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lunedì 27 febbraio 2017

Assent - We Are The New Black

#PER CHI AMA: Death/Metalcore/Nu Metal
Continua l'ondata di band provenienti dalla Francia, tant'è che si potrebbe parlare quasi di una vera e propria "New Wave of French Heavy Metal". Gli ultimi, cronologicamente parlando, che hanno bussato alla porta del Pozzo dei Dannati sono i parigini Assent, un duo arrivato al debutto a dicembre 2016 con questo 'We Are the New Black'. Il genere proposto dai nostri, lungo le sei tracce di questo EP, è una mistura di death e metalcore, tinto però di sonorità prog e nu metal, in un pout pourri che potrebbe inglobare anche gothic, punk e molto altro. Non sempre però convogliare decine di generi musicali in un album può risultare vincente. Qui le cose, dopo la solita intro strumentale, divengono già assai complicate col pastone affidato alla title track, dove in un inizio da ninna nanna, ecco collidere subito screaming vocals con voci pulite. Sghembe linee di chitarra melodica di natura progressive avanzano in un pezzo che soffre di una certa carenza di fluidità, sebbene si percepisca che ci siano buone idee di base, ma semplicemente mal assemblate. Proviamo ad andare oltre per provare a capire di più degli Assent: l'inizio di "Reaching Out" suona in stile Pantera, un cantato in screaming rappato converge successivamente il sound della band verso lidi nu metal che non mi fanno troppo sorridere, anche se l'utilizzo quasi tribale della batteria, devia la mia attenzione a livello dei singoli strumenti, perdendo per un attimo l'attenzione dal flusso sonoro che persiste nel balbettare. "A Part of Me" risente ancora di influssi americani in stile nu e metalcore, sebbene provi a percorrere territori alternativi che finiscono ahimè per creare sonorità a tratti confusionarie, che faticano a rimanere impresse nella testa. Un bel piano apre "Remain in Darkness", poi un cantato in growl prende possesso della scena e finalmente i nostri mi sembrano per la prima volta convincenti nel loro incedere da gothic metal opera, anche se la ripetuta alternanza vocale, non agevola l'esito conclusivo, ancora carente in fatto di fluidità. È forse con la conclusiva "Insomnia" che il duo riesce a strappare una sufficienza risicatissima, merito di una song più lineare, orecchiabile e carica di groove. Gli Assent non mi hanno convinto granché, conto di capirci qualcosa di più con la prossima release. (Francesco Scarci)

giovedì 16 febbraio 2017

Phoenix Mourning - When Excuses Become Antiques


BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Emo, Trivium
C'è stato un periodo, a metà anni duemila, in cui ogni giorno la mia casa era invasa dal suono metalcore di una qualche band statunitense ed è ancora la Metal Blade, che oramai era diventata specialista in questo genere, a deliziare le mie orecchie con l'ennesima new sensation dagli USA. Chi mi conosce e si aspetta l’ennesima stroncatura in quest’ambito, dovrà ricredersi perché a me i Phoenix Mourning non dispiacciono. Non inventano nulla di nuovo per carità, però ho come la sensazione che ciò che suonano sia fatto col cuore. La band a stelle e strisce proveniente dalla Florida, prodotta da Tom Morris (Iced Earth, Obituary), ci spara 13 tracce di metalcore moderno che sconfina nell’emo, fatto di riff metal su quali s’innestano graffianti voci death e pop (si avete letto bene) clean vocals, accompagnati da fughe in territori hardcore e da ruffiane melodie emo. Il limite di questo genere è che forse dopo pochi ascolti si esaurisce il desiderio di rimettere il cd nello stereo o che molte volte non si riesce ad arrivare alla fine del disco perché le canzoni finiscono per assomigliarsi un po’ tutte. Ad ogni modo, per chi ama questo genere di sonorità, l’ascolto è come minimo consigliato, tanto per avere qualcosa di nuovo da fischiettare sotto la doccia. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2006)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PhoenixMourningFL/

The Classic Struggle - Feel Like Hell

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash/Metalcore
La Metal Blade non è sempre stata un'etichetta brillante, negli anni 2000 è stata spesso sinonimo di death/metalcore, e talvolta non proprio di qualità. The Classic Struggle è una di quelle band che nel 2005 (e successivamente nel 2008, prima che si perdessero un po' per strada) ha pensato bene di provare a perforarci i timpani con la loro “originalissima“ miscela di death/thrash per cui subito mi viene da pensare:“Che palle, un’altra band che suona uguale a mille altre!! Ce ne era forse bisogno?”. Si ragazzi, non c’è niente da fare, i gruppi non si sforzano minimamente di cambiare ricetta, si limitano a scopiazzare a destra e a manca ciò che andava e va per la maggiore. Quest'ennesima band che mi capita tra le grinfie non sarà ruffiana come tante altre, ma pescando a piene mani dal death svedese, miscelando il tutto con un sano metalcore americano, sforna l’ennesimo inutile disco. La ricetta di 'Feel Like Hell'? 12 brani, tirati, diretti, con chitarre taglienti, una pietosa batteria sincopata, una voce al vetriolo, qualche stop’n go, un paio di rallentamenti con feroci ripartite, sfuriate grind e la zuppa è pronta. Ma l’inventiva, l’originalità e la personalità dove sono andate a finire, perdute nei meandri più dispersi del pianeta? L'ennesimo disco clone che mi induce sempre più spesso a fare copia-incolla con recensioni precedenti. Alla fine i poveri The Classic Struggle magari non sarebbero neanche male, ma in un calderone di uscite mensili tutte identiche quanti si ricorderanno del loro “memorabile” disco? Noiosi. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/TCSOfficial

