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giovedì 23 dicembre 2021

District Unknown - Anatomy of a 24 Hour Lifetime

#PER CHI AMA: Prog/Groove Metal
Al di là degli ineludibili significati (affatto) sovrastrutturali, l'album d'esordio della prima e forse unica metal band afghana fornisce inedite topologie musicali, specialmente negli episodi più lisergici/desertici ("Whisper in a Dream," lo strumentale introduttivo "Modern Nature", caotico quanto una tempesta di sabbia e a tratti quasi groove, oppure i panorami psych/esplosivi di "Two Seconds After the Blast", approssimabili a certe cose lunghe dei The Doors, o anche il doom stupefatto di "Struggle" con tanto di stupefacente(mente lunga) intro elettronica) o psych/prog ("Portraits", lo strumentale "A Cancer by Design" ha forse qualcosa dei Genesis di 'Foxtrot'? O dei Beatles di 'Abbey Road'?). Eclettico e funzionale il sound, conseguenza di una produzione per niente amatoriale, ma decisamente debole il cantato in pulito ("Joy Versus Sorrow" e ancora in "Portraits"). Costituiti in piena era taliban, per un certo numero di anni i District Unknown si sono esibiti in patria clandestinamente e col volto coperto così da sfuggire alle persecuzioni. Poi pensi a quei cretini di fascistelli svedesi provvisti di chitarre-mitra e batterie-carrarmato che giocano a fare la guerra sul palco, sì, ma sempre restando ben fuori tiro. O a quegli altri idioti metallari multimiliardari dei miei coglioni spelacchiati provenienti dall'Iowa che giocano a fare i serial killer di questa beneamatissima fava. Gente che a Kabul non durerebbe più di dieci minuti cronometrati. (Alberto Calorosi)

martedì 21 dicembre 2021

Procol Harum - Novum

#PER CHI AMA: Prog Rock
Patinati claptonismi bluesrocchettari finesettanta ronzanti dalle parti di 'Backless' ("Image of the Beast") oppure iperpatinati claptonismi poprocchettari iniziottanta bighellonanti dalle parti di 'Money and Cigarettes' ("I Told on You"). Accomodatevi. Nel prosieguo, l'attitudine rock/80's/pop di 'Soldier' ("Runaway Train" vs. "Wonderful Tonight") e quella Eltonbattabernie-Johnbarrataupin di "Don't Get Caught" non mutano un registro narrativo già consolidato almeno dai primi '90, vale a dire da 'Prodigal Stranger' in poi, movimentato (quasi esclusivamente) dalle (a dir poco) bizzarre liriche composte dall'attempato e senilmente disinibito Gary Booker ("Last Chance Motel" è una efferata murder ballad, l'avreste mai detto? "I Told on You" una furente invettiva nei confronti di un collega musicista, l'avreste mai ridetto?) e cineticamente convergenti nei medesimi modi metereologici nei quali in un mondo ideale, un uragano di classe cinque convergerebbe verso l'abitazione di Paperostarnazzante Trump, convergenti, dicevo, inesorabilmente verso "Sunday Morning", singolo designato, pretestuoso zenit creativo di questo pasticciato album nonché pallida scimmiottatura (là c'era l'Aria sulla quarta corda di Giannino Bach e due tonnellate di Hammond, qui l'altrettanto celebre Canone in Mi di Giannino Pachelbel e due tonnellate e tre quintali di Hammond) di quella celeberrima hit sull'impallidimento improvviso della ragazza mentre ascolta la storia del mugnaio scritta cinquant'anni addietro che troverete menzionata in qualunque stramaledetto articolo musicale sui Procol Harum dal sessantotto a oggi tranne che in questo. Trattasi d'altronde dell'unico debole trait d'union tra lo stiracchiato presente e l'hammondosissimo, sinfonicissimo (e comunque acclamatissimo) passato. Non vi pare sufficiente? (Alberto Calorosi)

(Eagle Records - 2017)
Voto: 55

https://www.facebook.com/procolharummusic

The Mavericks - Brand New Day

#PER CHI AMA: Country Rock
Spiazzati e contemporaneamente rincuorati da quella specie di polka bluegrass mariachi-style in apertura ("Rolling Along") che non riuscirete a fare a meno di immaginare interpretata da un sosia di colore di Elvis con tanto di lederhosen, pettorali, sombrero e baffoni da borgomastro messicano. Proseguirete l'ascolto tra un folk/mambo ("Easy as it Seems) ed una country/rumba vagamente Kelly-familiare ("I Will be Yours"), tra un valzer sonnolento ("Goodnight Waltz" per l'appunto), un inneggiante pop early-80 dalle parti, pensate, dei Jefferson Starship ("Brand New Day"), un crooning elvis/iano grondante passionalità (ovunque, ma soprattutto nella conclusiva, ottima "For the Ages") e certo chewing-pop tipo soundtrack di Peggy Sue si è sposata ("I Think of You" e forse pure "Ride With Me" se non fosse per quell'hammond acidissimo in chiusura - o chissà, magari proprio per quello), pervasi da quell'indolente entusiasmo che sprigionerebbe una ipotetica Oktoberfest balneare riscaldata dal sole pigramente tramontante di Varadero. Rispetto ai 90's, Raul Malo approfitta maggiormente degli archetipi musicali di riferimento, eppure scongiura il rischio band-da-sezione-intrattenimento-di-un-busker-festival-di-provincia mettendo in campo il consueto limpidissimo songwriting. (Alberto Calorosi)

