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mercoledì 20 novembre 2024

Mammoth Grinder - Undying Spectral Resonance

#PER CHI AMA: Death Old School
Siete pronti per prendere un paio di schiaffoni ben assestati in pieno volto? Questo è quello che sono pronti ad offrirci gli statunitensi Mammoth Grinder con questa loro nuova uscita di cinque pezzi. Con un incipit che ricorda ben da vicino le prime release degli Entombed, 'Undying Spectral Resonance' si presenta con un brano che fin dapprincipio catalizza la mia attenzione sul quartetto texano. "Corpse of Divinant" è una straordinaria quanto malefica canzone di puro death metal old school, carico di quelle venature stile area di Stoccolma primi anni '90, miscelata con un che degli Autopsy e una spruzzatina di Obituary. Un fantastico colpo alla mascella che immediatamente mi annichilisce per potenza, perizia tecnica (notevole a tal proposito, il super tagliente assolo verso la fine), un pizzico di groove, e un vocione che arriva direttamente dalle viscere della terra. E la successiva title track non sembra promettere nulla di buono, con una linea di chitarra che scandisce in modo evidente il ritmo, qui mid-tempo, del secondo pezzo, ritmo che si fa più incandescente nel finale, con un'altra sciabolata solistica che mi evoca i bei tempi andati del death a stelle e strisce di fine anni '80. E se "Call from the Frozen Styx (Interlude)" è un inutile interludio strumentale, che nell'economia peraltro assai risicata dell'album, mi fa storcere solo il naso, "Decrease the Peace" sembra soffrire dello stop ritmico della precedente song e, fatto salvo per un altro spettacolare assolo, rischia di scadere nel dimenticatoio in tempi brevissimi. Fortunatamente, ci pensa la conclusiva "Obsessed with Death" a ripristinare le incandescenti ritmiche dei primi brani, con un rifferama marcescente e altrettanto convincente, che ci inducono ad un esagitato pogo senza precedenti. Ed è qui che il disco si interrompe bruscamente; in tutta franchezza, avrei infatti desiderato quattro/cinque pezzi in più, per godere di sonorità che si sono perse nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

martedì 19 novembre 2024

Trollwar - Tales From The Frozen Wastes

#FOR FANS OF: Folk/Death
It's time to visit again the always interesting metal scene of Quebec with the band Trollwar. Contrary to previous occasions, we leave aside the black metal genre, focusing this time, on much more upbeat sounds. Trollwar was founded in Alma, Quebec, back in 2011 and currently consists of seven different musicians, forming a line-up that has been quite stable since its inception, apart from some minor changes. In any case, the band hasn't been particularly prolific, releasing two albums and some EPs.

After almost six years, Trollwar presents a new EP entitled 'Tales From the Frozen Wastes', which could help them gain a bunch of new fans. The band plays a mixture of folk and metal with a strong epic vibe, a fusion that has been quite popular especially in Europe in recent years. The eye-catching artwork gives the impression of containing something majestic, and thankfully, the four pieces and one intro contained in the new EP confirm this initial impression. First of all, the production is quite good, powerful, and clean, allowing all the different instruments and vocals to have their own room to shine. "The Unseen One" is the first proper track and contains all the elements that this genre usually offers: an aggressive main voice, closer to higher tones rather than purely metal growls, catchy yet powerful guitar lines, and some majestic arrangements in the form of keys and a solemn backing choir. The track also offers nice tempo changes which make the composition very enjoyable and headbanging friendly. Memorable and epic melodies are what you ask of this genre, and Trollwar surely knows how to create them. "Bane of the Underworld" is another fine example. It is a truly entertaining track, full of energy, great tempo changes, and addictive harmonies, both in the guitar lines, the vocals, or in the use of other elements such as keyboards or choirs. Additional clean vocals are also included in the majestic closing track "The Offering", which has plenty of speedy parts that make this composition one of the most energetic ones. I prefer other sorts of vocals, but all the additions are welcome as they help to enrich the band's music.