domenica 25 dicembre 2016

Silent Moriah - Wise Murders And Natural Evil

#PER CHI AMA: Thrash Progressive, Pantera, Anacrusis
La scena underground italiana è viva e vegeta. Ce ne dà oggi prova il quartetto bolzanino dei Silent Moriah, band in giro già da un lustro ma che solo in questo 2016, è riuscita a sfornare la prima release ufficiale. 'Wise Murders And Natural Evil' è un EP di sei pezzi all'insegna di un thrash metal caratterizzato da alcune contaminazioni doom, fughe death, ammiccamenti alternative e metalcore. Insomma, c'è di tutto un po' negli oltre 33 falsi minuti di musica qui contenuti (dico falsi perché ci sono nove minuti di silenzio). Si parte dalla classica intro arpeggiata e si prosegue con "Dead Tool" che tratta, da un punto di vista lirico, del mostro di Milwaukee, un serial killer statunitense resosi famoso per la pratica del cannibalismo e della necrofilia. Se qualcuno di voi si aspetta che anche da un punto di vista musicale, le ritmiche seguano le tematiche con sonorità splatter gore, vi sbagliate di grosso. Menzionavo infatti il thrash metal e qui ne troverete a palate anche con qualche divagazione in territori più angusti ed anfratti più bui, tipici del doom, con le vocals di Leo che passano dal growl al pulito con una certa efficacia e dove le chitarre si divertono nell'offrire affilate rasoiate e brillanti assoli. L'atmosfera si fa più tenebrosa in "Under Your Skin", con i nostri che trattano di un altro serial killer, del Wisconsin questa volta, che era solito mutilare in modo cruento le proprie vittime. Si insomma non certo dei temi leggeri, eppure la musica prosegue con sonorità accattivanti, melodiche, in linea con alcune cose dei primi Pantera e dei Testament, ma anche dei più avanguardistici Anacrusis, in cui le vocals provano a seguire degli sperimentalismi quasi cibernetici e in cui le chitarre, sempre assai catchy, comunque assurgono al vero ruolo di protagoniste nell'economia del brano, sia a livello ritmico che solistico, per un risultato dotato di spiccate qualità esecutive, ma anche in dinamismo sonoro e groove. Con "Bleed Honey Bleed" si prosegue il racconto dei serial killer e questa volta facciamo conoscenza di un altro alfiere della necrofilia. Da un punto di vista musicale, le linee, sempre assai melodiche, di chitarra si confermano costantemente ondulatorie nella loro progressione, grazie all'installazione di frequenti cambi di tempo, che permettono di catalizzare al meglio l'attenzione dell'ascoltatore. Non poteva certo mancare un brano per il serial killer più famoso di tutti i tempi, ossia Charles Manson: eccoci accontentati, in quanto "Enigma" è proprio focalizzata sull'efferato omicida di Cincinnati. La musica invece alterna un riffing thrash a sonorità sperimentali, a tratti progressive, non risultando di certo mai scontata o banale. I quattro giovanotti dell'Alto Adige convincono appieno con la loro performance strumentale, ma anche da un punto di vista tecnico-compositivo. Dicevo all'inizio della famosa traccia fantasma: "Natural Evil" è una breve outro di un 120 secondi a cui seguono minuti di nulla e poi improvvisamente ecco materializzarsi interferenze sonore boogie rock. Insomma, 'Wise Murders And Natural Evil' è un lavoro interessante che se verrà sviluppato adeguatamente in futuro, potrà regalare succosi frutti a questi giovani musicisti. Bravi! (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 75

sabato 12 novembre 2016

Magoa - Imperial

#PER CHI AMA: Prog/Metalcore/Djent, Periphery, Tesseract
Quando ho visto i Periphery dal vivo di spalla all’inarrivabile Devin Townsend, ho subito pensato: questa è musica da ragazzini. Tecnica pazzesca, intendiamoci, ma sotto sotto il vecchio trucco del metalcore è sempre lo stesso: strofe serratissime e ritornelloni strappamutande, ripetuti all’infinito. Con 'Imperial' dei francesi Magoa temevo di trovarmi di fronte all’ennesima goccia di questo oceano. Ma questa non è roba da ragazzini: è metal contemporaneo tinto di prog e core, sparato con velocità, violenza e una cura degli arrangiamenti e del songwriting davvero notevole. C’è del talento in questo quartetto parigino, e ce n’è parecchio. Sì, d’accordo: la batteria cavalca sulla doppia cassa, le chitarre si sprecano sui palm-mute, c’è qualche poliritmo djent – mai troppo complicato, intendiamoci – e ci sono i già citati ritornelloni melodici (“Faith” e “Afterglow”). Ma la voce di Cyd Cassagne non dà tregua nemmeno un secondo, capace di scream, harsh e pulizia come se non facesse altro nella vita; e le brutali “Kill Us”, “Resistance” e “Endlessly” vi faranno saltare sulla sedia. Non mancano spazi di sperimentazione (“Merge”, che forse assurge al ruolo di inquietante e disperata ballata o “Remember”, cortissima cantilena sussurrata che poi apre su un inferno di urla e tom) e anche qualche intelligente inserto elettronico (come nella title track “Imperial” e, in generale, dove l’arrangiamento apre alla melodia), ma alla lunga i 45 minuti di durata rischiano di stufare un po’. Per come è suonato, registrato e composto, comunque, 'Imperial' è un treno metal-prog riempito di esplosivo e lanciato a tutta velocità. Da ascoltare. (Stefano Torregrossa)

