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domenica 30 agosto 2020

Das Scheit - Superbitch

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Gothic, Sundown
Esploriamo un po' tutti i generi e gli anni qui dal Pozzo dei Dannati e oggi ci andiamo a concentrare sul terzo lavoro dei tedeschi Das Scheit, quartetto votato ad un electro-gothic metal. Dopo quattro anni dal loro precedente '...And Ice is Forming”, ritornano sulle scene con un album che li avrebbe potuti proiettare nell’Olimpo delle migliori band di questo genere. Lo stile musicale proposto dai nostri in questo 'Superbitch' si evince già dalla mia introduzione, ma non vorrei risultare limitativo nelle mie considerazioni. Le influenze principali della band si rifanno certamente all’electro-gothic, ma poi spaziano, cogliendo qualcosa dall’industrial, da act quali Ramstein, ma anche da Marilyn Manson (soprattutto per quanto riguarda il look della band), ma anche dagli svedesi Sundown di Mathias Lodmalm, autori a fine anni ’90 di due ottimi album. I brani contenuti in 'Superbitch' sono quindi parecchio orecchiabili, emanano vibrazioni elettrizzanti, cercando di creare atmosfere oscure, sforzandosi poi di coniugare le contaminazioni elencate sopra, a qualche spunto interessante e vincente del Nu metal dei Korn o del gothic dei Paradise Lost. Ottimamente prodotti da Markus Teske (Vanden Plas), i Das Scheit ci offrono la loro visione di questo genere musicale: una solida base ritmica creata da chitarroni distorti e ritmi martellanti, sostenuta da un largo uso di campionamenti. Interessante è poi l’uso di molteplici varianti di voce e modi di cantare in alcuni brani. Le lead vocals ricordano non poco l’ex vocalist dei Cemetary, ma poi si alternano voci effettate, cantati rap, dark, crunchy e industrial. L’episodio migliore dell’album è a mio avviso “Earth Stand Still” dove un po’ tutte le caratteristiche della band si fondono nel corso dei suoi quattro minuti, risultando assai ruffiana ma vincente. Nonostante lo scetticismo iniziale, devo ammettere che i Das Scheit siano riusciti nell’intento di conquistarmi, quindi magari potreste dargli una chance anche voi e andarveli a ripescare. (Francesco Scarci)

(Black Lotus - 2005)
Voto: 69

https://www.facebook.com/dasscheit

Orfvs - Ceremony of Darkness

#PER CHI AMA: Symph Black, Gehenna
Formatisi in quel di Jyväskylä nel 2010, gli Orfvs giungono al debut nell'anno seguente con il 7" 'The Greatest Sacrifice', contenente però due soli brani. Poi solo silenzio fino a quest'anno quando i nostri sono riapparsi con il rilascio di un secondo lavoro, 'Ceremony of Darkness'. Quello di oggi è un 4-track che tuttavia ci dà modo di valutare la proposta del duo finlandese più approfonditamente. "Son of Morning Sky", l'opening track, ci catapulta immediatamente indietro nel tempo di oltre 25 anni quando in Scandinavia spuntavano come funghi le prime realtà dedite ad un black sinfonico. Penso agli anni dei primissimi Dimmu Borgir, ai Gehenna di 'First Spell' o agli Emperor degli esordi. Quello degli Orfvs è di fatto un sound che chiama in causa quei nomi con un black mid-tempo guidato dalle spettrali tastiere di Profundiis, responsabile anche dell'urticante voce di questo dischetto. "Cruor MCMXCVIII" ha un inizio ben più irruento ma poi assesta il proprio flusso sonoro su di una proposta decisamente ritmata sebbene le sfuriate non manchino anche lungo i suoi sei minuti che ancora una volta evocano fantasmi norvegesi (Emperor docet) che pensavo ormai scomparsi. Con "The Void Around Anima Mundi" si ritorna a velocità moderate, in cui lo screaming del vocalist poggia su una ritmica scarna ma sempre arricchita da una interessante componente atmosferica. Niente per cui gridare al miracolo, ma comunque qualcosa che si può tranquillamente ascoltare. In chiusura per i neri cultori del black, arriva "My Heart of Perdition" e il suo sound gelido pur sempre melodico, grazie alle tetre atmosfere costruite dai synth e ad un tremolo picking conclusivo che regala attimi di puro godimento e che rivaluta la performance di un disco che brilla davvero poco di luce propria. Meglio togliersi un po' di ruggine per arrivare in forma all'atteso full length. (Francesco Scarci)

