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martedì 25 novembre 2025

Nornes - Thou Hast Done Nothing

#PER CHI AMA: Death/Doom
Ecco quel che serviva per questa nevosa fine di novembre: death doom atmosferico affidato alle mani di questi Nornes, quartetto originario di Valenciennes in Francia. 'Thou Hast Done Nothing' rappresenta il loro debutto ufficiale su lunga distanza, dopo un paio di EP usciti tra il 2018 e il 2020. Sono solo cinque i pezzi presenti in questo album, ma per quasi un'ora di musica, che sin dall'iniziale "Never Ending Failure", ci consegna delle ritmiche piuttosto opprimenti, non quelle canoniche abissali del funeral, ma comunque un rifferama pesante, contraddistinto da un mid-tempo meditabondo, le classiche growling vocals, con il tutto a evocare i My Dying Bride e i Paradise Lost degli esordi. Quindi, niente di nuovo sotto il sole, se proprio vogliamo essere schietti. Zero aperture all'originalità, il solo tentativo di inserire delle clean vocals a fare da contraltare alla voce da orco cattivo del frontman, un breve break acustico verso l'ottavo minuto per salvare le apparenze di quella che poteva essere una traccia anonima, e che trova modo di risollevarsi con un assolo elegante in chiusura. "A Rose to the Sword" non sposta fondamentalmente di un capello la proposta dei quattro musicisti transalpini, seppur si scorga qua e là il desiderio di non limitarsi ai meri insegnamenti della "Mia Sposa Morente": interessante a tal proposito, il break atmosferico percussivo al quarto minuto, laddove le due porzioni vocali si uniscono all'unisono. Altrettanto interessante la lunga parte strumentale che per un paio di minuti ci delizierà nella seconda parte del brano, con buone melodie chitarristiche e atmosfere sospese, prima di un finale un po' più ostico da digerire. "Our Love of Absurd" conserva quelle melodie malinconico-evocative di 'Shades of God' dei Paradise Lost, innalzando, in fatto di emotività, la qualità del brano per un uso più massivo (e apprezzabile) delle voci pulite a discapito di un growling qui più in secondo piano. Dopo il break atmosferico, come sempre inserito a metà brano, davvero pregevoli bridge e solo che per un minuto e mezzo ci regalano grandi emozioni. Poi il tutto si fa inevitabilmente più cupo e minaccioso, con sfuriate ritmiche estemporanee che si accompagnano al growl del cantante. E proprio da qui ripartire nella successiva "Perceptions in Grey", con un cantato più strozzato in gola, in un brano che vede il suo primo acuto a ridosso del secondo minuto, complice una chitarra più ispirata e nuovamente le salvifiche clean vocals che alla fine risulteranno quello strumento che meglio toglie dall'imbarazzo una release altrimenti troppo scontata. A chiudere, i quasi 13 minuti di "Oneness", che sono aperti da una lunga parte acustica: la prima apparizione vocale appare al terzo minuto, a sottolineare ancora una volta la voglia dei nostri di dar maggior spazio alla componente strumentale. Poi il brano si rivelerà piuttosto simile per quasi i sette minuti seguenti (e francamente limerei queste lunghe parti per aumentare la dinamica del brano), il canonico break atmosferico e una coda doom rallentante, a chiudere un disco che se fosse durato un quarto d'ora in meno, forse ne avrebbe beneficiato enormemente. Ora invece mi ritrovo a consigliarlo ai soli amanti del genere, per non rischiare di farlo cadere nell'oblio del dimenticatoio. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2025)
Voto: 68

Valgrind - Definition of Prepotence

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Old School
Death metal che lascia spazio a godibili assoli di chitarra, quello contenuto nelle sei tracce di questo demo cd dei calabro-emiliani Valgrind, ormai datato anno 2000. Porgendo l'orecchio alla proposta dei nostri, la voce dovrebbe avere, a mio avviso, maggiore estensione, e risultare più potente, pur restando gutturale. La bio indica nel death made in Florida, il modello cui i Valgrind s'ispiravano (oggi ci sono ben cinque album all'attivo per la band italica). Posso solo dirvi che se amate lo stile dei Rabaelliun, che americani non sono, ma brasiliani, questa band può anche fare al caso vostro. I testi all'epoca inneggiavano alla "bestiale malevolenza" ed esortavano, tanto per cambiare, a "vomitare sulla croce" (la cover è piuttosto emblematica a tal proposito). Se penso invece alle ultime release ('Millennium of Night Bliss'), la vicinanza con Death e Obituary, appare decisamente la cosa più sensata.