(Mono Mundo Recordings - 2017)
Voto: 75

https://www.themavericksband.com/

Pirate - Left of Mind

#PER CHI AMA: Math/Prog Rock
Era il primo agosto del 2012 quando recensii questo disco. E la Bird’s Robe Records, nell'ambito della sua filosofia del "riscopriamoli", ecco riproporre una band fuori dall’ordinario. Sto parlando dei Pirate e del loro album di debutto 'Left of Mind', disco uscito in realtà nel 2009. La band si distingue dalle altre produzioni della label di Sydney con una proposta musicale alquanto originale, una fusion di stili e sfumature che partendo dal prog anni ’70, si fonde con colonne sonore e math rock, in cui concedere poi ampio spazio alla follia delirante di un sax impazzito, come accade nella opening nonchè title track, nella psicotica strumentale “Rough Shuffle” o nella stralunata ed oscura "Creepy". Fighi, lo dicevo allora, lo ribadisco oggi a distanza di anni che non ascoltavo questo lavoro. Sicuramente influenzati dal buon Mike Patton e da una qualsiasi delle sue creature, Mr. Bungle o Fantomas, i Pirate nelle otto tracce a disposizione, si divertono non poco a proporne di ogni colore e forma. Non stupitevi pertanto se in “Animals Cannibals” emergono echi di Faith No More o di un certo cyber alternative rock a stelle e strisce, comunque sempre contaminato da suoni freschi e moderni, qui dal piglio anche elettronico con un bel po' di synth a farla da padrona. Ma le qualità dell'ensemble non si discute e potrete anzi apprezzarla ovunque nel corso dell’ascolto di 'Left of Mind': dal basso tonante in apertura di "In the Balance" che ammicca ai A Perfect Circle, all'imprevedibilià alla The Mars Volta di "Daggers", ove avverto anche un pizzico del delirio dei Primus, in una song che, complice la presenza del famigerato sax, diventa anche la mia preferita del disco per il suo moto ondoso instabile. Si, insomma 'Left of Mind' è qualcosa che va accuratamente ascoltato e ponderatamente digerito, perché di certo non rimarrete delusi di fronte a cotanta ispirazione e genialità. Chiaro, riascoltarlo quasi dieci anni dopo mi fa sentire molti altri richiami che in passato non avevo colto e forse per questo mantengo il voto un po' più basso rispetto alla mia prima recensione, comunque una certezza. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2009/2022)
Voto: 80

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/left-of-mind

martedì 14 dicembre 2021

Closure in Moscow - The Penance and the Patience

#PER CHI AMA: Prog Rock
L'etichetta australiana Bird's Robe Records, si prende la licenza di riportare sul mercato mondiale un assoluto capolavoro, uscito per la prima volta nel lontano 2008, opera dei Closure in Moscow, band originaria di Melbourne, un progetto musicale che più volte fu premiato in patria per meriti artistici (ricordo che il loro ultimo album risale al 2012). La label di Sidney, con una copia cartonata dall'artwork magnifico, completa di note informative e libretto interno, rimette in circolo questo gioiellino intitolato 'The Penance and the Patience', che altro non è, che il primo lavoro di studio dell'act australiano. Difficile dare un' identità alla musica dell'album, vista la quantità di spunti e richiami musicali contenuti in questa opera. Possiamo però dire che al primo ascolto ci si rende conto che il quintetto s'intrufola naturalmente e assai bene, tra le movenze stilistiche in voga tra band del calibro di Coheed and Cambria, (con cui hanno anche suonato live), The Mars Volta e i vari progetti di Omar Rodríguez-López, risultando a tutti gli effetti discendenti accreditati di quel modo di intendere il progressive rock che fece emergere lo stile incontrastato degli Yes tra la fine dei '60 e l'inizio dei '70. Una linea invisibile li unisce alle band citate per qualità e virtuosismo tecnico espresso attraverso composizioni che non conoscono limiti, che tendono ad unire la maestosità di certo classic rock dei seventies, il gusto e la complessità di alcuni brani ricercati del passato in bilico tra powerflower e prog rock, l'impatto del punk alternativo alla At the Drive In e Pedro the Lion, con una velata vena da musical nello stile dei the Dear Hunter connesso con l'estrosità dei Leprous di 'Malina'. 'The Penance and the Patience' diventa cosi un album dirompente fin dalle prime note dell'iniziale "We Want Guarantees, Not Hunger Pains", che mostra subito un impatto duro ma controllato e una splendida forma moderna, di intelligent rock, pieno di cose pregevoli, pensate da ottimi musicisti, cercate ed apprezzate anche dagli ascoltatori più esigenti. I Coheed and Cambria sono sempre dietro l'angolo, come i The Mars Volta del resto, ma i Closure in Moscow riescono a mantenere una propria personalità che li contraddistinguerà anche nelle release successive, con ulteriori sbocchi verso lidi più pop, aggiungendo anche qualche gingillo elettronico qua e là, senza perdere mai di vista la loro sanguigna vena da progsters incalliti, con il gusto per l'AOR e l'hard rock dei mostri sacri di un tempo. Cos'altro dire, "Dulcinea" apre il cuore di tutti i rockers con la sua potente ariosità, "Breathing Underwater" è una sperimentale carica di dinamite e "Ofelia... Ofelia" con quel suo piano sullo sfondo e la sua indole cosi triste, sinfonica e psichedelica, è a dir poco adorabile. Certamente siamo di fronte ad un disco di tutto rispetto e di ottima produzione, stilisticamente impeccabile, tecnicamente virtuoso e sorprendentemente aperto a qualsiasi tipo di ascoltatore, pur trattandosi di un vero e proprio disco prog rock di moderna fattura. Un album da ascoltare per credere, un disco da non perdere, visto che la Bird's Robe ci offre questa seconda chance di metterlo tra gli scaffali delle nostre raccolte migliori. L'ascolto è assolutamente consigliato per riscoprire la sua grande bellezza artistica. (Bob Stoner)

