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martedì 5 novembre 2024

Sordide - Ainsi Finit Le Jour

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Non sono un fan dei Sordide, il loro black hardcore caotico non risuona nelle mie corde, sebbene la loro musicalità sghemba possa richiamare i Deathspell Omega, band a cui sono particolarmente legato. Avevo già recensito il loro precedente 'Les Idées Blanches', sottolineando come la proposta del terzetto originario della Normandia, fosse disarmonica nel suo caustico incedere. Ascoltando poi l'incipit di questo loro quinto lavoro, 'Ainsi Finit Le Jour', non posso che confermare quelle mie parole. I tre musicisti transalpini non fanno altro che minacciare i nostri padiglioni auricolari, sin dall'iniziale "Des Feux Plus Forts" fino alla conclusiva "Tout Est à la Mort", attraverso un complicatissimo viaggio di oltre 53 minuti, in cui la band continuerà a prenderci a scudisciate in faccia, con un sound tiratissimo, feroce, e che alla melodia lascia uno spazio davvero risicatissimo. E quindi, quei 53 minuti appaiono come una montagna insormontabile, un infinito viaggio nelle insane menti di questi loschi figuri, cosi caustici nella loro personale visione musicale. Le chitarre sono abrasive al pari della carta vetrata utilizzata sulla carrozzeria della vostra preziosa automobile, al pari poi delle aspre vocals che contraddistinguono l'intero disco. Nella lunga e velenosa "Nos Cendres et Nos Râles", i nostri provano a rallentare un attimo il ritmo sferzante a cui ci avevano abituato, ma dopo poco, ripartono con una ritmica ipnotica, sferragliante, che entra nel cervello e lo deturpa dall'interno come il peggiore dei virus. L'ensemble prova a cambiare canovaccio nella successiva "Le Cambouis et le Carmin", un lacerante pezzo mid-tempo in bilico tra sludge e black, che tuttavia continua a non emozionarmi, forse per l'eccessiva glacialità di fondo che la musica di questa band riesce a malapena ad emanare. Non trovo emozione, non trovo gioia, non trovo tristezza, ma solo un grande freddo perpetrato da atmosfere oscure, rarefatte e malate ("Sous Vivre") o ancora da vorticosi ritmi post black ("La Poésie du Caniveau") che tuttavia finiscono per non soddisfare il mio palato. Se proprio devo identificare un paio di brani che ho particolarmente apprezzato, direi "Banlieues Rouges", la canzone più breve del lotto, quella che arriva subito al dunque nella sua essenzialità e immediatezza e di contro, "La Beauté du Désastre", invece tra le più lunghe, forse complice il fatto di avere un lungo break centrale, in cui la bestialità della band viene tamponata da sperimentalismi sonori e canori, che esaltano le qualità del trio di Rouen. Discorso analogo infine, per la conclusiva "Tout Est À La Mort", che vede i nostri infilarsi in territori sludgy più compassati e meditabondi, consentondoci quindi di assaporare una musicalità più emozionale e meno impulsiva. Alla fine, 'Ainsi Finit Le Jour' si rivela un album davvero ostico da affrontare, consigliato esclusivamente a chi mastica questo genere di sonorità; gli altri si tengano rigorosamente alla larga. (Francesco Scarci)

