esattamente una buona notizia, però gli stilemi del deathcore più conservatore vogliono questo, e qua vengono decisamente rispettati. Il dualismo tra i due profondi urlatori, femminile e maschile, però tende a rendere più interessante quanto qui proposto. La musica invece, mi ha fatto venire in mente questa immagine piuttosto esplicativa: una motosega che dilania tutto quello che incontra sul suo percorso, senza tentennamenti di sorta. Una distruzione totale, ossessiva, talvolta più frenetica ("The Rise Of The Black Moon" e la title track), altre volte più lenta e cupa ("Emily Rose" e "Victoria's Lake"), ma che giunge sempre allo stesso risultato: le ossa triturate. La violenza senza compromessi è il tratto distintivo di questo album, senza intervalli melodici e fronzoli, accompagnata però da una notevole perizia tecnica agli strumenti da parte dei ragazzoni elvetici. Nulla da eccepire anche per quello che riguarda la produzione, assolutamente di livello e talmente precisa da risultare tagliente come una lama pericolosissima. Album da ascoltare in blocco e riascoltare per gustare le sfumature più sottili; un buonissimo risultato, debut album assolutamente valido. (Claudio Catena)

(Tenacity Music - 2013)
Voto: 75

Vertigo Steps - Disappear Here In The Reel World: A VS Coda

#PER CHI AMA: Progressive Rock, Porcupine Tree
I Vertigo Steps sono un progetto del duo finnico/portoghese formato nel 2007 da Bruno A. (all guitars, keys, programming & samples, music) e Niko Mankinen (lead vocals), che si avvale di Daniel Cardoso (drums, bass, backing vocals ) come session e di altre collaborazioni. 'Disappear Here in the Reel World: A VS Coda', si propone come un sunto del background della band, creando un'antologia che pesca dalla discografia del gruppo dall'album d'esordio 'Vertigo Steps' del 2008, all'ultimo 'Surface/Light' del 2012, passando per 'The Melancholy Hour' (2010). Già dai primi tre brani, che formano ognuno uno step nella discografia dei Vertigo, si può avere un assaggio della crescita del gruppo dagli esordi a oggi. "Fire Eaters" si presenta fra i tre come il brano meno ispirato e dalle tendenze eccessivamente commerciali, soprattutto per quanto riguarda la sezione iniziale e la sua ripresa finale, la parte che sta nel mezzo è invece più interessante, con chitarre acustiche, note stoppate e sovrapposizioni vocali a creare un alone sonoro dal gusto più sperimentale. Purtroppo una produzione che privilegia troppo la sezione chitarristica toglie respiro alla parte vocale e gli altri strumenti. "Silentground" alza il tiro e la posta in gioco, con un sound più omogeneo e idee negli arrangiamenti e nei temi più interessanti, pur mantenendo strutture e atmosfere simili al brano d'apertura. Eccellenti sono le prestazioni della chitarra solista, come le suggestioni melodiche e le scariche elettriche che porta con sé. Solamente con "Railroads of Life" viene però completato il viaggio attraverso questo ideale trittico d'apertura che passa in rassegna gli archivi della band dal 2008 al 2012. Il pezzo si apre con una chitarra acustica che inaugura una delle semi-ballad più belle di quest'antologia, essa dialoga con il caldo registro basso del vocalist e viene puntellata da interventi delle chitarre soliste. All'esplodere della seconda sezione del pezzo stupiscono anche le registrazioni di dialoghi parlati e gli interventi di una voce femminile dal sapore orientale. In "The Swarming Process" un'introduzione accattivante cattura subito l'attenzione. Un brano davvero interessante, che mischia arrangiamenti metal a un atteggiamento post rock e a una linea vocale dal timbro suadente e levigato, malgrado l'uso del registro alto del vocalist. Il giro di basso che domina la strofa iniziale è davvero efficace tanto da risaltare come il punto di forza su un pezzo dai molti spunti intriganti. Un'altra semi-ballad si affianca a Railroads of Life. "The Porcupine Dilemma", il cui titolo rimanda subito alla band fondata dall'eclettico Steven Wilson, si presenta in ultima analisi come un pezzo enigmatico, infatti quello che può sembrare un brano orecchiabile e immediato nasconde vie traverse percorse dalla struttura e dal sound che portano subito l'ascoltatore a fermarsi e rimandare il pezzo da capo. Intro e autro portano con sé tocchi cristallini di triangolo, e una strofa ruvida ma malinconica che sfoga nella parte centrale del pezzo il un grido corale supportato da un muro di chitarre ritmiche dagli accordi ostinati. Chitarra acustica, armonici naturali e piatti accompagnano l'apertura di "INhale". La voce si muove su un registro medio-basso quasi esalato e leggermente filtrato nella parte iniziale