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lunedì 26 settembre 2011

Moonrise - Under the Flight Of Crows

#PER CHI AMA: Melodic Death Metal
"Poi dirà anche a quelli di sinistra: andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli…" (Matteo 25:41). "...Dio non risparmiò gli angeli che peccarono, ma li confinò nelle spelonche tenebrose del Tartaro, custodendoli per il giudizio…" (2 Pietro 2:4). "…ed anche gli angeli, quelli che non serbarono il loro primato, ma abbandonarono la loro dimora, li ha tenuti legati con catene eterne, nel fondo delle tenebre, per il giudizio del gran giorno." (Giuda 6). "E fu precipitato il grande drago, il serpente antico, che è chiamato diavolo e anche satana, il seduttore del mondo intero fu precipitato sulla terra e i suoi angeli furono precipitati con lui." (Apocalisse di Giovanni 12:9). Quattro neri angeli caduti, scortano, sotto un cielo crepuscolare, a spalla, una bara. Odo, lassù in alto in alto, quasi a sfidare l’Altissimo, un’anulare stormo di sei corvi neri. Sei ne vedo scendere, in picchiata, e posarsi sulla rovesciata croce del coperchio della bara. Sei si librano bassi, nell’aria, a ricordare, nelle menti di chi ancora non è trapassato, l’oscura locuzione del memento mori. Ecco il cortometraggio girato dalla mia diabolica mente nel momento in cui il mio lettore ha accelerato la velocità angolare di “Under The Flight Of Crows” della pentacolare, padovana formazione dei Moonrise. La mia assonica rete neurale si è subito fatta sedurre ed irreversibilmente avvolgere dalle sue octopiche, funeralesche note, dalle angeliche immagini dell'artwork. Angeli bianchi, si, certo... ma non a caso ripresi in modo da apparire oscuri, neri. E non a caso con le ali chiuse, basse. La loro punta, sembra quella di una spada.Ma è con i corvi, si, con i corvi che si comincia. Ad affiancarli, un gong cerimoniale, di quelli che spesso accompagnano i buddisti nella preparazione del mandala. E poi quel timpano, quel timpano… non messo a caso, no, ma pensato per evocare una marcia. Funebre naturalmente. Ed ecco servito il quattro, ma su bordo di crash e non di bacchetta, come esige il rito batteristico per l'esecuzione dei pezzi più truci e violenti. Attaccano le distorsioni di chitarra. Odo accenti in ottavi in campana di ride, qualche tranquilla battuta e poi via, giù di brutto, una violenta raffica in trentaduesimi di rullo ad introdurre quella voce, si, quella voce... acuta e urlata, ma a tratti anche roca e profonda. Vedo le particelle sottili di polvere di plettro sfaldarsi nell'aria e riflettersi nel nero, brillante occhio dei corvi. Quasi si appanna, si chiude, ma poi veloce si riapre più penetrante, inasprito e incazzato. A fatica vedo quelle dita, si quelle dita... 'sì veloci e precise destreggiarsi sicure tra corde e pick-ups. Quella chitarra ci gode, si, ci gode ad urlare. Quasi non me ne accorgo, anzi me ne accorgo e mi incazzo quando scopro che il pezzo è finito. Peccato, me ne sarei inebriato ancora. Ma c'è dell'altro... "Dusk", track successiva, seguita da "Dressed by Our Dreams", non mi entusiasmano particolarmente. Ci possono certo stare, però, data la caratura della prima track, mi lasciano con la voglia di qualcosa di più. Quel qualcosa di più arriva con l'incipiente attacco di "My Ruins": bello il giro di chitarra che giustamente ritroviamo più volte nell'arco del pezzo e che ne impreziosisce la partitura. Particolare anche la struttura della canzone. Sicuramente gustosa da eseguire, per le pause cadenzate tra le veloci rullate, feroce nell'inizio, potente nel testo, è "Not in This Life". Il pezzo offre alla chitarra ottimi, solistici, camei d'espressione. La successiva "The Time of Falling Leaves" ci regala curiose incursioni vocali, qualche buona galoppata di doppio pedale che piace tanto ai metallari e che non guasta mai. L'eptade canora si chiude con "Save the Morning", potente e feroce. Bello l'inizio ed il successivo sviluppo del pezzo: un trionfo di rullo e gran cassa con dei bei giri di chitarra. A questo punto la recensione sarebbe finita ma... per soddisfare la macabra curiosità di quei lettori che si fossero chiesti: "Ma che cazzo c'era all'interno della bara?" Beh, non vedo perchè non soddisfarli: un corpo, avvolto dalla terra, pancia sotto, con la testa mozzata. Due antiche monete nei bulbi oculari ed un paletto nel petto con avvolto un medaglione con scritto: "...chi osserva la mia parola non vedrà mai la morte." (Giovanni 8:51). (Rudi Remelli 6:66)