The The - Ensoulment

#PER CHI AMA: New Wave/Rock
Liriche abbaglianti eppure notturne, scorticanti eppure fumose, plasmate in prossimale controcampo rispetto al naturalismo magico di William Blake, evocato, auspicato e condiviso da MJ ben prima della pubblicazione di "Some Days I Drink My Coffee by the Grave of William Blake", primo eccellente singolo dell'album. Elementari, primitive (uh, persino troppo: quello della "Casablanca Whore", Kissing the Ring of Potus" è un calembour, diciamo, obsoleto, a essere gentile). Niente più emozioni (certificato dalle liriche "Adds an alias for anonymity / A postcode for proximity" da "Zen and the Art of Dating"), soppiantate dall'IA ("I Hope You Remember (the Things I Can't Forget)") e dall'ingordigia degli umani ("Risin' Above the Need"); un nichilismo matrixiano ("Everything you thought you knew is wrong / … / Truth stands on the gallows / Liеs sit on the throne" - "Cognitive Dissident" e ancora "...Everything is not what it seems" da "Life After Life") sfiduciato dalla politica ("This greedy, unpleasant land wraps itself in a flag" ancora da "Some Days I Drink My Coffee by the Grave of William Blake") e dalla tecnologia ("Linoleum Smooth to the Stockinged Foot") che conduce a una dolente e a tratti forse scaramantica riflessione sull'inutilità dell'essere ("Where do we go when we die? / The sun may fall but the moon will rise" da "Where Do We Go When We Die?"). Suoni sinuosi e notturni, meravigliosamente escogitati e meticolosamente prodotti (dimenticate 'Nakedself' e recuperate il magnifico 'Dusk'). C'è il Leonard Cohen di 'First We Take Manhattan' in "Cognitive Dissident", il pathos compresso ("Linoleum Smooth to the Stockinged Foot") o spettrale ("Down by the Frozen River") di certe recenti sperimentazioni cinematografiche, la ballata-Johnsoniana-fino-al-midollo ("Where Do We Go When We Die?), un smaccato inchino agli Animals aromaticamente Hanky-pankettaro (di nuovo "Some Days..." da confrontare con "House of the Rising Sun") e, sì, una manciata di acronici ritornelli new romantic ("Kissing the Ring of Potus"). Grande album, difetti compresi. (Alberto Calorosi)

(Ear Music - 2024)
Voto: 78

https://www.thethe.com/

lunedì 4 novembre 2024

Urza / Calliophis - Dawn Of A Lifeless Age

#PER CHI AMA: Death/Funeral Doom
Ecco uno di quegli album semplici semplici da recensire: un bel concentrato di funeral death offerto da due band tedesche a me totalmente sconosciute, gli Urza e i Calliophis, che evidentemente, era un po' che non si facevano sentire. I nostri hanno cosi unito le forze per dar voce al loro disagio interiore e condensarlo in questo split intitolato 'Dawn of a Lifeless Age'. Due i pezzi a disposizione per ciascuna band, per circa 23 minuti a testa, fatti di sonorità apocalittico-asfissianti. Il disco si apre con i berlinesi Urza, che erano in silenzio dal 2019, quando uscì il loro debut album. Il quintetto teutonico ci propone due pezzi ben suonati ma forse troppo derivativi: se "Maunder Minimum" è il classico emblema del funeral doom, quello dotato di buone e melodiche linee di chitarra, profondità degli arrangiamenti, oscure ambientazione e vocals super growl, "Through Ages of Colossal Embitterment" si presenta invece inizialmente più abrasiva e votata ad un death doom dalle ritmiche più spinte e veementi, con parti che evocano un che dei primissimi Anathema di 'Serenades'. Dopo un paio di minuti però, il sound dei nostri torna a sprofondare in meandri depressivo-catacombali, di sicuro impatto emotivo, soprattutto alla luce di un utilizzo alternativo, e ben più convincente, delle vocals. Niente di nuovo sotto il sole comunque, anche se la qualità generale è piuttosto buona. È allora la volta dei Calliophis, band originaria della Sassonia, che ha peraltro già tre album all'attivo dal 2008 a oggi. Per loro, un ritorno dopo il convincente album del 2021, 'Liquid Darkness', e due nuovi pezzi, "Trepak" e "Endure Your Depression", che si muovono dalle parti di un death doom assai melodico ed emozionalmente toccante. Ottime melodie contraddistinguono infatti i due brani, unite ad eleganti parti atmosferiche e a una buonissima componente vocale. Se dovessi esprimere il mio personale gradimento tra le due band di oggi, orienterei la mia scelta decisamente verso i Calliophis, complici quelle sonorità soffuse ma penetranti, quelle linee melodiche di chitarra che dipingono strazianti paesaggi emotivi, e che avvicinano i nostri a certe eleganti produzioni scandinave del passato. Un bel modo per conoscere due band questo split album e indirizzarci alla scoperta delle loro discografie, se solo saranno in grado di toccare anche le vostre corde dell'anima. Le mie hanno vibrato, soprattutto in compagnia dei Calliophis e voi, chi preferite? (Francesco Scarci)

