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martedì 12 giugno 2012

AtomA - Skylight

#PER CHI AMA: Dark, Space Rock, Ewigkeit, Tiamat
Uno degli album più attesi da parte del sottoscritto, si vede finalmente materializzare nella mia collezione personale di cd, dopo un attesa durata ben otto anni da quello che fu il debutto degli svedesi Slumber, successivamente scioltisi e dalle cui ceneri, sono sorti questi AtomA, che ancora una volta, come i predecessori, mi prendono per mano e mi conducono verso un viaggio ai confini dello spazio. “Skylight” è un’altra magnifica perla nel sempre più florido panorama metal, un lavoro che apre con la bellissima intro omonima (cosa assai rara di questi tempi), che unisce trance music con musica elettronica. Poi ecco il cd, aprire ufficialmente le danze con la title track, che riprendendo il suono emozionale degli Slumber, lo amplifica enormemente in un turbine emotivo da urlo, in cui una bellissima musica mi avvinghia, mi scalda il cuore, mi fa sorridere, mi rende felice. Melodie arabesche si avviluppano ad uno space rock, che sa molto delle ultime performance degli inglese Ewigkeit, il tutto spruzzato da quel magico feeling che solo i primi Amorphis erano in grado di emanare. Tiepide growling vocals si alternano con uno splendido cantato pulito in una mistura di suoni che sono in costante crescendo emotivo. Partono dall’anima e poi su, più su toccando ad uno ad uno tutti i miei sensi, attraverso dieci splendide tracce, che tra incursioni progressive, escursioni al limite dell’EBM, reminiscenze dark dei Tiamat di “A Deeper Kind of Slumber” (“Highway”), labirintiche e disorientanti scorribande nel cyber metal, senza dimenticare i forti influssi della musica classica, psichedeliche reminiscenze dei Pink Floyd ed infine frangenti al limite dell’ambient, ci regalano un’altra pazzesca release in questa primavera infuocata. Da sottolineare, oltre alla già citata performance del vocalist, a suo completo agio, nelle porzioni pulite, da premiare anche la prova del tastierista, vero artefice di questo capolavoro. AtomA, gli alieni venuti dallo spazio infinito… (Francesco Scarci)

(Napalm Records) 
Voto: 85

lunedì 11 giugno 2012

Dysthymia - The Audient Void

#PER CHI AMA: Brutal Death Metal Progressive
La band toscana ci giunge con questo super lavoro dopo un anno circa dalla sua uscita e dopo varie vicissitudini, cambi di formazione e stop forzati per motivi personali del vocalist Giacomo Bortone. I Dysthymia con “The Audient Void”, segnano un confine che sarà duro per molte death metal band superare, tanta è la precisione tecnica, la fantasia e la cura con cui suonano e costruiscono i loro pezzi. Basta ascoltare i singoli strumenti per tracciare un profilo della band. Una sezione ritmica strabiliante con un batterista (Giuseppe Bracchi) fuori dalla norma per capacità tecnica e feeling che rende i brani alquanto accessibili pur rimanendo intensissimo e devastante, una macchina da guerra ma di finissima artiglieria. Alla sua corte suona il basso Marco Bruni che a mio avviso fa un lavoro stupendo, sempre presente con un suono morbido e pulsante, avvalorato da questa brillante produzione che gli da eco e giusto podio. Le chitarre di Stefano Bargigli e Filippo Occhipinti sono agili e mai fuori luogo, complicate, violente e raffinate, metodiche e tecniche come i migliori Cynic, un equilibrio perfetto. Gli assoli sono uno spasso con quel retrogusto “Carcassiano” dal suono caldissimo e profondo (leggi Bill Steer) - ascoltate la traccia 2 più o meno al minuto 2:39 o al minuto1:12 e 3:02 del terzo brano la classe di questi chitarristi -. Infine la voce spaventa per padronanza della scena e versatilità tra growl strascicati stile Obituary, escursioni black/gothic oriented, Arch Enemy style e un velo di Dark Tranquillity, questo è un cantante da 10 e lode. Non starò qui ad elencarvi traccia dopo traccia quale sia la migliore perché in realtà tutte sono di ottimo livello e godibilissime. L'alto potere di questo album sta nel rendere il death metal (musica che non è per tutti) accessibile a chiunque voglia impegnarsi nel suo ascolto. Vorrei sbilanciarmi e affermare che “The Audient Void” ha raggiunto quello che molti dischi della scena internazionale sono solo riusciti a sfiorare e questo grazie ad uno sforzo di produzione extra - nazionale e un mixaggio e masterizzazione fatti a regola d'arte in un ottimo studio qual è l'Hertz di Bialistock in Polonia che ha visto passare band fondamentali come Vader o Decapitated. I Dysthymia hanno fuso le loro varie influenze, le hanno elaborate fino a renderle proprie e a loro modo originali, magari non del tutto innovative ma sicuramente un balzo in avanti come logica di mercato e qualità di prodotto. Il cd è ben confezionato, ben suonato, ben registrato e contenente un'anima, una passione “di ferro” e un gusto che parifica tecnica, orecchiabilità, potenza e stile in sette brani da favola. Tutto questo guarnito di liriche incentrate sul dolore e sulla descrizione dei peccati e delle aride illusioni della vita moderna.“Ode On Melancholy” e “Aching Pleasure” riprendono due strofe dall’omonima ode del poeta inglese John Keats sulla malinconia intesa in senso romantico e la depressione è descritta in “Slow Movements” . Special guest nel disco: Oleg Smirnoff (Death SS/ Vision Divine/ Eldritch) alle tastiere in “Certain Uncertainties”. La distimia (Dysthymia) è una forma di depressione cronica e di certo non rispecchia la “botta di vita” che l'ascolto di questo album ti riserva! Se cercavate l'album death metal da incorniciare questo fa per voi, non fatevelo scappare! (Bob Stoner)

