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mercoledì 5 gennaio 2022

Closure in Moscow – First Temple

#PER CHI AMA: Indie/Prog Rock
Poco tempo fa avevamo presentato la ristampa, ad opera della Bird's Robe Records, dello splendido primo disco di questa band australiana, amatissima in patria e capace con questo secondo album intitolato 'First Temple', di arrivare al primo posto in classifica, come miglior album nella categoria hard rock/punk indipendente, agli AIR awards del 2009. La band alla fine del 2008, si sposta in blocco negli Stati Uniti per continuare la fruttuosa collaborazione con il produttore Kris Crummett, che già nel precedente, 'The Penance and the Patience', aveva dato alla luce un ottimo debutto per la giovane band di Melbourne, che in questo modo rinvigorisce il proprio sound, aumentando il cast degli strumenti usati e la qualità di produzione, per un lavoro che risulterà più elaborato, levigato al meglio, meno spigoloso e più accessibile, coloratissimo come la sua splendida copertina, variegato e di moderna visione, un mix perfetto per non passare inosservati e creare una sorta di marchio di fabbrica definitivo per i Closure in Moscow. Un modo di vedere il prog rock contaminato da visioni psych, hard rock, indie punk, con suoni caldi e profondi, voci che incantano e una timbrica sempre pulsante. L'intensità della musica, che in tutte le sue diversità di stile, viene proposta e sviluppata ovunque nel modo migliore, mostra una capacità di esecuzione e di composizione al di sopra della media (ascoltatevi "Afterbirth" e ditemi cosa ne pensate!). Una proposta musicale che non mostra lacune, che si fa ascoltare a tutto tondo senza perdere mai lo smalto, brano dopo brano, ed anche se il suo aspetto risulta essere evidentemente volto al mainstream, niente lo rende banale o derivativo, anche oggi che ha superato il decennio di vita dalla sua prima uscita, via Equal Vision Records e Taperjean Records nel 2009. I richiami sono al solito rivolti ai The Mars Volta, ai Coheed and Cambria e ai Pain of Salvation, avvolti da un'aurea di indie intelligente e fresco alla Byffy Clyro (stile 'Infinity Land'), ma tutto filtrato dall'amore per il prog rock dei seventies ed il virtuosismo acrobatico spalmato all'interno delle coloratissime composizioni, in perfetta sintonia con la classe della band di Claudio Sanchez e soci. Fa scuola il brano "Arecibo Message", una canzone dalle potenzialità enormi. Un disco che all'ascolto risulta accessibile ma assai complicato, divertente e sofisticato allo stesso modo, un album pretenzioso, anche a livello stilistico (non tutti si possono permettere un brano in acustico come "Couldn't Let You Love Me"), ma studiato con un sound fresco ed evoluto, per essere ascoltato con facilità e valutato come un piccolo gioiello, anche dopo numerosi ascolti, un album che supera a pieni voti le aspettative degli amanti del genere. Album da non perdere assolutamente. (Bob Stoner)

lunedì 3 gennaio 2022

Tangled Thoughts of Leaving - Deaden the Fields

#PER CHI AMA: Experimental/Avantgarde/Prog
Siamo nel 2022 e io sono ancora qui con una tonnellata di dischi della Bird's Robe Records sulla scrivania. Non sono ancora riuscito a smaltire il carico di vecchie release riproposte dalla label australiana. Oggi è il turno dei Tangled Thoughts of Leaving e di 'Deaden the Fields', album d'esordio uscito nel 2011 e ristampato nel 2021 in occasione del più volte celebrato, compleanno dell'etichetta di Sydney. Tuttavia i Tangled Thoughts of Leaving li conosciamo già avendoli, peraltro proprio il sottoscritto, recensiti in occasione della terza release 'No Tether' e quella loro esplorazione del post metal, venato di sonorità doom/jazz e progressive, il tutto proposto rigorosamente in forma strumentale. Diamo comunque un ascolto attento anche agli esordi del quartetto di Perth che apre il disco con l'ambiziosa e ubriacante "Landmarks" che vi stupirà con i suoi 17 minuti di saliscendi emozionali tra puro avanguardismo sonoro, post rock e progressive che cedono a derive jazzistiche, forti peraltro di una perizia tecnica di altissimo livello e grande gusto. Lasciatevi ipnotizzare quindi dal pianoforte delirante della band, dalle trombe e da qualunque altra trovata inclusa in questi lunghi minuti introduttivi. Il resto del disco credo non necessiti di ulteriori specifiche, perchè quello che avevo sentito e apprezzato in 'No Tether', trova sostanzialmente riscontro anche alle origini di una band dotata di grande creatività ed enorme personalità che si concretizzano nelle psichedeliche e ubriacanti note di "Throw Us to the Wind" dove nulla è lasciato al caso, sebbene la sensazione forte sia quella di una grande jam session tra musicisti di grande calibro. Il risultato ancora una volte è di grande spessore, nonostante l'assenza di un cantore che piloti al meglio l'ascolto. Ma qui sono convinto non sia strettamente necessario, tanta la qualità e la quantità dei suoni che convergono verso un punto univoco nell'Universo dei Tangled. Il gioco di luci e ombre prosegue anche nella più breve e riflessiva "...And Sever Us From the Present", dove è ancora il pianoforte a guidare il flusso musical-emozionale dei nostri. "Deep Rivers Run Quiet" ha un incipit ancora delicato che va via via gonfiandosi attraverso il dualismo tra un meraviglioso e malinconico piano ed un più marcato riffing di chitarra che attraverso passaggi di pink floydiana memoria, ci condurrà alla successiva title track, che riassume in poco più di sei minuti l'architettura pensante dei Tangled Thoughts of Leaving, attraverso onirici e fascinosi paesaggi sonori. La chiusura del disco è affidata poi alla lunga (altri 14 minuti) e sperimentale (tra elettronica, ambient, prog e noise) "They Found My Skull in the Nest of a Bird", che fuga ogni dubbio sulla genialità di questi mostruosi musicisti australiani che dal 2011 ad oggi, hanno rilasciato solo piccoli gioielli musicali, che dovrete a tutti i costi, fare vostri. Portentosi. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2011/2021)
Voto: 78