(Self - 2000)
Voto: 60

lunedì 24 novembre 2025

Malakhim - And in Our Hearts the Devil Sings

#FOR FANS OF: Black/Death
The Swedish black metal scene has always been synonymous with quality and true loyalty to the pillars of the genre, and Malakhim is, fortunately, not an exception to this rule. Founded almost ten years ago in the northern city of Umeå, Malakhim released a powerful debut album entitled 'Theion,’ which caught the attention of the scene and established the pillars of a hopefully long career. The remarkably solid compositions of that album showed that the band had a clear idea of how they wanted to sound.

Four years later, the Swedes return with the always pivotal second opus entitled ‘And in Our Hearts the Devils,’ again under the umbrella of the well-known label Iron Bonehead Records. The fans who enjoyed ‘Theion’ have no reason to worry about the new album, as Malakhim continues to play its remarkably intense form of black metal with no room for weird experiments that could ruin the final result. The production continues to achieve a great balance in terms of actual good production, where one can enjoy the different instruments, but it is clearly inclined to retain a certain degree of rawness that fits Malakhim’s music perfectly. From the album opener "And in Our Hearts the Devils," the listener will appreciate this tasteful combination of fury that does not lack a melodic touch, particularly in the mid-tempo sections. The composition contains a good amount of tempo changes, combining a good variety of them, from relentlessly fast-paced ones to quite calm sections, and the aforementioned mid-tempo parts where their best melodic riffing shines. Malakhim has put some effort into composing this album, which you can clearly observe in how solid the compositions are regardless of the level of intensity. If you like pure fury and a bit of dissonance in the riffs, a track like "A New Temple" will delight you for sure. If, on the contrary, you prefer a more melodic touch, a song like "Sola Crucifixion" is the perfect choice with its headbanging-inducing pace and the tasteful melodic riffing.

E's vocals are another highlight of this album, as he masterfully performs his trademark shrieks, sometimes combined with different approaches that can be closer to semi-growls or a slightly clearer tone, even though he always remains within the realm of the extreme vocals you expect from a black metal band. The rest of the album continues with a similar sonic pattern, which is not a problem, as it consistently reaches a very high level. Both the guitars and the rhythmic sections are excellently composed and work together seamlessly. The different songs flow naturally in terms of intensity and pace, creating compositions that will satisfy the most demanding listener.

'And In Our Hearts the Devil Sings' is definitely a satisfying milestone in Malakhim’s career, as its excellent result will confirm the Swedish band as a project to be closely followed by fans of the genre. The level of inspiration and passion can be felt throughout the album, making it one of the best albums of this year in the black metal scene. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Productions - 2025)
Score: 87

giovedì 20 novembre 2025

Suffering Hour - Impelling Rebirth

#PER CHI AMA: Death/Black
In rete ho trovato ovunque recensioni notevoli su questo lavoro, ma dopo averlo ascoltato, mi domando se sono io la solita voce fuori dal coro o se gli altri abbiano preso un clamoroso abbaglio. Ora non voglio dire che questo 'Impelling Rebirth', degli statunitensi Suffering Hour, sia una ciofeca, ma nemmeno sto gran discone, che da più parti invece ho letto. Per me si tratta infatti di onesti mestieranti che mettono in piazza un cupo black death caustico e veloce. E su questo non ci piove, visto l'incipit violento dell'iniziale title track, dove accanto alla devastazione della ritmica, compare una voce che sembra uscire dall'oltretomba, pronta peraltro a un rituale satanico. Le chitarre, belle sghembe e ribassate, viaggiano a velocità vertiginose, il tutto con scarsi accenni melodici, fatto salvo una leggera melodia in sottofondo a ridosso di una parte più atmosferica. Poi spazio a una vena fragorosa, che ci investe come un treno uscito dai binari. La seconda "Anamnesis" palesa influenze punk thrash, in un contesto comunque sparato ai 1000 km orari. Ancora un break atmosferico a metà pezzo, giusto per stemperare una furia che, a tratti, sembra ingestibile. Attacco grind invece per "Revelation of Mortality", una song animalesca, sanguigna, dissonante e ferale che, in tre minuti, non fa prigionieri, ma lascia una striscia di sangue dietro di sé, in un finale permeato da un umore nero e abissale, in cui il suono sembra quasi implodere. Nonostante sia un pezzo di una durata appena inferiore ai tre minuti, sembra stranamente ne duri una decina. Sfiancante. Come la successiva e psicotica "Incessant Dissent", un pezzo incessante che sembra chiamare in causa i Morbid Angel più feroci. Ancora fortissime influenze thrash/death/black old school per la lunatica e conclusiva "Inexorable Downfall", che chiude un dischetto di poco meno di 15 lunghissimi ed estranianti minuti di follia. (Francesco Scarci)