mercoledì 3 novembre 2021

Graham Bonnet Band - The Book

#PER CHI AMA: Hard Rock
Un melodic griffato Frontiers Music ("Welcome to My Home", "Strangest Day" e la consueta sfilza di cognomi napoletani nei crediti), ma non soltanto. In apertura, per esempio, una spiazzante fucilata power (l'avreste mai detto?), i cui pallettoni finiscono conficcati nel prosieguo, per esempio in "Dead Man Walking", dove emerge invero un certo retrogusto alla Rainbow. I Rainbow, già. Quelli di "Rider", sparata giusto "Straight Between the Eyes" (sì, sì, cantava Turner, lo so), quelli di 'The Book' trascinati nuovamente 'Down to Earth' dall'eccellente e nervosissimo riffettismo del giovane Conrado Pesinato, una specie di John Petrucci delle caverne. I Rainbow di 'Down to Earth', l'album più sovraesposto ("Since You've Been Gone", "Lost in Hollywood", "All Night Long" o "Eyes of the World", ma dov'è finito quel riff laser di tastiera che arrembava il pre-finale?) e al contempo sottoesposto (non avreste risentito almeno anche "Love's No Friend"?) dell'intero disco due, quello delle re-incisioni: sedici insignificanti riproposizioni fotocopia sovente affaticate (il "Wanna make you miiiiine!" di "All Night Long", e allora risentitevi pure il Bruce Dickinson asmatico di "Earth's Child" sul disco uno, visto che ci siete). Due grahambonnettosissime ore in tutto a coprire un'intera carriera quasi cinquantennale. Eccetto, ovviamente, gli imbarazzanti Marbles. Ve li ricordate? No? Domandatevi il perché. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Music - 2016)
Voto: 55

https://www.facebook.com/grahambonnetmusic

venerdì 29 ottobre 2021

Flying Norwegians – Wounded Bird

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psych/Country Rock
La cittadina di Bergen non significa solo Burzum, Borknagar, black metal o avantgarde metal, molto tempo prima del periodo metal infatti, la musica nell'abitato norvegese, aveva forgiato altri eroi e altri generi musicali. Alla fine degli anni '60, il chitarrista Rune Walle e il batterista Gunnar Bergstrøm, erano degli emergenti e giovani musicisti molto abili, che vennero presto reclutati nella rock band Saft, e parteciparono all'incisione del terzo, fortunato album, dal titolo 'Stev, Sull, Rock 'n Roll'. L'ambizione dei due però ardeva forte per una svolta musicale più country, eguagliando le vette di Eagles e Flying Burrito Brothers, così nel gennaio del 1974, i nostri decisero di formare una propria band dal nome, Flying Norwegians. La breve introduzione storica, serviva a presentare questa ultima ristampa (disponibile anche in cd, vinile e formato digitale), del loro fortunatissimo secondo album, intitolato 'Wounded Bird', del 1976, che li rese assai celebri in patria e che portò Walle a suonare anche con gli Ozark Mountain Daredevil in America, a seguito di celebri band come the Doobie Brothers, Jeff Beck, The Beach Boys. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, tra album buoni e sperimentazioni meno significative, tour, separazioni e reunion, fino ad arrivare a questa fedele ristampa che mantiene il sound caldo e profondo della band direttamente dal mastertapes originale, senza stravolgerne gli equilibri, mantenendone le caratteristiche originali. Qui tutto il calore del loro sound viene trasferito con perizia e gusto in digitale, per assaporare al meglio le atmosfere della steel guitar e quegli ambienti d'estrazione a stelle e strisce che, in quel periodo, permisero alla band scandinava di essere soprannominata col giusto onore, Eagles di Norvegia. Il resto lo dice l'ascolto del disco, con le sue atmosfere sognanti, in pieno spirito psichedelico d'epoca 60's, con innesti di rock alla The Byrds e quel classico country sempre in perfetto equilibrio. Composizioni multicolori contornate anche di escursioni musicali virtuose, il canto solare, il banjo e l'immancabile folk di matrice americana, la presenza costante di una forte e caratteristica connotazione europea, in stile Runrig (periodo 'Play Gaelic'), che mantiene costantemente i brani lontani da qualsiasi tentazione di plagio. Inutile fare l'elenco dei brani migliori, l'opera va riscoperta nella sua totalità, canzone dopo canzone, nota dopo nota, per essere assaporata a dovere. Un ottimo lavoro di ristampa che non mancherà d' essere ben apprezzato anche da chi non ha potuto ascoltarlo alla sua prima realizzazione, sicuramente apprezzabile anche da un pubblico più giovane, appassionato di riscoperte storiche. (Bob Stoner)

giovedì 14 ottobre 2021

Bend the Future - Without Notice

#PER CHI AMA: Psych Prog Rock
Rock progressivo dalla Francia. Ecco, mi sa tanto che i nostri cugini galletti se la cavano non solo in ambito estremo ma anche in sonorità ben più tenui, come quelle proposte dai Bend the Future, sestetto originario di Grenoble. La partenza di 'Without Notice' denota sin da subito le grandi capacità tecniche dell'ensemble, che con l'opener "Lost in Time" ci regalano suoni davvero entusiasmanti tra prog rock di stampo settantiano, aperture post rock, allunghi psichedelici e sprazzi jazzistici, che sottolineano l'imprevedibilità di quanto ascolteremo da qui alla fine nel corso del lavoro. Il primo brano è pazzesco, forse la cosa più debole sono le vocals (colpa mia che sono abituato ad un ben altro tipo di corde vocali), ma poi da un punto di vista strumentale, i nostri sono spaventosi, tra lunghi giri di chitarra, splendide melodie e cambi di tempo da applausi. Bomba! Chissà se le altre song sapranno confermare quanto di buono ascoltato sin qui? Un pianoforte apre la strumentale "As We Parry" e l'atmosfera somiglia a quella lounge da pianobar con un duetto di sassofoni che deliziano per come ben si amalgamano nella matrice musicale. "Merely" ha un impatto un po' più irrequieto, sebbene qui ritorni la voce del frontman a smorzare quell'animata ritmica che in taluni passaggi potrebbe evocare un che dei Riverside in salsa math, prima di un super spiazzante break atmosferico in grado di condurci improvvisamente indietro di oltre 40 anni nel cuore della musica settantiana. Da nostalgica lacrimuccia vintage. "We Aim Higher" è un pezzo di puro sperimentalismo sonoro, dal tratto saturnino che azzarda con trovate interessanti a livello di batteria e chitarra, e che vede peraltro la comparsa al microfono di un gentil donzella. Il brano è complicato, data anche una durata che supera gli otto minuti, ma alla fine davvero efficace tra fughe semistrumentali, stridori jazz e speziati aromi psych prog rock dal vago sapore mediorientale. Una delle hit del disco in assoluto. Non dimentichiamoci però della breve ma ficcante "Miniature", quasi un passaggio di collegamento con le restanti "Muş", più timida nel suo incedere comunque raffinato, e la title track, che chiude in scioltezza e alla stregua dei pezzi che l'hanno preceduta, un lavoro complesso, elegante e da approfondire ad ogni costo. (Francesco Scarci)