In conclusion, Trollwar's 'Tales From the Frozen Wastes' is a notable work. The production, composition quality, and the tastefulness of the melodies are unquestionable. Hopefully, this EP should boost the band's career in the difficult journey of standing out from the hard competition, particularly in this sub genre. (Alain González Artola)


lunedì 18 novembre 2024

Internecine - The Book Of Lambs

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Le musiche e i testi di questo album sono stati scritti interamente da Jarad Anderson (R.I.P. che fu in passato attivo con i Morbid Angel e gli Hate Eternal), mentre le parti di batteria sono state affidate a Tony Laureano (Angelcorpse, Nile) ad eccezione di due brani suonati da Derek Roddy (ex di Hate Eternal e Malevolent Creation). L’album è stato prodotto da Erik Rutan (ex Morbid Angel, e ora negli Hate Eternal e Cannibal Corpse) che ha peraltro suonato tutti gli assoli di chitarra. È chiaro quindi che un disco del genere non possa essere altro che feroce death metal di stampo americano, dai ritmi generalmente molto tirati e dalle linee di chitarra estremamente varie, in continuo movimento. Poco più di mezz’ora di death metal assolutamente coinvolgente, ottimamente suonato e registrato. Un disco che ha deliziato e potrebbe ancora deliziare tutti gli amanti della musica estrema e della perfezione tecnica. Per chiarimenti riguardo il concept lirico vi cito lo stesso Jarad: “this record is dedicated to the time of the destruction, I anxiously await the day of cleansing of this disgusting earth which the masses have created, for I am one, for I am war!!!”. Fate voi.

(Hammerheart Records - 2002)
Voto: 75

https://www.metal-archives.com/bands/Internecine/898

Craft - Terror Propaganda

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Metal
Questo disco è composto da otto brani di ottimo black metal d’ispirazione darkthroniana. Ciò non significa che si tratti di un gruppo clone, significa piuttosto che il gruppo rivisita alla propria maniera, le morbose melodie dell’incommensurabile gruppo norvegese. Buona la produzione, grezza e perfettamente comprensibile. Ottimi i brani: dinamici mid-tempo si alternano a veloci sfuriate. Per quanto riguarda il concept lirirco invece, basterebbe fare caso all’etichetta per cui esce questo disco (originariamente per la Selbstmord Services). Si parla infatti di odio nei confronti del genere umano e di voglia di annientarlo. Si parla di verità. Infine, assai bello l’artwork del booklet (sinceramente underground ed in bianco e nero) e soprattutto l’immagine sul retro del cd; chi emula vince.
 
(Selbstmord Services/Season of Mist Underground Activists - 2002/2018)
Voto: 70
 

giovedì 14 novembre 2024

We Fog - Sequence

#PER CHI AMA: Post Rock/Math
Devo ammetterlo, questa band veronese ha molte qualità anche se, con questa nuova seconda uscita, a distanza di anni dal precedente 'Float' del 2017, non ha voluto mostrare evidenti segni di cambiamento stilistico, e l'istrionico attaccamento ai canoni del post rock e indie rock di fine anni '90/2000, li rende volutamente alfieri di un sound che un tempo fu venerato da molti. Oggi il trio si trova un po' fuori tempo massimo a livello commerciale e neanche la produzione di un guru di questi generi musicali, come la mente degli Ulan Bator, Amaury Cambuzat, dietro alla console di regia, poteva cambiarne la sorte, spingendoli verso lidi sonori più attuali, visto che fu proprio lui, anni or sono, a scrivere album indimenticabili, proprio nel segno del miglior post rock. Però di fatto, questo suo suonare un po' vintage, non ci distoglie dal giudicare 'Sequence', un buon album, suonato con passione e molto motivato, fruitore dei giusti suoni da usare per ottenere l'effetto sonoro desiderato e senza pensare al mercato discografico. Il disco ha molte divagazioni ai confini dell'indie/math rock e la mano di Cambuzat si sente eccome; il suo modo di intendere il sound globale e in particolare della batteria, è infatti inconfondibile, ma la bravura e l'esperienza dei We Fog è assodata da tempo e questa musica la sanno fare bene, molto bene. L'apertura del disco "A Father's Love", è potente e aggressiva, perfetta come biglietto da visita, al pari della trascinante "Meat Without Feet", mentre "No Land for Hope" (dove peraltro Cambuzat suona il synth), con i suoi cambi altalenanti, trasmette malinconia e una voglia di estraniarsi da tutto quello che ci circonda. Non male anche il video di "Kind Warrior". Qualche critica leggera a mio avviso, potrebbe cadere sugli effetti usati in alcune parti vocali, che a volte non rendono giustizia alle stesse, dando l'impressione, di essere poco considerate e tenute come in disparte. Capisco la scelta di emulare l'effetto tipico stile vecchia radio, tipico del post rock, ma a mio avviso, il cantato rischia di estraniarsi troppo dalla musica. Comunque, tralasciando le mie inutili esternazioni personali, direi che 'Sequence', è un buon disco, che si lascia ascoltare in maniera fluida, che mostra una band in ottima salute compositiva, e che dopo ripetuti ascolti, risulta anche più intrigante, tagliente e rumoroso, più di quanto lasci trasparire la rustica immagine paesana di copertina. Da ascoltare con cura e un pizzico di nostalgia per ricordare un'epoca sonora che a molti mancherà sicuramente. (Bob Stoner)