(Profound Lore Records - 2025)
Voto: 66

Mastiff - For All the Dead Dreams

#PER CHI AMA: Crust/Sludge/Hardcore
Non sono un grande fan dell'hardcore scavezzacollo, ma se ci mettete un po' di sludge/doom a corrompere le intemperanze di una band, ecco che mi trovo più a mio agio a scrivere di questo genere. Gli inglesi Mastiff sono fortunatamente uno di questi esempi, con un sound si, granitico, violento, potente e profondo, ma che comunque in questo nuovo EP di cinque pezzi, 'For All the Dead Dreams', si riesce ad apprezzare sin dalle fondamenta dell'opener "Soliloquy". Riffing iperdistorto, acuito dalla pesantezza dello sludge, vocals incatramate, pochi accenni alla melodia, e alla fine solo disperazione dilagante nei tre minuti e mezzo di questa traccia. Il registro non cambia poi di tanto con la successiva "Rotting Blossoms", anche se il ritmo si fa più sostenuto, e un piccolo accenno di melodia si riesce addirittura a cogliere nelle linee di chitarra, mentre il bel caustico vocione di Jim Hodge, si fa breccia in un sound che diventerà più ritmato nella seconda parte. "Decimated Graves", al pari di "A Story Behind Every Light", ci prendono a scarpate in faccia con parti più compassate e asfissianti, che si alternano a schegge al limite del grind. È un piacere essere investiti da cotanta violenza anche per la qualità di una registrazione che sembra inghiottirci nel wormhole creato dalla brutalità soffocante della band. Violenza pura infine per la poderosa e conclusiva "Corporeal", in grado di bastonarci ancora con la sua portanza ritmica, forte di un drumming inviperito e un basso che picchia a livelli di un fabbro nevrotico. Provare per credere. (Francesco Scarci)

(Church Road Records - 2025)
Voto: 70

Hellwalker - Reincarnation

#PER CHI AMA: Death Strumentale
Se sei un cantante death metal e stai cercando una band con cui dar sfoggio della tua ugola da orco cattivo, i portoghesi Hellwalker stanno probabilmente cercando proprio te. No, non si tratta di un annuncio commerciale, ma semplicemente quello scrivono gli Hellwalker sul proprio sito bandcamp, visto che stanno cercando un vocalist che presti la propria voce per questo EP strumentale di cinque tracce. E che volete che vi dica su un disco death dove la componente vocale è totalmente inesistente? Se ci fosse un cantato qui sarebbe inserito in un contesto di death dalla vena melodica ("Boiling Point") ma che non rinuncia nemmeno a un rifferama inizialmente compassato per poi proiettarsi nella più classica galoppata di stampo scandinavo (da una traccia che si intitola "Entombed", d'altro canto che cosa vi potevate aspettare?). Granitica la quarta "Ressurector", ma di fronte alla mancanza di un vocalist, mi pare che perda il 50% in fatto di potenza. Sono certo che con un growling robusto, la proposta acquisterebbe infatti credibilità. Per ora, null'altro da segnalare, se non un tentativo di ricerca di maggior melodia nella conclusiva "Forgotten". Curioso di riascoltare il tutto con un cantante in carne e ossa. (Francesco Scarci)

