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sabato 12 novembre 2011

Root - Heritage of Satan

#PER CHI AMA: Black'n' Roll
Continua la politica infernale della polacca Agonia Records, dopo le release di Svarttjern e Acherontas ed in attesa di ascoltare il nuovo apocalittico cd degli Aborym, ecco tornare sulle scene i cechi Root, band storica del panorama metal europeo (la fondazione risale addirittura agli anni ’80), da sempre snobbati e sottovalutati dalla stampa. Ed ecco arrivare questo “Heritage of Satan”, che si apre con una voce narrante in un contesto da film horror, estremamente atmosferico ma da incubo. A ruota segue “In Nomine Sathanas”, song di 2 minuti che ha un che degli ultimi Samael e nel suo tribale finale, palesi riferimenti alla ritmica dei Rotting Christ. Dopo questo inno a Satana, rimango ancor di più spiazzato con la seguente “Legacy of Ancestors”, pezzo retrò che puzza clamorosamente da birrerie tedesche e di sonorità black’n’roll (avete presente i Phazm?), con una chitarrismo solista ispirato, ma tipico degli anni ’80; non mi piace l’atmosfera da bar che si respira, ma il lavoro delle chitarre mi fa impazzire, cosi come pure in “Revenge of Hell”, dove quello che ascoltiamo sembra più un heavy/glam piuttosto che black metal, se non fosse per quei vocioni gutturali accompagnati da un ridicolo chorus baldanzoso. Un finale acustico ci introduce a “Darksome Prophet”, finalmente una song con i controcoglioni, capace di spaccare le ossa per il suo incedere al limite tra thrash e black: peccato solo che il problema della band sia a mio avviso a livello del cantato, non che non mi piaccia la voce di Big Boss, ma non tollero il suo modo di cantare, cosi obsoleto, cosi teutonico, cosi retrò. Va beh, proseguo e mi imbatto in “Fiery Message”, la song che stravolge il voto al ribasso che volevo dare all’album: aura magnetica, atmosfere ipnotiche, chitarre soliste da urlo e finalmente delle vocals che mi catturano e non mi infastidiscono, si decisamente il mio pezzo preferito che rivaluta enormemente questo “Heritage of Satan”. Dopo l’esaltazione, il livello qualitativo del disco si assesta su dei livelli medio alti, anche se in “Son of Satan”, non capisco che cosa ci stia a fare la voce baritonale; ma si sono bevuti il cervello? Nonostante le ritmiche viaggino ai mille allora, la band ha pensato bene di piazzarci delle vocals che centrano ben poco nel contesto musicale. Si va verso la fine di questo controverso lavoro ed è lecito attendersi ulteriori sorprese, non lo nascondo e cosi è in effetti perché “His Coming” ci mostra il lato più doomish della band della Repubblica Ceca, con un risultato davvero notevole, mentre “Greetings from the Abyss” pur aprendosi come un uragano grind, sembra più un pezzo punk che altro, che casino. Giungo alla fine di questo cd, che sono frastornato dalla quantità di materiale messo in piazza dai Root, segno che la band dopo decenni di gavetta, ormai fa quel diavolo che vuole, fregandosene di tutto e tutti e “The Apocalypse”, l’ultima track del disco, riassume esattamente lo spirito di questa nuova release, infarcendo la song con tutto quanto di pazzo e sconsiderato abbiamo ascoltato fin qui. Arrivo alla fine dell’ascolto del cd e non so neppure come giudicarlo questo lavoro, tale e tanto incasinati sono i suoi contenuti; se anche voi siete dei ribelli come i Root, questo potrebbe essere il disco che fa al caso vostro. Chi ha coraggio di rischiare si faccia avanti, gli altri vigliacchi girino i tacchi perché come si chiude il cd “Ladies and Gentlemen: Here come His Dark Majesty, Satan”, ci troviamo al cospetto di su maestà, Satana. Pericolosi! (Francesco Scarci)