martedì 14 settembre 2021

Teal - Hearth

#PER CHI AMA: Alternative/Progressive Rock
La Bird's Robe Records prosegue la propria campagna di riedizioni questa volta con gli australiani Teal e il loro debut EP, 'Hearth', datato 2013. La proposta del quartetto originario di Sydney si rifà ad un alternative rock assai orecchiabile. Cinque le tracce a disposizione dei nostri per poter dire che, anche se vecchio di otto anni, questo lavoro rimane alquanto attuale. Ottime (e un po' ruffiane) le delicate melodie dell'opener "Solitaires", dove a mettersi in luce sono i vocalizzi di Joe Surgey, uno che strizza l'occhiolino, anzi l'ugola, al frontman dei Muse, con risultati peraltro più che soddisfacenti, e con la musica che si muove anche tra le maglie del prog rock, tra chiaroscuri emozionali, guidati proprio dalla voce di Joe e accelerazioni quasi ringhianti, che rendono la proposta davvero interessante. In "Don't Wake Up" non vorrei prendermi del pazzo, ma su di un tappeto post math rock, ci ho sentito dei vocalizzi addirittura alla Bono, con il sound sempre bello carico ma in continuo movimento tra trame più morbide e altre più potenti. Con "Raptor", il combo del Nuovo Galles del Sud, si propone con sonorità che richiamano ancora Matthew Bellamy e soci, anche se qui i Teal sembrano meno esplosivi che in precedenza, fatto salvo per il comparto solistico, breve ma efficace. Se parliamo di esplosività (ma pure creatività) non possiamo non citare "Voss": partenza acustica stile primissimi Pearl Jam, sound mellifuo guidato dalla voce di Joe e poi accelerazioni belle toste che si alternano a parti più atmosferiche ed intimiste con tanto di tremolo picking alle chitarre. In chiusura, la più oscura e meditabonda "Three Hours", che con i suoi costanti rimandi ai primi Muse, chiude degnamente una release che ai più, sono certo, fosse passata inosservata. Chissà che stanno combinando oggi i Teal, ora mi vado ad informare, voi nel frattempo ascoltatevi 'Hearth'. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2013/2021)
Voto: 73

https://tealband.bandcamp.com/album/hearth-ep

domenica 5 settembre 2021

Jordsjø - Pastoralia

#PER CHI AMA: Prog Rock
I Jordsjø sono un duo proveniente dalla Norvegia, con all’attivo già diverse uscite (dal 2015 se ne contano 8 tra demo, split, EP e album veri e propri). Qui ci troviamo nell’ambito del progressive più puro, e non parlo di prog metal alla Dream Theater o cose del genere, mi riferisco proprio al progressive rock che negli anni '70 irrompeva sulla scena mescolando in modo fino ad allora inaudito il rock figlio della rivoluzione 60s con il folk, il jazz e la musica classica. E se è vero che, a volte, il connubio ha generato mostri, è innegabile che abbia anche dato vita a diverse esperienze interessanti. I Jordsjø si tengono dalla parte “buona” della barricata. Quella che riesce ad ibridare linguaggi non sempre facilmente conciliabili in modo equilibrato ed elegante, senza eccedere nel virtuosismo autoindulgente o soluzioni eccessivamente cervellotiche e tenendosi bene alla larga dal gigantismo o la magniloquenza che caratterizzano le esperienze meno felici (e ahimè non sono poche) di quel movimento. In 'Pastoralia' i due scandinavi sembrano avere preso a modello i primi Gentle Giant (ascoltare i 7 minuti di "Skumring i Karesuando" per credere), filtrandoli attraverso le lenti del folk e certo jazz di stampo nordico, smussando gli angoli e smorzando il toni generali fino ad ottenere un prodotto di altissimo artigianato che riesce a risultare fuori dal tempo, nel suo coniugare prog anni '70 ad un afflato nordico quasi pop, soprattutto nell’uso della voce. Ecco allora che ci sono momenti in cui la ripresa del folk nordico risplende come un diamante, come nella notevolissima title track o l’incantevole "Fuglehviskeren", dove sembra di ascoltare i Pentangle. Altre volte ad emergere è l’amore per certe atmosfere jazzate ("Beitemark"), fino a far confluire nella conclusiva "Jord III" tutto il loro mondo fatto di arpeggi acustici alternati ad ispirati fraseggi elettrici, flauti, mellotron, piani elettrici e strutture complesse ma mai astruse. Disco molto bello, davvero di alto livello. Un must have per gli amanti del genere. (Mauro Catena)