e la struttura è costituita in un crescendo continuo che domina sempre più imponente fino al finale. Difficile definire semi-ballad una struttura così aperta e semplice che si muove in linea retta, il suo tramonto altrimenti ripetitivo viene giustificato e valorizzato da tale struttura a sovrapposizione sonora. "Through Sham Lenses", con una bella chitarra in clean iniziale, si presenta come un pezzo dalle forti influenze di band come gli U2, specie nelle vocals, il tutto trasportato nella stile proprio della band. Un pezzo che senza troppe pretese prende con molta efficacia già dal primo ascolto. Da un fade in esplode "The Spider & The Weaving", un pezzo che lascia poco spazio ai ragionamenti e s'impone per la sua possente fisicità. La potenza della batteria domina, le chitarre l'attorniano dialogandovi, la voce prolunga questa forza. Inaspettatamente il brano viene spezzato da un intermezzo di piano dal sapore malinconico, per poi riprende nel finale l'iniziale forza poi sfumando questa volta in fade out. "Silent Bliss", brano dal sound molto moderno e curato, non riesce a imporsi ulteriormente a livello compositivo, passando leggermente inosservato, certo è che questo assaggio tratto dall'ultimo lavoro dei nostri trova il suo perché in un alone sonoro ricco di riverbero che permea musica e voce. "Someone (Like You)" è la prima vera ballad dell'album. Dall'arrangiamento nella prima parte minimale e nella seconda più pieno, dai cori e dalle sovrapposizioni vocali e infine dall'andamento ritmico andante ma calmo, s'intuisce l'intenzione di creare un'esperienza istintiva, fatta di impressioni sonore più che di strutture tematiche distinte e sfoggio di perizia tecnica fine a se stessa. I brividi sono assicurati già all'apertura di "Nothing At All". Magistrali l'interpretazione del vocalist e la sua versatilità nel muoversi tra registri bassi e caldi e falsetti morbidi. Tutta la prima sezione si muove calma tra chitarre clean minimali e samples dai suoni di batteria elettronica e un piano che incanta e adombra il tutto contemporaneamente in un'atmosfera strana e surreale non priva di un lucente fascino. La seconda sezione si rivela più piena nell'arrangiamento, espediente strutturale che rimanda nel brano precedente. Dal nulla nasce "Synapse (Sleepwalking Metaphorms)", che assieme a "Railroads of Life", "The Swarming Process", "The Porcupine Dilemma" e "Nothing at All" sale sul podio dei 5 brani più validi e interessanti di questa raccolta. Dolce chitarra acustica, interventi corali come aure pulsanti di suono, brandelli di registrazioni di dialoghi prima dell'entrata di basso e batteria. La voce si sovrappone alla chitarra clean dell'inizio e a questo morbido tappeto della sezione ritmica. Finché non esplode la granata del chorus dalla chitarra ritmica che strizza l'occhio al metal. L'ultima parola va alla chitarra solista che chiude la porta al chorus per aprirla a una ripresa della strofa iniziale. Questo rapporto cangiante tra esplosione e implosione tra queste sezioni portanti costituisce l'ossatura del brano. L'assolo di chitarra centrale, supportato da una forte ritmica derivata dal chorus si fonde a essa, in una metamorfosi impercettibile che porta alla lunga coda delle chitarre in larsen. A chiudere questo notevole excursus tra la discografia della band vi è "Sunflowers/Remissions", e mai titolo poté meglio descrivere questo gioiello strumentale cui le chitarre acustiche e le elettriche in clean, dai molteplici timbri, donano linfa vitale. Il pezzo in realtà è strutturato in due parti, divise da una frase parlata, quasi sussurrata, per lasciare infine spazio alla musica dove le parole non possono arrivare. I Vertigo Steps hanno la freschezza e lo stile di band come gli Alter Bridge unite alla sensibilità espressiva e la cura nel sound di band come i Porcupine Tree. Grazie a questo viaggio negli archivi del gruppo dagli esordi agli ultimi lavori è possibile notare una maturazione nella qualità del sound, specie per ciò che concerne gli equilibri tra le molteplici traccie nel mixaggio. L'artwork si mantiene sempre raffinato ma moderno e dall'alta professionalità. Malgrado gli eterogenei spunti stilistici la band riesce a creare comunque uno stile personale e omogeneo, anche considerando la discografia nella sua interezza. L'originalità, seppur calibrata alla fruibilità di un ascolto da parte di un ampio spettro di pubblico proveniente da più generi, appare sempre in modo ragionato e mai disorientante, riuscendo comunque a dare un tocco di classe a questo progetto che unisce idealmente il freddo nord europa al caldo sud. (Marco Pedrali)


(Ethereal Sound Works - 2014)
Voto: 80