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Visualizzazione post con etichetta Depressive Black. Mostra tutti i post
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domenica 8 aprile 2018

Deadly Carnage - Through the Void, Above The Suns

#PER CHI AMA: Post Metal/Blackgaze, Novembre, Alcest, Shining, Neurosis
Seguo con interesse l'evoluzione musicale dei romagnoli Deadly Carnage sin dagli esordi; lo dimostra il fatto che su queste stesse pagine ho recensito quattro dei loro ultimi cinque lavori e non ho che potuto apprezzarne e sottolinearne la loro progressione sonora. 'Through the Void, Above The Suns' era un lavoro che aspettavo con grande curiosità per tastare il polso della band di Rimini dopo l'ottima performance di 'Manthe' e la virata verso sonorità di "alcestiana" memoria dell'EP 'Chasm'. Ebbene, il nuovo disco, un concept votato a tematiche cosmiche, combina di tutto un po', dagli ultimi ammiccamenti alla band francese a forti reminiscenze che ci conducono addirittura ai britannici The Blood Divine, li ricordate, la band nata per mano di Darren White, dopo la fuoriuscita dagli Anathema? Perché dico questo? Perché il nuovo vocalist dei nostri, Alexios Ciancio, prima solo chitarra e synth nella band e che ora ha assunto anche il ruolo di cantante, ha uno stile che si avvicina appunto a quello del bravo Darren, cosi sofferente e disperato nelle sue linee vocali. È palese già da "Matter", ancor di più con la splendida ed inquieta "Hyle", due brani che mostrano nuove influenze per i nostri che provengono sia dal post/sludge metal (per la prima traccia) che dal death doom albionico (nella seconda). Un pezzo strumentale, "Cosmi", ci conduce a "Lumis", una song che sembra riprendere quel retaggio del passato dedito al depressive black e coniugarlo con la nuova dimensione sonora dei nostri, in un nuovo folgorante ibrido tra Shining e The Blood Divine (chissà poi se la band è d'accordo con la mia disamina), lanciato in un potentissimo assalto post black, in stile Wolves in the Throne Room a occupare la seconda parte del brano, prima che il suo umor nero venga smorzato da sonorità assai vicine ai nostrani Novembre. Tutto chiaro no? L'ascolto dell'album è un'autentica epifania di suoni e umori che rendono questo 'Through the Void, Above The Suns' un lavoro di grande spessore. Spettacolare a tal proposito quella che ho già eletta a mia traccia preferita, "Ifene": cantata in italiano, è un flusso sonico di sonorità post black emozionali con un cantato pulito ma sofferente, atmosfere decadenti e drammatiche, una sorta di versione black di 'The Silent Enigma' degli Anathema, che a metà brano virerà verso quelle splendide malinconiche melodie tanto care ai Novembre, grazie e soprattutto ad un coro carico di una spinta emozionale davvero di grande impatto, da ascoltare e riascoltare fino alla nausea, perché i brividi che ha prodotto sul mio corpo era tempo che non li provavo. Un altro indovinato intermezzo strumentale, "Fractals" e arriviamo a "Divide", dove torna prepotente l'influenza degli Alcest più violenti, almeno nella parte iniziale del brano, con il cantato eccellente di Alexios molto vicino per stile a quello di Neige, mentre la seconda metà del pezzo assume connotati decisamente più sognanti che tirano in ballo, questa volta solo a livello vocale, la band di Carmelo Orlando. Arriviamo all'ultima onirica "Entropia", un concentrato mellifluo di suoni post metal e blackgaze, un ibrido tra Neurosis e Alcest che sottolinea l'eccezionalità di un pezzo ed in generale di un album che potrebbe anche diventare una pietra miliare della scena metal italiana. A chiudere, un plauso anche per il curatissimo digipack e le splendide immagini contenute nel booklet interno. Disco riuscitissimo e stra-raccomandato! (Francesco Scarci)

(A Sad Sadness Song - 2018)
Voto: 85

venerdì 16 marzo 2018

Ghâsh - Goat

#PER CHI AMA: Blackgaze/Post Rock
Altra one-man-band proveniente dal Cile, questa volta capitanata da Mr. Ghâsh, che con il suo progetto omonimo, assicura i propri servigi per la cannibale Pest Productions. Come spesso capita, le produzioni della potente etichetta cinese, sono all'insegna di suoni depressive e blackgaze, che viaggiano a cavallo tra black e post-rock. E la band di oggi, originaria della capitale cilena, non è da meno, con un lavoro di sei deliziosi pezzi, che ci guidano da 'Fenix" fino alla conclusiva "Goat", attraverso chiaroscuri malinconici, luci e ombre, saliscendi emotivi, torrenziali flussi sonici e cascate melodiche. Il tutto è guidato da splendide chitarre in tremolo picking, screaming vocali, tonnellate di riverberi e montagne di atmosfere catalizzatrici una straziante malinconia interiore, quella che fa versare lacrime quando pensi a ricordi mai assopiti, ad amori andati o a persone care perdute. Ecco cosa mi ha portato l'ascolto di 'Goat', un breve gioiellino di musica che non ha le pretese di colpire per la sua perizia tecnica o le acrobazie musicali dei suoi esecutori, ma semplicemente vuole arrivare dritta al cuore, sfruttare quella sua intensità e colpirci nel nostro punto più debole, l'anima. E là, conquistarci. Dite poco? Ghâsh con me ci è riuscito. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2017)
Voto: 80

https://pestproductions.bandcamp.com/album/goat

domenica 11 marzo 2018

Black Sin - Solitude Éternelle

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal, Shining, Burzum
I Black Sin sono un quartetto francese, formato da membri di Cult of Erinyes, Imber Luminis e Deluge, che dopo aver rilasciato lo scorso anno questo 'Solitude Éternelle', ha pensato bene di sciogliersi. Ora, non conosco le cause che hanno portato allo split della band, tuttavia posso solo sottolineare ombre e luci della proposta suicidal black dei quattro musicisti transalpini. Il disco si apre con un'intro a base di urla disperate e ritmica caotica che preannuncia l'arrivo di "Lente Descente", una traccia che evidenzia il lineare quanto elementare approccio black dei nostri, nelle cui allegre scorribande, mi sembra di captare una certa influenza punk. La musica dell'act occitano, sebbene la sua primitiva irruenza, ha comunque qualcosa di interessante nelle sue note che evocano un che dei pazzi suicidi Shining (quelli svedesi mi raccomando). Il riffing è quanto meno accattivante anche nelle sue improvvise accelerazioni e frenate, mentre lo screaming arcigno e sconsolato del vocalist, alla fine risulterà estremamente convincente nella sua performance. Più altalenante la terza "Dévastation", in cui le ispirazioni per i nostri sembrano provenire da gente tipo Lifelover e dalle forme più doomish degli Shining. Niente affatto male le linee di chitarra, cosi come i break acustici, da dimenticare invece le ritmiche punkeggianti sul finire della song. Le chitarre burzumiane di "Derniers Instants de Vie", mi riportano indietro di quasi 25 anni quando sulla scena si affacciavano gli album 'Det Som Engang Var' e 'Hvis Lyset Tar Oss'. Ecco direi, fuori tempo massimo e forse proprio in questo risiedono le ombre dei Black Sin che vengono però spazzate via da quelli che sembrano quasi degli assoli (ma non lo sono) che incrementano invece la componente atmosferico-emotiva del disco e che in questa traccia, identificherei in ben due momenti di catalizzazione massima della mia attenzione. Se "K.A.H.R II" suona un po' meno convincente, troppo dritta e scontata, il giochino di chitarre quasi sul finire, sembra risollevarne le sorti, almeno parzialmente. "Cendres" è una mazzata in pieno volto di incandescente musica black: dieci minuti tra serratissime sfuriate black, rallentamenti depressive, bridge armonici e udite udite, addirittura anche la triste melodia di un sax che trasmette il giusto mood autolesionista al brano. Peccato solo che col pezzo successivo, il decadente romanticismo svanisca del tutto e si torni a viaggiare a velocità infernali giusto per dimostrare quanto la band abbia una certa dimesticazza anche su ritmiche tiratissime. Ecco cosa significava quando parlavo di luci ed ombre. I Black Sin se si fossero focalizzati maggiormente sul genere depressive black metal, forse avrebbero reso oltre ogni più rosea aspettativa. In territori esclusivamente black, finiscono nell'infinito calderone delle band dedite alla fiamma nera. Meno male che si ritirano su con la conclusiva title track che ci riporta nei meandri della solitudine e della disperazione, per gli ultimi sei minuti di passione targata Black Sin. Altalenanti. (Francesco Scarci)