(Ten to One Records - 2016)
Voto: 75

sabato 29 ottobre 2016

This Burning Day - Elemental

#PER CHI AMA: Metalcore/Djent, Tesseract
La scena rock/metal bulgara, questa sconosciuta: non riesco nemmeno a citare glorie passate e presenti del fiero paese dell'est Europa (chiedo venia per questo), quindi nella mia valutazione, mi sono basato più in generale sulla scena mondiale che ha influenzato la band di Sofia. I This Burning Day (TBD) nascono nell'inverno del 2011 nella capitale bulgara e hanno alle spalle la produzione di diverse tracce, ma solo dopo svariati live e festival, decidono di ritirarsi in studio per date alla luce il loro primo EP, 'Elemental'. I tempi lunghi di gestazione sono stati probabilmente investiti per affinare i suoni, gli arrangiamenti e riallineare gli obiettivi quando qualche elemento della band ha deciso di lasciare il progetto. I risultati sono sicuramente ottimi, a livello di sound i TBD raggiungono livelli professionali, non avendo nulla da invidiare a grandi nomi come Bring Me the Horizon, Tesseract e tutta la scena metalcore e djent da cui traggono ispirazione. Il quintetto è infatti cazzutissimo, con chitarre veloci e aggressive accompagnate da un basso che ricalca le linee melodiche, ma che insieme alla furente sezione ritmica, regalano brani incisivi e variegati. Il vocalist supera perfettamente la prova, districandosi tra un cantato melodico, growl e scream senza battere ciglio, aiutato da seconde voci che, messe nei punti giusti, aumentano l'impatto sonoro delle tracce. "A Former Life" è il concentrato di quanto appena detto, con i suoi quasi cinque minuti ben sviluppati con un'ottima contrapposizione tra sezioni ad alto contenuto di tensione ed oscurità che si risolvono in allunghi ariosi e distesi con ottima sinergia delle parti. Gli spunti elettronici aiutano nel complesso, anche se non sono determinanti, necessiterebbero di più spazio per esprimersi al meglio. Questo succede in "If You Feel the Same", in particolare verso la fine quando una timida tastiera tesse un semplice rintocco di note che, ricche di riverbero, evocano un suono astrale ed etereo. Gli assoli e i riff di chitarra sono come ci si aspetta, ma non diamo per scontato cotanta tecnica e varietà, anche se il livello generale degli ultimi anni è in netta crescita. Registrazione, mix e mastering sono da manuale, sarei curioso di ascoltare un live e vedere se tutto ciò è almeno in parte sostenibile fuori dall'ambiente ovattato e sicuro dello studio di registrazione. Dopo aver ascoltato i video della band sul tubo, sembra essere proprio cosi, e allora il quintetto può dirsi maturo anche in questa parte. Ben fatto il digipack e leggendo anche i testi, si nota la cura nel ricreare atmosfere oscure dove, tra ambientazioni urbane e opprimenti, lo spirito cerca una via di fuga e un modo per riscattare un'esistenza apparentemente circondata da sofferenza. Una band che dopo aver fatto i compiti per casa, ovvero aver studiato per bene la scena metalcore/djent attuale, ora è pronta a contribuire con la propria creatività. Speriamo sia così, sarebbe una gran bella sorpresa per il full length che arriverà, prima o poi. (Michele Montanari)

(Self - 2016)
Voto: 75

martedì 25 ottobre 2016

Except One - Haunted Humanity

#FOR FANS OF: Melo Death/Metalcore, Eths, The Agonist
Emerging from the French underground, the new EP from Melodic Death Metal/Metalcore hybrid Except One have quickly become a vibrant part of the scene with the five-piece honing into a fine mixture of aggression and beauty. As is the case for most modern female-fronted efforts in the style, the main crux of the band is the ability to shift between the deep, heavy churning riff-work with the accompanied gruff, violent vocals while still maintaining a clear balance of lighter, groove-centered work throughout here that gives this a strong overall variety between the aggressive rhythms and relaxed melodies. While it’s somewhat of a one-note approach without really bringing any kind of differentiatly throughout here, for the most part there’s not a lot to dislike here with the consistency ringing true throughout here. Intro ‘Rise’ whips along through a series of tight chugging breakdowns and stylish mid-tempo groove-centered riffing that carries along nicely through the rather charged final half for a solid, impressive opening highlight. ‘Lost’ offers along a slightly more up-tempo and energetic variation with a greater emphasis on deep, heavy chugging and twisting metalcore-styled rhythms while ramping up the breakdowns and sprawling patterns into the finale for another strong highlight. ‘Schizofriend’ takes on slightly more melodic swirling riffing alongside some ferocious and strong grooves wrapping around the sprawling massive rhythms that chugs along into the final half for a fine if solid enough effort. ‘Revenge’ returns to the strong and tightly-wound chugging patterns found here with plenty of fine breakdowns amongst the groove-filled chugging into the finale for a much stronger effort. ‘Elm Street’ features a strong plodding chug rhythm and swirling breakdowns alongside the slower pace while bringing in the stronger and less intensive charging rhythms leading into the grinding finish. ‘Disease’ brings forth plenty of strong and straightforward grooves among the swirling riff-work offering ferocious and charging blasts of strong swirling melodies into the final half for another fine highlight. Lastly, album-closer ‘7even’ moves past a trinkling opener into another strong, swirling blast of grooves and churning riffing to a fine, melodic whole offering the charging breakdowns and grooves heading into the finale for another nice effort and a good lasting impression. On the whole there’s quite a lot to like here. (Don Anelli)

domenica 23 ottobre 2016

Aanod - Yesterday Comes Tomorrow

#PER CHI AMA: Metalcore, In Flames
Che non sia un fan del metalcore è risaputo da tempo, quando poi ricevo i cd in formato CD-r tendo ad innervosirmi parecchio e propendere per il mio sport preferito, il lancio del disco fuori dalla finestra. Questa volta devo ammettere di aver cercato di mitigare il mio caratteraccio per dare una chance ai francesi Aanod, concedendogli qualche attenuante che non starò qui a spiegare. Placata la mia furia, eccomi all'ascolto di 'Yesterday Comes Tomorrow', dischetto di sette pezzi, votati a sonorità metalcore. Gli Aanod sono parigini e si dilettano nel proporre pezzi immediati, energici, un po' ruffiani sebbene attingano le proprie influenze anche dall'hardcore, cosi come pure da tutta quella miriade di band che fa dell'utilizzo di ritmiche sincopate il proprio credo, non dimenticandosi ovviamente il dualismo vocale pulito (emo?)/growling. Ebbene, immagino anche voi abbiate già capito dove incasellare la proposta di questa band, tuttavia non è tutto da buttare nel cestino del già sentito il disco degli Aanod. Sebbene le prime due tracce puzzino lontano un miglio di già sentito, è in realtà con la terza traccia che i nostri iniziano a svoltare e catturare la mia attenzione. Date pertanto un ascolto veloce alle prime due canzoni ma concentratevi piuttosto su "Resource" e il suo stile che omaggia in primis gli In Flames, ma che poi s'incupisce in un riffing più ritmato e decisamente oscuro, in un brano che vede ricordare, a livello di cori, anche un che dei Deftones. "Pariah" è un'altra song che coniuga il metalcore melodico con una certa vena cibernetica, in cui comunque sottolineerei la performance, parecchio convincente, del vocalist. Si prosegue sulla stessa scia anche con i successivi brani, dove i synth provano a regalare una maggiore freschezza a brani altrimenti un po' piattini. Sebbene ci sia ancora da lavorare parecchio alla ricerca di una propria ben definita personalità che qui fa fatica ad emergere, il disco si lascia ascoltare piacevolmente, tra piacevoli alti e noiosissimi bassi. Per ora, per soli fan del genere. (Francesco Scarci)

