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martedì 13 maggio 2025

Daniel Cavanagh - Monochrome

#PER CHI AMA: Acoustic Rock
Costruita su un arpeggio intrinseco nelle corde ma soprattutto nei martelletti emotivi di D-mollatodallamorosa-C, e modulata in un crescendo emozionale archetipico di certi Anathema anni-10, però più dilatato e meno immanente di, per esempio, "The Lost Child", l'introduttiva "The Exorcist" conferma e al contempo nega, ciò che era evidente già dalla copertina del disco. Uno. Che la morosa di D-C è ufficiale, ha un altro. Due. Che questo non è un album ma una cazzuolata di scarti che nessuno si è preso la briga di terminare realmente. Lo si capisce ascoltando i testi, elementari e goffi e imbarazzanti al punto da fornire il comunque mediocre meglio di sé nei momenti, diciamo così, dadaisti ("...Aaa aaa / aaa aaa..." di "Oceans of Time" o "...Uuu uuu / uuu uuu..." di "Some Dreams Come True", mentre tutto il pochissimo resto è una specie di anagramma semantico di "I feel you / You feel me") e ancor prima, leggendo titoli ("Oceans of Time", Cristo santo, "Some Dreams Come True", vaccamaremma, ecco, siamo dalle parti di Debbie Gibson e Patsy Kensit). E lo si sente nei suoni dilataaaaaati, per quarantotto minuti tirati e tirati e tirati col mattarello fino a farli diventare sottilissimi. "This Music", brumosa, pedante, il ritaglio della parte due di una delle canzoni fichissime divise in due parti che introducevano gli album fichissimi degli A-anni-10 (ricordate "Untouchables"? Bene, dimenticatela) con una spaesata Anneke van Giersbargen al posto di Lee D.. E poi "Oceans of Time" (ma voi vi spazientirete parecchio prima), ancora più brumosa, ancora più pedante, il ritaglio del ritaglio della p.d.d.u.d.c.f.d.i.d.p.c.i.g.a.f.d.A.a.10, e ancora, "Some Dreams Come True", l'ancor più interminabile chiusura dell'interminabile canzone precedente. Il crescendo di "Soho", sforzato, trattenuto, tutto tranne che tumultuoso (ricordate "The Calm Before the Storm"? Bene, dimenticatela). Impudicamente celtico, il violino di "Dawn" rappresenta l'unico sussulto, assieme alla eccellente progressione pianistica di "The Silent Flight of the Raven Winged Hours", capace di ergersi al di sopra di questa sconfinata noia sinestetica e monocromatica (il titolo dell'album è involontariamente impietoso). Troppo poco per chiunque. Ma soprattutto per D-mollatod.m.-C. (Alberto Calorosi)

lunedì 12 maggio 2025

Čad - Deadnation

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Grind
Suonano una sorta di grind death delirante con chitarre e basso molto pesanti e grezzi, al pari della registrazione dei brani. La batteria è costantemente in contro-tempo, minimale ma sempre con un effetto finale diverso. Incessanti i cambi di tempo, cosi come le accelerazioni, le rotture, drastiche, delle battute. Così si alternano e s'introducono violentemente gli strumenti, l’uno complementare all’altro, su un cantato cupamente gutturale o su un falsetto stridulo viziato da varie urla schizzate, quasi soffocate; queste voci spesso mostrano una marcata, anche troppo però, vena ironica che prende in giro tutto e tutti, tra cui anche vecchie hit rock. Nei loro numerosi intro propongono anche scenette, sarcastiche fino al fanciullesco. Scherzano il punk nel cantato pulito di cantare, o ironizzano in alcuni titoli dei brani ("Greeting from Hiroshima"). A volte si dimenticano quasi della musica per lasciar posto a una invadente allegria proponendo diversi intermezzi che sarebbero stati decisamente migliori se fossero stati più mirati, come la rumoristica-strumentale "March of Machines" che fa marciare un forte fruscio, risultando alla fine anche un po’ monotona. L’ultima song poi, è un miscuglio di funky e ska, due generi affini ma totalmente estranei a quanto ascoltato sin qui.
 