(Buill2kill Records)
Voto: 90
 

Funeral Mourning - Drown in Solitude

 #PER CHI AMA: Black Funeral Doom
Non c’è nessuno qui intorno. Fuori dalle finestre una leggera pioggia ticchetta insistente contro il vetro. È da poco passata la mezzanotte e la luna non si è ancora presentata. Quando “Winds of Unknown Existence” inizia, ho l’impressione che strane figure nel buio si facciano avanti per ascoltare la canzone insieme a me. Non sono più solo. “Drown in Solitude” è una Via Crucis ristretta in cinque tappe dall’andamento lento e misterioso, una marcia funebre verso l’esilio eterno (“Sounds of a Dreary Sea” è la “The Light at the End of the World” di questa band). Tematicamente, l’album affronta il sentimento di morte nei suoi più svariati aspetti: sociale, spirituale, animale, trascendentale; meno violento ma più macabro de “La Grande Danse Macabre” dei Marduk (sebbene il genere diverga, i temi sono affini). La genesi Funeral Mourning affronta, mostrando incontestabili capacità artistiche, un suono che si situa a metà tra un depressive black metal di taglio armonico e un funeral doom basato più su melodie di singole note che feroci serie di pesanti accordi. Anche la voce staziona a metà tra growl e screaming. La traccia più rappresentativa dell’album è senza dubbio la title track; in sé germogliano i frutti di ogni variante presente nel resto del disco: sofferenti introduzioni (quasi) monocorde, deboli elementi ambient, evoluzioni in distorsione, melodie di base riprese e variate. Come sempre, in questi casi parla il cuore. “Drown in Solitude” sviscera dall’interno il cervello dell’ascoltatore, lo avvolge in un manto di lino e lo accompagna verso l’ultima, fredda tappa. Ci si affeziona a queste musiche. Le si fa proprie. Oltretutto, all’interno del booklet, è presente una concisa riflessione sul perché è stato deciso di intraprendere la strada di un album dedicato alla morte. Consiglio vivamente di prenderne atto prima di procedere all’ascolto. Come aveva suggerito Fernando Ribeiro nei suoi Moonspell: “Silenzio e Rispetto”. (Damiano Benato)