(Karisma Records - 2021)
Voto: 80

https://jordsjo.bandcamp.com/album/pastoralia

venerdì 3 settembre 2021

Miles Oliver – Between the Woods

#PER CHI AMA: Indie Folk Rock
Cantautore e poeta parigino abituato a fare tutto da sé (armato di chitarre acustiche ed elettriche, piano e loop station) e a dividere il palco con nomi del calibro di Shannon Wright, Wovenhand e Be Forest, Miles Oliver è al suo quarto album, al solito registrato in proprio, in perfetta solitudine. Pare che 'Between the Woods' sia nato al ritorno da un tour di settimane negli US e che abbia visto la luce inizialmente come libro, una sorta di diario del tour corredato da fotografie e poesie che hanno poi originato le 12 canzoni racchiuse qui dentro. Fedele al motto che “l’importante è la canzone, e non il modo in cui si presenta”, i 12 brani si susseguono scarni e scarnificati da un lavoro di sottrazione che lascia ben poca carne attaccata ad uno scheletro fatto di chitarre acustiche, talvolta doppiate dall’elettrica raramente accompagnate da un piano elettrico, un basso o una drum machine altrettanto essenziale. Il risultato, lungi dell’essere minimamente originale, è comunque sincero nel mostrare le proprie fragilità attraverso una voce stridula che ricorda vagamente quella del compianto Vic Chesnutt, e interessante nel suo voler offrire un’affresco che, nelle parole dell’autore, rappresenta la sue personale visione della cultura americana. Dalle radici folk blues dell’iniziale "Save Me" (dove la voce non è sorretta da strumenti) alle menti alienate di "Deamontia", fino alla vendetta di una donna oppressa di The Song I hate, unica concessione ad un rock più o meno rumoroso, il lavoro si dipana attraverso bozzetti acustici ("Last Time"), fino all’immancabile dedica a Kurt Cobain di "Myberdeen" e la danza dolente di "This is a Lie", screziata di elettronica povera, che chiude con la giusta dose di malinconia un lavoro di ottimo artigianato. E se è vero che le canzoni non sempre lasciano il segno, Miles sembra sincero nel mostrarci il suo mondo, e l’impressione è che possa dare il meglio sé nella dimensione live. (Mauro Catena)

mercoledì 1 settembre 2021

Dez Dare - Hairline Ego Trip

#PER CHI AMA: Punk Rock
Un po' di insana follia punk rock era tempo che non la ascoltavo. Dovevo attendere questo frescone inglese nato in Australia che, durante il famigerato lockdown, ha pensato di mettersi in proprio e buttare giù un po' di stravaganti pezzi orecchiabili. Ecco la genesi di questo 'Hairline Ego Trip' dei Dez Dare. Nove brani che partono dal punk primigenio di "Dumb Dumb Dumb", tanto selvaggio quanto scanzonato per poco meno di due minuti di musica. La cosa prosegue con il garage rock di "Conspiracy, O' Conspiracy", niente di travolgente ma mostra un tocco che palesa già una certa personalità. Quella che emerge forte invece in "King + Queen Monstrosity", laddove potrebbe sembrare stravagante, ma non lo è affatto, parlare di psych punk doom, vista la natura slow motion del brano. Esperimento riuscitissimo. Si passa ad un surf rock sporcato di venature stoner con "My My Medulla", un pezzo che ci conduce direttamente agli anni '60. Non male ma un po' lontano dai miei gusti musicali. Divertente ma troppo vintage. Si continua a percorrere la strada dello stoner/desert rock polveroso con "Sandy’s Gonna Try" ed un cantato che invece sembra uscire da uno dei brani dei Sex Pistols, ma l'energia che emana ahimè non è la medesima. "Break My Vice" sono 100 secondi di uno stralunato post punk, mentre "Crowned by Catastrophe" ha quasi un piglio blues rock nel sua cantilentante incedere ipnotico. "Goodbye Autonomy" mette in scena altri 107 secondi di un sound tanto stravagante quanto difficile da etichettare senza doverci scrivere una tesi che descriva cosa il musicista di Brighton voleva realmente proporre. Ancora punk rock con la lunghissima "Tractor Beam, Shitstorm", quasi dieci minuti di musica psicotica e ridondante in grado di destabilizzare i sensi con i suoi giri di chitarra in loop ma anche in grado di sottolineare l'imprevedibile genialità di quest'artista britannico. (Francesco Scarci)

giovedì 26 agosto 2021

Belvas - Roccen

#PER CHI AMA: Indie Rock
Dal nome e dall'artwork di copertina di questa band comasca mi aspettavo qualcosa di molto più aggressivo, violento, ruvido e sotterraneo. Tradendo le mie aspettative, la band lombarda qui al suo debutto, spiazza tutti i presenti, suonando un rock italianissimo, con venature blues incastrate a soluzioni tipiche della tradizione rock alternativa tricolore dell'ultimo trentennio, con l'aggiunta di suoni e idee rubate un po' qua e là, tra i grandi classici dei 70s e un pizzico della canzone d'autore del bel paese. Mostrano un buon sound i Belvas, a volte un po' di maniera, che quando è più sporco, forse incalza di più e stimola un piacevole ascolto, con il basso che corre libero e distorto. La ricerca poetica nei testi, sincera e ispirata, anche se a tratti ancora acerba e cosparsa di una forzatura pseudo maledetta, sembra talvolta fuori luogo per il trio lumbard. Mi sembra ovvio far cadere paragoni a pioggia, tra Afterhours e Il Santo Niente dell'ultimo periodo oltre a richiami più morbidi tra Estra, Negrita e Negramaro d'annata. Questo non deve essere frainteso come una nota dolente anzi, il tocco di orecchiabilità diffusa li rende per certi aspetti anche più originali di tanti altri lavori simili. Dopo tutto la band dimostra una grande voglia di originalità che a volte li avvicina a certe soluzioni musicali dei Verdena meno sperimentali. Con una produzione più ruvida, diciamo più vicina al suono di 'Birdbrain' dei Buffalo Tom, li avrei apprezzati anche di più, sebbene debba ammettere che il disco è ben fatto e ben suonato. Un sound più aggressivo, più abrasivo, si poteva anche rischiare (la parentesi funk del brano "Disco B" non la concepisco, per quanto sia carina come esperimento) e sono convinto che avrebbe calcato la mano sul lato più rock dei Belvas, e con i disarmanti Maneskin che spopolano ovunque, sarebbe stato interessante avere come contraltare in patria, una vera rock band, più sana, polverosa e sanguigna. L'insieme dei brani di 'Roccen' ha comunque dato i suoi frutti, creando un lungo lavoro che supera i 70 minuti (cosa molto insolita ai giorni nostri), con tanti brani variegati ed interessanti, tra cui "Bianco", "Niente Dentro Me", ed il singolo "Voci di Pietra", che mostrano un buon futuro per questo power trio, capitanato da una voce di tutto rispetto ed una chitarra che a volte esce dalle composizioni con tanto gusto armonico e fantasia. Il mio umile consiglio è di puntare ad ingrossare il sound e modularlo sulle corde di una sorta di post-grunge modellato sullo stile italiano, come fecero un tempo le band sopraccitate, che hanno dato molto a questo paese caduto in miseria musicale da tempo. Gli ingredienti ci sono tutti (ascoltate "Spaziale" per credere), basta correggere il tiro ed inasprire quei suoni che mancano da un po' nella scena rock italiana (magari una sterzata sonica verso certa nuova scena stoner rock europea potrebbe dare ulteriori benefici ed anche riascoltare vecchi e nuovi gioielli de Il Santo Niente) per salire di tono e dare una personalità ancora più forte a questo promettente giovane trio di casa nostra. (Bob Stoner)