(Spread Evil Productions - 2020)
Voto: 64

https://spreadevil.bandcamp.com/album/ceremony-of-darkness

Kryoburn - Enigmatic Existence

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Death, Fear Factory, Meshuggah
Curioso il fatto che, durante un’esibizione live, i Kryoburn abbiano cosi tanto impressionato Eddy Garcia dei Pissing Razors, che si sia reso disponibile per la produzione di questo album d'esordio intitolato 'Enigmatic Existence', presso i propri Krank Studios di El Paso. Ma veniamo alla musica proposta da questo quartetto originario del New Mexico, che ricorda non poco, il sound dei Fear Factory periodo 'Demanufacture'/'Obsolete' combinato con quello dei Meshuggah. L’album si apre con l’esplosiva “Transience”, che mette subito in chiaro quali siano le influenze principali della band: voce molto simile a quella di Burton C. Bell, chitarre ruvide e schiacciasassi, ottime le clean vocals. Segue “Singularity”, forse il miglior pezzo dell’album, dove una tastiera cupa impreziosisce il lavoro violento delle chitarre, riuscendo a creare un’atmosfera pregna di angoscia e malinconica. Ottimo l’apporto alla batteria di Chris Huber, cosi come pure quello al basso di Derick Richards, abili nel creare le pesanti ritmiche che permeano questo lavoro. La release è un concentrato di adrenalina pura, che vi farà implodere le casse dello stereo; per carità, nulla di originale all’orizzonte, però la band si conferma valida nel saper coinvolgere l’ascoltatore con la sua carica esplosiva. Con i Kryoburn l’headbanging è garantito: i ritmi tribali, che ricordano vagamente i Sepultura, cosi come le ritmiche sincopate alla Pantera, ci garantiscono 50 minuti di pura energia. (Francesco Scarci)

(Continental Entertainment/Candlelight Records - 2005)
Voto: 68

https://www.metal-archives.com/albums/Kryoburn

sabato 29 agosto 2020

Black Hate - Altalith

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Deathspell Omega, Melechesh
Son passati ben otto anni da quando scrissi dei messicani Black Hate. Era il 2012 e il lavoro in questione 'Los Tres Mundos'. In mezzo, prima di questo 'Altalith', 'Through the Darkness', nel 2016, sempre per Dusktone. Il nuovo lavoro del quartetto di Città del Messico, ci conduce ancora una volta nei meandri di un sound oscuro e malato che da sempre contraddistingue i nostri. L'incipit, affidato alle percussioni di "The Gathering", sembra uno spaventoso rituale di morte azteco. Poco più di 90 secondi di suoni inquietanti che ci introducono alla follia sbilenca di "Hur/nin\ki-sag", caratterizzata da chitarre disarmoniche, ritmiche che rasentano il delirio e voci graffianti, il tutto deprivato però di una componente melodica. La song vede la partecipazione in veste di guest vocalist di Antithesis Ignis, compagno di merende negli Andramelech del frontman dei Black Hate B.G. Ikanunna; e nella song compare anche Antimo Buonanno (Hacavitz, Profanator tra gli altri) che dà il suo contributo a voci e cori. Un brevissimo intermezzo ambient e tocca a "Ir./Kalla", che ci conduce nell'antico e sotteraneo mondo mesopotamico con un sound finalmente ispirato, ove fa la sua apparizione il terzo ospite del disco, Paulina Suastegui, alla voce. La musica qui sembra ispirarsi ad un altro filone, quello mediorientale, con Melechesh e Arallu in testa, grazie all'utilizzo di quelle melodie orientaleggianti (corredate anche dalla soave voce femminile di Paulina) che caratterizzano il sound delle due band israeliane, senza comunque rinunciare alle tipiche sfuriate black. Un altro intermezzo e la strada verso la purificazione, secondo la tradizione sumera descritta in questo 'Altalith', fa tappa con "Nin\ ki /en-mhah", un brano stralunato, evocativo e cerimoniale, che miscela ancora una volta un black vorticoso con lontane contaminazioni progressive. L'ennesimo intermezzo tribale e si arriva a "Altalith-jamediu", un pezzo non semplicissimo da digerire che si muove su un mid-tempo schizzato che sembra chiamare in causa gli ultimi Deathspell Omega, soprattutto nella seconda parte dove il ritmo s'infervora notevolmente, muovendosi tra furiose accelerazioni e rallentamenti da incubo, per il più classico degli stop'n go. In chiusura “Bleed 17-09”, che vede alla voce il featuring di Kim Carlsson degli Hypothermia, sembra consegnarci una band completamente diversa da quanto ascoltato sin qui grazie ad un sound inizialmente più atmosferico, ma comunque slegato da quegli influssi mediorientali apprezzati in buona parte del disco. La lunga traccia nei suoi 10 minuti e più, vede un'alternanza di momenti più nervosi e votati al depressive black di Lifelover o Burzum, con altri decisamente più delicati e sofisticati che la eleggono comunque a mia song preferita del disco. In definitiva, 'Altalith' è un disco complesso, di difficile assimilazione che necessita di molteplici ascolti per essere goduto per quel che realmente è. Ci vuole pazienza e perseveranza ma alla fine verrete premiati da una prova dotata di una certa maturità artistica. (Francesco Scarci)
 
