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Visualizzazione post con etichetta Pest Productions. Mostra tutti i post
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mercoledì 11 luglio 2012

Zuriaake - Winter Mirage

#PER CHI AMA: Black Ambient, Burzum
Li abbiamo scoperti un paio di mesi fa con il loro primo album “Afterimage of Autumn”; li ritroviamo oggi con un EP di 2 pezzi, che in realtà non è altro che una re-release uscita nel gennaio 2012, del bonus cd della versione limitata del primo lavoro. Eccoli i cinesi Zuriaake e il loro black di chiara matrice “burzumiana”. Apre la title track, che con i suoi sette minuti torna a riportare in auge i suoni lenti, soffocanti e al contempo gelidi di “Hvys Lyset Tar Oss” del buon vecchio Varg Vikernes. Gli stilemi del genere sono sempre gli stessi: chitarre graffianti, zanzarose e poi le classiche keyboards che rimbombano minacciose nel sound mortifero del terzetto di Ji'nan. Mistici senza dubbio, ma alla fine un po’ troppo uguali all’originale. “Valley of Loneness” ha invece una presa alquanto differente: pur mantenendo la struttura del black ambient norvegese, presenta una chitarra un po’ più robusta, suoni meno compassati, una maggiore verve in chiave sia strumentale che musicale. Parliamoci chiaro, niente di trascendentale; queste 2 tracce integrano semplicemente le altre song del precedente lavoro. Ora mi attendo decisamente qualcosa di più concreto e in grado di mostrare una certa maturazione da parte del trio cinese. (Francesco Scarci)

(Pest Productions)
Voto: 60


La band in questione arriva dalla Cina e precisamente da Ji'nan, Shandong province ed è attiva dal 1998. L'album di casa Pest Production è l'ultima delle loro fatiche che consiste in due cd e questo EP composto da due lunghi brani (il cd è datato 2012 anche se i brani sono stati registrati e mixati nell 2007 al tempo del secondo full lenght “Afterimage of Autumn") molto suggestivi ed evocativi di “black metal” caratterizzato da atmosfere cupe e molto melodiche giocate sulla falsa riga del più radicale “black svedese” ma arricchite sullo sfondo di sonorità vicine alla musica folklorica cinese. Attenzione però, non pensiate alla solita cozzaglia di brani metal e folk equamente divisi a metà con ponte floscio folk e cavalcata, niente di tutto ciò, qui troverete due brani violentissimi e dalle atmosfere profondamente “nordiche” virate da un retro gusto geniale e ben calibrato tutto dagli occhi a mandorla. Il primo brano dal titolo tradotto in inglese dal cinese in “Winter Mirage”, parte con una cadenza lenta e ferale per poi aprirsi immediatamente a sferzanti “screaming” molto ad effetto (gli screaming sono strepitosi!), l'incedere è lento e glaciale e la voce veramente bella e diabolica scivola lentamente in un baratro senza fine sorretta da accenni di tastiera che stendono un tappeto tanto “nero” e astratto quanto sulfureo. In realtà è l'effetto globale del brano che stupisce per forza d'espressione e quel clima estraneo e rarefatto, tipico delle lande cinesi è straordinario. La forza evocativa/meditativa del secondo brano intitolato “Valley of Loneness” è una pioggia di emozioni soprattutto e insisto, nelle tastiere e negli effetti d'ambiente, che portano l'ascoltatore ad entrare in un tristissimo oscuro giardino orientale. L'effetto che si prova è quello di ascoltare le bordate taglienti di Carpathian Forest e Dark Funeral unite alle atmosfere di Alcest ma con più oscura e orientale freddezza senza inutili romanticismi. Potremmo infine avanzare l'ipotesi che se i Zuriaake non fossero cinesi ma francesi, qualche band transalpina dell'ultima ora non dormirebbe sogni tranquilli. Consigliatissimi! (Bob Stoner)