https://ttol.bandcamp.com/album/deaden-the-fields

lunedì 27 dicembre 2021

Yes - Heaven & Earth

#PER CHI AMA: Prog Rock
A nulla servirà l'idro-pop di derivazione anninovantesca-alla-Talk ("The Game") o anniottantesca-alla-90125-ma-che-dico-magari-90125-qui-al-massimo-siamo-dalle-parti-di-big-generator ("It Was All We Knew"), o le risibili orchestrazioni finto-soundtrack in apertura di "Subway Walks", non servirà individuare (se non con certosina motivazione) qualche levigato etno-barocchismo alla Anderson Bruford Wakeman Howe ("Light of Ages", ma per non più di un paio di minuti) né certe fotocopiose architetture mid '70s (le scalette finali di "Believe Again" – dove oltretutto potete apprezzare una sfacciata clonazione del Top Gun anthem di Moroder, proprio nelle note iniziali; il botta-funky-risposta basso/tastiera di "Subway Walls"), né infine, la conclamata consapevolezza che gli episodi migliori di questo 'Heaven & Earth' sembrino, alla meglio, outtakes dei peggiori Yes ("Tormato"? "Big Generator"? "Open Your Eyes"? Ce ne sarebbero a volontà). Il fatto è che se la musica della band composta dai membri umanamente più disgustosi della sovente umanamente disgustosa storia del rock non ha ancora inspiegabilmente cominciato a farvi schifo allora lasciate stare, perché questo album è talmente scialbo e sciatto e insignificante che non riuscirà a farvi cambiare idea nemmeno su questo. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2014)
Voto: 50

http://www.yesworld.com/

giovedì 23 dicembre 2021

District Unknown - Anatomy of a 24 Hour Lifetime

#PER CHI AMA: Prog/Groove Metal
Al di là degli ineludibili significati (affatto) sovrastrutturali, l'album d'esordio della prima e forse unica metal band afghana fornisce inedite topologie musicali, specialmente negli episodi più lisergici/desertici ("Whisper in a Dream," lo strumentale introduttivo "Modern Nature", caotico quanto una tempesta di sabbia e a tratti quasi groove, oppure i panorami psych/esplosivi di "Two Seconds After the Blast", approssimabili a certe cose lunghe dei The Doors, o anche il doom stupefatto di "Struggle" con tanto di stupefacente(mente lunga) intro elettronica) o psych/prog ("Portraits", lo strumentale "A Cancer by Design" ha forse qualcosa dei Genesis di 'Foxtrot'? O dei Beatles di 'Abbey Road'?). Eclettico e funzionale il sound, conseguenza di una produzione per niente amatoriale, ma decisamente debole il cantato in pulito ("Joy Versus Sorrow" e ancora in "Portraits"). Costituiti in piena era taliban, per un certo numero di anni i District Unknown si sono esibiti in patria clandestinamente e col volto coperto così da sfuggire alle persecuzioni. Poi pensi a quei cretini di fascistelli svedesi provvisti di chitarre-mitra e batterie-carrarmato che giocano a fare la guerra sul palco, sì, ma sempre restando ben fuori tiro. O a quegli altri idioti metallari multimiliardari dei miei coglioni spelacchiati provenienti dall'Iowa che giocano a fare i serial killer di questa beneamatissima fava. Gente che a Kabul non durerebbe più di dieci minuti cronometrati. (Alberto Calorosi)

martedì 21 dicembre 2021

Procol Harum - Novum

#PER CHI AMA: Prog Rock
Patinati claptonismi bluesrocchettari finesettanta ronzanti dalle parti di 'Backless' ("Image of the Beast") oppure iperpatinati claptonismi poprocchettari iniziottanta bighellonanti dalle parti di 'Money and Cigarettes' ("I Told on You"). Accomodatevi. Nel prosieguo, l'attitudine rock/80's/pop di 'Soldier' ("Runaway Train" vs. "Wonderful Tonight") e quella Eltonbattabernie-Johnbarrataupin di "Don't Get Caught" non mutano un registro narrativo già consolidato almeno dai primi '90, vale a dire da 'Prodigal Stranger' in poi, movimentato (quasi esclusivamente) dalle (a dir poco) bizzarre liriche composte dall'attempato e senilmente disinibito Gary Booker ("Last Chance Motel" è una efferata murder ballad, l'avreste mai detto? "I Told on You" una furente invettiva nei confronti di un collega musicista, l'avreste mai ridetto?) e cineticamente convergenti nei medesimi modi metereologici nei quali in un mondo ideale, un uragano di classe cinque convergerebbe verso l'abitazione di Paperostarnazzante Trump, convergenti, dicevo, inesorabilmente verso "Sunday Morning", singolo designato, pretestuoso zenit creativo di questo pasticciato album nonché pallida scimmiottatura (là c'era l'Aria sulla quarta corda di Giannino Bach e due tonnellate di Hammond, qui l'altrettanto celebre Canone in Mi di Giannino Pachelbel e due tonnellate e tre quintali di Hammond) di quella celeberrima hit sull'impallidimento improvviso della ragazza mentre ascolta la storia del mugnaio scritta cinquant'anni addietro che troverete menzionata in qualunque stramaledetto articolo musicale sui Procol Harum dal sessantotto a oggi tranne che in questo. Trattasi d'altronde dell'unico debole trait d'union tra lo stiracchiato presente e l'hammondosissimo, sinfonicissimo (e comunque acclamatissimo) passato. Non vi pare sufficiente? (Alberto Calorosi)