(Punishment 18 Records)
Voto: 70

venerdì 1 luglio 2011

H.o.S. -The Beginning

#PER CHI AMA: Thrash anni '80, Destruction, Sodom, Kreator, Metallica
Certe volte mi chiedo se io abbia inserito un Cd, oppure se sia attivata una macchina del tempo che mi ha sbattuto nel passato. Chi di voi ama il thrash metal tirato? Quello dei primi Metallica o dei Kreator, per capirci. Ecco qui avrà pane per i propri denti o musica per le proprie orecchie, fate voi. Gli altri magari storceranno il naso. Ah, mi sono dimenticato le presentazioni: rimedio. Il nome della band “H.o.S.” dovrebbe essere l’acronimo del titolo della notissima “Harvester of Sorrow” dei Metallica (come sarebbe a dire che non la conoscete? Scherzate vero?), anche se sinceramente non mi pare sia scritto sul loro sito. I ragazzi sono veneti, muovono i primi passi nel 2006 e nel 2007 e 2008 pubblicano due demo. Nel frattempo la line-up si modifica fino a quella attuale: Dado - chitarra e voce; Cetz - chitarra; Pedro - batteria; Millo - basso. Quindi nel 2011 danno alle stampe “The Beginning”.Il disco è una produzione pulita di 35 minuti e 10 song. Dopo la prima, mi colpisce la nostalgia per i tempi passati (o per la trascorsa giovinezza?), andando avanti nell’ascolto torno lucido e mi lascio prendere dalle altre canzoni. Alla fine mi trovo un platter veramente retrò, di un thrash metal direttissimo figlio del trio teutonico (Kreator, Destruction, Sodom) con influenze più leggere della Bay Area. Ecco... va bene essere dei buoni allievi e continuatori fedeli dei canoni del genere, però ci sarebbe qualcosa da aggiustare. Gli assoli di chitarra non mi convincono, la parte compositiva mi lascia a volte perplesso e trovo il cantato un po’ troppo monocorde. Una stroncatura? No, l’ensemble ci picchia dentro più che può, alla fine il risultato è più che positivo. Le loro “mancanze” sono compensate dal loro carattere aggressivo e dalla potenza della batteria. Apprezzabili i cambi di tempo repentini ben fatti e la lunghezza media delle tracce, che non porta al drammatico effetto stanchezza. Considerando una certa reiterazione dei suoni, song più lunghe avrebbero appesantito troppo il loro lavor rendendolo indigesto. Qualcosa che si distacca appena dal mazzo la potete trovare nella finale “We are the H.o.S.”. Una cadenzata dichiarazione di intenti dei nostri, che mi ha colpito più del resto. Bravini questi giovani ragazzi ma, se volessero uscire dall’anonimato, dovrebbero applicarsi sulla tecnica e magari provare a rendere riconoscibili subito i loro lavori. Sempre che ne abbiano il desiderio e la voglia. Io ci spero. Ah, se non lo facessero mi faccio dare gli indirizzi dal buon Franz... (Alberto Merlotti)