(Black Pandemie Productions - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/blacksin88/

sabato 24 febbraio 2018

Talv - Entering a Timeless Winter

#FOR FANS OF: Depressive Black, Burzum
Talv is an Italian one-man project created back in 2012. Andrea is the sole musician behind this band coming from Milano. The project was previously created with a different name, Trees in the Fog, but he rapidly decided to change it for a much shorter name. Andrea´s purpose was to play black metal with a raw and discordant touch, but keepin always with an atmospheric approach. I am not very familiar with his previous stuff, but there is no doubt that dissonance played a main role on his early works. The vocals, for example, were recorded with several strange effects, though aesthetically they had a clear approach to what we usually can find in several DSBM bands.

Anyway, this third album starts a new era for Talv according to what Andrea says. Has Talv changed that much? Only in some aspects. The album itself is not aesthetically so different in comparison to the previous releases, the songs have again a mainly slow and repetitive tempo and they are quite long. “Dreaming a Funeral in Another Life” is the album opener and it lasts almost ten minutes. Its slow and repetitive tempo is something you will find in the whole album, and its purpose is clearly to create a hypnotic atmosphere. The other three tracks strictly follow the same pattern and the only difference can be found in the fifth song, a cover from the amazing German band Coldworld. This is a purely ambient track which serves as a nice and calm ending for the album. 

The main difference which makes 'Entering a Timeless Winter' a different beast from Talv´s previous efforts, is the production. This new work has a quite much lowered sound, with a quite raw yet atmospheric production. I would say that is the classic low-fi production we can find on bands which play DSBM with an intense atmospheric touch. I am not a great fan of this production, but I must admit that I prefer it over the more dissonant and noisy sound of the previous cds. The vocals sound indeed quite different as this production makes them sound less chaotic, and a little bit more buried in the production, anyway they can easily be listened to. His screams follow the typical pattern, tortured and repetitive screams which fit with the rest of the music. 

In conclusion, my impression is that Talv has left behind his more dissonant and discordant influences, at least if we talk about the production itself, and has immersed in a more traditional and low-fi atmospheric/depressive black metal, obviously influenced, in its repetitive and slow tempo, by Burzum. It’s not by any means an outstanding record but I personally consider it a step forward in the correct direction. Even though a little bit of variety would be more than welcome. Personally, I would strongly recommend a more dynamic instrumentation to make the music more interesting. Anyway, 'Entering a Timeless Winter' can be enjoyed if you dig this style and have the appropriate mood to immerse yourself in this anthem of endless despair. (Alain González Artola)

(ATMF - 2017)
Score: 55

domenica 18 febbraio 2018

Forgotten Woods - The Curse of Mankind

BACK IN TIME:
#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal, Burzum
I discovered this album ten years ago and it was already twelve years old at the time, twenty-two years after its original release and it is still one of the greatest works in black metal history. Along with a few bands such as Burzum, Forgotten Woods was the pioneer of the now called “depressive/suicidal black metal”, but if you listen to this mastodon record, you’ll find barely a gleam of that genre, the most notable being Thomas Torkelsen vocals, but 'The Curse of Mankind' is aggressive, heavy, ever-changing, challenging, epic and captivating.

A black metal masterpiece far away from the DSBM dull records, since it is not focused on those topics proper of this - at the time - unknown genre, 'The Curse of Mankind' is more melancholic, artistic and progressive. Every aspect of this record seems to be there for a specific reason, you can feel that the musicians were comfortable with each other, that the ideas flowed between them naturally. And even when the production was low-fi, you can listen and appreciate every instrument, even the bass line is perfectly listenable, the addition of acoustic guitars mixed with the raw distortion of the electric ones, make a perfect “forest-ish” ambiance. I feel that in this new edition where they improved the mastering a little, and the vocals, at least to me, sound better.

I don’t like labeling Forgotten Woods music as depressive black metal, because as you listen to their catalog, you realize their sound was violent, full of strength and passion, nevertheless they also expressed their sorrows through that music, with beautiful melodies and complex passages, so I have always said, Forgotten Woods plays melancholic black metal, a genre that obviously is non-existent, but I could name bands in the same vein being these ones: Dawn, Peste Noire, Drudkh, In the Woods… (first record), Miserere Luminis, Nagelfar (Germany), Angmar (France), Baptism (Finland), Vinterland and more; all of them share those aspects of aggressiveness, complex compositions, epic long hymns and sadness, but never falling into the depressive/suicidal department. Their music is, as I said, melancholic. Take 'La Sanie des siècles - Panégyrique de la Dégénérescence' the first album by Peste Noire, it is raw, brutal, enigmatic and ruthless and even so there is beauty in the music, acoustic guitars, calm parts, moments of sadness and mourning, just followed by terrific guitar riffs that make you shake your head and start head-banging. And I could say the same of every other band mentioned before.

“Overmotets Pris” is a perfect example of the melancholic black metal genre I was talking about; it starts with a blast beat along with some trve black metal tremolo, after a few compasses it’s followed by a change of pace to let the grim vocals howl your ears, and that’s enough to create ambient, the next you know is they got back to the first tremolo for speed, after that you feel a very dark atmosphere emerging, but out of nowhere the rhythm change again, a beautiful arpeggio in acoustic guitar escorts the electric guitars in a slower tempo, clean spoken vocals hit you like a thunder, a new change, an enjoyable black metal/punk drumming follows, and your head is dancing to the music rhythm; we are only 3 minutes inside an almost 13 minutes length song, and it keeps growing, it keeps amazing you, there is no repetitiveness, no dull song writing, no boring structures in the music, is unpredictable, it is overwhelming. Not even a single second is wasted. There is beauty in darkness.

And the ending… God damn it! That ending! Near the minute nine of the song, you are already familiar with their music, they use that beautiful acoustic arpeggio from the beginning again and you are expecting the end as if an orgasm, as if it enough, but it is never enough for this geniuses, a black metal riff of war, full of power destroys the calm and it gives the song a new path, and it is not over yet, we get a new riff, the drummer is playing as if there is no structure in the music, then blast beats, all the strings creating a harmonic chaos, the vocals calling you from the abyss - silence - a bass line, here we go again with a malevolent riff, and before you know it, the song is over.