(Eagle Records - 2017)
Voto: 55

https://www.facebook.com/procolharummusic

Pirate - Left of Mind

#PER CHI AMA: Math/Prog Rock
Era il primo agosto del 2012 quando recensii questo disco. E la Bird’s Robe Records, nell'ambito della sua filosofia del "riscopriamoli", ecco riproporre una band fuori dall’ordinario. Sto parlando dei Pirate e del loro album di debutto 'Left of Mind', disco uscito in realtà nel 2009. La band si distingue dalle altre produzioni della label di Sydney con una proposta musicale alquanto originale, una fusion di stili e sfumature che partendo dal prog anni ’70, si fonde con colonne sonore e math rock, in cui concedere poi ampio spazio alla follia delirante di un sax impazzito, come accade nella opening nonchè title track, nella psicotica strumentale “Rough Shuffle” o nella stralunata ed oscura "Creepy". Fighi, lo dicevo allora, lo ribadisco oggi a distanza di anni che non ascoltavo questo lavoro. Sicuramente influenzati dal buon Mike Patton e da una qualsiasi delle sue creature, Mr. Bungle o Fantomas, i Pirate nelle otto tracce a disposizione, si divertono non poco a proporne di ogni colore e forma. Non stupitevi pertanto se in “Animals Cannibals” emergono echi di Faith No More o di un certo cyber alternative rock a stelle e strisce, comunque sempre contaminato da suoni freschi e moderni, qui dal piglio anche elettronico con un bel po' di synth a farla da padrona. Ma le qualità dell'ensemble non si discute e potrete anzi apprezzarla ovunque nel corso dell’ascolto di 'Left of Mind': dal basso tonante in apertura di "In the Balance" che ammicca ai A Perfect Circle, all'imprevedibilià alla The Mars Volta di "Daggers", ove avverto anche un pizzico del delirio dei Primus, in una song che, complice la presenza del famigerato sax, diventa anche la mia preferita del disco per il suo moto ondoso instabile. Si, insomma 'Left of Mind' è qualcosa che va accuratamente ascoltato e ponderatamente digerito, perché di certo non rimarrete delusi di fronte a cotanta ispirazione e genialità. Chiaro, riascoltarlo quasi dieci anni dopo mi fa sentire molti altri richiami che in passato non avevo colto e forse per questo mantengo il voto un po' più basso rispetto alla mia prima recensione, comunque una certezza. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2009/2022)
Voto: 80

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/left-of-mind

martedì 14 dicembre 2021

Closure in Moscow - The Penance and the Patience

#PER CHI AMA: Prog Rock
L'etichetta australiana Bird's Robe Records, si prende la licenza di riportare sul mercato mondiale un assoluto capolavoro, uscito per la prima volta nel lontano 2008, opera dei Closure in Moscow, band originaria di Melbourne, un progetto musicale che più volte fu premiato in patria per meriti artistici (ricordo che il loro ultimo album risale al 2012). La label di Sidney, con una copia cartonata dall'artwork magnifico, completa di note informative e libretto interno, rimette in circolo questo gioiellino intitolato 'The Penance and the Patience', che altro non è, che il primo lavoro di studio dell'act australiano. Difficile dare un' identità alla musica dell'album, vista la quantità di spunti e richiami musicali contenuti in questa opera. Possiamo però dire che al primo ascolto ci si rende conto che il quintetto s'intrufola naturalmente e assai bene, tra le movenze stilistiche in voga tra band del calibro di Coheed and Cambria, (con cui hanno anche suonato live), The Mars Volta e i vari progetti di Omar Rodríguez-López, risultando a tutti gli effetti discendenti accreditati di quel modo di intendere il progressive rock che fece emergere lo stile incontrastato degli Yes tra la fine dei '60 e l'inizio dei '70. Una linea invisibile li unisce alle band citate per qualità e virtuosismo tecnico espresso attraverso composizioni che non conoscono limiti, che tendono ad unire la maestosità di certo classic rock dei seventies, il gusto e la complessità di alcuni brani ricercati del passato in bilico tra powerflower e prog rock, l'impatto del punk alternativo alla At the Drive In e Pedro the Lion, con una velata vena da musical nello stile dei the Dear Hunter connesso con l'estrosità dei Leprous di 'Malina'. 'The Penance and the Patience' diventa cosi un album dirompente fin dalle prime note dell'iniziale "We Want Guarantees, Not Hunger Pains", che mostra subito un impatto duro ma controllato e una splendida forma moderna, di intelligent rock, pieno di cose pregevoli, pensate da ottimi musicisti, cercate ed apprezzate anche dagli ascoltatori più esigenti. I Coheed and Cambria sono sempre dietro l'angolo, come i The Mars Volta del resto, ma i Closure in Moscow riescono a mantenere una propria personalità che li contraddistinguerà anche nelle release successive, con ulteriori sbocchi verso lidi più pop, aggiungendo anche qualche gingillo elettronico qua e là, senza perdere mai di vista la loro sanguigna vena da progsters incalliti, con il gusto per l'AOR e l'hard rock dei mostri sacri di un tempo. Cos'altro dire, "Dulcinea" apre il cuore di tutti i rockers con la sua potente ariosità, "Breathing Underwater" è una sperimentale carica di dinamite e "Ofelia... Ofelia" con quel suo piano sullo sfondo e la sua indole cosi triste, sinfonica e psichedelica, è a dir poco adorabile. Certamente siamo di fronte ad un disco di tutto rispetto e di ottima produzione, stilisticamente impeccabile, tecnicamente virtuoso e sorprendentemente aperto a qualsiasi tipo di ascoltatore, pur trattandosi di un vero e proprio disco prog rock di moderna fattura. Un album da ascoltare per credere, un disco da non perdere, visto che la Bird's Robe ci offre questa seconda chance di metterlo tra gli scaffali delle nostre raccolte migliori. L'ascolto è assolutamente consigliato per riscoprire la sua grande bellezza artistica. (Bob Stoner)

lunedì 22 novembre 2021

Clayhands - Is this Yes?