(Punishment 18 Records)
Voto: 65

giovedì 9 giugno 2011

Injury - Unleash the Violence

#PER CHI AMA: Thrash Bay Area, Testament, Exodus
Credo che il thrash metal sia un entità immortale: mai una flessione, mai un momento di crisi, sempre migliaia di band a proporre una genere musicale che difficilmente riesce a produrre qualcosa di nuovo o innovativo, un genere che si evoluto dai demotapes ai vinili, per arrivare fino ai cd o al download digitale (e far di nuovo ritorno ai vinili); eppure a distanza di trent’anni dai primi lavori di Metallica, Slayer e Megadeth, nel lettore del mio stereo gira ancora del sano e incazzatissimo thrash metal. E che dire che già non sia stato detto di un tipo di musica sulla quale sono state già spese milioni di parole? Bah, non saprei; però partiamo col dire che gli Injury sono una band italiana e la cosa mi rende fiero alla luce del buon risultato finale. Ottima la base di partenza, data da una super produzione che esalta alla grande lo sfrenatissimo headbanging che “Unleash the Violence” riesce ad emanare, contribuendo in modo sostanziale allo scarico della adrenalina, dopo l’ennesima pesantissima giornata lavorativa. Volume a manetta, sound tipico della Bay Area (quell’assolo di “Busy Killing” non richiama forse i primi Testament? E quel riffing corposo e nevrotico di “Violence Unleashed” non vi riporta con la mente ai primi Exodus?), ritmiche incalzanti, assoli taglienti ma sempre melodici, look anni ’80 e cosa volete di più dalla vita? C’è chi direbbe un Lucano, ma a me basta questo sound; mi godo il mio tuffo nel passato e trascorro un’armoniosa serata in compagnia della musica degli Injury, che mi fanno sentire di nuovo giovane e mi ricordano quando anche il sottoscritto sfoggiava quel look un po’ trasandato e ribelle, circa vent’anni fa. Bravi ragazzi ad aver sfoderato questa genuina prova con il vostro platter di musica sincera e brava la Punishment 18 Records che continua nella sua ricerca di realtà poco affermate, che qualcosa di interessante, hanno da proporre. Certo, “Unleash the Violence” non sarà il disco dell’anno, però tutti gli amanti del thrash d’annata, quello della costa ovest degli Stati Uniti per intenderci (senza dimenticare tuttavia quei fantastici coretti alla Over Kill di “Under the Influence”), un ascolto attento lo dovrebbero concedere a questa release. Un plauso anche alla copertina, che in realtà mi sembra più orientata verso al death metal, con tutto quel rosso che non fa altro che richiamare il sangue. Morbosi! (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records)
Voto: 70

giovedì 10 febbraio 2011

Edema - Default


Un inizio della serie “Il Signore delle Mosche” apre il debutto dei piacentini Edema, mi raccomando da non confondere con i pur sempre emiliani Enema! Se non avessi letto nel booklet interno del cd, i nomi dei quattro musicisti, avrei certamente ipotizzato che la nazionalità di questo quartetto death metal fosse nord europeo. Questo perché la caratura tecnico-compositiva dell’act italico è decisamente elevata per i nostri pur buoni standard. Ciò che magari frega un la band è un po’ quella mancanza di personalità che li possa far uscire dal solito affollatissimo calderone che è il panorama metal. La proposta degli Edema alla fine è un chiaro techno death di “Meshugghana” memoria, anche se sarebbe totalmente ingiusto fermarsi a questa superficiale definizione: comunque un classico rifferama dei godz scandinavi, stop’n go, inframmezzi acustici, alternanza di tempi pari e dispari, melodie distorte che già dall’iniziale “Crawling Unreason”, mostrano la pasta di cui sono fatti questi ragazzi. Si prosegue con le successive “Generator”, “Onirical” e la title track con un unico imperativo “Annichilire le fragili menti degli ascoltatori”. Devo ammettere che il risultato finale è estremamente positivo per una band alle prime armi (si fa per dire, perché comunque i nostri sono in giro dal 2004) e che i presupposti per trovare una propria strada, con un tocco di personalità in più ci sono eccome… Ottima la produzione, che esalta enormemente i suoni di “Default”, mettendo in primo piano una eccellente e devastante ritmica che nella ferale “My Sweetest Whore” ha un che di brutal death di chiaro stampo americano, con cervellotici giri di chitarra degni dei grandissimi Infernal Poetry. La conclusiva “Unequal Desease” chiude un lavoro che non fa altro che confermare le eccelse qualità e le grandi potenzialità che questa band potrà garantire in un futuro, speriamo, non troppo lontano. Ipnotici! (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records)
Voto: 70

