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lunedì 17 gennaio 2011

Floodstain - Slave to the Self Feeding Machine

#PER CHI AMA: Death/Stoner, Machine Head, Mastodon
Un cd dalla Olanda e la band suona pure un Stoner/Death cattivissimo? Oddio, fa che sia bello, ne ho bisogno.. Allora ascoltiamolo e incrociamo le dita. Sette pezzi che lo classificano nel panorama degli EP e grafica del packaging spartana ma fatta di pugno, perlomeno originale. Il primo pezzo "Deathproof" mostra subito la classicità dello stoner interpretato dai Floodstain: chitarre accordate uno/due toni sotto e via potenti come su una Harley. Diciamo che la voce in stile death è il primo dettaglio che differenzia i Floodstain dal genere classico, insieme a qualche passaggio melodico. Invece il terzo brano che da il nome all' EP nasconde quel potenziale che non avevo immaginato dopo i primi due pezzi: intro melodica con un pianoforte che viene subito divorato dalle distorsioni, lo stesso vale per la voce di Jozz che per poche battute sembra molto Gavin Rossdale ma poi si libera e diventa quel cane rabbioso che tenta di divorarti per i vicoli bui dell' anima. Cinque minuti abbondanti tutti da vivere al culmine dell' ansia. "The Pence within" invece taglia fuori lo stoner e tramuta i Floodstain in una band puramente Death, dalla tecnica anche accettabile se vogliamo. Next one please.. "The Slumbering Titan Slayer" è un pezzone tutto cactus e odore di petrolio nella valle della Morte. Per carità, i Kyuss e i QOTSA potrebbero citare in giudizio i Floodstain per "ispirazione molesta", ma il fatto strano è che quest'ultimi citano i Machine Head e Mastodon come influenze.. Mah. Secondo lavoro (premetto che non sono riuscito a recuperare il primo "Dreams Make Monster") ma ai Floodstain serve una buona iniezione di creatività per idstinguersi nel panorama stoner, sempre che sia quello che vogliono. (Michele Montanari)

(BadMoodMan Music)
Voto: 65

sabato 1 gennaio 2011

Letargy Dream - Heliopolis


Mmm, mi sa che questo giro quello che ho fra le mani è qualcosa di veramente strano anche per me, che viene dalle lande sperdute della Russia. Prima di tutto la lunghezza forse esagerata dei 4 pezzi, poi devo riuscire a vincere la mia avversione al cantato in lingua madre russo, più che altro nelle vocals pulite, però questo “Heliopolis” scotta parecchio per i suoi contenuti estremamente particolari. L’album, concettualmente basato sulla letteratura distopica del 20° secolo (per intenderci la letteratura che ipotizzando che attraverso la tecnologia e il controllo sociale si possa davvero creare il mondo "perfetto"), si apre con “Saturn”, song assai complessa e affascinante, che partendo da sonorità doom avanguadistiche simili a quelle dei connazionali Rakoth, esplora in modo più profondo il genere, arricchendolo di aperture progressive (si stile Porcupine Tree, avete capito bene), tenendoci incollati allo stereo anche per qualche sconfinamento in territori un po’ più estremi (più che altro solo per l’uso di vocals più corrosive e decisamente accettabili dal sottoscritto). Il sound del quartetto est europeo è davvero caleidoscopico, perché si passa con estrema disinvoltura da un genere all’altro; ne è un palese esempio il cambio di ritmo nella parte centrale di “We’ll Die Smiling Broadly” dove da un’apertura quasi folk rock si passa ad attacco frontale black anche se della durata di pochi secondi, per poi far ritorno in modo quasi frastornante, verso sentieri psichedelici, tribali, progressive in un vorticoso turbinio ritmico che non può che lasciarmi spiazzato, cosi come non può che lasciarmi spiazzato o a dir poco basito, l’inserimento del “Pink Panther Theme” nella title track, song che inizia con una melodia darkeggiante, le solite insopportabili liriche in russo (solo questa cosa mi costringe a tener relativamente basso il mio voto), melodie orientaleggianti e poi la follia, la pazza imprevedibilità, quello che non ti aspetti, l’inserimento appunto del tema della Pantera Rosa. I nostri fanno un po’ tutto quello che passa loro per la testa e lo fanno con estrema intelligenza e gusto, fregandosene di etichette, di opinioni di stupidi recensori o testate giornalistiche. I Letargy Dream stupiscono per la loro bravura, la loro intensità, per la capacità di farci cogliere i loro umori, le emozioni e le percezioni e saperle incanalare attraverso un ubriacante viaggio in un mondo incantato fatto di colori inimmaginabili, suoni spettacolari e orchestrazioni da brivido. Peccato solo per quel maledettissimo modo di cantare che proprio non riesco a tollerare, e che altera notevolmente il mio ascolto attento del pezzo, altrimenti l’album avrebbe potuto ricavare molto di più. Se si vuole far breccia nel cuore (meglio nell’orecchio) dell’ascoltatore europeo, meglio lasciar perdere le liriche in russo e iniziare a fare un bel corso di inglese, in modo da potersi aprire ad un pubblico più vasto. Da rivedere decisamente in futuro questa debolezza, mentre musicalmente ci siamo, eccome… Provare per credere! (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 75