martedì 20 settembre 2016

Fallen Eight - Rise & Grow

#PER CHI AMA: Metalcore/Nu metal/Alternative, Disturbed
I Fallen Eight vengono da Parigi e non propongono metal estremo. Questa è già una novità per chi come me, è abituato a frequentare band black o death d'oltralpe. Il quintetto, al debut con questo 'Rise & Grow', propone un heavy metal contaminato assai potente, in un 6-track ben confezionato e (self)prodotto. "Reborn", "Come From the Sky", "Final Shot", "Breath of the Ages", "Light" e l'ultima "Worst Nightmare", scorrono via veloci, miscelando un ruffiano metalcore con una forma più moderna di Nu metal, che assai spesso tende ad indurre un feroce headbanging, come se nel vostro stereo stesse ancora scorrendo un pezzo dei Pantera del 1992 o un qualcosa di più alternative in stile Disturbed. Ecco l'effetto Fallen Eight, proporre song dirette, vocals incazzate, ma quasi mai in versione growl e chorus catchy. Un plauso va poi alla sezione ritmica grazie ad un riffing metallico, ben calibrato che incorpora al suo interno sia la cattiveria del heavy metal più intransigente anni '80 che di sonorità decisamente più mainstream, stile Linkin Park o Avenged Sevenfold. Per quanto non sia un un fan del genere, un ascolto disinteressato a 'Rise & Grow', lo concederei anche. (Francesco Scarci)

Blobfish Killer - S/t

#PER CHI AMA: Hardcore, The Bronx
Picchiano, picchiano duro i marsigliesi Blobfish Killer, esponenti di un hardcore in acido davvero interessante. L'Ep omonimo (peccato averlo avuto in mano soltanto oggi) consta di tre pezzi, che partendo da "Erotic Palace", cattura per la linearità della sua proposta: un rifferama molto rock con voci invece assai caustiche, contaminato da schegge di musica elettronica, metalcore e sicuramente un pizzico di follia, il che non guasta mai. Ottime le linee di chitarra in "Party Hard", belle pestanti con sopra quella voce schizzata del frontman a gridare tutta la propria rabbia; spettacolare il break rock'n roll quasi ad inizio brano, che incendia l'aria che è un piacere. I nostri poi vanno via spediti verso la meta, ossia il terzo brano, "Never Again", che in poco meno di tre minuti, ha il compito di chiudere con ferocia un breve EP, che rappresenta un buon antipasto per questa dinamitarda band transalpina. Niente per cui gridare al miracolo, ma tanti suoni intimidatori adatti ai fan dei The Bronx. (Francesco Scarci)

domenica 18 settembre 2016

Dive Your Head – Le Prix Du Sang

#PER CHI AMA: Hardcore/Metalcore
La band francese dei Dive Your Head s'incastra alla perfezione in un limbo sonoro tra metal, nu metal, hardcore e metalcore senza imitare nessuno, pur restando fedele ai canoni stilistici dei suddetti generi. La commistione sonora è lanciata in orbita da una prova canora decisamente esaltante ed esplosiva del vocalist Luca Depaul – Michau, un vero creatore di rabbia urlata al vetriolo. Alla prestazione vocale sopra le righe aggiungiamo anche che Luca canta in lingua madre e questo rende la storia molto intrigante e personale, nel ricordo di grandi band conterranee come FFF o Noir Desir che in ambiti musicali diversi, hanno avuto il coraggio di sostituire il classico inglese con il francese, ottenendo ottimi risultati. La band suona secca e precisa, dominata da riff aggressivi e un drumming tesissimo, per cui tutto il carico del suono è spalmato in brani velocissimi e sempre in tiro, mostrando tutta la loro potenza in composizioni che arrivano al massimo intorno ai quattro minuti. Niente fronzoli e tanta rabbia, da ascoltare e da saltare, con parecchi watt da vendere e quel tocco modernista alla Of Mice & Men che non guasta in una band così giovane, essendosi formata nel 2012. Buona la tecnica di tutto l'ensemble, con poco spazio concesso ad inutili virtuosismi, un'attitudine hardcore, un velato amore per i ritmi alla Slipknot ma anche una propensione all'orecchiabilità, che non vuol dire per forza perdita di coerenza e potenza ma al contrario, così sparsa tra un brano e l'altro, fa in modo che l'album risulti assai trascinante e di facile accesso, in grado cosi di soddisfare anche i più esigenti a riguardo del genere. Si percepisce la voglia di farsi largo tra i tanti progetti esposti in questo campo, spingendo al massimo l'acceleratore su ritmi incalzanti dal sapore metal e dal piglio hardcore, omogenei e pesanti sulla scia di band come August Burns Red, e i già citati Of Mice & Men, qualche nevrosi alla Cursed, anche se non in chiave così sotterranea, e un accenno di folle tecnologia metallica virata verso gli ultimi Fear Factory, che esalta l'impeto di un drumming mozzafiato. Ottima l'apertura affidata a "Les Rois Perdus" o l'incedere lento, teso e futurista di "Luxuria" con le sue sferragliate al veleno che non lasciano il tempo di riprendere fiato (il mio brano preferito) o ancora "Post Mortem" così grooveggiante (in alcune parti di voce pulita immaginate di sentire i geniali Helmet cantati in francese!) e isterica da non riuscire a stare fermi (esplosiva e perfetta per l'headbanging!). Alla fine, la band transalpina con questo album non potrà che ottenere buoni consensi, ed anche al di fuori dei confini nazionali, il cantato in lingua madre potrebbe risultare come una novità e riscuotere un ottimo riscontro di pubblico. Ascoltate e riascoltate senza remore questo album, non ve ne pentirete! (Bob Stoner)