To me the only thing DSBM bands learned from Forgotten Woods was the vocal style, I’d like to know a depressive black metal band with such rich songs and complex music. Back then to my time a listened to a lot of DSBM, I know that scene, and there are great bands like Nyktalgia, Gris, Mourning Dawn, Penseés Nocturnes, Hinsidig just to name some of them, but check them in the encyclopaedia or their own pages and they play black metal, melancholic black metal if you ask me. Bands like Happy Days, Make a Change... Kill Yourself or Trist make slow, simple, long tedious songs, even Nocturnal Depression plays black metal! The only two true depressive bands I know capable or greatness are Silencer and Eiserne Dunkelheyt but they are long dead, I could mention Thy Light but they have only one song that is a monument to the genre. Anyway, I can’t see any other aspect DSBM bands took from this particular record to make it its flag as the pioneer of that music style.

One thing you need to know about 'The Curse of Mankind' is that it has a very particular song. “With Swans, I’ll Share My Thirst” is an unexpected piece of music in a black metal album. It is an instrumental song, after a lot of thinking I couldn’t decide on a genre, but it is just beautiful, you could say is classical rock, post-rock (ahead of its time) or even a folk/post-rock/avantgarde song, sounds crazy I know, but musically it is a piece of art, it starts sad and sullen, relaxing almost, but at the end is full of joy and grace, a mouth-organ (or harmonic) is the protagonist of the last part of the song. The first time I listened to it as a fifteen years old who wanted to be trve, I thought it was the weirdest thing it ever happened to an extreme metal album, he even thought it was a mistake, nevertheless he knew it was pure art, he knew it then and he knows it now. One of my lifetime favorite songs.

To close this masterpiece, we get the malevolent “The Velvet Room”, a song with a strong, evil leading guitar riff that takes you to hell, but enough catchy to enjoy and headbang to it. The drums in this song are superb, kind of a jazz effort; I challenge you to predict them even after listening to the song several times. A true masterwork.

In conclusion, 'The Curse Of Mankind' is a must listen not only for black metal enthusiast, but for extreme metal fans in general, as it has everything a metal album must have, great guitar riffs, long songs, terrific vocal efforts, a cohesive collection of tracks, challenging paces and rhythms and some kind of magic it'll make you say it is a classic. (Alejandro Morgoth Valenzuela)

martedì 23 gennaio 2018

Kval - S/t

#PER CHI AMA: Black Old School, Burzum
I Kval sono una nuova one man band finlandese, anzi no: il mastermind che sta dietro a tale monicker infatti, non è altro che colui che fino al 2015 guidava i Khaossos e questo album omonimo è, a dire il vero, la riproposizione di quel 'Kuolonkuu' che su queste stesse pagine abbiamo recensito, con la durata delle song leggermente più elevata. Difficile pertanto aggiungere qualche informazione addizionale ad un disco che, se fosse uscito nei primi anni '90, avrebbe dato filo da torcere a Burzum e compagnia bella, grazie, e riprendo le parole di quella recensione, ad una spettrale overture, e a brani successivi che si affidano ad un incedere ossessivo, tagliente e minimalista. Penso a "Sokeus", una traccia, che nei suoi oltre dieci minuti, mai accenna ad una accelerazione o ad una sfuriata che ne modifichi la sua desolante dinamica esistenziale. Un lavoro spoglio e tormentato che ha modo di mostrare dei tratti folklorici (ad esempio in "Harhainen") ma anche forti accenni di un disperato suicidal black (ascoltate "Kuolonkuu") che lo renderanno ai più un album ostico a cui avvicinarsi. Io, a distanza di quasi tre anni, mi confermo coerente con il voto che diedi alla primordiale forma di questo album dei Kval. Sofferenza allo stato puro. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2017)
Voto: 70

https://hypnoticdirgerecords.bandcamp.com/album/kval

lunedì 8 gennaio 2018

Культура Курения / Regnmoln - Split album

#PER CHI AMA: Post Punk/Black Depressive, An Autumn For Crippled Children
Dalla glaciale Siberia ecco arrivare il quartetto dei Культура Курения (da tradurre in Cultura Fumante), dalla Svezia invece, la one-man-band dei Regnmoln, per uno split album all'insegna del post black depressive, sotto l'egida della cinese Pest Productions. Due i brani a disposizione della band di Novosibirsk per dimostrare di che pasta sono fatti: "Конфискатор" si presenta come un freddo e malinconico esempio di black mid-tempo, spruzzato di reminiscenze shoegaze e di una mefistofelica aura post rock, che si riflette nella splendida voce in screaming del vocalist Andrey Stashkevich. Ne esce una traccia sghemba, che nel finale vive la sua progressione post black tra cristallini suoni disarmonici e harsh vocals. La seconda, "2015 Холодных Зим", mette in mostra ancora le capacità della band russa nel sapersi districare tra sonorità black e post-punk malinconiche che ammiccano alle prime uscite degli olandesi An Autumn For Crippled Children, tra sonorità intimiste, sfuriate black, break acustici e cambi di tempo magistrali. Ben fatto direi. Mi avvicino a questo punto alla proposta del musicista svedese e la prima cosa che si palesa nelle mie orecchie, è una registrazione a dir poco casalinga, un vero peccato in quanto rende decisamente più difficile godere appieno di un sound che, se proposto con tutti i sacri crismi, poteva regalare maggiori soddisfazioni. Mi abbandono comunque al furente depressive black dell'enigmatico mastermind scandinavo che si diletta in "Kött Och Blod" nel proporre un suono rozzo, ma comunque efficace e pregno di melodia, complici le chitarre in tremolo picking, tra sfuriate black e momenti di calma apparente che proseguono anche nella successiva "Infektioner", song angosciante e non solo per quel suo suono troppo ovattato, ma anche per un mood malinconico che ne contraddistingue i primi 90 secondi, prima che il frontman si lanci in un'arrembante cavalcata di cosmic black, che si pone esattamente a metà strada tra Dissection e Darkspace, proponendo taglienti chitarre in un contesto rarefatto. "Tomma Ord" è l'ultima traccia dall'intro acustico e dalla progressione black mid-tempo. Alla fine, lo split Культура Курения / Regnmoln non è altro che un modo interessante per farsi una cultura di due intriganti band dell'underground europeo. Ma, se solo il nostro amico svedese avesse registrato pensando ad una resa acustica migliore, il mio giudizio finale sarebbe stato nettamente diverso. (Francesco Scarci)