(Goatowarex)
Voto: 90
 

sabato 9 giugno 2012

Cardiac - Contro l'Astuta Sublime Mancanza di Verità

#PER CHI AMA: Post Punk, Psichedelia
I Cardiac sono relativamente giovani come gruppo (nati nel 2007), ma dietro questo nome si nascondo inquietanti musicisti che calcano le scene underground veronesi da svariati anni. Per non dire secoli... Lasciando da parte le cagate, oggi non vi racconto la storia di un gruppo, ma di un'idea. I gruppi si formano, si sciolgono, lasciano un segno indelebile nelle anime e poi svaniscono come acqua nel deserto. Le idee rimangono, vengono copiate oppure raccolte e coltivate, per farle vivere e sopravvivere nel mondo di mediocrità che imperversa, soprattutto nella musica. I Cardiac non andranno da nessuna parte (citando la loro biografia), ma sicuramente il viaggio e le persone che li accompagnano sono le cose che più importano. Questo EP raccoglie sei tracce dallo stile psichedelico, prog e post punk, con quel tanto di new wave che crea uno stile personale, elegante e aggressivo allo stesso tempo. L' artwork è tenebroso, il rosso sangue stacca dal nero tenebroso dello sfondo. La cura del suono è maniacale e la tecnica dei quattro musicisti è quanto di meglio si possa trovare oggi. Tutto inizia con "Vitriol", circa sei minuti di sgomitate distorte e ritmiche incalzanti che rincorrono la soave voce di Betty, alternando atmosfere claustrofobiche, urli a colpi di wah e stacchi puliti che fanno respirare l'ascoltatore tra un tuffo e l'altro. "Madre" inizia subito di slancio, con una trama basso-batteria studiata nel dettaglio, mentre la voce trasmette una nota infantile che scompare con l'entrata dei riff di chitarra per trasformarsi in un incidere lento e ansiogeno. L' EP si chiude con personale interpretazione "cardiaca" di Caldo dei Diaframma. Piccola chicca che insegna come si fa una cover senza cadere nel ovvio e lasciare il proprio marchio di fabbrica. Ottimo lavoro, da ascoltare con attenzione, come quando si ha un buon libro da leggere e tutto intorno deve tacere, per cogliere tutte le sfumature. (Michele Montanari)

(Self)
Voto: 85

lunedì 4 giugno 2012

Calendula - Aftermaths


#PER CHI AMA: Post Hardcore, Soilent Green, Iron Monkey, Cancer Bats, Black Flag
Stanco, sudaticcio ed accaldato, salgo in macchina non tanto per tornarmene a casa ma per ascoltare il tanto ammirato disco dei Calendula. E' domenica sera, anche se il sole mi tradisce con i suoi immondi raggi, ed è appena finito un concerto alquanto speciale, di cui non posso promuovere luogo ed organizzazione, perchè è talmente true ed hardcore che se viene detto pubblicamente c'è il rischio di finire in gabbia. Tanto per informarvi, oltre i Calendula hanno suonato i Fall Of Minerva, poi c'era la presentazione del primo full-length dei Whales And Aurora (di cui trovate la recensione su queste stesse pagine), e come headliner c'erano i Celeste, di cui spero potrò parlarvene in altre occasioni. Ma torniamo al disco. Ancora sotto shock dalla gentilezza dei membri della band (i buoni, belli e bravi J., L., P., M.) prendo in mano finalmente la tanto ammirata busta con un adesivo raffigurante l'incappucciato bontempone della Lo-Fi Creatures, con sotto scritto “Red Limited Series 32/50”. Eh sì ragazzi miei, non è un normale disco, all'inizio pensavo addirittura che fosse un 7 pollici. All'interno troviamo l'ipnotizzante copertina cremisi e diverse schede, ognuna raffigurante da un lato un artwork evocativo e dall'altro il testo di una traccia. Ma passiamo alla musica, anche se tutta questa presentazione vi avrà già detto che è un album super fico e da acquistare assolutamente. Anche se finisce l'edizione limitata eh, blu fa mica schifo. Vi avviso che il lettore della mia automobile non è il top, però l'effetto a volume sostenuto con diversi bicchieri di vino in corpo è stato più o meno paragonabile ad una sberla in pieno volto. E non pensate che questo “Aftermaths” sia la classica becerata Sludgecore capace di stuprare l'udito alternando tupatupa, urli e pesantume doom. Mi trovo davanti un lavoro fin troppo accurato e finemente studiato per lanciare l'ascoltatore in una sorta di stage diving negli abissi infernali. Sì sì, con i demonietti che pogano e Astaroth che se ne sta da parte a strafarsi di erba perchè non ha più l'età per muoversi troppo. Sto parlando di tracce piene di valida musica, con così tante idee da fare altri tre dischi uno più malato dell'altro. Riffoni esagerati, distorti, al limite del black, ci radrizzano i peli di tutto il corpo, mentre una dietro l'altra, le tracce ci scaraventano addosso tutto il marcio dello sludge misto alla velocità del post-HC, il tutto contornato da un'amorevole oscurità e condito con qualche saltuario tremolo picking e più presenti armonizzazioni mathcore, che per quanto non mi piaccia il genere, colmano dei passaggi fondamentali nel disco. La produzione è leggermente sporca. Ed è proprio questo voluto particolare a creare la giusta atmosfera in questa pubblicazione. Vi dico però, se siete troppo metal non cimentatevi in questo ascolto. Lo spirito di questi ragazzi è molto post-hardcore. Io non sono per niente un amante di queste sonorità, ma i Calendula rappresentano l'eccezione perchè mi colmano con vagonate di sludge. (Kent)