#PER CHI AMA: Cinematic Post Rock
Dove c'è Barilla c'è casa, citava un famoso spot televisivo di parecchi anni fa. Parafrasando quel jingle, mi viene da dire che dove c'è Bird's Robe Records, c'è post rock. Quindi, per gli amanti di queste sonorità, eccovi servito il nuovo lavoro degli australiani Clayhands, combo originario di Sydney che è uscito all'inizio di novembre con questo 'Is this Yes?', ambizioso album di cinematico post rock, come da flyer informativo annesso al cd. Partendo da un caleidoscopico artwork di copertina che, per colori e forme richiama i King Crimson, i nostri proseguono in modo altrettanto coerente con un sound assai delicato che potrebbe inglobare al suo interno sfumature progressive, jazz, ambient, improvvisazione pura, musica da colonna sonora e tanto tanto altro, il tutto suonato in modo a dir poco celestiale. Questo almeno quanto percepito dalle colorate note dell'opener "Godolphin" e confermato poi dai tocchi malinconici ma cangianti della successiva "Orchid", dove sottolinerei l'ottima performance di ogni singolo musicista e il gran gusto per le melodie. "Murking" si muove in territori ancor più alternativi, vuoi per un sound molto più ricercato, vuoi per l'utilizzo di strumenti a fiato, non proprio consoni al genere, ma il brano alla fine, nelle sue strambe circonvoluzioni, si lascia ascoltare piacevolmente. Ben più sfocate le immagini prodotte inizialmente da "The Boy Left", prima che la song trovi una sua direzione un po' più definita ma comunque fuori dai soliti schemi post rock, con melodie a tratti dissonanti ma che comunque in questo contesto, donano grande originalità al tutto. Peccato solo manchi una voce a far da Cicerone a questa produzione, perchè con un cantante dalla calda ugola suadente o evocativa, credo che quest'album avrebbe meritato un risultato ancor più esaltante. E allora lasciatevi andare, fatevi avvolgere dalle melodie eteree dei Clayhands, dalla loro impressionante e incessante voglia di stupire con suoni che tra le proprie influenze inglobano ancora Pink Floyd, Shels, i già citati King Crimson, gli Yes e molti altri a dare garanzia di una qualità compositiva davvero eccelsa. È chiaro che 'Is this Yes?' non sia un lavoro cosi semplice da digerire, complice un'architettura sonora ben strutturata e pezzi anche dalla durata notevole: "Polars" supera gli otto minuti mentre la conclusiva "Playgrounds" sfiora i 15, proponendo in questo frangente temporale quanto di meglio i nostri hanno offerto sin qui. Chitarre liquide, incorporee che prendono lentamente forma e si lanciano in sofisticate e magnetiche fughe strumentali da lasciare a bocca aperta. Spettacolari, non c' altro da dire. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 80

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/is-this-yes

giovedì 14 ottobre 2021

Bend the Future - Without Notice

#PER CHI AMA: Psych Prog Rock
Rock progressivo dalla Francia. Ecco, mi sa tanto che i nostri cugini galletti se la cavano non solo in ambito estremo ma anche in sonorità ben più tenui, come quelle proposte dai Bend the Future, sestetto originario di Grenoble. La partenza di 'Without Notice' denota sin da subito le grandi capacità tecniche dell'ensemble, che con l'opener "Lost in Time" ci regalano suoni davvero entusiasmanti tra prog rock di stampo settantiano, aperture post rock, allunghi psichedelici e sprazzi jazzistici, che sottolineano l'imprevedibilità di quanto ascolteremo da qui alla fine nel corso del lavoro. Il primo brano è pazzesco, forse la cosa più debole sono le vocals (colpa mia che sono abituato ad un ben altro tipo di corde vocali), ma poi da un punto di vista strumentale, i nostri sono spaventosi, tra lunghi giri di chitarra, splendide melodie e cambi di tempo da applausi. Bomba! Chissà se le altre song sapranno confermare quanto di buono ascoltato sin qui? Un pianoforte apre la strumentale "As We Parry" e l'atmosfera somiglia a quella lounge da pianobar con un duetto di sassofoni che deliziano per come ben si amalgamano nella matrice musicale. "Merely" ha un impatto un po' più irrequieto, sebbene qui ritorni la voce del frontman a smorzare quell'animata ritmica che in taluni passaggi potrebbe evocare un che dei Riverside in salsa math, prima di un super spiazzante break atmosferico in grado di condurci improvvisamente indietro di oltre 40 anni nel cuore della musica settantiana. Da nostalgica lacrimuccia vintage. "We Aim Higher" è un pezzo di puro sperimentalismo sonoro, dal tratto saturnino che azzarda con trovate interessanti a livello di batteria e chitarra, e che vede peraltro la comparsa al microfono di un gentil donzella. Il brano è complicato, data anche una durata che supera gli otto minuti, ma alla fine davvero efficace tra fughe semistrumentali, stridori jazz e speziati aromi psych prog rock dal vago sapore mediorientale. Una delle hit del disco in assoluto. Non dimentichiamoci però della breve ma ficcante "Miniature", quasi un passaggio di collegamento con le restanti "Muş", più timida nel suo incedere comunque raffinato, e la title track, che chiude in scioltezza e alla stregua dei pezzi che l'hanno preceduta, un lavoro complesso, elegante e da approfondire ad ogni costo. (Francesco Scarci)

venerdì 24 settembre 2021

Leprous - The Congregation

#PER CHI AMA: Prog Metal
Un esordio incessantemente funk-prog, se esiste o e mai esistito qualcosa che si possa realmente chiamare funk-prog, con tanto di vocalismi alla Muse, ma persino più sofferenti, con una punta di Vincent Cavanagh semisbronzo insomma, ed un ritornello immensamente Pain of Salvation ("The Price"), programmaticamente destinato a perdurare per l'intera durata del disco, vale a dire oltre settanta fottutissimi minuti ("Red" e "Down"), spericolatamente fervido di pindariche divagazioni difficilmente o impossibilmente concettualizzabili ("Third Law", ovvero The Mars Volta vs. Ronnie J. Dio e "Rewind", ovvero System of a Down vs. Freddie Mercury sono soltanto due esempi), eppure sideralmente allineato a quella (recentemente) popolosissima traiettoria kappa-dimensionale che conduce da qui/ora al concetto astratto di non-rock utilizzando propellente prog-metal (Anathema, Major Parkinson, Pain of Salvation, appunto). La maestà vocale e il magnetismo acchiappareggiseni di Tor Oddmund Suhrke sono ormai consolidati e indubitabili. E secondi soltanto a quelli di Daniel Gildenlöw, leader dei plurisuccitati Pain of Salvation. (Alberto Calorosi)

(Inside Out Music - 2015)
Voto: 80

https://www.facebook.com/leprousband


mercoledì 22 settembre 2021

Death Angel - Act III

#FOR FANS OF: Prog Thrash/Heavy/Funk
I thought this album was immaculate. The riffs are what stole me! And the vocals. They have 2 ballads on here "Veil of Deception" and "A Room With A View", both amazing. I'm surprised that this album didn't score higher amongst critics. I thought it to be their best album to date!! I've liked this band since High School in the 1990's. This one didn't disappoint at all. I was glued to it when it first came out. That really hasn't changed but I'm drawn to more modern releases by them nowadays. They put on a good show live as well! But anyway, I didn't think this album failed at all. Quite the contrary.