Warkings - Revolution

#PER CHI AMA: Power Metal
Il terzo album pubblicato dal supergruppo elvetico composto da The Viking, The Spartan, The Crusade, The Tribune e da una, aperte le virgolette, sacerdotessa, chiuse le virgolette, che prende il nome di Morgana e che molti (tra cui l'autore di codeste righe) vedrebbero bene in Mad Heidi con addosso la medesima tutina color groviera indossata da Paolino Accola in occasione dei campionati del mondo del novantadue, l'album, si diceva, coniuga con cronometrica abilità il poderoso rigore teutonico nei confronti dell'assenza di originalità a una spiccata propensione per quella specifica forma di sciatto macchiettismo involontario che prende il nome di "cinesata". A partire dai costumi di scena stile tutto-a-un-euro per proseguire con il package dell'album, i titoli, i testi e il trito power espresso un po' ovunque qui come sugli altri due dischi e, parliamoci chiaro, sul novantanove percento della roba power metal che si sente in giro. Si discostano, timidamente, i singulti groove di "Spartacus", il finto-gregoriano di "Deus Io Vult" trafugato dal primo album degli Enigma, le blandizie melodic della conclusiva "When Dreams Die", quelle dark-schlager di "Sparta pt. 2" e, di tanto in tanto, una ridicola indulgenza sul wah-wah di "We Are the Fire", soprattutto. Poi c'è "Fight!". La canzone che ha portato qui voi tutti. L'ineffabile cover, in stile power metal lealista, di "Bella Ciao". Che i vostri amici emiliani, a ragione, non esitano a definire "una delle cose più grame che abbia mai sentito", ma che a voi, si dica piano, non dispiace affatto. (Alberto Calorosi)

lunedì 11 novembre 2024

Obscura Qalma - Veils of Transcendence

#PER CHI AMA: Symph Black
Un pacco espresso è in arrivo direttamente da Venezia, con l'EP degli Obscura Qalma, intitolato 'Veils of Transcendence'. Un bell'esempio, seppur assai breve, di black sinfonico, che mi ha evocato, sin dall'iniziale "Ophidian’s Enthronement", i greci Septicflesh, sia per orchestrazioni bombastiche che per un'attitudine atta a emulsionare quest'ultime con il black e il death. Ne viene fuori un lavoro intrigante, sicuramente ben suonato, con ottime (growling) vocals, la cui pecca alla fine, potrebbe essere ascrivibile di suonare un filo derivativa. Nonostante ciò, i quattro pezzi qui contenuti, scorrono che è un piacere, tra le scorribande dell'opener, con quella sua esponenziale crescita in termini di pathos, che ci porterà fino alla fine e la più devastante "The Divine Malice Conflagration". Quest'ultima, pur mantenendo intatta la componente orchestrale, che azzarda in più di un'occasione di palesare reminiscenze di Dimmu Borgir(iana) memoria, sciorina un assolo conclusivo da urlo, di chiara matrice heavy classica, che ne arricchisce ulteriormente la qualità. La componente sinfonica si fa ancor più forte in "Enochian Abyss", song intessuta di estremismi sonori frastagliati sempre accattivanti e di una componente solistica a dir poco ribollente. A chiudere ci pensa "Hexed Katharsis", forse il pezzo meno convincente del dischetto, complice un registro chitarristico che richiama, in taluni frangenti, i classici "tonfi" ritimici del deathcore orchestrale, ma che al sottoscritto piaccono comunque un botto. Dimenticavo, la seconda pecca del lavoro sarà alla fine la sua durata troppo striminzita, troppo poco per farsi sedurre appieno da queste sonorità. (Francesco Scarci)