mercoledì 25 agosto 2021

Riverside - Rapid Eye Movement

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Rock, Porcupine Tree
Ero un grande fan della band di Varsavia quando ascoltai questo lavoro per la prima volta, mi aspettavo che 'Rapid Eye Movement' fosse l’album della consacrazione, il top dell’anno per questo genere, in grado di surclassare anche i Porcupine Tree, ma alcune sbavature e passaggi a vuoto, non hanno fatto altro che rimandare questa gioia per il sottoscritto e anzi lentamente disinnamorarmi dei Riverside. 'Rapid Eye Movement' resta senza dubbio un ottimo lavoro che sicuramente non deluderà gli amanti delle sonorità progressive e tutti i fan (quelli un po’ meno esigenti del sottoscritto), del combo mittle-europeo. L’opener è affidata alla magnetica “Beyond the Eyelids” che insieme a “02 Panic Room”, rappresentano le mie songs preferite: ambientazioni oscure, atmosfere eleganti garantite dalle ottime tastiere di Michal Lapaj e poi, e poi c’è la voce meravigliosa di Mariusz Duda, in grado sempre di regalare emozioni da brivido. I Riverside, con questo terzo full lenght, che ha come tema portante la fase R.E.M. del sonno, caratterizzata dalla percezione di immagini e suoni apparentemente reali, ci catapultano nel loro mondo onirico, proseguendo il discorso musicale iniziato con 'Out of Myself' e 'Second Life Syndrome'. Anche se rispetto a questi due lavori è stato fatto un piccolo passo indietro, la musica dei nostri è capace di toccare nell’intimo, come poche volte accade: distillati di malinconia, atmosfere toccanti, melodie sognanti ci regalano enormi emozioni. Oltre ai due brani già citati, “Schizophrenic Prayer”, “Through the Other Side” e “Embryonic”, stimolano i nostri sensi, con le loro dolci melodie sognanti e suggestive. Discorso a parte, meritano invece “Rainbow Box” e “Parasomnia”, le songs che insieme a “Cybernic Pillow”, ci mostrano il lato più aggressivo della band e che sinceramente ho meno apprezzato. La conclusiva “Ultimate Trip”, fonde nei suoi tredici minuti, il meglio dei Riverside, spaziando da momenti tipicamente progressive a sfuriate metalliche, con la voce talentuosa di Mariusz a dimostrare il suo immenso valore e a suggellare le qualità di una band sempre troppo sottovalutata. (Francesco Scarci)

(Inside Out Music - 2007)
Voto: 77

https://riversideband.pl/en/

martedì 24 agosto 2021

Orne - The Conjuration by the Fire

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Progressive
Chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare indietro nel tempo, dalle note di 'The Conjuration by the Fire', prima fatica dei finlandesi Orne, fuori per la nostrana Black Widow Records. La band finnica ai più sarà sconosciuta, sebbene esista da ben vent'anni e tra le sue fila militi Kimi Karki, meglio conosciuto come Peter Vikar, chitarrista dei defunti Reverend Bizarre. Lasciatosi alle spalle il capitolo doom con questi ultimi, il buon Peter si è lanciato nella finalizzazione del materiale, rimasto in fase embrionale per ben due lustri, con questo act, concependo un concentrato di musica rock progressive, che richiama mostri sacri del genere, quali Van der Graaf Generator, Black Widow, King Crimson, Peter Gabriel (era Genesis) e Pink Floyd. Certo, la classe profusa in questo debut, non è decisamente all’altezza dei geniali eroi degli anni ’70, tuttavia diversi spunti davvero gradevoli sono racchiusi nei sette pezzi del cd. Partendo con la recitata e sinistra intro “In the Vault”, la release si snoda attraverso intriganti pezzi dal forte flavour dark psichedelico progressivo, fatto di cupe ed arcane ambientazioni e di tematiche inerenti l’occultismo la religione, la storia e racconti dell’orrore (H.P. Lovecraft docet). Ascoltando le note di 'The Conjuration by the Fire', sembra di essere catapultati in un horror movie di Lamberto Bava, grazie alle sue atmosfere angoscianti dipinte dalle magistrali chitarre di Kimi e Pekka e dall’impeccabile utilizzo di strumenti non proprio convenzionali, come saxofono e flauto, che non possono non richiamare nella nostra memoria i Jethro Tull e la loro brillante vena improvvisativa. La calda voce di Albert (che però alla lunga risulta un po’ stancante e forse il vero punto debole della band), lo strumentismo ricercato dai nostri, i delicatissimi ricami offerti dal pianista e soprattutto dal sax di Jussi, rendono questa release abbastanza interessante per gli amanti di un genere, anche se non di così facile ascolto. Dolore, ossessione, malinconia e inquietudine completano un album raffinato, che sarà in grado di emozionarvi e stupirvi, con le sue dolci e oscure melodie, retaggio di un passato non ancora andato perduto... (Francesco Scarci)