'Act III' I see it dubbed as Death Angel's black album like Metallica's and I don't agree with that at all! They're still thrashing on here despite the ballads. Maybe they softened up a little from previous releases but I just would never call this one that! Some of their best songs come off their album "A Room With A View" is my favorite track out of them all for sure but their thrash based tracks are still solid like "The Organization" (as an example). I used to own this on cassette that's how far back it traces. I'll agree some riffs are b-bop type but not the whole songs. And that doesn't take away from the magic of this release!

Production quality was all right though the audio was a little bit lower so you'll have to crank it on your stereo (if you have one!). This album clocks around 45 minutes in length and it's so worth it. The music and vocals stole it for me. I'm a devout fan now I took kind of a hiatus from the band a friend got me back into them. That's my reason for covering 'Act III'. I felt like it needed justice since I listened to it early on in their career. I sort of lost interest in the band for a while. But they do put on a good live show especially playing some songs from this album! The streaming music that we deal with now doesn't measure up having a physical cassette of this or CD.

I would just say to buy this because from start to end they dominate in the thrash genre! Some songs they're a little quirky on but the main riffs are good as well as the ballads. I like the vocals a lot and that's what I look for in bands as well as the guitars (of course). Death Angel has both and on here you cannot go wrong. I'm surprised they got a "C" average on here and some people even bashing this release. The music was amazing and not duplicated anywhere else needless to say original as all hell. People just buy this show respect for the metal community and it'll keep this band going. Over 30 years in the scene still making guality albums! 'Act III' is their top! (Death8699)


(Geffen Records - 1990)
Score: 90

https://www.facebook.com/deathangel

martedì 14 settembre 2021

Teal - Hearth

#PER CHI AMA: Alternative/Progressive Rock
La Bird's Robe Records prosegue la propria campagna di riedizioni questa volta con gli australiani Teal e il loro debut EP, 'Hearth', datato 2013. La proposta del quartetto originario di Sydney si rifà ad un alternative rock assai orecchiabile. Cinque le tracce a disposizione dei nostri per poter dire che, anche se vecchio di otto anni, questo lavoro rimane alquanto attuale. Ottime (e un po' ruffiane) le delicate melodie dell'opener "Solitaires", dove a mettersi in luce sono i vocalizzi di Joe Surgey, uno che strizza l'occhiolino, anzi l'ugola, al frontman dei Muse, con risultati peraltro più che soddisfacenti, e con la musica che si muove anche tra le maglie del prog rock, tra chiaroscuri emozionali, guidati proprio dalla voce di Joe e accelerazioni quasi ringhianti, che rendono la proposta davvero interessante. In "Don't Wake Up" non vorrei prendermi del pazzo, ma su di un tappeto post math rock, ci ho sentito dei vocalizzi addirittura alla Bono, con il sound sempre bello carico ma in continuo movimento tra trame più morbide e altre più potenti. Con "Raptor", il combo del Nuovo Galles del Sud, si propone con sonorità che richiamano ancora Matthew Bellamy e soci, anche se qui i Teal sembrano meno esplosivi che in precedenza, fatto salvo per il comparto solistico, breve ma efficace. Se parliamo di esplosività (ma pure creatività) non possiamo non citare "Voss": partenza acustica stile primissimi Pearl Jam, sound mellifuo guidato dalla voce di Joe e poi accelerazioni belle toste che si alternano a parti più atmosferiche ed intimiste con tanto di tremolo picking alle chitarre. In chiusura, la più oscura e meditabonda "Three Hours", che con i suoi costanti rimandi ai primi Muse, chiude degnamente una release che ai più, sono certo, fosse passata inosservata. Chissà che stanno combinando oggi i Teal, ora mi vado ad informare, voi nel frattempo ascoltatevi 'Hearth'. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2013/2021)
Voto: 73

https://tealband.bandcamp.com/album/hearth-ep

domenica 5 settembre 2021

Jordsjø - Pastoralia

#PER CHI AMA: Prog Rock
I Jordsjø sono un duo proveniente dalla Norvegia, con all’attivo già diverse uscite (dal 2015 se ne contano 8 tra demo, split, EP e album veri e propri). Qui ci troviamo nell’ambito del progressive più puro, e non parlo di prog metal alla Dream Theater o cose del genere, mi riferisco proprio al progressive rock che negli anni '70 irrompeva sulla scena mescolando in modo fino ad allora inaudito il rock figlio della rivoluzione 60s con il folk, il jazz e la musica classica. E se è vero che, a volte, il connubio ha generato mostri, è innegabile che abbia anche dato vita a diverse esperienze interessanti. I Jordsjø si tengono dalla parte “buona” della barricata. Quella che riesce ad ibridare linguaggi non sempre facilmente conciliabili in modo equilibrato ed elegante, senza eccedere nel virtuosismo autoindulgente o soluzioni eccessivamente cervellotiche e tenendosi bene alla larga dal gigantismo o la magniloquenza che caratterizzano le esperienze meno felici (e ahimè non sono poche) di quel movimento. In 'Pastoralia' i due scandinavi sembrano avere preso a modello i primi Gentle Giant (ascoltare i 7 minuti di "Skumring i Karesuando" per credere), filtrandoli attraverso le lenti del folk e certo jazz di stampo nordico, smussando gli angoli e smorzando il toni generali fino ad ottenere un prodotto di altissimo artigianato che riesce a risultare fuori dal tempo, nel suo coniugare prog anni '70 ad un afflato nordico quasi pop, soprattutto nell’uso della voce. Ecco allora che ci sono momenti in cui la ripresa del folk nordico risplende come un diamante, come nella notevolissima title track o l’incantevole "Fuglehviskeren", dove sembra di ascoltare i Pentangle. Altre volte ad emergere è l’amore per certe atmosfere jazzate ("Beitemark"), fino a far confluire nella conclusiva "Jord III" tutto il loro mondo fatto di arpeggi acustici alternati ad ispirati fraseggi elettrici, flauti, mellotron, piani elettrici e strutture complesse ma mai astruse. Disco molto bello, davvero di alto livello. Un must have per gli amanti del genere. (Mauro Catena)