(Lo-Fi Creatures)
Voto: 80

sabato 2 giugno 2012

Visthia - In Aeternum Deleti

#PER CHI AMA: Misanthropic Black Avantgarde, Aborym
Quando dico che il black metal in Italia è in ascesa, ne ho ben donde, grazie anche a band quali i Visthia, che non temono di andare controcorrente, oltre i confini della sperimentazione. In questo caso stiamo parlando di un black dai tratti abbastanza canonici in fatto di brutalità. Il quartetto siculo propone infatti un sound, la cui fiamma nera arde che è un piacere, ma presenta un tratto distintivo, non da poco: il tutto è infatti cantato rigorosamente in latino e in italiano e tra una sfuriata e l’altra, sono le articolate e dissonanti sonorità a farla da padrone, quasi la proposta dei nostri fosse tinta di suoni avanguardistici. Quel che è certo, è che i Visthia non sono una band comune; sebbene nell’ultimo periodo in Italia impazzi, per mia somma gioia, la moda di cantare in lingua madre, i nostri probabilmente sono tra i primi ad aver inaugurato questo modo di interpretare la musica, ancora diversi anni fa. Tralasciando quelli che sono i tratti tipicamente black dell’album e quindi tutte le consuete ritmiche serrate con la batteria che corre più veloce del fulmine, influenzate dalla tradizione svedese (Dark Funeral), ciò che più cattura maggiormente la mia attenzione e accresce la mia stima nei confronti di questi misantropi della solare Sicilia, sono quelle parti mid tempo assai rallentate, in cui si possono scorgere i tratti tipici di una forma di musica estrema, caratteristica distintiva del patrimonio italico, che ho già potuto scorgere in act, quali Aborym, Inchiuvatu o Deadly Carnage. Ottime le vocals, sia in chiave scream/growl, ma soprattutto in versione pulita, che declamano in modo solenne, una forma di disprezzo cosmico, come una sorta di Virgilio inferocito col mondo. Ammaliante poi quel riffing di matrice nordica, un po’ in stile Unanimated che, al pari di una sega circolare che sta tagliando lentamente le ossa di una gamba, palesa lo stesso stridore, mentre ricama quei lenti riffs assassini. Difficile segnalare una song piuttosto di un’altra, visto che comunque il livello esecutivo e compositivo si mantiene comunque sempre piuttosto elevato. Italia, casa nostra, sinonimo di fierezza; non è più necessario guardare casa altrui con somma invidia, la scena è florida e potente, anche grazie ai Visthia. (Francesco Scarci)