(Downfall Records - 2000)
Voto: 62
 

sabato 10 maggio 2025

Aeonist - Deus Vult

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Dalle placide e misteriose terre slovene emergono gli Aeonist, un progetto solista orchestrato dall’enigmatico polistrumentista Tilen Šimon. Dopo il promettente debutto sulla lunga distanza dello scorso anno, Šimon torna con 'Deus Vult', un EP composto da tre tracce in cui il black metal atmosferico s'intreccia a melodie medievali e suggestioni dungeon synth, evocando un’aura dal fascino antico e templare. Concepito come un viaggio musicale in tre atti, 'Deus Vult' si erge come un monolito di introspezione oscura, un’ode alla volontà divina, immersa in un paesaggio sonoro di gelo e malinconia. Si parte con "Deus Vult I", dove una ritualistica base di synth apre la strada a una chitarra dai toni eterei e spettrali. L’atmosfera evoca le mura di un’abbazia dimenticata, con melodie che s'innalzano come preghiere e un canto disperato che sorge nel cuore del brano. Qui il black metal prende forma su un mid-tempo solenne, mentre cori quasi monastici verso la fine, intensificano l’esperienza, donando profondità al brano nonostante una lieve tendenza alla ripetitività. Con "Deus Vult II", l’EP si addentra in territori più cupi, aprendo con un passo quasi doom che lascerà spazio da l' a poco, a un black più frenetico e soffocante. Šimon modula il suo screaming con una rabbia controllata, accompagnando l’ascoltatore in un viaggio opprimente attraverso le ombre della storia medievale, fatta di fede assoluta e terre flagellate dalla peste. Pur arrivando a sfiorare i dieci minuti di durata, il brano risulta talvolta appesantito da una certa ridondanza compositiva che ne diluisce leggermente l’impatto emotivo. Infine, "Deus Vult III" chiude l’opera con un’atmosfera contemplativa dominata dai sintetizzatori dungeon synth. Sebbene il brano tenda a concludere l’EP forse troppo rapidamente rispetto al potenziale evocativo dei due capitoli precedenti, questo racchiude comunque quel senso di chiusura ritualistica che caratterizza l’intero lavoro. Non vi resta che accendere una candela, chiudere gli occhi e lasciare che queste tre invocazioni vi trascinino in un abisso di gloria e rovina. (Francesco Scarci)

venerdì 9 maggio 2025

200 Stab Wounds - Manual Manic Procedures

#FOR FANS OF: Death Metal
This follow-up is actually NOT entirely like the first, nor is it recycled like so many bands after successful debut releases! This took around 3 years to complete, but well worth the wait!
 
I've found this to be a better quality recording & the guitars are ABSOLUTELY/genuinely & increasingly more wicked! When I say this as it refers to a musical standpoint, I mean that they've stepped-up & devolved stronger riff-writing! This LP is also featuring fresh material that I'm guessing took quite a while to come up with! I also enjoy the vocal trade-offs, it seemed to spice things up quite a bit! An excellent effort, just wished it was better received. I did think after the first LP that they had a lot of people hoping that the sophomore effort would be stronger. And well, the recording quality was a step-up; others thought that the music may’ve been better on their debut, not on this one. I’ve found that pretty much equally they’re musically strong, the first just the sound quality was not as up-to-par.
 
As the LP progresses, it doesn’t let up in intensity, nor does it fall to unto utter staleness or blandness. It’s rather consistent & intriguing, as deafening sounds rip through your speakers! I was quite impressed with the overall musicianship, especially some relatively newer death metal musicians involved in the scene!
 