giovedì 26 ottobre 2017

Cepheide - Saudade

#PER CHI AMA: Black Depressive
Seconda comparsata dei francesi Cepheide all'interno del Pozzo dei Dannati: era il 2014 infatti quando recensii il demo 'De Silence et De Suie', che ci mostrava come i nostri armeggiavano abbastanza bene un black atmosferico dal forte piglio depressive. A distanza di tre anni da quel lavoro e con un EP nel frattempo in mezzo, ecco finalmente giungere l'agognato album d'esordio per il quartetto parigino, intitolato 'Saudade'. Sapete bene come questo termine in portoghese indichi una forma di malinconia, una specie di ricordo nostalgico, di un bene speciale che è ora assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o ripossederlo. Potrete pertanto immaginare come quest'emozione si rifletta di conseguenza nel sound dei nostri, in una proposta musicale che non si discosta di un millimetro da quel cd di cui vi ho già raccontato. Cinque tracce che si lanciano alla ricerca dello spleen, la tristezza meditativa che venne resa famosa durante il decadentismo dal poeta francese Charles Baudelaire, e che era stato utilizzato anche anteriormente nel Romanticismo. Ora, i Cepheide mettono in musica tutto questo senso di disagio esistenziale già dalle note della lunga "Une Nuit qui te Mange", dieci minuti di black melodico intriso di un potente mood nostalgico che si palesa attraverso epiche cavalcate e sconfinate atmosfere strazianti, corroborate dallo screaming nefasto del frontman Gaetan, mente peraltro anche degli Scaphandre. Lo stato di cupa angoscia e depressione presente, prende ancor più forma nell'infinita desolazione di "Madone", la seconda traccia, che si lancia in furibonde accelerazioni black, e in cui la voce del vocalist risulta più confinata in secondo piano. Anche a livello lirico non siamo di fronte a testi cosi allegri e il titolo della terza "La Lutte et l'Harmonie", credo lo dimostri ampiamente. La miscela sonora della band transalpina prosegue con la stessa formula musicale, un blackgaze stemperato da rallentamenti atmosferici e da quel pesante senso di malinconia che avvolge in modo persistente l'intero album ma che fondamentalmente attenua un sound che forse ai più risulterebbe caustico nelle sue taglienti chitarre, nei suoi cambi di tempo e in quelle sgroppate dal forte sapore post black. La quarta tiratissima song è "Le Cinquième Soleil", che per atmosfere mi ha rievocato un che dei Burzum di 'Hvis Lyset Tar Oss', anche se qui le voci belluine trovano il modo di cedere il passo ad un cantato più corale. 'Saudade' alla fine è un disco abbastanza convincente, come testimoniato anche dall'ultima "Auréole" (song che si mette in luce peraltro per una migliore stratificazione delle chitarre), che tuttavia necessita ancora di qualche aggiustamento per consentire alla band francese di emergere dalla massa informe di band che inflazionano il panorama black internazionale. (Francesco Scarci)

domenica 1 ottobre 2017

Grift - Arvet

#FOR FANS OF: Depressive Black Metal
Eric Gärdefors' anguished and depressive black metal project, Grift, continues in its smooth, intimate, and captivating approach with another desperate cry into the untamed wilderness. The lonely house that Grift built, residing twixt the trees of a desolate forest and lying unlit under an ashen sky, is the prison of an isolated mind that dwells on the inherent insignificance of existence while awaiting inevitable demise.

Folksy acoustic guitars with pattering traditional drums, wailing cries both high and low, and a dive into the fury of fleeting black metal riffs characterize “Flyktfast”, Den Stora Tystnaden”, and “Utdöingsbygd” as genuine and significant standard metal affairs among a catalogue of introspective and disillusioned lyrics. After two minutes of a desolate and creeping intro, where the serenity of a quiet resonating cymbal tolling between creaks of wood is interrupted by distant cries, a barking dog, and a drop into Grift's most energetic song on this album, “Glömskans Jrtecken” harnesses its lonesome atmosphere in a tumble of emotions. The relentlessly kicking rhythm buffets long, drawn out guitars that longingly ring like organs, yearning to recapture a long lost mental state, stuck in a fleeting moment that is impossible to hold onto after conjuring a shadow if itself in retrospect. Lyrically, the song describes the somber revelation that memories merely malform over time. Through an easily-convinced naivete, minds that sought signs of the 'urkraft' or primordial force that has awakened mankind's cognition were simply imagining, never witnessing the spirits manifesting themselves in the greatness that so deluded such a once-impressionable youth.

The avant-garde moments of this release make up the majority of “Morgon På Stromshölm”, with its four minutes of birdsong, cymbal tinks, and a grating violin taking over the final minute of the track. “Nattyxne” embraces its desolation to drag the guitars through begrudgingly beautiful tones while assuring the listener that, despite all the pleasing sounds and picturesque landscapes it conjures, the tone of this album remains firmly entrenched in its dispirited disposition. Emotionally impactful, Grift's 'Arvet' is an unheard cry for help as the production fills the air with the moisture of falling tears and mesmerizing melancholic measures. The understated intensity of this album, lurking in the shadows before pouncing in “Utdöingsbygd”, creates a reversed rhythm crushing its own heart and wallowing in its self-absorbed misery while maintaining a firm grip on the desolate black metal structure that culminates in the swing of tremolos and blasts. (Five_Nails)

(Nordvis Prod - 2017)
Score: 75

https://nordvis.bandcamp.com/album/arvet

domenica 2 luglio 2017

Afraid of Destiny - Agony

#PER CHI AMA: Depressive Black, primi Katatonia
A marzo lo avevo annunciato che il nuovo album degli Afraid of Destiny sarebbe uscito quest'anno, d'altro canto ce l'aveva confermato lo stesso frontman Adimere durante un'intervista con la band. Eccoci quindi accontentati, 'Agony' è il secondo disco per la band trevigiana, che nel frattempo sembra aver abbandonato il suo status di one man band per divenire un trio. Il processo di stesura dei brani è durato parecchio, se pensate solo che le canzoni sono state scritte tra il 2013 e il 2014 e le voci sono state registrate successivamente, a cavallo tra 2016 e 2017. Insomma tante riflessioni hanno portato a questo nuovo esempio di black depressive, che riprende là dove aveva lasciato con un sound desolante di scuola burzumiana. Quello che balza però subito all'orecchio durante l'ascolto di "A Journey into Nothingness (Part 1)", è un maggior lavoro a livello di arrangiamenti, con il sound molto meno secco e stringato che in passato, sebbene anche qui la produzione si confermi non propriamente bombastica. Le ritmiche sono lente e compassate e lo screaming del frontman è probabilmente la cosa più degna di nota della prima song (esclusa la lunga intro) a cui è collegata la seconda parte, ancor più lenta, carica d'atmosfera e che chiama in causa in un paio di frangenti un che dei Katatonia di 'Dance of December Souls' e dei Novembre di 'Wish I Could Dream it Again...'. La musica è rilassata, decadente, atmosferica e nell'arpeggio iniziale di "Rain, Scars, and the Climb', rievoca nuovamente la band capitolina e non posso che esserne felice, in parecchi si sono dimenticati infatti da dove arrivano Carmelo Orlando e soci. Le linee di chitarra sono malinconiche e nel loro semplice incedere, nascondono una vitalità inaspettata che emerge come lo sbocciare di un fiore in primavera, il tutto dopo un atmosferico break centrale. La musica mi piace, è interessante, carica di significati e induce a pensieri, belli o brutti che siano. È riflessione, poesia, dramma, pace e un'altra moltitudine di sensazioni che si spengono solo con il suono del temporale in sottofondo e che introduce a "Autumn Equinox", song più minimalista ma che vede una guest star alla voce, A. Krieg, vocalist teutonico tra gli altri di Eternity, Darkmoon Warrior e ora anche dei Lugubre. È una song che vede peraltro per la prima volta nel disco, un'accelerazione post black, che comunque trova il suo perché nel contesto disperato del disco. "Hatred Towards Myself" compariva già nel precedente EP omonimo come traccia oscura e paranoica, e forse è quella che ora ha meno a che fare con le rimanenti tracce incluse in quest'album; resta comunque apprezzabile. C'è ancora tempo di ascoltare "Into the Darkness", song dall'approccio vocale iniziale un po' più diverso, ma di cui va apprezzata sicuramente una coralità a livello vocale e di cui sottolineerei ancora una volta il buon lavoro fatto a livello di arrangiamenti, con il sound decisamente più pieno. C'è ancora ampio margine di manovra per migliorare sia chiaro, vista peraltro la presenza di un bell'assolo nella traccia che conferma una maggiore maturità acquisita dall'ensemble veneto. A chiudere il disco ci pensa la cover dei Lifelover, "Sweet Illness of Mine": gli va male agli Afraid of Destiny, visto che non sono mai stato un fan dell'act svedese. Tuttavia, devo ammettere che il brano si mantiene piuttosto fedele all'originale soprattutto per le vocals pulite, mentre non mi fa impazzire la batteria, qui troppo sintetica. Insomma, un gradito ritorno per la compagine di Treviso che è sulla strada giusta per trovare ed affermare la propria personalità e che nel frattempo ha anche avuto modo di piazzare una ghost track finale in acustico, tutta da gustare. (Francesco Scarci)