sabato 2 novembre 2024

SaintSombre - Earth/Dust

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal
Ci ha impiegato un paio di mesi questo cd ad arrivare tra le mie mani, dopo essersi perso in destinazioni alquanto improbabili, ma è una storia troppo lunga da raccontare. Quello dei SaintSombre è un sound ricercato, votato a esplorare territori in bilico tra post metal e fangose derive sludge. Quello che ne viene fuori è 'Earth/Dust', lavoro di sette pezzi, non proprio di facile lettura - complice anche un concept che narra la storia di un uomo in preda a un profondo malessere - ma comunque in grado di generare un certo interesse a chi ascolta con una certa attenzione. Questo è almeno quanto si evince dall'incipit affidato a "Reflection", un brano che sembra evocare un che degli svedesi Cult of Luna (CoL), con l'aggiunta di minimalisti suoni elettronici, su di un tappeto ritmico non proprio dei più semplici da digerire. Sarà che l'apporto melodico non è cosi dominante, e quella voce abrasiva non aiuta ad assimilare cosi facilmente la proposta della one man band capitanata da Steve R.. Ci riprova il frontman transalpino con la successiva "Spectre" e qui, forse, un utilizzo più armonico e presente dei synth, riesce a donare maggior ariosità ed eleganza a un brano dai toni piuttosto pacati. Cosa che si ripete anche negli angoli dell'oscura e ritmata "Circle", un brano quasi ipnotico per buona parte della sua prima metà. Quando subentra la voce del polistrumentista, ecco che la proposta si fa nuovamente ostica da assaporare, forse anche a causa di una perdita di una certa fluidità musicale, muovendosi su tempi dispari che sembra strozzino la dinamicità del brano. Capisco che proprio questo, unito all'utilizzo importante dei synth, possa rappresentare la novità di questo disco, però c'è qualcosa ancora che stona e complica il mio ascolto, che non riesco a isolare. E la title track non è da meno: ottime idee, di scuola Neurosis, condite da suoni ruvidi e super ribassati e un programming stravagante, ma il tutto risulta nuovamente osteggiato da un cantato difficile e scorbutico, che verosimilmente necessita di numerosi ascolti per poter essere recepito al meglio. "Sun" chiama ancora in causa CoL a livello ritmico, ma un imprevedibile uso dei synth uniti a una voce e linea melodica rinnovata, rimette tutto in discussione, innalzando il livello qualitativo della proposta. Altri due pezzi e rilevo ancora echi dei CoL in "Deliverance", altro pezzo dalle grandi potenzialità che sembrano tuttavia perdersi nell'utilizzo di una vocalità che a mio avviso stona, non poco, nell'onirico contesto musicale creato. In chiusura, "Fall" sembra ammiccare immediatamente ai conterranei CROWN, poi il solito, a me fastidioso, connubio chitarra-voce, produce grande irritazione, prima di far posto a intelligenti trovate tecnologiche, che mantengono comunque costantemente sopra la sufficienza questo 'Earth/Dust'. C'è sicuramente ancora da lavorare e limare certe spigolature, ma la strada intrapresa sembrerebbe quella giusta. (Francesco Scarci)
 
(Rotten Tree Productions - 2024)
Voto: 68
 

venerdì 1 novembre 2024

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martedì 29 ottobre 2024

Esoctrilihum - Döth-Derniálh

#FOR FANS OF: Experimental Black
The French project Esoctrilihum has been, since its inception back in 2016, a relentless force of creativity, pushing the boundaries of extreme metal with a vast palette of influences. Asthâghul’s musical vision has navigated between the frontiers of black and metal, combining both genres with experimental and atmospheric arrangements. This combination varies with each album, achieving a very singular career full of monumental albums which obviously are not for everyone. The length, complexity, and brutality of some albums, may take some time to digest, but the reward is always worth your time. It is important to highlight how active Esoctrilihum has been during these years, releasing albums each year, which is quite impressive taking into account the intricate nature of its music.
 