giovedì 30 dicembre 2010

Cebren-Khal - A Mass of Despair


L’etichetta russa BadMoodMan Music non perde un colpo, cogliendo ancora una volta l’occasione di mettere sotto contratto una sconosciuta band underground di assoluto valore. Questo giro tocca ai francesi Cebren-Khal saper stupire gli ascoltatori con questa release, che pur non rappresentando nulla di particolarmente originale, ha senza dubbio il pregio di saperci conquistare fin dal primo ascolto. La musica proposta dal quartetto transalpino è riconducibile ad un death doom che si rifà ai dettami classici di primi Anathema e My Dying Bride, quindi capirete bene che chi ama questo genere di sonorità deve far proprio questo lavoro, in modo da tuffarsi in meravigliose malinconiche atmosfere ormai dimenticate. Il combo di Rennes, nelle cinque tracce proposte (per un totale di 37 minuti), passa con estrema disinvoltura dalle sonorità doom della opening track, “Mortshaped”, ad assalti al limite del black con la successiva “Act 1: The Parcae’s Nigh is Sleepless”, primo atto della suite “The Lunar Tragedy”. La lunga composizione si snoda in realtà attraverso momenti di oscure ambientazioni gotiche e sfuriate black vampiresche sulla scia dei Cradle of Filth più atmosferici, con un cantato che si alterna tra parte lamentose meditabonde e scream malvagi. Il secondo atto prosegue con una vena molto più melodica, richiamando ancora una volta il sound dei maestri di sempre, My Dying Bride e con la voce di Yves che fa molto spesso il verso di Aaron, con quel suo modo di esprimersi sofferto, disperato e lamentoso. Tocchi di pianoforte accompagnati da roboanti ruggiti di chitarra e melodie struggenti, riescono nel difficile compito di sapermi toccare il cuore, infondendomi emozioni che da tempo non percepivo ascoltando un cd. Il terzo atto apre con un nuovo assalto frontale, interrotto da un ispirato arpeggio di chitarra e ancora dalla voce di Yves a giocare un ruolo fondamentale nell’economia della band, grazie alla sua brillante ecletticità nel passare dal growling profondo allo screaming black attraverso un cantato declamatorio niente male. L’ultima lunghissima traccia, “Where all Faith is Lost”, chiude degnamente un disco esaltante che se fosse durato una ventina di minuti in più avrebbe sicuramente stancato ma l’intelligenza dei nostri li ha spinti a propendere per musica di qualità piuttosto che di quantità. Melodie azzeccatissime, riffoni pesantissimi, aperture orchestrali, arricchite da una registrazione potente e impeccabile dall’inizio alla fine, chiudono questo inatteso quanto mai interessante lavoro dei francesi Cebren-Khal, new sensation in casa BadMoodMan Music. Semplicemente emozionanti! (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 80

mercoledì 15 dicembre 2010

Sideris Noctem - Wait Till The Time Is R.I.P.