(Pest Productions)
Voto:75

mercoledì 27 giugno 2012

Shroud Of Distress - Be Happy

#PER CHI AMA: Depressive Black, Hypothermia, Lifelover, Shining
Mmm. Un disco apparentemente depressive. Son contento. Adesso l’ascolto e vi do le mie impressioni anche se l'artwork non mi convince molto, troppo moderno. Oppure sarà il font e il titolo che mi condizionano. Sì, probabilmente è il font, ma è meglio se passo alla musica altrimenti resto a fare un monologo su quanto e cosa mi piace delle copertine. Badilate di oscurità in questa prima pubblicazione dei Shroud Of Distress. Cari blacksters e doomsters, tutto il disagio che cercate lo potrete felicemente trovare in queste quattro tracce dei nostri cari amici tedeschi. Mi trovo davanti un album molto malinconico, reso ancora più triste da dialoghi e riprese di suoni d'ambiente. La voce non canta in scream ma urla disperatamente nello stile che ha caratterizzato i Lifelover, i pattern di batteria non molto originali ma sempre azzeccati, passando da furiosi blast beat a tranquilli midtempo, mentre le chitarre sono caratterizzate da un classico grezzo distorto che vira al pulito nelle parti più melanconiche, riuscendo a deprimere ogni singolo istante di questa release. Le tracce scorrono piacevolmente durante i 33 minuti, senza grandi stravolgimenti; il gruppo non possiede infatti molta originalità, nonostante ciò si riesce a captare lo spirito oscuro delle composizioni, grazie ad una produzione per niente perfetta, certe parti non livellate a dovere e una registrazione scarna e mancante di compattezza. Un EP più che decente, contenente anche una traccia nascosta, che spero non troviate, mai. (Kent)

(Pest Production)
Voto: 65

mercoledì 13 giugno 2012

Shyy/... - The Path Toward Forgetfulness

#PER CHI AMA: Shoegaze, Black, Infinitas, Heretoir
Cina, Italia, Brasile. È su questa inedita asse d’alleanza, che si sviluppa il qui presente split cd, che vede i brasiliani Shyy, condividere la scena con i nostrani … (DotDotDot), sotto l’egida della sempre più presente Pest Productions, intraprendente etichetta cinese. E allora, passiamolo in rassegna questo interessante lavoro, che si vede aprire con il trittico di songs firmato dall’act sudamericano, che propone uno shoegaze di chiara derivazione francese. Soffermiamoci sicuramente su “Her, Her Landscapes” che segue la pseudo intro di “That Soul is an Empty Cue” e godiamo appieno la proposta dei nostri che, a livello melodico, sembra configurarsi come una versione un po’ più veloce dei The Cure più solari, con le vocals che seguono, nella versione più pulita, i dettami di gente come Les Discrets e Alcest, prima di cedere il passo ad uno screaming in realtà mai troppo esasperato, ma piuttosto sofferente. Folgorato. Positivamente. La proposta del combo carioca mi ha letteralmente conquistato per la squisitezza delle sue accattivanti melodie e per la sua incapacità, in senso buono ovviamente, di essere violento. Il tutto viene confermato anche con la successiva “Sobriety”, che suona però come una sorta di lunga outro, tra sonorità aliene e ripetitivi giri di chitarra; peccato però che si esaurisca cosi velocemente, senza che il sottoscritto sia in grado di dare una valutazione, a più ampio spettro, della performance della band. È il turno dei fantomatici DotDotDot, il cui trittico di song, aperto da “Ascending to the Night Sky”, si presenta con un riffing apparentemente più caotico dei colleghi, prima di assumere una propria linearità, sul cui sfondo si scontrano le vocals in duplice veste, scream e clean. È comunque il totale approccio d’improvvisazione a tenermi incollato allo stereo, in quanto, il combo italico gioca con repentini cambi di tempo, che sanno di avantgarde, ma anche di divagazioni più propriamente jazzistiche, contaminato dalla vena dark alternative dei Klimt 1918. Mi rendo conto di aver messo tanta carne al fuoco, ma la colpa, anzi il merito, non è certo mio. I tre “puntini di sospensione” non lasciano nulla al caso, non sono certo banali e, oltre ad evincerlo dall’inusuale nome della band, lo si deduce anche dalla seconda “Like Shooting Stars”, che dopo un’apertura “romantica”, si abbandona allo screaming schizoide del suo vocalist (a cui chiedo di migliorarne leggermente lo stridore), prima che i nostri, ancora una volta, si incanalino in un vortice musicale multi sfaccettato, che a livello vocale rischia addirittura di evocare lo spettro dei californiani Dredg, su uno sfondo musicale che non dà alcun punto di riferimento. Splendida traccia. Giungiamo alla conclusione di questo lavoro, affidando il tutto a “Vanishing Among Tides”, altra perla di profonda malinconia che mi spinge a saperne di più di queste due vibranti band. Peccato solo per il basso numero di tracce proposte, altrimenti sono certo che il mio voto avrebbe sfondato ampiamente il muro degli 80! (Francesco Scarci)

(Pest Productions)
Voto: 75

sabato 2 giugno 2012

Hinsidig - Bak Og Forbi...