sabato 10 settembre 2016

Eradikal Insane - Mithra

#FOR FANS OF: Death/Metalcore,The Black Dahlia Murder, Neaera, Benighted
Finally making it to their debut effort, French Death Metal/Metalcore fusioners Eradikal Insane have certainly seen their share of struggles over the years and have honed the anger and intensity into a fine package. Though there’s plenty of Death Metal influence in the riff-work, at the heart of the matter here is the absolutely strong and enjoyable manner in which the album makes room for it’s hard-hitting breakdowns that are incorporated here alongside the riffing which takes a lot of influence from the tightly-wound rhythms of grindcore. Technically explosive and endearingly violent, there’s plenty of sharp-edged work to be found here if way too one-note about it’s work as it’s all quite built around the same overall rhythm patterns that it doesn’t really do much to differentiate itself from the other hard-hitting groups of this style. Still, there’s plenty to like overall in the tracks for those that like that sort of violent, intense approach. Opener ‘A Perpetual Nothing’ immediately blasts through tight, mechanical patterns with plenty of deep chugging and rather furious, technical patterns with plenty of rather hard-hitting riffing amongst the breakdowns leading into the finale for a rather strong first impression. ‘Initium’ whips up a strong series of grinding patterns with a series of technical breakdowns coming continuously throughout the main patterns with the blasting drumming chopping along throughout the feverish technical breakdowns in the final half for a hard-hitting highlight. ‘Sediments of Misconception’ offers plenty of tight grinding riffing and fast-paced drumming that brings out rather strong and impassioned breakdowns that merge alongside the blasting drumming and technical riff-work throughout the charging finale for another strong highlight. ‘Consciousness Alight’ utilizes blistering technical riffing and grinding drum-work to a stellar mid-tempo series of breakdowns that bring about the stellar hardcore influences alongside the tight, technical rhythms while offering a stellar chug in the final half for a decent if unimpressive effort. ‘Abrasive Harbingers’ blazes with ferocious swirling technical leads and sprawling breakdowns bringing out the varied tempo changes leading along throughout the fine blasting and tight swirling leads grinding away into the finale for a much stronger effort. The instrumental title track offers a fine mid-album breather with a light acoustic guitar strumming away and leading back into next track ‘Intrinsic Propensity’ which blasts through brutal, intense riff-work and finely-charged breakdowns filled with utterly pummeling drumming holding the violent razor-wire riffing and grinding patterns through the intense rhythms leading into the final half for the album’s best track overall. ‘Archetypes’ offers a slower mid-tempo crunch that works nicely at bringing the breakdowns flowing into the technical rhythms grinding through the steady patterns flowing along throughout the extended series of rhythms and breakdowns into the finale for a highly enjoyable if overlong effort. ‘Harvest’ uses a tough, mid-tempo grinding pattern with plenty of ferocious blasting to work along through a steady, blasting section that goes through tight breakdowns and steady chugging leading back through the technical riffing in the grinding final half for a steady, enjoyable offering. ‘Universal Spine’ features a long, droning intro before blasting into tight, swirling and ferocious rhythms with plenty of tight patterns holding through the steady grinding and technical riffing along through the rather overlong sections in the finale for a decent if again way too long effort. Finally, album-closer ‘Metanoia’ uses a series of tight, grinding patterns and plenty of swirling technical riff-work that leaves the faster tempos along into the series of breakdowns while letting the tight rhythms coming back and holding into the blistering final half for a strong enough lasting impression. There’s a lot to like here even with the flaws. (Don Anelli)

(Self - 2015)
Score: 75

giovedì 8 settembre 2016

Face The Maybe - The Wanderer

#PER CHI AMA: Progressive/Metalcore, Between The Buried And Me, Periphery
Per me il progressive vero è finito con 'A Change Of Season' dei Dream Theater. Lo ripeto da anni. Eppure, continuo ad essere smentito da queste realtà indipendenti (penso agli Earth’s Yellow Sun, ai No Consequence, ai Tardive Dysknesia) formate da musicisti straordinariamente dotati di tecnica, intuito, capacità e voglia di sorprendere. In questa categoria entrano oggi a gamba tesa gli spagnoli Face The Maybe, con il loro 'The Wanderer' – che segue il debut 'Insight' del 2011. Un disco straordinario, sorretto da un lavoro vocale praticamente perfetto (Tomas Cunat passa con facilità da una voce pulita, precisa ed estesa ad un convincente harsh-vocals tinto di growl) e da una capacità di songwriting davvero rara. Le dodici tracce trasudano continuità e coerenza da tutti i pori, e permettono al quintetto di Barcellona di esplorare tutti i canoni del genere: c’è il metalcore dei Periphery con i ritornelli strappamutande (“All That I See” e “Seth”), c’è il djent ipertecnico (“Dagger” e “The Swan”), c’è l’epicità oscura di certi Opeth (“New Dawn”); e non mancano ovviamente sfumature dei più classici Dream Theater (“The Wanderer”). Ma ogni riferimento è frullato e digerito dai Face The Maybe, che affrontano la scrittura dei brani con maturità, personalità e con un’attenzione alla melodia che, pur facendo storcere il naso ad alcuni puristi del metal, trasforma un disco difficile, tecnico e impegnativo in un’esperienza di ascolto godibilissima anche ad orecchie non preparate. Non sorprendetevi, dunque, se ascoltando 'The Wanderer' vi troverete a passare da uno shredding violentissimo di chitarra su un tappeto di doppia cassa, ad un ritornello che potreste tranquillamente fischiettare sotto la doccia. C’è molto materiale al fuoco (dodici pezzi, quasi tutti sopra i 6 minuti e con punte di oltre 9), forse fin troppo. Ma ne vale la pena. (Stefano Torregrossa)