(Karisma Records - 2021)
Voto: 80

https://jordsjo.bandcamp.com/album/pastoralia

mercoledì 25 agosto 2021

Riverside - Rapid Eye Movement

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Rock, Porcupine Tree
Ero un grande fan della band di Varsavia quando ascoltai questo lavoro per la prima volta, mi aspettavo che 'Rapid Eye Movement' fosse l’album della consacrazione, il top dell’anno per questo genere, in grado di surclassare anche i Porcupine Tree, ma alcune sbavature e passaggi a vuoto, non hanno fatto altro che rimandare questa gioia per il sottoscritto e anzi lentamente disinnamorarmi dei Riverside. 'Rapid Eye Movement' resta senza dubbio un ottimo lavoro che sicuramente non deluderà gli amanti delle sonorità progressive e tutti i fan (quelli un po’ meno esigenti del sottoscritto), del combo mittle-europeo. L’opener è affidata alla magnetica “Beyond the Eyelids” che insieme a “02 Panic Room”, rappresentano le mie songs preferite: ambientazioni oscure, atmosfere eleganti garantite dalle ottime tastiere di Michal Lapaj e poi, e poi c’è la voce meravigliosa di Mariusz Duda, in grado sempre di regalare emozioni da brivido. I Riverside, con questo terzo full lenght, che ha come tema portante la fase R.E.M. del sonno, caratterizzata dalla percezione di immagini e suoni apparentemente reali, ci catapultano nel loro mondo onirico, proseguendo il discorso musicale iniziato con 'Out of Myself' e 'Second Life Syndrome'. Anche se rispetto a questi due lavori è stato fatto un piccolo passo indietro, la musica dei nostri è capace di toccare nell’intimo, come poche volte accade: distillati di malinconia, atmosfere toccanti, melodie sognanti ci regalano enormi emozioni. Oltre ai due brani già citati, “Schizophrenic Prayer”, “Through the Other Side” e “Embryonic”, stimolano i nostri sensi, con le loro dolci melodie sognanti e suggestive. Discorso a parte, meritano invece “Rainbow Box” e “Parasomnia”, le songs che insieme a “Cybernic Pillow”, ci mostrano il lato più aggressivo della band e che sinceramente ho meno apprezzato. La conclusiva “Ultimate Trip”, fonde nei suoi tredici minuti, il meglio dei Riverside, spaziando da momenti tipicamente progressive a sfuriate metalliche, con la voce talentuosa di Mariusz a dimostrare il suo immenso valore e a suggellare le qualità di una band sempre troppo sottovalutata. (Francesco Scarci)

(Inside Out Music - 2007)
Voto: 77

https://riversideband.pl/en/

martedì 24 agosto 2021

Orne - The Conjuration by the Fire

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Progressive
Chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare indietro nel tempo, dalle note di 'The Conjuration by the Fire', prima fatica dei finlandesi Orne, fuori per la nostrana Black Widow Records. La band finnica ai più sarà sconosciuta, sebbene esista da ben vent'anni e tra le sue fila militi Kimi Karki, meglio conosciuto come Peter Vikar, chitarrista dei defunti Reverend Bizarre. Lasciatosi alle spalle il capitolo doom con questi ultimi, il buon Peter si è lanciato nella finalizzazione del materiale, rimasto in fase embrionale per ben due lustri, con questo act, concependo un concentrato di musica rock progressive, che richiama mostri sacri del genere, quali Van der Graaf Generator, Black Widow, King Crimson, Peter Gabriel (era Genesis) e Pink Floyd. Certo, la classe profusa in questo debut, non è decisamente all’altezza dei geniali eroi degli anni ’70, tuttavia diversi spunti davvero gradevoli sono racchiusi nei sette pezzi del cd. Partendo con la recitata e sinistra intro “In the Vault”, la release si snoda attraverso intriganti pezzi dal forte flavour dark psichedelico progressivo, fatto di cupe ed arcane ambientazioni e di tematiche inerenti l’occultismo la religione, la storia e racconti dell’orrore (H.P. Lovecraft docet). Ascoltando le note di 'The Conjuration by the Fire', sembra di essere catapultati in un horror movie di Lamberto Bava, grazie alle sue atmosfere angoscianti dipinte dalle magistrali chitarre di Kimi e Pekka e dall’impeccabile utilizzo di strumenti non proprio convenzionali, come saxofono e flauto, che non possono non richiamare nella nostra memoria i Jethro Tull e la loro brillante vena improvvisativa. La calda voce di Albert (che però alla lunga risulta un po’ stancante e forse il vero punto debole della band), lo strumentismo ricercato dai nostri, i delicatissimi ricami offerti dal pianista e soprattutto dal sax di Jussi, rendono questa release abbastanza interessante per gli amanti di un genere, anche se non di così facile ascolto. Dolore, ossessione, malinconia e inquietudine completano un album raffinato, che sarà in grado di emozionarvi e stupirvi, con le sue dolci e oscure melodie, retaggio di un passato non ancora andato perduto... (Francesco Scarci)

(Black Widow Records - 2006)
Voto: 73

https://www.facebook.com/ornemusic

domenica 1 agosto 2021

Landskap - Landskap II

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psych/Prog Rock
Sedimentato lo stoner tettonico della prima prova, rocciosa ma poco velleitaria, il secondo album dei Landskap, intraprende una ventosissima direzione eminentemente nordic-prog (a partire dalla copertina e, a conti fatti, dal nome stesso della band), attenta però al sunny-psych finesessanta tipo Doors (il finale "Sun of no North") e Iron Butterly (la portentosa "Leave it All Behind") con qualche inattesa sortita NWOBM (il Maiden-riff che apre la già citata "Leave it All Behind" e la turbolenza à-la-Fade-to-black che la chiude). Soltanto se immaginaste voi stessi alla guida del pulmino dei Motorpsycho dispersi nella tundra norvegese mentre canticchiate "Riders on the Storm" alla ricerca di un cazzo di albero per pisciarci contro, allora vi figurerete l'immanenza della performance vocale di Jake Harding e, per estensione, dei trentasei minuti complessivi di questo straordinario album. Dovesse capitarvi di sentirvi preda di una accesso deipnofobico tornate a casa, accendete il camino, procuratevi un plaid e mettete su questo disco, ma solo dopo esservi assicurati di aver terminato la legna e il single barrel. (Alberto Calorosi)