#PER CHI AMA: Black/Doom, Summoning, Nortt, Wolves In The Throne Room
Mi capita tra le mani il primo demo (anche se della durata di ben 33 minuti) degli Hinsidig, e vedendo la lugubre copertina, tipica dell'allegria che riscontriamo nel black e nel doom, gioisco pensando al nuovo ascolto, sperando vivamente che questa release mi possa soddisfare. Subito ad accoglierci in “Intro – Euforisk Depresjon” è un solitario coro che ci fa strada tra le nebbie in un incontaminato scenario montuoso, poco dopo siamo raggiunti da una spettrale chitarra e una base di tastiera che ci accompagneranno fino al termine della canzone. Un urlo squarcia il sacro silenzio delle foreste, immergendoci in “Livets Slos”, brano che alterna lenti e malinconici movimenti a sfuriate simili ai primi Ulver. Con lo stesso stampo “Bak Livets Forheng” e “Gudsforlatt” continuano la prima release del trio teuto-norvegese. I riff in alcuni campi sono più oscuri, più tipicamente anni '90, ma il gruppo non si lascia trasportare eccessivamente dalla vecchia scuola e riesce a trovare la combinazione essenziale per non far skippare la traccia all'ascoltatore, grazie anche all'occasionale ritrovamento dei cori e delle tastiere che ci avevano guidato nel mondo degli Hinsidig. “Outro - De Siste Dager Mot Ragnarok (Part III)” chiude questo debut con un monologo accompagnato da strazianti urla in sottofondo, che in certi casi coprono anche la narrazione. Molto interessante e godibile il gioco promosso dai pattern di batteria perché essi donano alle tracce quel segno distintivo che non le fa precipitare nella monotonia. D'altro canto invece trovo assolutamente fastidiosa la repentina e prematura fine delle canzoni, mutate in tronco senza un minimo di dissolvenza o di continuità. Gli Hindisig non sono degli innovatori del genere ma hanno tutte le potenzialità per creare delle valide opere Atmospheric Black, spero che mi giunga il loro primo full-lenght sperando in una loro notevole maturazione. (Kent)

(Pest Productions)
Voto: 75
 

giovedì 17 maggio 2012

Bauda - Oniirica

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale, Black depressive, Liam
Ancora una volta ci addentriamo nell’oscuro mondo dell’underground, recandoci questa volta in Cile, alla scoperta di una band che avrebbe largamente potuto stupire con effetti speciali e colori ultra vivaci invece, complice l’assenza di un vocalist, alla fine questo “Oniirica” si rivela ahimè un album che stenta a decollare, che mostra le enormi potenzialità della band sudamericana, che a breve avremo comunque modo di riassaggiare, in un nuovo lp. Nel frattempo passiamo brevemente in rassegna quello che ha da offrire il full lenght d’esordio del terzetto di Santiago: si tratta di un cd di 5 lunghi pezzi che sfiora i 50 minuti di musica. L’act cileno propone sonorità decisamente a cavallo tra il post rock sonnacchioso, intermezzi ambient, qualche rara fuga in territorio black depressive (“Trastornos”) ed aperture eteree; inoltre l’utilizzo del didgeridoo, del flauto e dell’accordion, rendono il tutto più etnico e interessante, ma con l’enorme limite, spiace ancora una volta sottolinearlo, della mancanza di un cantante che riesca a dare un’anima a quanto partorito dai nostri bravi musicisti. Non c’è nulla da fare: anche le musiche più belle, sensuali, feroci o melodiche che siano, necessitano di un ultimo indispensabile strumento, la voce. E i Bauda ne hanno un grande bisogno per dare energia e vita ad un lavoro, che avrebbe meritato molto di più, ma che per ora ha il solo pregio di dischiudere al mondo la nascita di una nuova interessante realtà da tener sott’occhio. Peccato però… (Francesco Scarci)