Il cd posto alla nostra attenzione questa volta, è di una band emergente proveniente dall’Ucraina e si chiama Sideris Noctem. Questo è il loro primo lavoro completo, prodotto dalla sempre presente e attenta BadMoodMan Music. Il cd è composto da 9 track, 8 delle quali inediti del gruppo e un pezzo è una cover degli immensi Katatonia. Dopo questo preambolo, andiamo ad ascoltare il lavoro di questi ragazzi dell’est Europa. Il cd viene aperto da “First Day”, un intro prettamente strumentale, in cui veniamo accolti da una batteria con un rullante molto militare, quasi marziale. Il pezzo si evolve con una piacevole e melodica parte classica fatta di violini e con la batteria a scandire il tempo. Dopo poco meno di un minuto di intro, parte la seconda traccia che dà il nome al cd: questo pezzo entra con un riff di chitarra veemente e duro, che si amalgama perfettamente ad un bel sottofondo di tastiere che rendono il tutto interessante all’ascolto. La ritmica di questo pezzo è sostenuta, ma mai eccessiva e ben suonata. Le voci si alternano tra il growling distorto di Pavel e i classici eterei gorgheggi femminili del soprano Anastasia, che rendono il tutto un po’ più angelico e dolce, arricchendo la performance dei nostri. I riffs delle chitarre si susseguono tra ritmi lenti, poi veloci e violenti che sembrano fare un gioco sonoro atto a rincorrersi. La terza “Binary”, viene scandita all’inizio con dei bei tocchi di pianoforte, che suona dolce, rilassante, entrano poi le chitarre, con riff armoniosi, tranquilli e altrettanto rilassanti, che suonano come una tipica “ballata” metal. Il pezzo scorre via come era iniziato rilassante, ben eseguito con le vocals pulite di Pavel pregne di un pathos estremamente malinconico. Le voci continuano a mescolarsi tra clean, distorsioni e cori femminili. Il pezzo, con i suoi forti richiami ai gods My Dying Bride, non sfocia mai nella violenza; la batteria non segna ritmi esasperati, ma sembra quasi cullare ritmicamente gli altri strumenti. Inizia la quarta traccia “Behind the Mirror of the Winter’s Fall“, e qui i ritmi si fanno un po’ più vivaci, con i riff di chitarra che dipingono malinconici affreschi autunnali. Anche qui le vocals e del resto in tutto il cd, si alternano in un dualismo growl-soprano che alla fine rischia un po’ di stancare. In tutto il pezzo, quello che emerge è il tentativo delle ritmiche di essere più violente violenti, cattive, aggressive, ma mai esageratamente estreme grazie al bilanciamento dato da riff di una seconda chitarra che esegue parti più ritmate. Il pezzo ha un intermezzo tranquillo, rilassante dove il pianoforte con il suo suono morbido sembra cullare l’ascoltatore. La settima song è una graditissima sorpresa: si tratta infatti della cover dei Katatonia “ Without God”, risalente addirittura al primo mitico “Dance of December Souls”. Eseguita decentemente, si fa notare subito la doppia cassa di batteria che fa da sfondo ai riffs maligni black doom. La voce è cupa e oscura. Il tutto viene arricchito dal supporto delle tastiere, certo è che l’originale è tutta un’altra cosa. Si può dire che in tutto il cd, la band ucraina si sforza nel proporre un sound elegante, ma non sempre quello che ne viene fuori è del tutto buono. C’è ancora molto da lavorare, tuttavia noi vi seguiremo! (PanDaemonAeon)

(BadMoodMan Music)
Voto: 70

sabato 6 novembre 2010

Wedding in Hades - Elements of Disorder


Per chi avesse mai avuto preconcetti sui francesi del tipo “fanno un buon vino”, “hanno avuto Platinì e Zidane” ecc, ci si dovrà ricredere. Abbiamo ascoltato i Wedding In Hades e devo dire che ci hanno sorpreso parecchio e piacevolmente. Questi 4 ragazzi arrivano dalla Francia più precisamente da Saint–Brieuc (Bretagna). Con “Elements Of Disorder” registrato per la BadMoodMan Music, i nostri giungono al loro primo ufficiale full lenght. Il cd comprende 8 tracce e immediatamente stupisce per l’aria innovativa che ci consente di respirare: non è il tipico cd di death o gothic metal, sorprende infatti per il suo discostarsi dalla furia canonica che purtroppo martirizza molto spesso questo genere. Di certo se si vuole ascoltare qualcosa di violento, banale e brutale, decisamente questa release non farà per voi. “Elements Of Disorder” è un disco innovativo, le linee di chitarra suonano alle mie orecchie come nuove, fresche e ricercate. Di certo quel che emerge dall’ascolto di questa prima uscita, è che i ragazzi hanno osato e a nostro parere hanno fatto bene. La track list è ben organizzata e il cd scorre via piacevolmente senza alcun modo stordire l’ascoltatore (cosa da non sottovalutare). Nota interessante da rilevare, a parte la bravura dei musicisti che rendono l’album piacevole all’ascolto è la voce, voce che viene utilizzata sia nel modo oscuro del gothic, che col growling tipico del death, senza disdegnare l’utilizzo di clean vocals. Questa miscela rende questo lavoro un vero, buon punto d’inizio per questi quattro ragazzi transalpini. Se si dovesse trovare un difetto all’album (se poi di difetto vogliamo parlare), bisogna dire che purtroppo le canzoni risultano talvolta alquanto lunghe, ma per fortuna, grazie all’ottima miscela di riffs, con parti alternate tra momenti veloci e violente a momenti più tranquilli e quasi rilassanti, con la voce che si dipana tra grugniti violenti e brutali, per poi diventare quasi dolce, mostra la spiccata disinvoltura dei Wedding in Hades nella ricercatezza di una propria definita identità. Nel suo complesso, questo debut merita di essere ascoltato (e acquistato), per cogliere la ventata di freschezza e di originalità che esso porta con sé. Da sottolineare ancora una volta, la voglia di osare del combo d’oltralpe, che non si è rinchiuso nei limiti del genere anzi, ci ha voluto far conoscere, con molto coraggio, “il proprio mondo”. Da parte mia posso solo dire alla fine “Avanti Galletti “, penso che dei Wedding In Hades sentiremo parlare ancora, in bocca al lupo ragazzi, andate forte… (PanDaemonAeon)