(Razed Soul Productions - 2017)
Voto: 70

https://afraidofdestiny.bandcamp.com/album/agony-2

lunedì 5 giugno 2017

Suici.De.Pression - S/t

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal/Doom/Folk
'Suici.De.Pression' non è più solo il titolo di un album dei blacksters brasiliani Thy Light, da oggi è anche la nuova creatura del polistrumentista Vittorio Sabelli (qui sotto lo pseudonimo di Syrinx), che è dovuto "migrare" fino in Giappone per ottenere il contratto con l'etichetta MAA Productions. Il cd omonimo consta di tre tracce, tutte con titoli, testi ed atmosfere che non si possono certo definire solari. Ad aprire, gli oltre 20 minuti della funerea "De.Pression", con i suoi lenti tocchi di pianoforte a cui fanno seguito quelle anguste chitarre catacombali che non lasciano presagire a nulla di buono, su cui si stagliano le screaming vocals del frontman e con le melodie che sembrano richiamare la tradizione folklorica mediterranea, quasi a voler ricordare da dove il buon Vittorio è partito, da quei Dawn of a Dark Age, da poco recensiti su queste stesse pagine. Il flusso disperato prosegue in porzioni d'ombra che nemmeno lontanamente lasciano trasparire un filo di luce. Non ci sono chiaroscuri qui sia ben chiaro, ma solo una musica per anime disperate, cuori disperati, pianti disperati, stanze desolate, vie desolate, muri vuoti, occhi vuoti, parole vuote, giusto per parafrasare il testo della opening track che si dipana lungo un mid-tempo ritmato e porzioni ambient minimaliste. Delle chitarre marcescenti aprono "Despair", una song dal classico mood suicidal black, fatto di atmosfere insane, urla strazianti, dove non mancano neppure le sfuriate black, con le tastiere che giocano il fondamentale ruolo di smorzare la crudezza di un disco altresì estremo in tutto e per tutto. Deprimente ma elegante il break di pianoforte a metà brano, a cui segue una marcetta affidata a batteria e tastiere che per tre minuti si dilungano in giri melodici, atti a preparare il terreno ad un corrosivo finale e all'inizio della delirante "Paranoia", di nome e di fatto, con quel suo loop chitarristico davvero ossessionante e folle. Ancora una volta il retaggio folk del mastermind molisano galleggia in sottofondo, con suoni che contrastano l'alienazione mentale prodotta dalle rugginose chitarre dei nostri. 'Suici.De.Pression' alla fine è un lavoro interessante, ancora da sviluppare e sgrezzare, ma che mostra senza ombra di dubbio, ampi margini di miglioramento. Per quanto possa risultare un album per amanti delle sonorità estreme, un ascolto curioso lo darei lo stesso. (Francesco Scarci)

mercoledì 31 maggio 2017

Time Lurker - S/t

#PER CHI AMA: Post Black/Doom
Esordio sulla lunga distanza per i Time Lurker, one man band francese finita da poco sotto l'egida della Les Acteurs de l'Ombre Productions. Mick, il mastermind di Strasburgo, dopo l'EP di debutto del 2016 'I' (incluso peraltro in questo cd), fa uscire quest'album di sette tracce, dedite ad un abrasivo post black atmosferico che sposa in toto la filosofia dell'etichetta transalpina, propinando arrembanti cavalcate post black e inframmezzandole con obnubilazioni dark doom. I fatti dicono questo già in apertura, con la lunga e malinconica "Rupture" - già presente insieme alla successiva "Judgement" in 'I' - e i suoi oltre undici minuti di sofferenza ed accattivanti suggestioni depressive. Il post black è un genere ormai inflazionato, ma oggi saperlo suonare con perizia ed inventiva, non è proprio cosa da tutti. Ed il factotum alsaziano, coadiuvato da una serie di ospiti dietro al microfono, non si conferma certo uno sprovveduto, sciorinando infatti un'ottima prova sia dal punto di vista esecutivo che compositivo. La opening track, cosi come le successive, non sono di certo tracce dritte e dirette di black metal fine a se stesso, c'è sicuramente uno studio dietro alla loro architettura, fatta di cambi di tempo ben calibrati, ottime melodie, harsh vocals e ficcanti chorus, accelerazioni sprezzanti e rallentamenti sfiancanti; ottima a tal proposito la già menzionata "Judgement", seconda perla del disco. La terza "Ethereal Hands" è il singolo dello scorso anno ed evidenzia ancora come all'artista francese piaccia mettere in scena lunghi brani oscuri corredati da una serie di orpelli stilistici tutti da gustare nel loro spettrale e caustico incedere. Per quanto non ci si trovi di fronte a nulla di stravolgente, devo ammettere di contro, che non si tratti nemmeno di qualcosa di cosi scontato. Ci prendiamo un attimo di respiro con lo space black strumentale della breve "Reborn" per poi lanciarci a tutta forza con il black belligerante di "No Way Out From Mankind" ove il vocalist ci diletta con lancinanti grida disumane poste su di un range chitarristico di grande tensione. Un altro intermezzo esplorativo e arriviamo alla conclusiva "Whispering from Space", l'ultima feroce e angosciante tappa di un album di cui non farete certo fatica ad assimilare l'odio e la disperazione contenute nei suoi diabolici solchi. Convincenti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2017)
Voto: 70

https://timelurker.bandcamp.com/

martedì 2 maggio 2017

Hateful Desolation - Withering in Dust

#PER CHI AMA: Depressive Black
Void e Gray Ravenmoon sono due loschi figuri: l'uno è un polistrumentista egiziano che milita in altre band dell'underground più profondo, il secondo invece è un giovane vocalist italiano. Si sono trovati nel 2014 e hanno generato, col nome di Hateful Desolation, questa release di tre pezzi di un interessante depressive black. Ventitré minuti (ma dovrei dire 14, visto che la terza song non è altro che la prima "Your Memory Will Never Fade" riproposta in versione strumentale) di sonorità deprimenti che mi abbracciano con la loro calda forza costituita da magiche sonorità black mid-tempo, complici le azzeccatissime atmosfere che si respirano lungo i suoi nove minuti, tracciate da evocative melodie, da sinistri slanci chitarristici e da demoniache vocals che ben si collocano sul tappeto tastieristico costruito dal duo italo/egiziano. Peccato solo che la song sia troncata malamente nel finale e si rilanci in un black più convenzionale nella successiva "Withering Away in Solitude", song dal piglio più maligno ma che comunque mantiene intatto il mood oscuro dell'ensemble. Da rivedere sicuramente l'apparato ritmico, con un vero batterista la band ne beneficerebbe certamente. E da curare anche la produzione dell'album cosi come gli imbarazzanti stacchi tra una canzone e la successiva. Le carte in regola per fare bene ci sarebbero anche, e con una maggiore applicazione, gli Hateful Desolation potrebbero farsi notare a più alti livelli, speriamo solo non si fermino a questo breve EP. Ah dimenticavo, un ultimo suggerimento: lasciate perdere le versioni strumentali delle tracce, sembrano dei semplici tappabuchi. (Francesco Scarci)