(Pest Productions)
Voto:65


giovedì 3 maggio 2012

Zuriaake - Afterimage of Autumn

#PER CHI AMA: Black Ambient, Burzum
Pensavo di aver scavato abbondantemente nell’underground, evidentemente mi sbagliavo. Lo testimoniano quest’oggi i cinesi Zuriaake e il loro introvabile album di debutto, edito dalla Pest Productions. “Afterimage of Autumn” è un lavoro un po’ datato, del 2007, che però ci tenevo a recensire, essenzialmente per dare voce a un mondo a me sconosciuto e in secondo luogo, per l’aura magica che lo avvolge sin dalla meravigliosa intro, “Whispering Woods”. Poi, il rumore di un ruscello apre “God Of Scotch Mist” e ben presto, anche le stridule chitarre (e vocals) di chiaro sapore nord europeo, fanno la loro comparsa. Burzum. Si, ancora il suo spettro che si aggira minaccioso anche per le lande infinite dell’estremo oriente. Non c’è nulla da fare, il Conte ha creato un genere che fa proseliti in tutti gli angoli del mondo, compresi questi Zuriaake. Se cosi fosse però, la recensione potrebbe anche terminare in poche righe; quello che mi fa però drizzare le antenne è l’utilizzo delle tastiere, limitato per carità, ma in grado di creare suggestive ambientazioni che sanno molto di cultura cinese. E se cosi, con la seconda traccia, ho come l’impressione di visitare il Palazzo Proibito di Bejing, con le successive song mi sento catapultato in cima alla Muraglia cinese, o al cospetto dell’Esercito di Terracotta, nonché dimenticato nelle povere campagne cinesi. La tradizione di questo popolo, i suoi suoni, i suoi umori, i dolori, le frustrazioni, la sua religione, convogliano tutte nelle tracce di questa interessante release che pur respirando la gelida aria dei boschi norvegesi, non nasconde l’amore per la propria spiritualità. Un po’ come accadde per i coreani Sad Legend, i Chthonic di Taiwan o i giapponesi Tyrant, anche con gli Zuriaake andiamo a scoprire una forma di estremismo sonoro che trae sicuramente spunto dalla musicalità di questo immenso paese. Per amanti del black ambient, ma non solo; anche chi ha voglia di esplorare una nuova cultura musicale, si faccia sicuramente avanti! (Francesco Scarci)

(Pest Productions)
Voto: 70

martedì 1 maggio 2012

Oskoreien - Oskoreien

#PER CHI AMA: Black, Ambient, Burzum, Agalloch
Una band Americana, che suona viking metal e che viene prodotta da una label cinese? Ecco uno degli esempi più azzeccati della globalizzazione e di quanto anche in ambito musicale, anche la Cina stia emergendo prepotentemente. Gli Oskoreien sono una one man band californiana, guidata da tal Jay Valena, che sembrerebbe essere un grande patito della mitologia nordica, a tal punto da chiamare la propria band come l’orda di anime morte che vagano tra il regno dei vivi e quello dei morti, una sorta di limbo della religione cristiana cattolica. E a fronte di un nome cosi epico, ecco che il nostro tuttofare statunitense, ha rilasciato il proprio debut omonimo che ci guida, un po’ come Virgilio con Dante ne “La Divina Commedia”, in un dimenticato mondo senza tempo. Tra le mani mi trovo un classico esempio di cascadian black metal, quella forma di black naturistico, primitivo, epico e sognante che sta prendendo forma e sostanza nella Western coast grazie, in primis ad act quali Agalloch e Wolves in the Throne Room. E proprio da queste grandi band, gli Oskoreien traggono spunto, arricchendo la propria proposta con sfuriate in stile Burzum, con aperture atmosferiche da capogiro, incursioni acustiche, melodie astrali e ataviche che riempiono con somma gioia il mio cuore pulsante. Cinque splendide tracce, che unendo la furia tipica del black con le chitarre tirate, suonate con l’immancabile tecnica del tremolo, agganciate ad un efferata batteria stracolma di blast beat sin dall’assalto frontale dell’opening track “Illusion Perish” che mette in evidenza immediatamente l’attitudine “wild” dei nostri, complice anche le demoniache screaming vocals del mastermind. Quello che poi solleva l’elementarità della proposta, sono quelle invasioni barbariche, epiche che conferiscono una certa solennità ed un’aura di mistero a questo enigmatico lavoro, dalla copertina alquanto inusuale per un lavoro black. Lampi post rock, accenni di psichedelia e frangenti ambient, completano il quadro di un album che ha il pregio di avere molte cose da dire. Da ricercare accuratamente sul sito della Pest Production, un’etichetta, che certamente ce ne farà sentire delle belle in futuro. Intanto godiamoci appieno questi Oskoreien, godibilissimi! (Francesco Scarci)

(Pest productions)
Voto: 80