(BadMoodMan Music)
Voto: 75

domenica 3 ottobre 2010

Alley - The Weed


Oggigiorno suonare un genere non derivativo è impresa assai ardua, per non dire impossibile, cosi molto spesso ci troviamo di fronte a band che non fanno altro che copiare, clonare, imitare pedissequamente le gesta di grandi gruppi del presente o del recente passato. Per come la vedo io, non è cosi drammatico riprendere gli insegnamenti dei maestri se alla fine ciò che ne viene fuori, ha un proprio perché, delle proprie emozioni da trasmettere o comunque riesce nell’intento di non lasciarci indifferenti di fronte ad una proposta musicale. Faccio questa premessa semplicemente perché ho letto critiche feroci nei confronti di questo gruppo proveniente da uno sperduto paesino siberiano, Krasnoyarsk, in quanto la loro musica non farebbe altro che adottare il principio del “copia incolla” nei confronti dei ben più famosi gods svedesi, Opeth. Ebbene che dire? Non mi sembra proprio un delitto se quel che ne viene fuori alla fine è ascoltabile o addirittura piacevole, quindi non mi sento assolutamente di condannare la scelta del quartetto russo nell’aver rispettato in modo integerrimo gli insegnamenti degli inarrivabili maestri. Insomma l’avrete capito dunque: il sound proposto dagli Alley riprende palesemente la musica di Mikael Akerfeld e soci (periodo “Still Life” e “Black Water Park”) con tutti i loro tipici marchi di fabbrica: songs estremamente articolate e lunghe, l’alternanza tra frangenti acustici ad altri più estremi, stessa effettistica nelle linee di chitarra, l’alternanza tra clean vocals (molto simili a quelle del buon Mikael) e growling feroci. Non mi soffermo neppure nell’analisi track by track perché comunque il sound dei nostri è estremamente debitore agli originali. Certo che alla fine ciò che fa la differenza tra gli Alley e gli Opeth è la classe cristallina che contraddistingue i secondi, mentre per i primi rimane il pregio di aver cercato di raggiungere le vette inarrivabili dei mostri sacri e di aver provato ad esprimere il proprio io attraverso l’influenza che i loro artisti preferiti possono aver avuto sulla musica prodotta. “The Weed” è l’opera prima degli Alley, e sono certo che con il prossimo lavoro, il coriaceo act siberiano, sarà in grado si scrollarsi di dosso l’alone dei maestri svedesi alla ricerca di una propria precisa identità. Esordio comunque positivo per chi come me, ama il prog death. Un’ultima considerazione: ma se al posto di Alley, ci fosse stato scritto Opeth, sarebbe stato fatto tutto questo baccano? Coraggio! (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 65