venerdì 17 marzo 2017

Malefic Mist - Il Richiamo dell'Inverno

#PER CHI AMA: Depressive Black, Burzum
I Malefic Mist sono una one man band di Milano, guidata da tal Mors Taetra che ho avuto già modo di conoscere e recensire con l'altra sua creatura musicale, i The Undergrave Experience. Gli MM francamente non li conoscevo e scorgendo il numero di release a loro carico, sono rimasto davvero impressionato: una quindicina, tra demo e split album, sono inclusi infatti nella discografia del musicista lombardo, peraltro senza mai aver rilasciato un full length. Quello che ho fra le mani oggi è 'Il Richiamo dell'Inverno', un demo cd composto tra il 2008 e il 2012, rilasciato in modo indipendente nel 2012 e solo nel 2016 grazie all'Adimere Records. Due le song contenute in questo lunghissimo lavoro che dura la bellezza di quasi 50 minuti. E la prima traccia, nonché title track, è costituita da oltre trenta minuti di sonorità glaciali, mid-tempo, che potrebbero chiamare in causa il buon vecchio Varg Vikernes e le sue produzioni più minimaliste. Difficile indicare qualcosa di particolare in una traccia che poggia buona parte della sua durata sul lento defluire di un paio di accordi di chitarra e pochi tocchi di basso, con la batteria lontano in sottofondo. Burzum e tutto lo stuolo di band depressive black non possono che essere il punto di riferimento per il mastermind italico. Solo dopo un quarto d'ora si avvertono le prime variazioni nelle linee di chitarra, grazie prima a delle armonizzazioni e poi ad un rallentamento abissale del già di per sé lento flusso sonico di Mors Taetra, qui aiutato da Gionata Ponenti alla batteria e chitarra solista nella successiva "Cuore di Lupo". I minuti scorrono sfiancanti e asfissianti con una ridondanza a livello dei suoni che ha un che di paranoico come quello di un pendolo meccanico in un orologio a pendolo. Nell'ultimo terzo di canzone, le chitarre si fanno più piene, pur senza cambiare l'accordo su cui poggiano, dandoci il definitivo colpo del ko. Arrivo francamente stravolto alla seconda tappa di montagna de 'Il Richiamo dell'Inverno' consapevole che potrei trovarmi di fronte all'ennesimo ipnotico giro di chitarra che questa volta durerebbe una ventina di minuti. Sono tocchi delicati quelli che sfiorano le corde della chitarra nei suoi primi sette minuti di sonorità che rischiano di condurmi direttamente alla pazzia; compare poi il suono arrugginito di una chitarra elettrica ad affiancare il componimento acustico, ma il risultato delirante non cambia ed un senso di inquietudine mi attanaglia la gola fino al raggiungimento degli ultimi interminabili attimi d'ascolto di questo alienante, ma per certi versi affascinante, 'Il Richiamo dell'Inverno'. (Francesco Scarci)

domenica 12 marzo 2017

Afraid of Destiny - Hatred Towards Myself

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal, Burzum
Gli Afraid of Destiny nel 2017 rilasceranno il loro secondo full length. Cosa di meglio allora che recuperare il loro ultimo EP, 'Hatred Towards Myself' e fare la conoscenza di questa realtà nata come one man band e nel frattempo divenuta un quartetto? Nati nel 2011 come Vitam Nihil Est, la creatura guidata da Adimere cambia ben presto moniker in Afraid of Destiny, dando alle stampe in sequenza ad uno split album, al debut, ad un altro paio di split prima di giungere a questo EP, datato 2013-2014 ma uscito solo nel 2016 in 50 limitatissime copie, che include tre sofferenti tracce di suicidal black. Come vuole il genere, ci troviamo di fronte a song dilatate, con ritmiche mid-tempo, chitarre ronzanti (Burzum docet), qualche raro utilizzo di synth e screaming vocals che trattano tematiche legate alla depressione o al suicidio. Questo è quanto potrete ascoltare nella opening track "Reflecting Under an Ascending Moon" e più in generale in un disco che raccoglie ovviamente tutti i cliché di un genere e ricerca, per quanto sia possibile (e complicatissimo), delle variazioni al tema. Ecco perché la traccia nel suo epilogo emula il conte Grishnackh e le sue intuizioni di 'Det Song Engang Var'. Un lunghissimo arpeggio di oltre tre minuti, apre "I Reject Life" (un vero inno alla vita) che poi si abbandona in un crescendo melodico davvero succulento che mantiene tutta la mia attenzione all'ascolto di questa song strumentale che sfodera alla fine anche un attacco di matrice post black. Si arriva alla title track, traccia dal mood oscuro e paranoico, in cui il buon Ayperos alla voce sembra un Gollum travestito da cantante. La song preserva lungo i suoi sei minuti il suo abito grigio scuro, quello da colloquio di lavoro, l'abito delle giornate di pioggia, quello ideale per un giorno da funerale, si il proprio. (Francesco Scarci)

domenica 26 febbraio 2017

Eyelids - Departure

#PER CHI AMA: Depressive Black, Blackgaze
Poche le informazioni trovate in rete a proposito di questa band nostrana: si tratta di un trio composto da M, F e D (facile, ma questo era già riportato all'interno del cd), le cui origini dovrebbero ricondurli alla Basilicata, fondati nel 2012 e che solo nel 2016 giungono alla pubblicazione di questo EP, grazie prima alla Masked Dead Records e poi alla Adimere Records. Tredici minuti di musica sono sempre pochi per giudicare appieno l'operato di una band, ma come si dice, chi si accontenta gode. E allora si prema il tasto play del lettore e ci si immerga nelle malinconiche atmosfere degli Eyelids e del loro 'Departure'. "Betrayed" rivela quanto i nostri siano dei cultori del blackgaze con una song mid-tempo, dotata dei classici ridondanti giri di chitarra a rallentatore che disegnano melodie strazianti (cosi come pure le vocals), di "burzumiana" memoria. Quello che apparirà subito chiaro è una produzione non propriamente cristallina, che ai cultori del bel suono magari farà storcere il naso, ma si sa che in questo genere, più si è sporchi e disperati, meglio è. La title track prosegue sull'onda emotiva dell'opener, evocando nelle sue linee di chitarra assai depresse, la primordialità che si riscontrava in 'Le Secret' degli Alcest. La lentezza si fa ancor più preponderante nella conclusiva "Disclosure", un pezzo che non aggiunge nulla di nuovo a quanto detto sinora, ma che offre un ulteriore spaccato della musica sofferente di questi ragazzi. Non è certo un disco che mi sento di consigliare a chiunque, ma coloro che sono fan di gente come Austere o Woods of Desolation, un orecchio lo porgano pure a questi Eyelids. (Francesco Scarci)