(Agonia Records)
Voto: 75

sabato 5 novembre 2011

Acherontas - Vamachara

#PER CHI AMA: Black ritual, occulto, ellenico
L’incipit di questo cd mi ha fatto respirare quei vapori tipici di zolfo di primi anni ’90 che contraddistinguevano quasi tutte le release provenienti dalla Grecia (Varathron, Rotting Christ, Thou Art Lord, Zemial, Rex Infernus, Septic Flesh) e quell’odore acre di zolfo, emerge preponderante anche nell’intro infernale di questo “Vamachara”, album neanche a dirlo, ad opera di un’altra band greca, gli Acherontas. Certo siamo lontani anni luce dai tempi di quelle mistiche, quasi ritualistiche release assai peculiari della scena ellenica, tuttavia qualcosa è rimasto anche nel sound di questo quintetto ateniese che con questo “Vamachara” arriva al terzo album, dopo una serie interminabile di Split cd. Quello che balza all’occhio guardando la biografia è che l’act greco non è formato certo da degli sprovveduti, ma da gente che ha alle spalle anni e anni di militanza con altre formazioni e l’esperienza fin qui maturata, si esplica nelle note di questo lavoro. Occultismo, misticismo e spiritualità continuano ad essere i temi portanti delle liriche della band, mentre, per ciò che concerne la musica, ci si muove in territori palesemente black fin dalla prima vera traccia “Blood Current Illumination”: una sfuriata di sette minuti che sembra provenire direttamente dall’inferno, e suonata da Satana in persona, anche se negli ultimi tre minuti della song mi sembra di percepire qualcosa di nuovo (o meglio preso in prestito dai francesi Glorior Belli), ossia quella sorta di southern black and roll che ritornerà anche nelle successive songs. È forse questa la novità degli Acherontas targati 2011? Non so, quel che è certo è che anche “Abraxas” (che non può che ricordarmi Dylan Dog) viaggia sulle stesse coordinate stilistiche, questo black occulto, sporcato da sonorità più legate alla musica southern blues che al black. Non so se sia l’effetto di grandi quantitativi di whiskey assunti, ma la band greca, con questa nuova fatica, prende un po’ le distanze dalle precedenti release e si lancia verso nuovi stilistici. Ovvio, non ci sono stravolgimenti totali nel sound della band, la furia iconoclasta che da sempre contraddistingue la band, continua a rimanere, anzi, man mano che si avanza nell’ascolto del cd, sembra ritornare più forte che mai. Mi lascia alquanto perplessa la produzione del cd, che penalizza il suono della batteria che risulta assai ovattato, mentre le chitarre mantengono il loro riffing tagliente, di chiara derivazione scandinava, anche se attenzione perché il solo della title track sembra più di matrice heavy metal che di musica estrema, neppure ci fosse Adrian Smith alle sei corde. Sono disorientato dall’inizio (anzi dall’interezza) di “Ohm Krim Kali”, song che si rifà sicuramente alla tradizione ritualistica indiana: sembra quasi di fronte alla celebrazione di una morte sulle rive del fiume Gange (o forse siamo sulle sponde dell’Acheronte e non ce ne siamo ancora accorti). Si prosegue e la ferocia del combo greco torna a prevalere con una song mortifera, prima della lunga (11 minuti) e conclusiva “Drakonian Womb”, che ci conduce lentamente verso le viscere più profonde della terra, là dove le anime bruciano per i loro peccati, là dove siede il signore delle tenebre, là dove la colonna sonora non può essere che quella degli Acherontas… Mefistofelici! (Francesco Scarci)