The only negative thing I have to say is that the album is only a little under 30 minutes. That's all right though because you’ll be (I’m sure) impressed with this band’s follow-up! 200 Stab Wounds have made two official music videos from 'Manual Manic Procedures' called "Hands of Eternity" & “Gross Abuse.” Check them out on YouTube! (Death8699)
 
(Metal Blade Records - 2024)
Score: 80
 

mercoledì 7 maggio 2025

Obliterate - The Feelings

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Grind
Questo gruppo propone un ben scandito death metal con stacchi grind e una voce che ricorda spesso Chris Barnes (Six Feet Under, ex Cannibal Corpse), anche se altre volte invece è strillata. Ma la troveremo anche sussurrata e pulita. L’influenza più evidente nelle sonorità e nello stile, fa riferimento però ai Napalm Death di 'Fear, Emptiness, Despair…', ma quello di oggi, è un album costantemente cadenzato e secco. I pezzi si susseguono non con molte variazioni, ma quelle poche che ci sono, sembrano ben azzeccate. La maggior parte dei braniè guidato dalle chitarre e dall’ossessività tipica del genere, instaurata quest'ultima, dalla batteria. Ben suonata ma canonica. I tempi sono più rallentati là dove un’arida atmosfera deve prevaricare sulla brutalità, cosi come accade in "Indian Holocaust". Sporadici i giri taglienti. Vi è molta alternanza di tempi ma poca caratterizzazione dei brani. L’ultima canzone è l’unica propriamente grind, una scheggia di 13 secondi. Pure la copertina ricorda i Napalm Death. Esprime bene però il concetto sottinteso dal loro nome, Obliterate.
 
(Erebos Productions - 2000)
Voto: 62
 

martedì 6 maggio 2025

Sunrot - Passages

#PER CHI AMA: Sludge/Drone
I Sunrot si trascinano fuori dalle fogne del New Jersey con 'Passages', un EP di cinque tracce rilasciato dalla Prosthetic Records, come un caso irrisolto lasciato a marcire. Nato negli stessi vicoli creativi di 'The Unfailing Rope', questo EP in realtà non ne rappresenta un seguito, ma una piaga che si gonfia, un groviglio di sludge e noise che si contorce per sedici minuti in un vicolo cieco di sofferenza. Questo quintetto non ha carezze da offrire, solo il tanfo di un’esistenza schiacciata sotto un cielo di piombo, un biglietto per un passaggio che finisce dritto nell’oblio. "Death Knell" è il primo passo, ma non c’è musica: solo un ronzio che stride come il respiro di un ubriaco che sta tirando le cuoia. È un’apertura cruda, un’ombra sonora che afferra alla gola e non molla. Poi arriva "The First Wound", con Dylan Walker dei Full of Hell alla voce, che si unisce al gioco come un sicario in prestito: i riff strisciano come larve su un corpo freddo, il drumming colpisce come un pestaggio in un parcheggio deserto, e le urla si mescolano in un coro di anime perse. È una ferita slabbrata, un ricordo che puzza di marcio sotto strati di distorsione, un urlo che svanisce nel frastuono di una città che non dorme mai. "Sleep" è un vicolo senza uscita. Con Brandon Hill degli Stress Test alla voce, mi aspettavo un indizio, magari una svolta, ma è solo un rumore informe, voci filtrate che si perdono come parole sussurrate in un confessionale abbandonato. È un sonno da barbiturici, un’interruzione che ti lascia a galleggiare in un nero senza fondo. "Untethered" inizia lento, un bagliore post-metal che si spegnerà subito in un riff sludge in grado di pestarti come un creditore incazzato. In sottofondo, il violoncello di Jack Carino entra in scena come un lamento che taglia il buio, mentre le voci si torcono accanto allo screaming acido del frontman, in un dialogo tra fantasmi in una stanza senza porte. "Ra" chiude il dischetto, ma non c’è soluzione: spoken words si mescolano a disturbanti derive droniche che ronzano come un neon rotto in un motel di quart’ordine. È un addio che non dice niente, un epilogo muto e opaco. (Francesco Scarci)