martedì 6 settembre 2016

I-Def-I - In the Light of a New Day

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Emocore, Breed 77
Dopo il Mcd 'Bloodlust Casualty' del 2005, ritornano gli inglesi I-Def-I con il full length di debutto e un risultato che definirei soddisfacente. Dopo un anno di lavoro, partecipazioni a compilation, apparizioni a festival, e su diversi magazine internazionali, la band di Manchester centra l’obiettivo al primo colpo, con un album vario che potrà piacere ad una vasta schiera di heavy metal fans: dai seguaci del movimento metalcore agli amanti del thrash, passando attraverso gli ascoltatori più incalliti dell’emocore, ma più in generale a chiunque mostri una mentalità aperta. Il quartetto inglese scalda gli animi con 15 songs davvero buone (ma forse un po' troppe) che si barcamenano all’interno di sonorità alternative, premendo saltuariamente il piede sull’acceleratore e sfociando raramente, in territori swedish death o in altri momenti, in territori più metalcore. I ragazzi sono bravi a mixare riffs di chitarra, talvolta pesanti, a melodici break. Questo è metal moderno, anche se, in taluni casi, il rifferama può risultare preso in prestito dai Pantera (come si evince nei primi pezzi), mentre il modo di cantare di Chris Maher, può ricordare un ibrido tra il Mike Patton ai tempi dei Faith No More e il vocalist dei Linkin’ Park, per l’uso un po’ rappato della sua voce. La traccia “Tunnel Rat” ospita addirittura un assolo del buon vecchio Slash dei Guns’n Roses, un po’ arrugginito ma che si conferma essere sempre un musicista di gran classe. La proposta della band albionica è decisamente attuale, i ragazzi mostrano un grande potenziale, ahimè poi rimasto tale, visto lo scioglimento nell'anno successivo. Meteore! (Francesco Scarci)

martedì 30 agosto 2016

Vert - Accepting Denial

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Emocore, Lost Prophets, Incubus
Dall’area di Wolverhampton (UK), nel 2007 saltò fuori quella che sembrava la new sensation del momento, i Vert. Francamente mi trovo di fronte ad una delle tante band che popolavano il mercato discografico in quel periodo, con il conseguente rischio di saturarlo, a causa della loro proposta musicale non del tutto originale. Il quartetto inglese, accostato più volte dai magazine ad Incubus e Lost Prophets, propina un sound energico e robusto fatto di chitarre non troppo pesanti, ma abbastanza veloci, cariche di una certa attitudine punk, che fanno il bello e il cattivo tempo, lungo le 10 tracce di questo 'Accepting Denial', primo e unico full length per la band britannica (nel 2009 lo scioglimento inevitabile). La voce di Steve Braund oscilla tra momenti malinconici ad urla cariche di rabbia. La musica dei nostri, mai troppo cattiva, anzi piuttosto ruffiana, paga dazio, in diversi pezzi, alle band succitate, come pure in alcuni frangenti sono udibili reminiscenze metalcore. Qui trovate dell’easy music che avrà fatto sicuramente la gioia degli amanti di sonorità nu metal/rock. Egregiamente prodotti ai MCC Studios da Andy Giblin (Slipknot, I-Def-I, Kill 2 This), i Vert non fanno altro che svolgere il loro compitino raggiungendo una stringatissima sufficienza, mixando sonorità catchy a vocals da MTV. Il disco non mi ha mai convinto appieno, però non è neppure da stroncare; mi è rimasta solo la curiosità di sapere dove i nostri potevano andare a parare in una successiva produzione. (Francesco Scarci)

mercoledì 29 giugno 2016

Everything Behind - Man From Elsewhere

#PER CHI AMA: Metalcore/Alternative
Il metalcore è un genere tosto. L'ho dato per morto una miriade di volte in quanto svuotato da ogni tipo di significato poichè consumato, usurato, esaurito in fatto di contenuti. Eppure, ogni volta si rialza, si reinventa e ha sempre modo di proporre una variazione al genere, magari contaminandolo con altre sonorità. Un plauso va quindi ai francesi Everything Behind che nel loro 6-track, sono riusciti a buttare dentro alla loro proposta metalcore, un qualcosa di hardcore, un pizzico di heavy metal, una spruzzata di rock e addirittura una glassa di elettronica (e "Welcome to the End" ne è un bell'esempio e anche la mia traccia preferita). Il risultato è questo dischetto intitolato 'Man From Elsewhere', uscito a dicembre 2015 che tra lo scetticismo generale, compreso quello del sottoscritto, è riuscito a sorprendermi non poco. Chiaramente, come detto più volte, c'è ben poco da inventare in questo ambito, ma forse è un discorso che potrebbe essere esteso a tutto il metal in generale. Tornando agli Everything Behind, l'alternanza tra i classici riffoni sincopati, qualche break math o qualche accenno alternative, nonchè la buona prova del vocalist soprattutto a livello di clean vocals, mi fanno considerare questo lavoro un buon lavoro. Per carità, talvolta suonerà ruffiano, inutile nasconderlo, perchè anche voi percepirete in "Will You Let Love" un po' di quella puzza Nu Metal, però 'Man From Elsewhere', nel proseguio del mio ascolto, continua ad essere sempre più piacevole e addirittura imprevedibile. Onirico nella strumentale "13.11.15", feroce e un po' più banale in "Reborn", una traccia che tuttavia vive di saliscendi ritmici e che, nel su spettrale finale, ci introduce alla title track. Quest'ultima song rappresenta un po' la summa di quanto ascoltato fin qui nei 30 minuti di questo secondo lavoro firmato dalla band parigina. C'è sicuramente ancora da lavorare per identificare una propria identità ben definita, smussare gli spigoli e le banalità in cui facilmente l'act transalpino cade per inesperienza (come ad esempio una orribile cover cd); malgrado questo le potenzialità sono assai elevate. Li aspetto al varco, attenzione a non deluderci con il prossimo passo... (Francesco Scarci)