(ATMF)
Voto: 75
 

Frostseele - Praekosmium

#PER CHI AMA: Black dalle tinte Folk, Negura Bunget
Sono innamorato, si innamorato, non di una bella ragazza (c’è spazio anche per quella sia chiaro), ma di un mondo, l’underground, che cela tra le sue viscere una moltitudine incredibile, direi pazzesca, di band e non di band qualsiasi che hanno ben poco da dire, sono banali, piatte o scontate, ma di validi gruppi che hanno il potenziale di offrirci splendide cose. Questo cappello introduttivo per dire che i teutonici Frostseele, di cui mi occupo quest’oggi, appartengono ad un mondo veramente sotterraneo, che solo il grande potere di internet, mi ha concesso il privilegio di dischiudermelo. L’ensemble germanico è in realtà una one man band, capitanata proprio da Mr. Frostseele, aiutato da un trio di session men, in grado di proporci un black metal dalle tinte sinfoniche e malinconiche, che scorre per cinque lunghissime tracce. Vi basti infatti pensare che la opening track, “Die Architetktur Des Seins”, dura 15 minuti, in cui il mastermind tedesco, viaggia su un mid tempo ragionato, senza mai premere il piede sull’acceleratore, ma dando largo spazio a suadenti melodie, forse complici le basiche ma efficaci tastiere, ma soprattutto le sognanti linee di chitarra, sempre orecchiabili e facilmente immagazzinabili nella mia memoria. Immancabili gli inserti acustici, che trovano ampio respiro e che donano quel pizzico di folklore, che non guasta mai in simili produzioni. Le gracchianti vocals, per quel poco che vengono utilizzate (“Diagnose” è strumentale ad esempio), hanno un che di disperato, totalmente in linea con la proposta dell’act teutonico, che in taluni frangenti, si affaccia anche in quel mondo depressive black, tanto in voga nell’ultimo periodo. Ma sono principalmente le autunnali parti arpeggiate a farla da padrone in questo “Praekosmium”; lunghissima e dal fortissimo sapore etnico in “Du”, che mi fa totalmente dimenticare di avere nel mio stereo un lavoro di black metal, se non fosse per quella sua serrata parte finale che mi fa inevitabilmente pensare ad una proposta di post black nella vena dei sempre più menzionati Wolves in the Throne Room. Affascinanti, non c’è che dire. Mi abbandono alla freschezza delle melodie partorite dai Frostseele, lasciando guidare i miei sensi e le mie percezioni, abbandonando la mia anima alla natura folk della successiva “Tabula Rasa” (altra strumentale), in cui mi pare faccia la sua comparsa anche un invasato violino. A chiudere questo piccolo gioiellino, ci pensa “Ld 100”. Insomma, che dire, se non di permettere che la musica dei Frostseele, faccia breccia anche nei vostri cuori, non ne resterete delusi. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 75

Onelegman - The Crack

#PER CHI AMA: Crossover, Nu, Korn, System of a Down
Gli italiani, anche se con una gamba sola, lo fanno meglio. Il rock. Non è propriamente rock lo stile di questa band di Reggio Emilia, infatti tanto per citare il loro sito, “The Crack” è un disco che osa. Su questo sono abbastanza d'accordo, nel senso che ognuna delle sue 9 tracce vuole sondare un differente genere, dal crossover al nu metal, passando per il prog e toccando pure il southern rock. Non voglio stare qua a discutere se è una scelta formidabile oppure una mancanza di identità, sta di fatto che comunque il cd ha un bel tiro e mette sul piatto tutte le buone qualità dei Onelegman. La voce effettata stile Korn forse è l'unica scelta opinabile solo perché porta al facile paragone, ma l'ottimo lavoro mostra l' elevata tecnica della band e la voglia di voler sperimentare, anche se certi canoni devono essere mantenuti. Iniziamo la carrellata dei pezzi presenti in questo "The Crack". “See That Truth” apre il cd con dei bei riffoni southern e la parte ritmica ben bilanciata, tosta al punto giusto per dare l' idea di una cavalcata sfrenata attraverso il profondo sud mentre l’Indian sotto il culo borbotta sorniona. “Dream On” utilizza un sound prog che apre con una ritmica tribale per cambiare completamente pagina e assaporare un altro riflesso di “The Crack”. Ottimo pezzo anche questo. Passiamo poi al thrash nudo e crudo di “Black Lamb” che mi ha lanciato in un cardiopalma che non ricordavo da tempo. La batteria sprigiona tutta la sua cattiveria e tecnica in un colpo solo, dando alla luce un brano che dà molto filo da torcere ai grandi del genere. Concludo con “Vortex” che risulta sicuramente l'esperimento più azzardato dell'album, infatti mescola sonorità balcaniche al thrash-metal. Per carità, l'into sembra presa da “St. Anger” dei Metallica, ma l'alternanza con riff alla Bregovic rende il tutto assai sperimentale e godibile. Bravi questi Uomo-con-una-gamba-sola, l'esperienza e la professionalità si sente tutta e meritano una bella pacca sulla spalla e una birra offerta al banco dal sottoscritto. Respect. (Michele Montanari)

(Buil2kill Records)
Voto: 85

http://www.onelegman.com/