(Rot'em Records - 2025)
Voto: SV

mercoledì 19 novembre 2025

Cobol Pongide - Kosmodron

#PER CHI AMA: Kosmische musik/Space music
Entrare in contatto con il mondo di Cobol Pongide non è cosa da poco conto, poiché, sotto la sua veste quasi fumettistica, si nasconde un personaggio istrionico, che si snoda tra musica, scrittura e scienza. La sua musica sembra una perfetta colonna sonora per un cartone animato di ufo robot di fine anni '70 che prende in prestito trovate sonore che resero grande Alberto Camerini negli anni '80, con un campionario di effetti e stili usati in passato dai Rockets e Devo, per un risultato musicale molto nerd, passatemi il termine in senso benevolo, che trasuda fantasia cervellotica e stile cosmico da cameretta del piccolo scienziato in erba. Il tutto non è affatto male considerando che molti dei suoni provengono dal mondo dei giocattoli, e i testi si dividono tra denuncia sociale e politica con un sarcasmo tagliente che sembra uscire dalla bocca di Eta Beta. Che sia un genio o un truffatore musicale che spaccia finte sigle di cartoni in salsa kosmische music, non riesco a deciderlo. Il fatto è che si fa ascoltare molto volentieri in una condizione di apertura mentale e totale disimpegno dalle distorsioni e dai ritmi violenti, sicuramente più elettronico di rock'n roll robot, e si muove bene in forma intelligentemente elettro-pop. A prima vista potrebbe anche essere scambiato per una ricetta usa e getta demenziale ma che in un ascolto approfondito, in realtà non lo è affatto. Nel suo universo di pop cosmico navigato a bordo di un Commodore 64 e una serie di suoni giocattolo, da tempo Cobol Pongide, che è anche un vero scienziato e scrittore (cercate i suoi libri in rete), si è tracciato una linea sonora originale e piacevole, che deve essere capita e accettata, e che presenta una sua personale visione/revisione in chiave futurista della musica cantautorale italiana, e il suo ultimo 'Kosmodrom' ne è una generosa conferma nella sua discografia. Si può in Italia fare musica pop intelligente al giorno d'oggi? Nell'ascoltare quest'album, che sembra essere il perfetto prosecutore delle idee teletrasportate nel futuro del buon Camerini, direi proprio di si. Un disco che sorprende per la sua mai banale immediatezza e la sua ricerca sonora tra future disco ed elettronica vintage handmade. Da ascoltare assolutamente, con enorme curiosità e massima libertà mentale. (Bob Stoner)

(Dischi Durevoli Records - 2025)
Voto: 68

Psycho Symphony - Silent Fall

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Techno Thrash/Progressive
I rumeni Psycho Symphony non si sono mai sciolti eppure non esistono uscite ufficiali dal 2002, quando venne rilasciato l'EP 'Schizoid'. Quest'anno tuttavia, ritorna in auge 'Silent Fall', il lavoro che uscì originariamente in cassetta nel 1997 e poi CD-r nel 2000, e che soltanto oggi, vede la luce formalmente grazie alla Loud Rage Music e a un nuovo remastering. La band di Carei muove i propri passi lungo un sottile confine fra il progressive anni '70 e il techno thrash progressive degli anni '80/'90 (per intenderci, gente del calibro di Watchtower, Anacrusis o Psychotic Waltz). Ascoltando l'album vi accorgerete infatti i vari punti di contatto con le band suddette attraverso la sofisticazione degli arrangiamenti che con l'iniziale "The King", vi farà già capire come il quartetto fosse in grado di costruire una matrice ritmica davvero complicata alternata a momenti più tecnici, evocando in certi passaggi, anche i Cynic di 'Focus' (assai palese ad esempio nel break atmosferico centrale "Temptations"). Solida e talvolta debordante ("Bloodthirsty Desires") la prova del bassista, a fungere da collante tra melodie e ritmica, al pari della folgorante prova alle pelli del drummer Gindele Gábor "Gabica", fantasioso e preciso nel passare da momenti dal piglio jazzy a esplosioni thrash. Notevole anche la prova delle chitarre, abili nel ricamare riff ultra tecnici o assoli raffinati (spettacolari a tal proposito "The Temple of Delight" o la disturbante e assai complessa, "Over the Walls"). Ho tenuto per ultimo la prova del cantante, che a mio avviso, rappresenta il punto debole dei nostri. Non sono infatti riuscito a digerire la sua voce nasale per quanto, in un contesto del genere, potrebbe essere anche particolarmente originale ed espressiva nella propria drammaticità. In chiusura, la lunga suite "Reality Falls Asleep I & II" è perfetta a riassumere la vena onirico-lisergica dei nostri (nella prima parte) combinata con la componente più veemente della band (la seconda metà). Insomma, se anche voi come il sottoscritto, vi siete persi questa release quasi trent'anni fa, beh avrete modo di rifarvi e capire come il thrash progressivo si sia ahimè nascosto nel sottobosco in un'epoca e in un contesto geografico alquanto complicati. (Francesco Scarci)

(Self/Loud Rage Music - 1997/2025)
Voto: 76