Soulhenge - Anachronism

#PER CHI AMA: Djent/Metalcore, Tesseract, Meshuggah
Il Lussemburgo, pur essendo un piccolo paese, inizia ad avere una scena metal che pian piano prende forma, grazie anche al supporto del ministero della cultura (cose impensabili per il nostro paese). Cosi, dopo aver recensito quest'anno gli Sleepers’ Guilt, ecco che facciamo la conoscenza dei Soulhenge, quintetto di Diekirch, dedito a una forma di modern metal. Nei quattro pezzi inclusi in questo EP, intitolato 'Anachronism', non possiamo che farci investire dal loro djent venato di influenze metalcore e mathcore (che erano assai più marcate nel precedente album 'Fragments'). Le danze aprono con "A New Dance", dove palese è la carica di groove che esonda dalle note della opener track, che ha modo di mostrare il dualismo vocale, in pulito e growl, del frontman Ozzy, il chiaro contrapporsi tra il riffing distorto, creato dal duo di asce formato da Yannick e Milian e la delicatezza dei synth, in una traccia che assimila inevitabilmente gli insegnamenti dei Meshuggah su tutti. I dettami dei gods svedesi vengono fusi nella successiva "The Atomic Age", con il suono accattivante del djent dei Tesseract e dei Born of Osiris, in poliritmici pattern ricchi in melodia, breakdown acustici, vocalizzi catchy e chi più ne ha più ne metta, per risultare ai più, decisamente easy listening. Non vi soffermate però su queste sole parole e lasciatevi trascinare dal ritmo coinvolgente e travolgente dei Soulhenge, capaci di fondere nel loro sound anche influenze progressive e ipnotici intermezzi di tastiera (ascoltate "Serenity" per questo e non ve ne pentirete). Giungiamo con una certa velocità alla conclusiva traccia, la title track di questo EP, che segna senza ombra di dubbio un grande passo in avanti rispetto al debutto, pur senza inventare nulla, ma semplicemente arricchendo il proprio sound a livello di arrangiamenti, pulizia di suoni e ottime melodie, costituendo un buon e solido punto di ripartenza per la band del piccolo granducato europeo. (Francesco Scarci)

(SACEM - 2016)
Voto: 70

https://soulhenge.bandcamp.com/

mercoledì 22 giugno 2016

Master Crow - Die for Humanity

#FOR FANS OF: Melo/Techno/Deathcore, Arsis, Gorod
Hailed as a supergroup of French talent, this second full-length from the melodic/technical death metallers Master Crow bringing along plenty of highly enjoyable elements to make for one of the most explosive and enjoyable offerings in the style. The main segment at play here is the fact that the riff-work is just simply overwhelmingly technical and frantic, whipping up sizeable storms of complex chugging patterns driven along with plenty of ferocious industrial intensity, leaving this one to bring along the sort of blistering rhythms and cold, mechanical feel that’s simply devastating. The approach works in spades with the differing rhythm styles come along with the melodic leads that adds an accessible tone to those mechanical chugging patterns, furthering the overall enjoyment factor of the album with the wholly appealing facet where it’s complex and challenging rhythms that retain a wholly listenable approach with some appropriate and engaging melodies thrown into the mix. Though this does make the album seem somewhat one-note and without a whole lot of variation it’s still engaging and enjoyable enough for a wholly enjoyable listen. The tracks here represent that with a lot to like overall here. The opening title track takes an epic series of swirling rhythms before turning into ravenous pounding drumming and ferocious chugging riff-work leading through the stylized industrial rhythms and polyrhythmic patterns swirling along throughout the solo section and carrying into the frantic chugging patterns in the finale for a highly enjoyable opener here. ‘Down from the Sky’ features blistering technical polyrhythmic riff-work and light melodic drumming chugging along at a frantic mid-tempo pace offering plenty of stylish technical breakdowns alongside the swirling melodic leads bringing the tight riffing patterns through the final half for another highlight effort. ‘Road of Vice’ brings polyrhythmic technical charging patterns and blistering technical drum-work along through plenty of ravenous riffing and plenty of dynamic drum-blasts that bring the melodic flurries in small doses against the dynamic chugging whipping along through the finale for a decent enough effort. ‘Katyusha’ takes a slow, swirling series of droning riff-work and dexterous, technical drumming whipping along through highly complex rhythms full of feverish tempos blasting along through the breakdowns in the chugging rhythms through the solo section and keeping the frantic technical energy along through the chugging final half for another strong highlight. ‘Scream in the Night’ blasts through dynamic chugging riffing and pummeling drumming with plenty of driving technical rhythms firing along through the explosive series of overwhelming technical patterns blasting away against the melodic leads augmented with the clean vocals into the breakdowns of the finale makes for a wholly impressive offering. ‘Staind in Blood’ uses buzzing chug rhythms and mechanical patterns through a series of furious breakdowns that whip along through a wholly frantic and furious blast of blazing technical chugging alongside the blasting drum-work that chops along through the final half for a blazing highlight. ‘Born to Be Crucified’ takes stuttering technical rhythms and frantic mechanical rhythms with pummeling drum-work carrying along through the stuttering tempo as the melodic rhythms carry along through the explosive swarm of up-tempo rhythms along through the breakdown-laden solo section and on through the finale for a strong and overall enjoyable effort. ‘Eye of the Troll’ takes blistering, blazing drumming with plenty of tight, choppy technical rhythms alongside the furious technical, challenging riffing with plenty of stellar polyrhythmic runs along through the tight breakdowns as the choppy melodic leads carry the frantic paces along through the sprawling final half for a decent and enjoyable offering. Closing with the Theo Holander version ‘Down from the Sky’ which doesn’t really offer much of a difference from the earlier normal version and doesn’t offer enough of a change that there’s any reason for it to be included here as it’s the same blasting drumming over frantic technically-challenging chugging that appeared on the other version, leaving it a curious inclusion overall. Overall this one had quite a large amount to fully like here. (Don Anelli)