(Black Widow Records - 2014)
Voto: 75

https://landskap.bandcamp.com/album/ii

sabato 31 luglio 2021

Amorphis - Under the Red Cloud

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Death
Nel corso di dodici corposissimi album, il suono degli Amorphis si è evoluto dal primordiale death metal melodico finnico degli esordi ad un ben più raffinato death metal melodico finnico, ma con qualche timido germoglio metal-prog stile Dream Theater sotto la doccia (la title track di questo 'Under the Red Cloud'), qualche sparuto pollone Leprechaun-metal stile Blind Guardian in gita al lago di Lochness ("The Skull", "Tree of Ages"), qualche renitente barbatella soap-metal stile private line in un pomeriggio di shopping ("Dark Path"). Ragguardevoli le doti tecniche del cantante Tomi Joutsen, capace di passare da un quasi-Patton a un pre-LaBrie fino ad un grizzly incazzato collocato in fondo a un pozzo con la stessa disinvoltura di un cambio di tempo in un pezzo prog-metal ("Enemy at the Gates"). Ascoltate questo disco mentre vi recate a Helsinki in kayak per partecipare a un addio al celibato a cui non siete stati invitati. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 70

http://www.amorphis.net/

venerdì 23 luglio 2021

Captain Kickarse and the Awesomes - Grim Repercussions

#PER CHI AMA: Prog/Math Rock
Ancora Bird's Robe Records, ancora band australiane quindi, quasi sia un mantra dell'etichetta di Sydney arruolare realtà del proprio paese. La band di oggi è un trio strumentale che propone in questo 'Grim Percussion', un rock muscoloso davvero libero da ogni schema. A certificarlo subito le note della breve intro "Sixes and Dozens", che ci danno un'idea di che pasta siano fatti questi tre aussie boys, che sono in giro ormai dal 2009, quando uscì il loro EP di debutto, 'Falsimiles From The Facts Machine'. Con la seconda "Pogonophobe", ma sarà poi una costante lungo l'intero disco, quello che balza subito all'orecchio, è l'assoluta libertà da parte dei Captain Kickarse and the Awesomes di suonare quel diavolo che gli pare senza paura del giudizio esterno. Si va quindi dal jazz rock singhiozzante di questa song, alla più percussiva "Immaculate Consumption", dove ancora i fraseggi jazz la fanno da padrone. Certo si richiede una certa predisposizione a questo genere di suoni perchè dire che siano immediati da percepire e gradire, rischierebbe di essere una gigantesca bugia. E allora lasciatevi investire dalle sonorità un po' più grasse di questo pezzo e dalla sua delirante follia, affidata alla tecnica sopra la media dei tre musicisti, che in tre differenti occasioni, riusciranno a mettersi in mostra. Un breve intermezzo acustico e via per altri lidi di delirio musicale: ascoltando l'apertura di "Smallcastle", non si può non corrucciare le sopracciglia cercando di capire che cavolo i nostri stiano combinando con i loro sperimentalismi musicali. Dopo un paio di minuti, la traccia prende una sua forma meglio definita combinando prog e post rock, con un tappeto ritmico bello robusto e con ulteriori ammiccamenti a psichedelia e sludge. Il duetto di song costituito da "The Grapes" e dalla title track, si prende da solo quasi 21 minuti di musica stralunata, oscura ed imprevedibile (chi ha detto math-rock?), che saprà disorientarvi ancor di più rispetto a quanto fatto sin qui dal terzetto originario del Nuovo Galles del Sud. Non mancheranno infatti momenti estremamente riflessivi ed introversi, cosi come scariche di rabbia e frustrazione, colate di suoni ridondanti e roboanti che vedono a mio avviso, solo l'assenza di una dissennata forza della natura a urlare nel microfono, il che avrebbe reso la proposta dell'act australiano un po' meno ostico da digerire. Si perchè le cose si fanno ancor più complicate in "A Beard of Bees", un pezzo noise introdotto dal didjeridoo e affidato poi al caos primordiale, prima che "Fourth Party" metta la parola fine a questa fatica targata Captain Kickarse and the Awesomes, a tratti davvero complicata da affrontare. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 73

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/grim-repercussions

martedì 22 giugno 2021

Mushroom Giant - Painted Mantra

#PER CHI AMA: Prog/Post Rock Strumentale
Era il 2014 quando 'Painted Mantra' vedeva la luce la prima volta. Dopo sette anni, la Bird's Robe Records restituisce una seconda vita a quel disco degli australiani Mushroom Giant, ormai band leggendaria del sottobosco locale sin dal 2002, in compagnia di altri mostri sacri quali We Lost the Sea, Sleepmakeswaves, Meniscus o Dumbsaint. In occasione del decennale dell'etichetta di Sydney, ecco quindi rivedere la luce un lavoro che fa di prog e post rock strumentale il suo credo. Nove pezzi che prendono le distanze dal classico post rock, fatto salvo per l'assenza di un vocalist, ma che da un punto di vista musicale, vede invece i nostri picchiare come fabbri sin dalla roboante apertura affidata a "The Drake Equation", un pezzo solo inizialmente onirico, ma che da metà in poi, si lancia in un centrifugato quasi killer di heavy prog davvero godibile. Si ritorna ad atmosfere pink floydiane con "Four Hundred and Falling", con quella forte aura malinconica che fino a metà brano ancora una volta sembra cullarci e che nel finale cresce emotivamente aumentando a pari passo, un interesse per una proposta che fin qui pareva piuttosto scontata, a dire il vero. Il finale però è da applausi. Come quelli che scrosciano per la lunghissima "Scars of the Interior" e i suoi quasi 14 minuti di parti arpeggiate, sognanti, ambientali; si dice a proposito, che il quartetto di Melbourne sia davvero forte dal vivo con parti visuali di grande effetto, da testarne insomma l'esperienza. Quello che mi convince della band è la capacità di coniugare la componente post con eleganti linee progressive dove i quattro musicisti sembrano trovarsi più a proprio agio. Fatto sta che, pur non essendo il sottoscritto un fan di offerte strumentali, qui mi lascio abbindolare dalle fughe rabbiose a cui seguono inevitabilmente lunghi ristoratori break atmosferici, che non fanno altro che prepararci ad un nuovo saliscendi musicale, ove la tecnica di questi aussie boys, viene fuori alla grande. Devo anche ricordarmi che questo 'Painted Mantra' è uscito sette anni fa, mica ieri. "Aesong" ha un fare quasi esotico a livello ritmico (ottima la batteria per la cronaca), quasi a condurci in una qualche isola al largo dell'Australia, con l'hammond comunque ad accompagnare con grazia e leggiadria, il comparto ritmico, qui vicino alle ultime prove degli Opeth, tuttavia ricordandosi che i gods svedesi hanno iniziato ad esplorare questo ambito ben dopo rispetto al "fungo gigante" di quest'oggi. L'ensemble continua a confezionare ottimi brani uno dopo l'altro: "Event Loop" è puro rock progressivo che ci porta a metà anni '70, con break affidati a basso e chitarra che a braccetto, ammiccano l'uno all'altro. Mancherebbe un vocalist ma questa volta voglio soprassedere e lasciarmi avvolgere dalla psichedelia di questa song o dalla successiva "Primaudial Soup", la cui batteria sembra quella in apertura di "Sunday, Bloody Sunday" degli U2, mentre a livello melodico, mi ha evocato un che dei Muse, inseriti comunque in un contesto più potente e coinvolgente. Lo ripeto, una voce avrebbe fatto le fortune di questo lavoro dal carattere cosi ondivago, stravolto peraltro costantemente da una marea di cambi di tempo. Se dovessi trovare un difetto, potrei dire l'eccessiva durata; quasi un'ora di musica filata, senza una voce, io la trovo sempre un'esperienza abbastanza sfidante, soprattutto in quei frangenti troppo meditabondi come può essere la prima parte di "Triptych". Poi fortunatamente il brano si muove dagli anfratti post rock e pestare maggiormente sull'acceleratore sfiorando il post metal con tanto di quella che mi pare anche una sezione d'archi. Ma c'è ben altro qui dentro, mille sfaccettature e dettagli che lascio approfondire a voialtri, godendo della performance di questi australiani che hanno ancora il tempo di inebriare i vostri sensi attraverso le decadenti note delle conclusive "Lunar Entanglement" e "Majestic Blackness", le ultime oscure perle di questo lavoro che a distanza di sette anni, non avete più alibi di lasciar andare. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2014/2021)
Voto: 75