Raventale - Mortal Aspirations


Terzo lavoro per la one man band ucraina guidata da Astaroth e non posso iniziare con l’elogiare il lavoro fatto, profetizzando che “Mortal Aspirations” sarà decisamente il disco della consacrazione per il polistrumentista di Kiev. Ancora una volta l’est Europa (e la Solitude Production) si confermano un’ottima fonte (e distribuzione) di musica eccelsa, dopo quella che abbiamo già avuto modo di scoprire con Frailty o The Morningside, tanto per citare qualche altro gruppo di assoluto valore. E la musica contenuta in questa release, lascia spazio ad un sacco di considerazioni, che già dall’iniziale “The Fall of the Mortal Aspirations”, mette in luce le qualità indiscutibili dell’act di Kiev: un sound vario, drammatico, ispirato e ricco di sorprese caratterizzano infatti questo terzo lavoro dei Raventale. Partendo da basi blackish dal forte alone doomeggiante, il nostro eroe costruisce trame espressive, ricche di pathos, portatrici di profonde emozioni, grazie alla sua maledetta componente depressive. Le chitarre taglienti (talvolta serrate) rimangono forse l’unico punto di contatto col black metal visto che il più delle volte il riffing si presenta invece bello potente e pesante, quasi al limite del death; le vocals, prese le distanze dallo screaming tipico del genere, si presentano sofferenti e disperate. Ciò che mi stupisce maggiormente sono le orchestrazioni, in grado di conferire un tocco di epicità che non ha potuto esimermi dal ricordare i passaggi di alcuni pezzi dei Bathory più solenni o dei Burzum più ispirati. Cosi come pure è stata migliorata, rispetto al lavoro precedente, la componente atmosferica, che pullula enormemente in questa nuova fatica, grazie ad un intelligente lavoro alle tastiere e all’inserimento di raffinate aperture acustiche (basti ascoltare la disperata melodia e i soavi arpeggi di “Suicide as the Destined End” per intenderci).. “My Birds of Misfortune”, la traccia più selvaggia del cd, si contraddistingue invece per il suo muro sonoro bello compatto, dove le keys, ancora una volta, giocano un ruolo predominante, donando quel tocco di malinconia cosi come si ritrova nel sound degli svedesi Shining, mentre in altri frangenti ecco l’oscuro spettro di “Dance of December Souls” aleggiare nei pezzi. Dopo il brillante ritorno sulle scene dei Drudkh, sono felice che un’altra band, originariamente dedita al pagan black metal, si sia lanciata in nuove sperimentazioni, capaci di dare nuova linfa vitale a questo genere un po’ assopito. Pure intense emozioni! (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
voto: 80

The Morningside - Moving Crosscurrent of Time

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Katatonia
Una lunga spettrale intro apre il secondo lavoro dei moscoviti The Morningside, autori un paio d’anni fa di un interessantissimo lavoro di death doom atmosferico, “The Wind, the Trees and the Shadows of the Past”. Proprio partendo da tali sonorità decadenti, ma ancor di più dall’influsso proveniente dal mitico debut “Dance of December Souls” dei Katatonia, possiamo dedurre su quali coordinate si muove il quartetto russo. L’ensemble est europeo non tradisce assolutamente le mie aspettative, peraltro proponendo al pubblico un lussuoso digipack con un elegante booklet interno. A parte l’estetica, visto che comunque anche l’occhio vuole la sua parte, la musica poi è pura delizia per le mie orecchie e per chiunque abbia amato gli esordi dei già citati Katatonia o dei Paradise Lost. Proprio sulla base di quelle sonorità di primi anni ’90, cosi malinconiche, depressive e autolesioniste, la band sfoggia 5 pezzi (più intro e outro) di raffinata bellezza. Ad aprire ci pensa “Fourteen” e già sono le chitarre ritmiche a mettersi in mostra, spennellando qua e là tinte autunnali di un dolce tramonto di metà novembre. È immediatamente chiaro che il disco ha suggestive emozioni da trasmettere, visto il ruolo cardine che giocano i fantasiosi riffs del duo Sergey-Igor, nell’economia generale del disco: non si tratta infatti di selvagge cavalcate di furente death, bensì vellutati tocchi di pura semplice poesia, con intermezzi acustici e parti atmosferiche, capaci di colmare il dolore dei nostri cuori feriti. La terza “Autumn People” si apre come un qualsiasi pezzo estrapolato da “Shades of God” dei maestri Paradise Lost e come i maestri, anche i The Morningside dipingono desertiche lande ove non v’è traccia d’anima viva. Magnifiche l’emozioni che si sprigionano dalle note di questo disco, complici anche alcune parti ispirate agli statunitensi Agalloch, per quel loro uso di parti acustiche che donano un tocco di magia all’intero lavoro; cosi come eccellenti sono i riffs di chiara scuola “Brave Murder Day”, certamente in grado di trascinare “Moving Crosscurrent of Time” verso un successo più che meritato. Vorrei sottolineare infine che, nonostante questa mia continua citazione di band a cui i nostri si ispirano, la musica dei Morningside non è una pura e mera rilettura dei classici ma un’intensa personalizzazione di quelli che sono i dettami di un genere che, se si è in grado di suonare, può suscitare forti emozioni e i Morningside si confermano talentuosi nelle idee e abili nel’esecuzione; bravi! (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 80