(Black Widow Records - 2006)
Voto: 73

https://www.facebook.com/ornemusic

martedì 17 agosto 2021

super FLORENCE jam - S/t

#PER CHI AMA: Garage Rock
Continuano le uscite relativa al decimo anniversario della Bird's Robe Records, questa volta con il quartetto dei super FLORENCE jam (mi raccomando scritto rigorosamente in questo modo, non mi sono sbagliato). L'EP di quest'oggi rappresenta il loro debutto del 2009 e l'etichetta australiana ci ripropone il rock'n roll dei nostri per darci un assaggio di questi campioni (almeno in patria) di Sydney. La loro proposta? Lo dicevo una riga poco più su, un garage rock di settantiana memoria che sembra coniugare i Led Zeppelin (soprattutto con un vocalist che strizza l'occhiolino o forse meglio dire le corde vocali, con Robert Plant) con un che dei Beatles, mantenendo intatto quello spirito libertino di fine anni '60. Lo dimostrano le chitarre e i chorus dell'iniziale "Ghetto Project Fabulous", cosi come i fumi psichedelici della lenta e doorsiana "The Circle" per quello che un vero tuffo nel passato musicale più lisergico della nostra storia. Certo, siamo ovviamente lontani dalle divinità di quegli anni, però meglio non lamentarsi e divertirsi ripescando vecchie sonorità in grado di coniugare garage, punk, rock, psych e perchè no, anche stoner, con una verve allegra e rallegrante, come quella offerta da "Marcy" o dalla melodia orecchiabile di "Ten Years" e ancora dal roboante sound di "No Time", dove il frontman (in versione Ozzy qui) urla quasi fino a far esplodere l'intera collezione di bicchieri di cristallo che ho in casa. In chiusura, spazio alla malinconica "No Man's Land", una specie di ballata semiacustica, e dai tratti pink floydiani a livello solistico, che chiude un disco forse più indicato per gli amanti di simili sonorità, curiosi di conoscere una realtà che forse si erano lasciati scappare in passato. (Francesco Scarci)

venerdì 30 luglio 2021

MaB - Decay

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ultracorposa invasione di palco da parte delle MaB al grido di "Su cunnu e Maomettu" e la cybermutazione di "Voglio vederti danzare" da tormentone-sta-finendo-il-concerto-di-Battiato in megatonica bordata hardcore da sangue nei padiglioni sarebbe stato, per chi c'era, il miglior imprinting nei confronti di questo schizofrenico album d'esordio, in cui però le quattro esangui fanciulle sarde giocherellano coi noise-clichet anninovanta inzuppando Hole, L7, muri di suono in un sulfureo magma alcalin-goth a base di Siouxie ("Astrophel"), Tarja ("Last Tango in London"), Amy Lee ("Black") e forse Alice Cooper. Immanenti i suoni, eteree le composizioni. Intriga e al contempo intenerisce lo sguaiato operettismo di Psycho Jeremy. "Adrenalina" è una cover dell'omonimo pezzo di Giuni Russo e Rettore. Trovatemi un qualunque metallaro, borchioso e no, che ne fosse informato. (Alberto Calorosi)

(Casket Music - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/mabofficial/

lunedì 26 luglio 2021

Not Movin LTD - Live in the Eighties

#PER CHI AMA: Garage Rock
Premessa all'ascolto di questo 'Live in the Eighties': se siete alla ricerca di suoni puliti e cristallini, questo non è il disco adatto a voi. Quello dei Not Moving, band garage rock piacentina in giro negli anni '80, tra le cui fila vi era quel 'Dome La Muerte', che abbiamo recensito qualche mese fa su queste stesse pagine, è un lavoro che comprende una serie di brani live risalenti al periodo 1985-88, e pubblicati nel 2005 dalla Go Down Records (il lavoro all'epoca includeva peraltro un dvd, oggi scaricabile dal sito della label stessa). Oggi, l'etichetta italica ristampa quel lavoro di una band riformatasi un paio d'anni fa con un moniker leggermente modificato in Not Movin LTD. Cosi, per rendere tributo alla band, ecco fare un tuffo nel passato per assaporare quei 13 brani che vedevano peraltro i nostri proporre anche "Break on Through" dei The Doors, l'inedita "Kissin Cousins" di Elvis Presley, "I Just Wanna Make Love to You" di Willie Dixon e "Cocksucker Blues" dei The Rolling Stones, giusto per inquadrare una proposta musicale che ora sarà molto molto più chiara. Ho parlato di garage rock all'inizio ma quanto contenuto qui è solo terremotante puro rock'n roll, registrazione pessima inclusa e stacchi tra un pezzo e l'altro che evidenziano come i brani siano stati estrapolati da più concerti, un peccato veniale quest'ultimo. Per il resto lasciarsi investire dal vibrante punk rock dei Not Movin LTD è l'unica raccomandazione che mi sento di darvi oggi, cosi come farsi ammaliare dalle voci di Rita 'Lilith' Oberti, una che potrebbe aver influenzato l’ugula istrionica di Pina Kollars dei Thee Maldoror Kollective di 'Knownothingism'. I brani sono tutti carichi di adrenalina, ma se dovessi scegliere i miei preferiti, direi la psichedelica "Sweet Beat Angel" e l'altra inedita "No Friend of Mine", un pezzo che potrebbe evocare un che dei Metallica del periodo 'Black Album' (un similare approccio è udibile anche nei primi secondi di "Catman"). Echi doorsiani emergono nella psicotica "I Stopped Yawning", mentre "Goin' Down" sembra essere un inno al punk. Insomma, una bella carrellata di pezzi che ci mostrano un pezzo di storia che per la maggior parte di noi è verosimilmente rimasta oscura. (Francesco Scarci)