https://mushroomgiant.bandcamp.com/album/painted-mantra

domenica 20 giugno 2021

Hans Hjelm – Factory Reset

#PER CHI AMA: Instrumental Prog/Kraut Rock
Hans Hjelm è un produttore e musicista svedese assai conosciuto in ambito alternativo, che vanta numerosi progetti e partecipazioni in un infinito numero di album. Questo suo primo disco da solista è anche la prima uscita interamente gestita dalla sua etichetta personale, la Kungens Ljud & Bild. In questo suo debutto dalla copertina futurista, Hans, ha suonato chitarre, synth, basso e programmato le basi, aiutato solamente da Jesper Skarin nel ruolo di batterista. Il noto chitarrista di Stoccolma milita in un nugolo di altre band di ottima fattura, tra cui Kungens Män ed Automatism, e si abbandona per questi sei brani strumentali ad un suono sofisticato, figlio dell'ammirazione verso certa new wave costellata di synth, profondi e cosmici, che entrano in armonioso contrasto con il suo modo originale di gestire le parti di chitarra, mettendo in luce i suoi studi in ambito jazz perseguiti in America, che caratterizzano il suo stile. L'appartenenza alle altre band si fa sentire sempre e comunque, anche se Hjelm ce la mette tutta per allontanarsi dalle precedenti multicolori avventure sonore: l'ombra dell'ultimo brillante disco degli Automatism, ad esempio, è qui costantemente presente, anche se, tra queste note, troviamo una sezione ritmica più evanescente, il basso resta sempre nelle retrovie e i synth e le chitarre cristalline per la maggior parte dei brani svolgono il ruolo di protagonisti. "Valley of the Kings" mostra perfino una verve ipnotica figlia della psichedelia dei Velvet Undergrond, riveduta in chiave newwave anni '80, mentre l'amore per i Depeche Mode esplode nella cover di "Nothing to Fear", estratta dallo storico 'A Broken Frame', e adattata in una veste più consona all'autore, piena di colori tra post rock e sonorità indie. Nel retro del cd troviamo un consiglio per l'ascolto scritto da Hjelm in persona, che lascia trasparire tutta la sua peculiarità, la sua meticolosa ricerca della qualità sonora, da musicista, da tecnico del suono e produttore di opere molto sentite a livello emozionale. La scritta recita:

Usa le cuffie stereo
Fai un respiro profondo e inizia a rilassarti
Chiudi gli occhi e lascia perdere tutte le preoccupazioni
Notare una frequenza leggermente diversa che raggiunge ciascun orecchio
Diventa consapevole del tuo respiro
Inizia a contare i tuoi respiri
Lascia che i suoni passino attraverso la tua mente inosservati
Immergiti nel processo di respirazione
Lascia che i suoni sincronizzino i tuoi schemi di pensiero
Ripetere il processo fino a quando non si verifica il ripristino

"Lights Turn Red" è invece la canzone più lunga del lotto e offre un'evoluzione lisergica di chitarra noise davvero interessante, che amplia il range della proposta del disco, che fondamentalmente si muove in un'ottica di ipnotica estasi sonica. Conoscendo e apprezzando gli altri lavori del polistrumentista svedese, posso dire che a differenza di altre sue uscite, 'Factory Reset' rappresenta qualcosa di diverso, più alla moda, un bel disco dalle dichiarate venature '80s rivisitate in un'ottica moderna, una release quasi perfetta, dal sound arioso, aperto, contemporaneo ed estremamente omogeneo, tendenzialmente meno rock, ma con un'anima sognante ai confini di un ambient che solo a tratti nasconde qualche sinistra insidia sonora. In tutto questo mi mancano le astratte evoluzioni compositive, tipiche di band come Sista Maj o Automatism, ma in effetti il lavoro di Hjelm in questo suo primo lavoro da solista non deve essere paragonato alle altre sue dimensioni musicali. Questo disco infatti vive di una propria reale identità, una luccicante, autonoma realtà compositiva che conferma una capacità straordinaria di creare universi sonori dalle mille entità diverse e colorate anche in veste solitaria. L'ascolto è consigliato, obbligatoriamente in cuffia, come raccomandato dall'autore! (Bob Stoner)

(Kungens Ljud & Bild - 2021)
Voto: 74

https://hanshjelm.bandcamp.com/album/factory-reset