lunedì 13 giugno 2016

Balance Breach - Incarceration

#PER CHI AMA: Melo Death, Soilwork, Omnium Gatherum
Ascoltando l'opener dell'EP dei Balance Breach, nonché anche title track di questo 'Incarceration', ho avuto l'impressione di rivivere le stesse emozioni che provai all'ascolto di 'Quicksilver Clouds' dei Throes of Dawn, qualche anno fa. Chitarra dark corredata da un'avvolgente atmosfera e da vocals graffianti. Impatto a dir poco entusiasmante, peccato solo si esaurisca nell'arco di un paio di minuti e di quel death dark non rimangano altro che briciole affidate invece ad un rifferama sincopato, scuola Meshuggah. "Deprivation". Muro di chitarre, screamo, stop'n go e voilà, il melo death/metalcore del duo di Mikkeli è servito. Il sound dei Balance Breach non propone grosse novità in un ambito in cui non c'è, a dire il vero, più molto da dire e alla fine i nostri si limitano a un compitino ove abilmente l'act scandinavo raggiunge la sufficienza, tra melodie ammiccanti, dark vocals pulite ("Useless Prey"), scale ritmiche inserite in un ipnotico contesto tutto da sviluppare ("Cast Aside") e linee di chitarra che qua e là richiamano a random, Soilwork e Omnium Gatherum, andando poi a braccetto con atmosferiche keys, come in "The Essence of Joy", dove vorrei segnalare un pout pourri di vocalizzi (mi sembra di aver contato addirittura quattro timbriche differenti). Insomma il più classico caso "ci sono enormi potenzialità, ma non vengono sfruttate a pieno". Diamoci dentro ragazzi! (Francesco Scarci)

Wastage - Slave to the System

#FOR FANS OF: Thrashcore/Metalcore, Machine Head, Biohazard
One of the longest-running acts in the Slovak underground, Thrashcore/Hardcore group Wastage are just barely now getting to their full-length debut and it’s quite an enjoyable mesh of their styles. Taking the stuttering rhythms and rather heavy propensity for breakdowns that fuel most Hardcore bands with a more rousing Thrash Metal aesthetic when it comes to the straightforward rhythms and paces which is certainly an enticing enough mixture on paper. Offering a mostly mid-tempo chugging charge with an occasional faster charge alongside those other harder-hitting breakdowns featured together here keeps the material nicely enjoyable despite the fact that way too much of the album comes off as rather one-dimensional with the majority played way too much in a straight way. There’s little deviation to be found here and it really seems a little sluggish in the mid-section where it blends together throughout here. In the finale it gets a little better with some stronger tracks but the middle is where it holds this down somewhat. There’s some pretty enjoyable work here. Intro ‘Away From The Darkness’ immediately blasts through a thumping series of mid-tempo hardcore-styled rhythms and tight patterns holding the stilted rhythms along through the stellar series of thumping and pounding drumming as the chugging breakdowns continue on through the charging final half for a fine opener. The title track offers a rumbling bass-line and a thumping series of tightly-wound and charging churning riffing into a steady, breakdown-laden patterns leading into the brief solo section and on into the final half for a solid and enjoyable effort. ‘Game’ features throbbing rhythms and clanking patterns that stuttering along through a plodding, low-key pace with tight patterns swirling along throughout the thumping series of patterns leading along into the plodding finale for an overall disappointing and disposable effort. ‘No Way Out’ utilizes immediate thumping rhythms and hard-hitting patterns thumping along to the charging and hard-hitting pounding breakdowns along throughout the thrashing rhythms charging along to the twisting rhythms found throughout the final half for a solid enough effort. ‘Ham-let’ features swirling thrash rhythms and chugging mid-tempo paces with plenty of thumping breakdowns holding the tight, straightforward chugging patterns in a steady pace with a steady solo section and breakdowns flowing into the finale for a much more enjoyable track. ‘You Can’t Stop’ uses thumping mid-tempo series of charging breakdowns with quicker thrashing patterns with the harder drumming keeping the stylish, stuttering chugging riff-work bringing the blasting rhythms along through the final half for a solid, enjoyable highlight. ‘Right Now’ takes harder thrashing rhythms with soaring leads and thumping drumming along through the steady, mid-tempo pace with the full-on stuttering riffing leading through the solo section and leading through the chugging finale for another rousing highlight. ‘I Walk Alone’ utilizes thumping mid-tempo grooves with plenty of charging riff-work through a hard-hitting series of chugging riffing that brings the stuttering paces along through the steady swirling breakdowns with the steady thumping patterns holding on through the final half for a solid enough effort. ‘Nobody’ features a series of hard-hitting thumping rhythms and steady breakdown-laden chugging that moves through a steady series of swirling thrashing riff-work and pounding drumming that continually moves through the strong patterns leading into the finale for another strong highlight. ‘Let Me Go’ takes immediate thrashing patterns and plenty of stylish swirling riffing with plenty of steady thrashing alongside the few minor breakdowns chugging along to the steady, straightforward thrashing patterns holding on through the solo section and on through the blistering final af for another strong effort. Lastly, album-closer ‘Confidence’ takes intense rattling thrashing riffing and pounding drumming through a steady, intense series of up-tempo charging patterns that whip along into a steady series of swirling patterns full of hard-hitting leads and coming along into the utterly blistering finale for the album’s best track to really end this on a high-note. It doesn’t have enough wrong overall to really hurt it much at all. (Don Anelli)