Helevorn - Forthcoming Displeasures

 
Formatisi nel lontano 1999, a Palma de Mallorca, gli Helevorn se ne escono con il loro secondo album (dopo il loro promo cd “Prelude”, uscito nell'inverno 2000 e il primo immaturo lavoro datato ormai 2005 “Fragments”), che li ha definitivamente consacrati come una delle “migliori band doom metal della Spagna” [a detta di alcune delle più famose riviste musicali]. Dopo un periodo di stop durato 5 anni, il sestetto spagnolo rilascia questa nuova release, per la sempre attenta etichetta russa BadMoodMan Music: sonorità doom/gothic, accompagnate anche da qualche exploit con pianoforte (degne di nota sono le tracce “Two Voices Surrounding” e “Revelations”), marcate atmosfere cupe e lugubri degne dei migliori Katatonia degli esordi (bisogna ammettere che la registrazione di quest'album in Svezia ai Fascination Street Recording Studios, sotto l’egida di Jens Bogren e Johan Ornborg, ha lasciato un'impronta indelebile sul sound: mentre il precedente “Fragments” ha visto la luce in Finlandia, negli Finnvox Studios), un growling ben riuscito, che ricorda molto gli Swallow The Sun, coi quali gli ispanici Helevorn hanno girato la Spagna e il Portogallo nel 2007, caratterizzano questo esaltante lavoro, che di originale avrà ben poco ma che comunque si lascia piacevolmente ascoltare. I riff di chitarra sono sempre ben presenti e andanti di pari passo con l'aggressività vocale di Josep Brunet, come a voler marcare profondamente la malinconia che i tempi passati accrescono, vero tema ricorrente di questo cd. In alcune parti Josep ci delizia anche con la sua voce pulita (“To Bleed Not to Suffer”, “Descent” o “Hopeless Truth” tanto per citarne alcune), sebbene il suo uso risulti abbastanza limitato. Registrato nel 2009, ma uscito agli inizi del 2010, "Forthcoming Displeasures" ha tutte le carte in regola per brillare di luce propria, grazie anche alla voglia di sperimentare sonorità che un poco si distaccano dal loro filone degli inizi: ragazzi, questo disco merita davvero di essere consumato a furia di sentirlo e risentirlo, perché un rapido e superficiale ascolto non gli rende affatto giustizia. Provare per credere! (Samantha Pigozzo) 

(BadMoodMan Music)
voto: 75

Kauan - Aava Tuulen Maa


“Contro il logorio della vita moderna!” Questa era la frase di un’indimenticata pubblicità di un amaro, a base di carciofo, ai tempi di “Carosello”. È anche quello che ho pensato dopo il primo ascolto. I Kauan (parola finlandese che dovrebbe significare “per molto tempo”) abbandonano il loro stile precedente e danno alla luce un disco completamente folk. Se questi due russi vogliono cambiare genere ogni volta, e in questa maniera, facciano pure. Anton Belov (chitarre, voce, tastiere) e Lubov Mushinkova (violino) forgiano un’atmosfera autunnale/surreale che si mantiene inalterata per tutto il cd. Quest’atmosfera, quest’anima calma, sognante, calda, con un che di bucolico e con una venatura malinconica, è il punto di forza di questo lavoro. Le emozioni che ne nascono infatti sono le vere protagoniste. Non aspettatevi di cadere nelle braccia di Morfeo per il ritmo lento che caratterizza l’intera release: il duo è in gamba e riesce a tenere svegli, basta provare a seguirli. Sia ben chiaro che non troverete nulla di rock (tanto meno di estremo), anche se, a voler guardare bene, l’unico lascito dalla “vita” precedente, si ritrova nella voce roca in alcuni punti. I suoni elettronici sono molto ben amalgamati alle chitarre, al violino e alle brevi parti cantate. Non aspettatevi grandi differenze di suoni o di composizione tra le tracce (forse “Föhn” è l’unica che si stacca per le parti in crescendo) tutte molto lunghe; non troverete neppure riffs aggressivi, tecnicismi o assoli. Ma va bene così. Sarebbero un peso per le canzoni, che già sono al limite dell’ipertrofia. Fronzoli che costringerebbero i pensieri e ruberebbero la scena alle emozioni. Da apprezzare anche il booklet e il package. Un disco non per tutti, ma state al loro gioco e vedrete che ne varrà la pena. Perdersi un po’ in un angolo sognante, nella frenesia quotidiana e farlo con classe, è una cosa che fa bene allo spirito. (Alberto Merlotti) 