(Prosthetic Records - 2025)
Voto: 65

https://sunrot.bandcamp.com/album/passages

lunedì 5 maggio 2025

Dominus - Godfallos

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Groove Metal
Crossover o che cos’altro? Il suono dei Dominus mi ha lasciato con questo dubbio atroce. Non ho ascoltato quello precedente, ma se come dicono era in stile death, questo sicuramente non ripercorre la medesima strada. Anzi, il loro progresso è sicuramente calato se le loro intenzioni ricadevano a imitare malamente Metallica e Pantera. E proprio in queste ispirazioni, è diviso un album deludente: la prima rappresentata quindi dai Pantera, specialmente nel cantato, che ricorda senza alcun dubbio Phil Anselmo e nella seconda, da parti di chitarra di chiara ispirazione Metallica, dove anche la vocalità cambia di tono, prendendo la forma di un altro famoso cantante, James Hetfield. Alla fine 'Godfallos', non è un album totalmente inascoltabile, ma in giro c'era e c’è sicuramente di meglio di questi inutili Dominus.

(Progress Records - 2000)
Voto: 45

https://www.metal-archives.com/bands/Dominus/2911

domenica 4 maggio 2025

Onirophagus - Revelations from the Void

#PER CHI AMA: Death/Doom
A volte la buona riuscita di un album dipende anche dal moniker della band, non credete? Gli spagnoli Onirophagus, con questo nome, non partono già bene, diciamolo chiaro e tondo. La proposta poi di 'Revelations from the Void', terzo lavoro per il quintetto catalano, non brilla in fatto di originalità: cinque lunghi brani di death doom canonico che abbiamo sentito e risentito nel corso degli ultimi 30 anni. "The Hollow Valley" apre il cd con riff di chitarra pesanti come un macigno che si trascinano senza mai realmente raggiungere un climax significativo, mentre il growl potente di Paingrinder, evoca un senso di terrore e oscurità. Le percussioni provano ad aggiungere un po' di dinamismo, accanto ad alcune accelerazioni black nel finale, ma il risultato pare alquanto prevedibile. Attenzione, non sto parlando che quello fra le mani sia un brutto album, ma ecco, pur esplorando una vasta gamma di ritmi e stili, con momenti di lentezza opprimente alternati a sezioni ritmiche più dinamiche, non sento la freschezza che mi sarei aspettato. E la successiva "Landsickness" sembra sprofondare ulteriormente in territori derivativi sin dai suoi giri iniziali di chitarra, chiamando in causa le sonorità più retrò di gente come Officium Triste e Saturnus nei momenti più doomish, e Avulsed in quelli più death oriented. Le song scivolano lentamente, proiettandomi con "The Tome" a sonorità anni '90, evocando anche i mostri sacri My Dying Bride e i primissimi Anathema, provandone qui però ad alterare quell'inerzia con deflagranti accelerazioni death, che talvolta riescono anche a colpire nel segno, complice l'utilizzo di vocals più pulite. La ritmica rallentata di "Black Brew", con quei suoi rintocchi di campana, sembra cosa trita e ritrita, ma le caustiche accelerazioni (la parte che alla fine prediligo), ci consegnano una veste differente e meno indolente della band. In chiusura, rimane l'ultimo Everest da scalare, ossia i quasi 16 minuti della conclusiva "Stargazing into the Void", un pezzo drammatico nel suo incedere iniziale, complice anche l'utilizzo di uno splendido violino e di sonorità che rimandano anche a i The Blood Divine. Ciò restituisce lustro a una release che rischierebbe di cadere nell'anonimato della moltitudine di album che ogni giorno viene rilasciato. Il sound è comunque un onesto death doom malinconico che poco altro ha da aggiungere. Insomma, alla fine, mi sento di consigliare il disco ai soli appassionati del genere in cerca di qualcosa per riempire la loro libreria musicale. (Francesco Scarci)