La Go Down Records ristampa una gemma fonografica che aveva già pubblicato nel 2005, ovvero questo splendido 'Live in the Eighties' dei Not Moving, band che infiammò tra il 1981 e il 1988 i palcoscenici italiani e non solo con delle esibizioni dal vivo a dir poco devastanti. Il disco è la conferma della loro forza scenica che si esprimeva tra garage rock, post punk, punk, psychobilly e psichedelia ottimamente miscelati tra loro. Una band apprezzata anche da personaggi internazionali del calibro di Jello Biafra e John Peel, capitanata fin dagli esordi dalla splendida figura e voce di Lilith (Rita Oberti) e a ruota dalla chitarra di Dome la Muerte (Domenico Petrosino), un progetto che sfociò in una serie di concerti come spalla di veri autentici miti come Johnny Thunders o Joe Strummer e che diede vita ad una serie di album tra full length ed EP che sono divenuti leggendari nel cicuito underground. Il disco in questione nel formato del 2005 era accompagnato da un DVD ma nella ristampa odierna è solo cd e versione digitale (ma comunque si può visionare e scaricare tramite il sito dell'etichetta), ed è un peccato non poter riappropriarsi visivamente di  quelle performance diaboliche, riascoltare le cover riadattate di "Break On Through" dei The Doors o "Cocksucker Blues" dei Rolling Stones, assieme alle altre di Willie Dixon ed Elvis Presley, con il selvaggio rintocco delle note suonate come solo i Not Moving sapevano fare in quel periodo nel bel paese. Quest'album non rende giustizia al suono della band come qualità sonora, anche se l'audio è più che onorevole, ma la innalza a repertorio cultural-musicale che ha fatto storia, il fissare un momento nel tempo che oggi più che mai ha la funzione di portare in alto una band che nel panorama underground italiano, a cavallo degli anni '80, fece scuola e deve essere ricordata e riscoperta da tutti gli appassionati di musica alternativa del bel paese. La band portava il nome di un brano dei DNA di Arto Lindsay, rincorreva le forme artistiche di The Cramps e l'avanguardia di Lydia Lunch, una meteora sonora nata dal nulla nella sconosciuta provincia piacentina che scrisse delle pagine di rock sotterraneo a dir poco esaltanti. (Bob Stoner)

giovedì 22 luglio 2021

Il Wedding Kollektiv - Brodo

#PER CHI AMA: Art Rock/Alternative/No Wave
Alessandro Denni (synth e programming) è la mente di questo interessante progetto, denominato Il Wedding Kollectiv, sviluppatosi musicalmente tra Roma e Berlino, dove è stato registrato (il moniker stesso della band deriva dal nome di un quartiere multiculturale della capitale tedesca). La prima cosa che salta all'orecchio ascoltando questa release di debutto della band capitolina, dal titolo azzeccatissimo, 'Brodo', è l'attitudine poetica dei testi, curati dalla giovane scrittrice romana, JFL, che caratterizzano il canto di una Tiziana Lo Conte in perfetta forma vocale che, sensuale ed intrigante, spesso tesa e misteriosa, si muove con stile tra le parole trasversali di nervose ed affascinanti scritture, cavalcando con classe composizioni cariche di teatralità. Un'ottima performance vocale che esalta il ricordo della sua lunga militanza in band iconiche come Gronge, Goah e Roseluxxx, e proprio di questi ultimi, si sente una buona influenza (si ascolti l'album 'Resti di una Cena'), sottraendone però il lato più rock. Colpisce anche l'istinto no wave che si aggira all'interno di tutte le tracce, una commistione tra avanguardia elettronica alla The Knife/Fever Ray, un lato cameristico alla maniera della Penguin Caffè Orchestra ed un pizzico della follia di musiche da culto come quelle prodotte dal mitico Confusional Quartet e Gaznevada, unite in maniera bizzarra da una vena cabarettistica, teatral-recitativa ("L'Astronomo") fino ad arrivare alla canzone d'autore e ad un certo acid jazz minimalista e sintetico. Tutto questo impasto sonoro è impreziosito dalla presenza di vari ospiti, Claudio Moneta alle chitarre, Inke Kühl al violino e sax, Chiara Iacobazzi alla batteria, Federico Scalas al basso e violoncello, Stefano Di Cicco alla tromba, per un sound difficile da inquadrare, assai stimolante, vivo e libero da vincoli di genere, cosa che lo rende molto piacevole sin dalla prima ottima traccia, "Ipersfera Relazionale". 'Brodo' è un lavoro che in poco più di venti minuti, traccia un solco incolmabile tra quello che la musica italiana, per così dire leggera, dovrebbe e potrebbe essere, e quella patacca sonora che ci viene propinata da tempo immemore. Una musica con brani che si avvalgono di una produzione preziosa, per una manciata di canzoni, complesse e ricercate, ragionate ed intelligenti. Venti di rock-in-opposition ed elettronica anni '80 per l'inizio di "Sabato 16 Giugno", con quel suo testo suggestivo e la voce vellutata, un sax astrale e quelle venature jazz a creare qualcosa di così distaccato dalla solita routine italica, che solo Cosey Fanni Tutti o le gesta eroiche dei Tuxedomoon sono riusciti a toccare. "A Proposito del Tuo Candore" chiude poi il cerchio, mostrando il lato più rock oriented del collettivo italico, con una registrazione che ricorda nei suoni, un miscuglio tra i Morphine di 'Like Swimming' e alcune cose alla P.J. Harvey, per una composizione diversa dalle altre presenti nel cd, più ipnotica e ariosa ma anche molto più psichedelica ed oscura nelle sue sonorità più classiche. Con 'Brodo' ci troviamo alla fine di fronte ad un ottimo disco, che per i canoni italiani odierni, è da considerarsi un lusso che non tutti possono permettersi, paragonabile a mio avviso, non per similitudine sonora ma per estro creativo, ad 'Aristocratica', il magico capolavoro dei Matia Bazar uscito nei primi anni '80. Ascoltare per credere. (Bob Stoner)

(Neontoaster Multimedia Dept. - 2021)
Voto: 74

https://ilweddingkollektiv.bandcamp.com/album/brodo