martedì 5 novembre 2024

Sordide - Ainsi Finit Le Jour

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Non sono un fan dei Sordide, il loro black hardcore caotico non risuona nelle mie corde, sebbene la loro musicalità sghemba possa richiamare i Deathspell Omega, band a cui sono particolarmente legato. Avevo già recensito il loro precedente 'Les Idées Blanches', sottolineando come la proposta del terzetto originario della Normandia, fosse disarmonica nel suo caustico incedere. Ascoltando poi l'incipit di questo loro quinto lavoro, 'Ainsi Finit Le Jour', non posso che confermare quelle mie parole. I tre musicisti transalpini non fanno altro che minacciare i nostri padiglioni auricolari, sin dall'iniziale "Des Feux Plus Forts" fino alla conclusiva "Tout Est à la Mort", attraverso un complicatissimo viaggio di oltre 53 minuti, in cui la band continuerà a prenderci a scudisciate in faccia, con un sound tiratissimo, feroce, e che alla melodia lascia uno spazio davvero risicatissimo. E quindi, quei 53 minuti appaiono come una montagna insormontabile, un infinito viaggio nelle insane menti di questi loschi figuri, cosi caustici nella loro personale visione musicale. Le chitarre sono abrasive al pari della carta vetrata utilizzata sulla carrozzeria della vostra preziosa automobile, al pari poi delle aspre vocals che contraddistinguono l'intero disco. Nella lunga e velenosa "Nos Cendres et Nos Râles", i nostri provano a rallentare un attimo il ritmo sferzante a cui ci avevano abituato, ma dopo poco, ripartono con una ritmica ipnotica, sferragliante, che entra nel cervello e lo deturpa dall'interno come il peggiore dei virus. L'ensemble prova a cambiare canovaccio nella successiva "Le Cambouis et le Carmin", un lacerante pezzo mid-tempo in bilico tra sludge e black, che tuttavia continua a non emozionarmi, forse per l'eccessiva glacialità di fondo che la musica di questa band riesce a malapena ad emanare. Non trovo emozione, non trovo gioia, non trovo tristezza, ma solo un grande freddo perpetrato da atmosfere oscure, rarefatte e malate ("Sous Vivre") o ancora da vorticosi ritmi post black ("La Poésie du Caniveau") che tuttavia finiscono per non soddisfare il mio palato. Se proprio devo identificare un paio di brani che ho particolarmente apprezzato, direi "Banlieues Rouges", la canzone più breve del lotto, quella che arriva subito al dunque nella sua essenzialità e immediatezza e di contro, "La Beauté du Désastre", invece tra le più lunghe, forse complice il fatto di avere un lungo break centrale, in cui la bestialità della band viene tamponata da sperimentalismi sonori e canori, che esaltano le qualità del trio di Rouen. Discorso analogo infine, per la conclusiva "Tout Est À La Mort", che vede i nostri infilarsi in territori sludgy più compassati e meditabondi, consentondoci quindi di assaporare una musicalità più emozionale e meno impulsiva. Alla fine, 'Ainsi Finit Le Jour' si rivela un album davvero ostico da affrontare, consigliato esclusivamente a chi mastica questo genere di sonorità; gli altri si tengano rigorosamente alla larga. (Francesco Scarci)