(Adimere Records - 2016)
Voto: 60

martedì 17 gennaio 2017

Kalmankantaja - Kuolonsäkeet

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal, Burzum
Sono infine giunto, al buio, circondato da antiche rovine Quechuas, con l'unica compagnia di un freddo gelido, a Pueblo Fantasma, Bolivia, 4690 metri sul livello del mare. Eolo sul mio volto sferza il suo fiato ove scanna runiche rughe intrise nel mio sangue con i suoi invisibili aghi, rune che brillano e pulsano nell’oscurità. Mi chiamo Kalmankantaja e sono un druido votato al male. Non mi ricordo nemmeno come ci sono arrivato fin qui. Dev'essere l'effetto delle troppe foglie di coca che ho masticato per resistere al freddo, alla fame e per riuscire a trascinarlo. Una cosa, però, me la ricordo bene: il motivo per cui sono lì. Scelgo la chiesa, ove accendo, con uno dei miei incantesimi occulti, un arcano fuoco. Lo pronuncio: “Sieluton Syvyys” e le fiamme divampano poco lontano da me. È stata per l’appunto “Sieluton Syvyys”, entry-track strumentale di 'Kuolonsäkeet', dei finnici Kalmankantaja ad evocare questa mia storia: la sua tastiera occulta, geopardata da rare ed arcane parole, ci inizia all’arte con note che da profonde, sulla scia dell’organo, si trasformano, s’innalzano e mi portano con loro nell’alto dei cieli. Accedo all’Empireo tenendo per mano Beatrice ma dimenticandomi di Dante. Ecco che odo i primi lamenti, i primi strazi, della mia vittima. Ebbene, non sono solo, l’ho portato con me. Finora aveva taciuto, sotto l’ipnotico effetto del mate de coca. Ora si sta risvegliando, tossisce. Quindi urla. Non oso immaginare quali oscure creature si annidino lì, nel posto in cui mi trovo, quali lugubri presenze stia per evocare, ma non ho paura. Io non ho paura di niente. Io non temo nessuno. Nessuno al di fuori di me. Sì, al di fuori di me, perché di me ho paura. Di me ho davvero paura: so come sono. Dentro. Tanto gentile e tanto onesto appaio ma chi mi calpesta… muore. No. Non subito: attendo buono per anni, con paziente disciplina. Faccio maturare per anni il mio silente odio proprio come si fa con il buon vino o come fa il più bastardo dei virus e solo quando tutto sembra tranquillo, quando sono certo che tutti abbiano dimenticato, solo allora colpisco. E vado fino in fondo, senza paura di insozzarmi. Calo la mia falce. Scanno, squarto. Ma non lascio mai tracce. Le sue urla. Sono le sue urla a dare inizio a “Yhdessä Kuoleman Säkeet Kohtaavat” lo strazio di uno che viene torturato e che mi chiede disperatamente di non venire ammazzato. Io semplicemente lo ignoro, anzi, dentro di me godo nel prolungarne le sofferenze. Lui per primo mi ha fatto del male. Senza motivo. La batteria scandisce un ritmo semplice, cadenzato, un quattro quarti lento, con brevi incursioni in ottavi, tipico del genere. Convince il gioco di velocità aumentata solo a tratti, dà corpus e magnificenza a questo brano. Le urla di strazio aumentano ed in quest’armonia s’incarnano alla perfezione in uno screaming potente. Bel lavoro ragazzi, ben fatto davvero. Chitarre distorte all’ennesima potenza punzecchiano ed infastidiscono con pure note di sana ultraviolenza la mia vittima che mai smette di lamentarsi, di contorcersi, come se a ripetizione fosse punta da migliaia di vespe mandarinia japonica. Urla. Urla nell'oscurità. Ma no, no, la mia falce non ha ancora mietuto la sua vittima, c’è ancora così tanto tempo e così poche cose da fare. La sua lama brilla perché ancora non ha assaggiato e non percola, lungo il suo filo, lacrime di sangue. Del suo sangue. Punto il mio bastone, mi concentro, rivolgo lo sguardo al cielo, levito ed al mio comando “Ruoskittu Ja Revitty”, lingue di fuoco all’improvviso si animano, s’innalzano e quindi tracciano un complesso e rotondo sigillo sul terreno con al centro la vittima che ancora urla. I suoi pochi stracci vengono divorati dalle fiamme che assaggiano fameliche anche qualche brandello delle sue carni ma niente di più: non vi sono infatti nuovi ingredienti rispetto la precedente track, non percepisco alcun gusto nuovo. Anzi lo schema si ripete. Belli i dieci minuti di "Yhdessä..." ma forse i successivi dieci di "Ruoskittu..." non vanno ad aggiungere molto. Non sono poi così tanto diversi, forse qui l’agonia viene prolungata un po' troppo. Sulle note di “Memento Mori”, la vittima inizia non solo a prendere atto che deve morire ma che la morte è ormai vicina. Mai giocare con i sentimenti di qualcuno. A meno che non si voglia finire… così. Le sapienti pennellate in solo di tastiera di “Oman Käden Teuras” ed i suoi crescendi, sanno risvegliarmi dal torpore, dandomi qualcosa di nuovo da assaporare. Di mio gusto le interruzioni di batteria. La vittima adesso viene tatuata agli occhi con aghi incandescenti. È questo il mio modo per dire: buona la prova di voce. Nuove sonorità e vocalizzi mi colgono impreparato in “Minun Hautani”: bella questa sorta di dialogo tra vittima e carnefice ovvero il gioco di voci pulita e screaming. Di fronte a “Synkkä Ikuisuus Avautuu” non mi resta che lanciare una moneta per decidere le sorti di questo 'Kuolonsäkeet': testa promosso, croce si muore… …ma la mia è una moneta speciale, dedicata a Giano… e Giano si sa… ha due facce. Invece con la mia vittima non sarò così buono: pollice verso. Morte! Morte! Morte! Mai giocare con… (Rudi Remelli)