(Agonia Records)
Voto: 75

Svarttjern - Towards the Ultimate

#PER CHI AMA: Black Death Moderno
Devo essere sincero, di primo acchito questo album non mi diceva nulla di che: le solite schitarrate brutali e finita li. L’ho ripreso in mano per dargli una seconda chance; insomma mi sembra strano che dalla Norvegia esca qualcosa di assai anonimo, e ho provato ad aprire maggiormente il mio cuore, oltre alle mie orecchie; cosi dopo i lamenti dell’intro iniziale, ecco che mi lascio investire dal glaciale vento del nord (che in questi giorni sta flagellando anche la nostra penisola) di “Hellig Jord” e un po’ mi sono dovuto ricredere. Scrivo un po’, perché in effetti la band di Oslo, a parte mostrare una costante brutalità di fondo fine a se stessa, basa il proprio sound su sfuriate iperveloci di death/black, in cui il quintetto si diletta a torturarci con pesantissimi ritmiche e costanti blast beat; tuttavia, ogni tanto la furia ancestrale viene placata e lascia il posto ad un sound mid-tempo di spessore granitico, ma non illudetevi troppo, perché si tratta solo di rari sprazzi di quiete prima della classica tempesta tonante pronta a deflagrare all’interno delle casse del vostro stereo. E cosi, i singoli episodi di questo “Towards the Ultimate” scorrono via via, l’uno dopo l’altro, senza che si memorizzino nella nostra testa, ma fungendo semplicemente come pura valvola di sfogo adrenalinica, dopo una dura giornata di lavoro. Forti di una eccellente produzione, che rende assai corposo il loro sound, altrettanto preparati da un punto di vista tecnico, ma ancora abbastanza statici e poco propositivi da un punto di vista di sperimentazione, gli Svarttjern, finiscono in quel calderone di band senza parte né arte, bravi si a far del male, ma che ben presto finiranno nel dimenticatoio per non aver certo concepito un album memorabile, ed è proprio un peccato, perché a mio avviso le potenzialità per fare bene ci sono eccome, perché in una song come “Aroused Self-extinction” si intravede anche un briciolo di sperimentazione a livello vocale dove lo screaming eccellente di HansFyrste, si tramuta in una cantato cibernetico, ma è solo un altro frammento di quello che poteva essere questo album, il classico ago nel pagliaio. Anche in “I AM the Path part II”, oltre alla cruda e pura violenza, completamente scevra di melodie (se non in taluni rari frangenti), c’è un tentativo di personalizzare il proprio sound con un qualcosa che sembra esulare dal black primordiale dell’act scandinavo, ma purtroppo l’esperimento viene immediatamente naufragato. Insomma, tante possibilità di scrollarsi di dosso il fatto di essere una band come mille altre, che propone sì un moderno black metal, ma ahimè tutte sciupate o abortite sul nascere. Da risentire con un prossimo album, dopo attenta riflessione (da parte della band però)! (Francesco Scarci)

(Agonia Records)
Voto: 65

giovedì 14 luglio 2011

Hexentanz - Nekrocrafte

#PER CHI AMA: Dark Ambient, The Soil Bleeds Black, Psychonaut 75
Hexentanz (la danza delle streghe) nasce nel 2004 dalla collaborazione tra i membri di due formazioni statunitensi piuttosto conosciute all'interno dei circuiti musicali dediti all'ambient rituale e alle sonorità d'ispirazione medievale. Parlo dei fratelli Riddick, principali responsabili del progetto The Soil Bleeds Black, legati in questo frangente da un sodalizio artistico/magico con tre membri degli Psychonaut 75: Michael Ford, Dana Dark e Davcina. E' sufficiente una rapida lettura delle note biografiche di questo strano collettivo per accorgersi del rispettabile curriculum che ogni membro può vantare riguardo i propri studi in materia occulta. Nondimeno, risulta interessante osservare la serietà e la dovizia di particolari con le quali il gruppo introduce il proprio lavoro concettuale. In sintesi, 'Nekrocrafte' va inteso come un approfondimento del tradizionale "sabba delle streghe" e di alcuni temi di necromanzia medievale. Un percorso volto a riconoscere tali pratiche occulte come una realtà tangibile, attraverso la quale raggiungere l'intensificazione della propria coscienza e l'acquisizione di una prospettiva di realizzazione individuale. Elementi di magia nera, sciamanesimo e stregoneria antica si fondono in un corpus musicale che trae le sue radici nella dark ambient più inquietante, ma che risulta, invero, difficilmente accostabile allo stile di qualche act già conosciuto. La discendenza dal genere, per quanto sia eloquente, non ostacola affatto l'evoluzione spontanea dei brani ma, al contrario, si limita a delinearne i capisaldi, lasciando poi alla creatività degli artisti coinvolti nel progetto il compito di "aggiungere valore" all'ossatura portante dei brani. Ne esce, così, un lavoro discretamente personale che riesce a catturare l'ascoltatore nel modo più semplice, servendosi di strutture ritmiche agili e prorompenti, melodie criptiche, voci ora sinistre, ora evocative e solenni. Il tutto suonato mediante strumenti acustici tradizionali, sintetizzatori e persino ossa umane! La durata veramente breve del cd (35 minuti scarsi) diventa un'abile mossa per rendere ancor più efficace e focalizzato l'intero lavoro e sollevare 'Nekrocrafte' dalla pesantezza soporifera che spesso contraddistingue alcuni "mattoni" dark ambient di maggior fama e prestigio, ma di caratura artistica nettamente inferiore. Gli Hexentanz, per nostra fortuna, riescono invece ad intrattenere molto bene l'ascoltatore e questo nonostante la proposta musicale austera e l'approccio serioso ai temi trattati. L'album, pubblicato inizialmente per Fossil Dungeon e rimasto per lungo tempo fuori stampa, è ora nuovamente disponibile in cd ed lp con una nuova veste grafica, grazie ad un apprezzabile lavoro di riesumazione dell'etichetta polacca Agonia Records. (Roberto Alba)