(Firebox/BadMoodMan Music)
Voto: 80

Re123+ - Magi


Immaginate di trovarvi in una sbiadita stazione ferroviaria del secolo scorso. Siete soli. Il silenzio che vi avvolge minaccia di far esplodere la vostra mente. Sentite finalmente un rumore. E’ un incedere lento di ferraglia che mai esce dalla nebbia. Ecco descritto il primo brano, che martella per fagocitarvi tra le ritmiche incessanti, ritmiche mal definite, che affannose tentano di vincere, senza riuscirvi, la ruggine strumentale. Ascolto ideale se volete dedicarvi alle arti evocative in cui è necessario alienare il pensiero cosciente dall’inconscio. Procediamo con la seconda traccia: la meta questa volta è una alcova dai colori esotici. Le sonorità evocano le geometrie descritte da una danzatrice del ventre in una ascesa sensoriale con il brano che si conclude con un tragico risveglio in cui piombano chitarre ululanti contrapposte agli esordi morbidi dei tamburi. Consigliato l’ascolto a personalità scisse alla dottor Jekyll e mister Hyde. La terza ed ultima traccia chiude l’album con evocazioni gitane, dalla melodia circolare, ridondante, che come un mantra, ipnotizza se ascoltata in cuffia e tedia in diffusione. Consigliato l’ascolto a chi vuole compiere un viaggio psichico a basso costo. La musica di questa band biellorussa Re123+ si rivela come un profondo atto di meditazione, intelligentemente accompagnato dalle citazioni de “L’Isola del Giorno Prima” di Umberto Eco. Suggestivi! (Silvia Comencini)

(BadMoodMan Music)
voto: 70

On the Edge of the Netherrealm - Different Realms

#PER CHI AMA: Death Doom, My Dying Bride, Saturnus
Ancora BadMoodMan Music, ancora Russia, ancora musica di grande qualità. La band On the Edge of the Netherrealm (nome che sinceramente mi piace assai poco) è in realtà il side project di Vladimir Andreev, cantante e chitarrista dei Revelations Of Rain, qui però accompagnato dal vocalist Sethaye, in otto tracce dal mood malinconico e un po' più melodico, ma comunque abbastanza vicino alla band madre. L'accostamento che mi viene subito da fare è con le primissime produzioni dei My Dying Bride, ma ancor di più con il death/doom dei danesi Saturnus: pezzi al limite della depressione, complice anche l'utilizzo di un pianoforte presente costantemente nel sound dell'act sovietico, melodie ancestrali, growling vocals confuse (decisamente il punto critico da migliorare), ambientazioni oscure create da una monolitica base ritmica e da passaggi talvolta al limite del gothic. Non riesco sinceramente a capire perché in sede di presentazione, sia della band che dell'etichetta, si faccia riferimento ai nostrani Novembre, visto che della band dei fratelli Orlando c'è ben poco nelle note di "Different Realms". La musica del combo russo riflette invece esattamente quelli che sono i dettami di un genere, in cui le band dell'ex Unione Sovietica iniziano, per mio conto, a primeggiare nell'intero panorama death/doom: melodie eteree create dal sapiente utilizzo dei synth da parte del buon Vladimir, linee di chitarra strappalacrime, ritmiche talvolta al limite del funeral doom, frangenti acustici a spezzare la monotonia sempre incombente. Inutile citare una top song (forse un plauso andrebbe fatto per "Past" dove forse un po' di Novembre sound sembrerebbe affiorare), anche perché bene o male i brani si assomigliano tutti per struttura e feeling portante, tuttavia se anche voi siete come me degli appassionati di suoni lugubri, strazianti, deprimenti, perché lasciarvi scappare questa interessante uscita della sempre attenta etichetta russa. Da provare... (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 70
 