I was curious to listen to what this French project could offer after the particularly lengthy and complex 'Astral Constellations of the Majickal Zodiac', which was like a musical summary of the previous albums. It was an appropriate moment to push once again the boundaries of its music and unsurprisingly Esoctrilium has made it with the new opus 'Döth-Derniálh'. Don’t get me wrong, there is not a radical change here, as most of the well-known elements used by Asthâghul can be found here. Nevertheless, there is a very interesting and generous use of acoustic guitars, which helps to create some kind of folk horror atmosphere throughout this album. The widespread use of clean vocals, alongside the aforementioned acoustic guitars, make this album a more intimate, mysterious, and dark piece of work. It is also less extreme in comparison to other previous albums, although the rage erupts when you least expect it. The keys also play an interesting role in enhancing the occult-like atmosphere of the album. The first track, entitled "Atüs Liberüs (Black Realms of Prisymiush’tarlh)" is a clear example of it, with these great keys, whose melodies are really hypnotic. The already mentioned acoustic guitars make their first appearance, accompanied by some kind of violin or similar instrument, creating an interesting mixture of sounds. The clean vocals have a great role here, as you will notice throughout the album, although in this track they are particularly omnipresent. As said, there is room for some fierceness in this album although to a far less degree, this track being also a clear portrayal of it. Moments of brutality with some great shrieks and relentless double bass can be found here and there, like for example in the second track, being that section one of my favorites as it masterfully combines the fury with some captivating melodies. The third and fourth tracks explore this heavier side, but still keeping a relevant space for the acoustic sections that define this album. The unique approach of this album diminishes the immediate impact of the compositions and requires more time from the listener to become accustomed to it. However, if you allow yourself to be enveloped by the atmosphere, this album can be an intriguing musical journey.
 
Esoctrilihum continues its highly personal musical exploration with the new opus 'Döth-Dernyálh'. The French project has delved into new territories with a more acoustic approach, while still maintaining its dedication to extreme metal. This album may not be the first one I would recommend from this project, as I personally feel that some moments lack brutality, which could have helped achieve a better balance. Nevertheless, the unfathomable and esoteric atmosphere of 'Döth-Dernyálh' makes it a captivating experience. (Alain González Artola)
 
(I, Voidhanger - 2024)
Score: 80
 

Nereo - Worship Me

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Black Metal
Ho ascoltato più volte il nastro dei Nereo alla ricerca di qualcosa da salvare ma in tutta sincerità, non ce l’ho fatta. Il suono del combo comasco va e viene nelle prime canzoni ed è di qualità veramente bassa. La chitarra poi, ha una distorsione che la fa sembrare un pezzo di ferro arrugginito; i riffs, con un suono similare, finiscono per sembrare tutti uguali. E la batteria elettronica è mal programmata e più di una volta, terminato un pezzo, si sentono ancora dei colpi piazzati qua e là. Forse la voce non è male ma in un contesto del genere, non può certo salvare l'unico vagito di questa band ormai sciolta. D'altro canto, non ci si può certo nascondere dietro la scusa di un prodotto grezzo, pubblicando materiale per nulla curato.
 
(Self - 1998)
Voto: 40
 

Corpus Christii - Saeculum Domini

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Metal
Qualche mente malata esiste anche nella penisola Iberica e più precisamente in Portogallo, terra del duo che diede vita a questo infernale progetto nel lontano 1998, e di cui 'Saeculum Domini' rappresenta il debutto (ma sono già nove gli album all'attivo per i nostri/ndr). Una drum machine quasi sempre impazzita (l’opener "Flama Tenebrarum" è devastante) e una dose di bassi tali da frantumare le casse dello stereo, fanno da sfondo a un intreccio di synth e chitarre realmente apprezzabile. A volte sono le tastiere a prendere il sopravvento dando un’impronta quasi marziale all’incedere dei pezzi. La voce è semplicemente invasata. Il paragone con i Limbonic Art (non i primissimi) sembra naturale ma i Corpus Christii sono più disposti a sperimentare con l’elettronica e la mia speranza era che intraprendessero questa direzione (ahimè non è andata cosi), diventando ancora più personali e malati.