giovedì 27 gennaio 2011

Ancient Dome - Perception of this World


Se mi chiedessero “qual è la percezione di questo mondo che hanno gli Ancient Dome?”, risponderei con un “beh proprio ottimistica non direi”. Non crediate, però, che i nostri abbiano fatto un prodotto triste. Rabbia, energia, forza: queste le mie sensazioni dopo aver ascoltato le tracce del disco. Scopro qui per la prima volta questa band italiana, corro ai ripari e mi ascolto anche il loro, unico, precedente lavoro: “Human Key”. Un bel miglioramento, su tutto il fronte. Questo cd mi piace; mi piace per la carica, l’anima e la grinta che ci infondono. Sono curioso di vedere un loro performance dal vivo. Abbiamo 11 canzoni strutturate partendo dal thrash metal, con qua e là qualche lieve accenno ad altri generi più melodici e techno. Le tracce sono quasi tutte dirette. Batteria martellante, accelerazioni, cambi di ritmo, stacchi seguiti da ripartenze immediate: queste le cose che più balzano al mio orecchio. Niente male le chitarre: i riffoni, le scale e gli assoli sono ben fatti e non buttati lì a caso, solo per far sentire che la band ci sa fare con i propri strumenti. Ho però il dubbio che le chitarre non si sentano come dovrebbero, gli assoli in particolare. Apprezzabile anche il singer, abbastanza personale nel suo operato vocale. A proposito delle parti vocali, ascoltatevi con calma la power ballad “Dream Again”. Sì, va bene, è un lentone, non è il massimo dell’allegria, anzi ha al suo interno una decadenza strisciante che stride molto col resto del disco, ma detto tra noi, a me quelle sezioni vocali piacciono. Testimoniano, inoltre, la volontà del gruppo di uscire dal solito schema compositivo e ciò è decisamente un bene. Trovo nella title track un vero compendio dell’idee dell’album mescolate tra loro in maniera funzionale. La considero come la traccia più riuscita dell’ellepì. Più tirate invece "Predominance” e “Liar”. Le altre song sfoderano un po' meno personalità, cosi come pure le due solo strumentali che rimangono in secondo piano seppur ben eseguite. Ah, una nota divertente la potete trovare nel fumetto, che ha come protagonista la band, all’interno del booklet, ma non ve la svelo, andate a dare un'occhiata voi stessi. Alla fine del platter una certa stanchezza affiora, non per carenza tecnica o compositiva, ma per l'ipertrofia delle canzoni stesse. Qualche asciugatura non avrebbe tolto una virgola alla loro fatica e avrebbe reso il tutto più fluido. Da mantenere totalmente la loro attitudine ed energia. (Alberto Merlotti)

(Punishment 18 records)
Voto: 70

lunedì 10 gennaio 2011

Kadavar - Kadavar


La Punishment 18 continua a fare incetta di band dedite ad un brutale death metal e i Kadavar non esulano di certo da questa proposta. Finalmente la giovane band milanese, dopo un demo e un Ep autoprodotti, rilascia il proprio incendiario debutto omonimo. Nove violentissimi brani di death ferale e distruttivo che trae ispirazione dalle “linee guida” americane di Morbid Angel e soci, conferendogli poi quel tocco di originalità “made in Italy”, che non fa mai male. Ne viene fuori un lavoro onesto, che non brilla certo per la sua ricercatezza di suoni raffinati o mai sentiti: il quartetto sciorina cataste di riffs grondanti sangue, intrisi di rabbia e adrenalina. Il sound si rivela potente e ruvido quanto basta: la band costruisce ritmiche talvolta contorte che si dipanano attraverso interessanti cambi di tempo e solos melodici. Le vocals al vetriolo di Lorenzo (il secondo chitarrista) e Luka (bassista) sono molto buone e riescono a conferire quel pizzico di personalità all’intero lavoro. In evidenza poi, come già detto, la chitarra solista che, nella maggior parte dei casi, riesce a smussare la brutalità della proposta, con un tocco di melodia che non guasta per niente. “Behind the Storm”, “Towards the Abyss” e “Morbid Sense of Weakness” sono i miei pezzi preferiti, per la tecnica espressa, l’efferatezza musicale (sempre controllata) messa in luce e un certo gusto estetico da non sottovalutare. Gli altri brani viaggiano più o meno sulle stesse coordinate stilistiche, mostrando ancora qualche lacuna dal punto di vista compositivo, che presto i nostri saranno in grado di sopperire, grazie all’esperienza e alla maturità: d’altro canto i Kadavar sono ancora molto giovani, quindi le premesse per fare ancora meglio con i prossimi lavori, ci sono tutte. In bocca al lupo ragazzi! (Francesco Scarci)

(Punishment 18 Records)
Voto: 65