(Agonia Records)
Voto: 70


http://www.myspace.com/hexentanz1

mercoledì 6 aprile 2011

Nefarium - Ad Discipulum


Seguo i Nefarium fin dal loro primo demotape che conservo ancora sui miei scaffali di nastri e ho avuto modo di assistere in questi 13 anni, all’evoluzione sonora della band valdostana, fino a vederla come alfiere, oggi nel 2010, del black metal made in Italy. Eh si perché i nostri di strada ne hanno fatta parecchia e “Ad Discipulum” testimonia la qualità raggiunta dall’act italico, che ora come ora non ha più nulla da invidiare alle produzioni scandinave. Forti dell’ingresso nel malvagio combo, del drummer Garghuff (macchina da guerra e già session per Gorgoroth e membro degli Enthroned), i Nefarium sprigionano una furia distruttiva di chiara derivazione swedish black, che non dà modo di annoiare l’ascoltatore, nonostante la quasi totale assenza di cenno melodico. Le otto tracce di Carnifex e soci sono veramente dei classici esempi di songs trita ossa che come su una sottilissima lama, rischiano talvolta di sfociare addirittura in territori più confacenti al brutal death più intransigente, ma non preoccupatevi perché ci pensa lo screaming del vocalist a ristabilire l’ordine della natura. Odio, rabbia, violenza pura e qualsiasi altro sentimento negativo, viene esternato nella mezz’ora e più di questo “Ad Discipulum”, album che riesce finalmente a prendere le distanze dai blacksters svedesi per eccellenza Dark Funeral, coniugando il sound tipico del quartetto, con qualcosa che ho potuto ascoltare solo nei lavori degli Aborym. Se cercate momenti di melodia o atmosfera, lasciate perdere questo cd, sebbene in alcuni momenti si riesca addirittura a respirare la magia che solo alcuni riffs dei grandi Dissection (“Servus Servorum Satanae”) furono in grado di donare o addirittura nella medesima traccia faccia la comparsa il sound distorto di un sinistro violino. I Nefarium del 2010 sono quanto di meglio l’Italia abbia da offrire in ambito black death, in attesa che qualcosa torni a muoversi in casa Aborym. Complimenti quindi alla band italiana, aiutata in questo terzo episodio da Archaon dei 1349 e da Wild P. dei Morturay Drape. Una sola domanda però mi sorge spontanea: non è che il prossimo album riservi sorprese ancora più “scomode” e una virata ancor maggiore verso lidi death metal? “Ai posteri l’ardua sentenza”, intanto io mi godo l’ascolto di questo malefico “Ad Discipulum”. (Francesco Scarci)

(Agonia Records)
Voto: 75