mercoledì 26 ottobre 2016

Eterna Rovina - Metamorfosi

#PER CHI AMA: Black Depressive, Movimento d'Avanguardia Ermetico
Le one-man-band rischiano di essere fin troppo inflazionate ultimamente; l'ultima arriva da Urbino, gli Eterna Rovina, ed è opera di tal F., membro peraltro di Batrakos e Sonnenrad. Il giovanissimo musicista marchigiano (21 anni), ci presenta 'Metamorfosi', disco uscito per diverse etichette, tra cui la messicana Silentium in Foresta Records, che ha dato alle stampe la prima release di 'Metamorfosi' e la nostrana Adimere Records, che ha ristampato un cd che era andato velocissimamente sold-out. Questo potrebbe lasciar presagire le ottime qualità del mastermind italico, ma andiamo con ordine e cerchiamo di analizzare pregi e difetti di questo lavoro d'esordio. Intro rumoristica e poi il suono del mare ci conduce a "Decadendo nel Flusso", traccia di black mid-tempo, che sottolinea la vena atmosferica degli Eterna Rovina e di un sound che a più riprese, apparirà ispirato dalla natura e dalla cosmologia filosofica, ma che in termini di suoni, risulterà invece penalizzato da una registrazione a tratti imbarazzante. Peccato, perché la traccia d'apertura (che ritroveremo anche ne "Il Respiro del Silenzio") mette in luce un sound ancestrale, primigenio, condito da serratissime ritmiche su cui si stagliano gli aspri vocalizzi di F., ma che aprono anche a desolati paesaggi evocanti lo spirito del maestro Varg Vikernes. A questo aggiungete poi una diffusa vena malinconica che permea e dona una aurea di mistero all'intero lavoro, contribuendo anche ad una certa alternanza ritmica che si sposa egregiamente con la proposta degli Eterna Rovina. "Memorie del Caos" è un brano più ritmato, che dall'inizio alla fine non ha da offrire grossi sussulti se non una coerente linearità ritmica sovrastata dall'arcigna performance vocale di F. che ci accompagna fino al secondo intermezzo noise "Eco Astrale II". "Ombre di Cenere" non si discosta poi molto dalle precedenti, garantendo sonorità adombrate (quasi funeral doom) di cui sottolineerei il cantato in italiano facilmente intellegibile e uno spaccato di musica lirica da brividi, che eleva qualitativamente, anche se per pochi secondi, la proposta dell'oscuro individuo che si cela dietro al moniker Eterna Rovina, che si avvia verso un epico finale. Ancora una manciata di secondi all'insegna di suoni misteriosi e tocca a "Il Respiro del Silenzio" regalarci squarci di musica emozionale che si muovono tra depressive e post black (in un finale pazzesco), evocando a più riprese la proposta dei piemontesi Movimento d'Avanguardia Ermetico. Quel che stona però nella proposta del musicista italiano è una certa artificiosità nei suoni di batteria (ah, maledette one-man-band con la drum machine!!) e poi il grossolano errore a livello di volumi a fine brano (e inizio successivo) in cui sembra ci sia qualcuno che si diverta a fare su e giù con la leva dei volumi, un vero peccato, che comunque non pregiudica la prova dignitosa di un giovane musicista che ha davanti a sé tutto il tempo per migliorare, imparando dagli errori passati. Alla fine 'Metamorfosi' è un disco per certi versi interessante, ma che necessità di una maggior cura nei dettagli per evitare quei grossolani errori che rischiano di oscurare la buona riuscita di un album. (Francesco Scarci)

giovedì 15 settembre 2016

Ygfan - Köd

#PER CHI AMA: Folk/Dark/Post Black, Agalloch, Alcest
'Köd' è l'EP di debutto degli ungheresi Ygfan, band uscita nel 2015 con il presente lavoro in formato digitale, poi riproposto lo stesso anno dalla Fekete Terror Productions in cassetta e finalmente nel giugno di quest'anno in cd, per merito della nostrana A Sad Sadness Song, che ha scovato e promosso l'act di Budapest. A ragione peraltro. Si perché i quattro ragazzi si fanno notare per un sound sicuramente atmosferico e carico di pathos, che trova sfoghi più violenti in rare sfuriate di matrice post-black, ma che in realtà si mettono in evidenza piuttosto per una marcata vena dark del disco che sembra quasi donare quel quid indispensabile affinché l'ensemble prenda le distanze dall'assai inflazionato black. E devo ammettere che il risultato è davvero brillante con i nostri che compongono un sound espressivo e convincente, che si svolge lungo le quattro tracce contenute nel dischetto, in un'alternanza di umori, sensazioni e buone dosi di originalità. La lunga opener dispiega una verve folklorica, mantenendosi su un mid tempo controllato anche quando entra in collisione con il black, palesando peraltro un buon gusto per le melodie, dal vago sapore mediorientale, ma sempre caratterizzate da un mood malinconico, complice anche una voce corale nel suo taglio pulito, un po' più acerba nella versione scream. Ancor più convincente la seconda song, forse anche per una durata meno estenuante, ma che comunque consente di assaporare il fluido magnetismo sonoro degli Ygfan, che si materializza attraverso suoni naturali, resi ancor più caldi e pastosi da un basso collocato in primo piano, che rende il tutto corposo ed avvolgente. "III" si apre ancora con versi di animali, tant'è che sembra quasi di trovarsi nel bel mezzo di un bosco, dove volgere lo sguardo verso la punta degli alberi, ruotare su se stessi e odorare il profumo che galleggia nell'aria, ascoltare i rumori della natura e lasciarsi infine cullare dalla dolcezza sprigionata dalla musica, quasi costantemente proposta in semi-acustico dalla band magiara. Proprio qui risiede un altro dei punti di forza per gli Ygfan, che in questo pezzo potrebbero anche essere accostabili agli Agalloch. Con "IV" giungiamo con mestizia al termine dei 32 minuti di 'Köd'; rimane infatti sospeso quel desiderio di volerne di più, grazie ancora ad atmosfere soffuse che si alternano a suadenti chitarre distorte che ammiccano al blackgaze cosi come le voci evocano gli Alcest in un pezzo dai tratti solenni, quasi magici. (Francesco Scarci)

(A Sad Sadness Song - 2016)
Voto: 75

https://ygfan.bandcamp.com/releases

sabato 26 settembre 2015

Hamleypa - Im Morgen von Einst

#PER CHI AMA: Post Black Atmosferico, Deafheaven, Austere
Partito come un progetto di due musicisti nel 2007, la band di Norderstedt ora consta addirittura di sei loschi individui che si celano dietro le sole iniziali dei loro nomi, dietro il monicker Hamleypa e il titolo di quest'album che tradotto starebbe a significare "La mattina di Einstein". Oltre a questo non riesco a spingermi e la curiosità di sapere cosa risiede nei testi di quest'act teutonico si fa molto forte. Nel frattempo vi posso spiegare che cosa potrete attendervi dalle note di 'Im Morgen von Einst' ossia quattro lunghi brani di sofferente black atmosferico. Il disco esordisce infatti con il sound crepuscolare di "In Tausenden Flüssen" (la traduzione di "in migliaia di fiumi") che lascerà ben presto spazio alla furia iconoclasta del suo riffing zanzaroso black (scuola Austere) su cui si staglia lo screaming, non proprio raffinato, del suo frontman. Per fortuna lungo gli undici minuti di flusso sanguinoso, il sound secco della band trova modo di adagiarsi in arpeggi acustici, aperture malinconiche e velenose epiche cavalcate. Peccato che la produzione non proprio impeccabile, penalizzi il suono globale, rendendolo talvolta un po' troppo impastato in cui si fa più fatica a riconoscere i singoli strumenti piuttosto che le vocals belluine del cantante. Con "Endlos" (infinito) la musica non cambia e ci abbandoniamo pertanto alle violente percussioni dei nostri che si intrecciano con le rasoiate delle sei corde e il feroce cantato dell'oscuro vocalist, ma non temete perché nell'arco dei suoi quasi dieci minuti, la song troverà anche il modo di dare spazio ad aperture dal lontano sapore shoegaze cosi come pure a nevrotiche spinte di black funesto o a delicati tocchi di piano che delineano uno dei pezzi più ad alta tensione di questo debut album. "Diese Welt, das Was War, die Erinnerung an Dich, Unser Werk War es und Unseres Allein" è interessante per il suo lungo ed enigmatico titolo e altrettanto per il contenuto che non si discosta, strutturalmente parlando, dalle precedenti song, con l'alternanza tra foga black e passaggi atmosferici. A chiudere 'Im Morgen von Einst' ci pensa la demoniaca (almeno a livello vocale) "Algol", song che conferma la bontà della proposta del combo teutonico, ma sul cui sound suggerisco qualche miglioria a livello vocale e a livello di produzione, per poter presto sfondare con un nuovo lavoro che consenta ai nostri di stare accanto a fenomeni del calibro dei Deafheaven. (Francesco Scarci)

(Throats Productions - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Hamleypa