Mournful Gust - She's My Grief...Decade


#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Anathema, Saturnus
Non allarmatevi ragazzi perché questo non è il nuovo lavoro degli ucraini Mournful Gust, bensì la loro etichetta ha pensato bene di raccogliere in 2 cd, il disco d'esordio dei nostri, completamente rimasterizzato, più versioni demo, alternative di alcune altre songs del combo est europeo. Il risultato? Beh, come potete ben immaginare da un cultore del genere come il sottoscritto, non potete che attendervi buone parole. Si sente subito che non si tratta di pezzi proprio attualissimi, visto che il cd risale al 2000, e dove forti sono le influenze dei gruppi storici della scena dell'epoca, con i Tristania e i primi Within Temptation come influenza basilare per l'alternanza di growling maschile e angeliche e soavi voci femminili. Devo aggiungere che il sestetto di Krivoy Rog (città ben più famosa per detenere il record di città più lunga al mondo) affonda le radici del proprio sound anche nelle produzioni "Pentecost III" e "The Silent Enigma" degli Anathema, quando ancora il growling prima di Darren White, poi di Vincent Cavanagh, si inseriva in un contesto altamente malinconico/deprimente. E cosi le songs di "She's My Grief", accompagnate da struggenti violini e inquieti flauti, permeati da una intrinseca inquietudine di fondo dettata dai suoni irrequieti delle chitarre, mettono in mostra le indubbie qualità compositive dell'act della ex repubblica sovietica. Difficile scegliere una song che possa svettare sulle altre in quanto la qualità della proposta è comunque medio alta. Forse la cosa che faccio più fatica a digerire ora come ora, è la presenza del soprano Oksana Krivenko, ma basta farci un attimo l'orecchio per poter godere appieno delle lunghe songs offerte. Il cd "Decade", come dicevo, è una sorta di regalo per i fan più accaniti, con demo version del secondo lavoro della band, "The Frankness Eve" (incluso anche il video clip di "With Every Suffering") e altre songs completamente rivisitate in più modi (è il caso di "The Cold Solitude"). Che altro aggiungere, se non che, se siete fan del genere death doom, non potete far mancare questo cd nella vostra collezione, in attesa che un nuovo lavoro sia rilasciato dai Mournful Gust. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 70
 

As Light Dies - Ars Subtilior From Within the Cage


Inquietanti tocchi di pianoforte aprono questo secondo lavoro degli spagnoli As Light Dies, nuova band rivelazione scoperta dalla sempre più attenta BadMoodMan Records, che va alla costante ricerca di talenti ormai per tutto il mondo, aprendo quindi il proprio sguardo oltre il confine russo/ucraino. Questa volta l’etichetta russa delizia il nostro palato con questa talentuosa band, che attraverso le note di questa articolata release ci conduce nei meandri più malati della psiche umana, una sorta di viaggio all’interno di un mondo in cui sonorità “meshugghiane” si fondono con trame e atmosfere a la Opeth, in un caleidoscopico incedere di emozioni e suggestioni da fine del mondo, dal mood quasi tipicamente sludge. Detto cosi potrebbe sembrare il disco della vita, perché vi garantisco che i suoni disarmonici, i controtempi, le melodie stralunate, gli inserti di violino, lo psicotico basso, le ritmiche schizofreniche, i synth schizoidi e le vocals malate sapranno garantire alle vostre orecchie qualcosa di realmente mai sentito, che forse finirà per avere l’effetto opposto di quello desiderato: anziché indurvi ad un ascolto costante, potrebbe spingervi ad allontanarvi da questo album a gambe levate per la difficoltà che incontrerete nell’ascoltarlo. Se invece siete dei temerari come il sottoscritto e vivete nell’attesa di poter ascoltare e recensire dischi come il presente, beh mettetelo nel vostro stereo, infilatevi un paio di buone cuffie, chiudete gli occhi e lasciatevi condurre in un mondo fatto di colori inimmaginabili, strani personaggi e psichedelici suoni. Si, insomma una sorta di “Alice in Wonderland” in multilingua, visto che ci sono song cantate in inglese, francese e spagnolo (e titoli in tedesco come la meravigliosa strumentale “Die Letze Fuge Vor Der Flucht”). Difficile segnalare un episodio piuttosto che un altro, anche se la seconda “The Disinherited” rimane la mia preferita per quel suo essere cosi imprevedibile (talvolta pure troppo), per la sua capacità di lasciarmi interdetto per alcune scelte musicali davvero uniche, complimenti; un’altra segnalazione d’obbligo va a “Insignificant Among Insignificance”, 11 malinconici minuti di death/doom vecchio stampo come i buoni My Dying Bride hanno insegnato. Ribadisco un solo concetto però: l’album è davvero di difficile digestione se non siete dei patiti di sonorità altamente schizofreniche o se mal sopportate voci pulite non proprio conformiste ai canoni metallici. Ma se ormai siete saturi della solita solfa e anelate a qualcosa di veramente unico, “Ars Subtilior From Within the Cage” saprà catturarvi ed entusiasmarvi, cosi come è riuscito a farlo con il sottoscritto, tanto da definirlo uno degli album più interessanti (e difficili) dell’anno. Un'ottima produzione e una mostruosa preparazione tecnica, rischia di consacrare questi spagnoli come vera sorpresa del 2010. Un’ultima cosa ancora: il voto l’ho mantenuto volutamente più basso, solo per la palese difficoltà nella fruizione di questo enigmatico, controverso, folkloristico, progressivo, fantastico lavoro… (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
voto: 85