(Dusktone Records - 2020)
Voto: 70

Suidakra - Command to Charge

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Folk
Iniziai ad ascoltare i Suidakra, quando nel 1999 uscì il loro terzo lavoro 'Lays From Afar'. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia con i quattro tedesconi che hanno dato alle stampe altri album, tra cui questo 'Command to Charge'. La qualità del sound proposto dal combo teutonico però, è andato via via peggiorando. Se tanto avevo apprezzato la band per la loro proposta death-epic-folk-power metal di 'Emprise to Avalon', non avevo di certo gradito la sterzata stilistica con il successivo 'Signs for the Fallen', che aveva abbandonato le caratteristiche atmosfere dei dischi precedenti, per lasciar posto ad un sound più aggressivo ma anche più anonimo. Con questo cd invece, i nostri hanno continuato sulla scia del precedente lavoro, perdendo però in cattiveria, probabilmente a causa di un uso più marcato di mid clean vocals, che mi hanno rievocato le performance vocali del singer dei Pyogenesis e che ammetto di non aver particolarmente apprezzato. Il guitar riffing, più raffinato rispetto al passato, paga spesso tributo allo swedish death metal dei Soilwork, ma rispetto ai colleghi svedesi, riesce fortunatamente ad essere più vario, passando da ritmiche incalzanti a piacevoli arpeggi, concludendo però con assoli poco convincenti. Ho dovuto attendere la decima traccia, la strumentale “Dead Man’s Reel” per ritrovare quel folk sound, a la Skyclad per intenderci, che tanto mi aveva colpito nei primi lavori, tuttavia si tratta di un episodio isolato. Il cd comprende anche due bonus live video tracks, “Reap the Storm” e “Morrigan”. Infine, vorrei segnalare che gli ultimi tre minuti dell'album riservano la classica ghost track, addirittura la cover “Moonlight Shadow” di Mike Olfield, completamente stravolta. Per quanto mi riguarda, questo 'Command to Charge' è più un album di transizione che porterà la band di Düsseldorf a ottimi traguardi già a partire dai successivi 'Caledonia' e 'Crógacht'. Qui ahimè semplicemente sconclusionati. (Francesco Scarci)

(Armageddon Music - 2005)
Voto: 55

https://www.facebook.com/Official.SuidAkrA

Dissection - The Past is Alive (The Early Mischief)

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death
Credo che la Hammerheart/Karmageddon Media abbia riproposto 'The Past is Alive' ormai quattro volte, l'ultima nel 2018 per ricordarci di questa raccolta del primo leggendario 7” EP dei famigerati Satanized (la band dalle cui ceneri sono poi sorti i Dissection), con versioni demo e promo dei classici pezzi della band svedese capitana da Jon Nodtveidt. Mi sembra proprio che attorno ai quattro ragazzi di Goteborg si sia costruita una coltre di mistero che trovo ingiustificata. Però i Dissection sono stati ottimi interpreti di un filone, che probabilmente deve la sua nascita proprio a loro stessi, di essere stati gli autori di due fantastici album a metà anni ‘90, 'The Somberlain' e 'Storm of the Light’s Bane', ma da quei due episodi, di anni ed eventi, in ambito musicale e non, ne sono passati parecchi. Da allora, un mcd di materiale già edito, un live, una raccolta e un ultimo mediocre album, 'Reinkaos', prima dello split definitivo legato alla morte di Jon nel 2006. Nell'edizione del 2005 dello stesso lavoro (cosa che non accade ad esempio nell'ultima release del 2018), la band aggiungeva due brani, “Where Dead Angels Lie” e “Elizabeth Bathori” per rendere più appetitosa questa release. Ma francamente quello che potete ascoltare qui è un sound più crudo e primordiale rispetto a quanto poi i Dissection hanno prodotto, col loro sound a metà strada tra death e black fatto di quei fraseggi chitarristici pregni di malinconia, rabbia e malvagità, ma anche pieni di una melodia che mai prima aveva trovato posto all’interno di un genere così estremo. Ci sono comunque dei segni prodromi di quanto avrebbero generato in seguito nelle linee di chitarra di "Frozen" o "Mistress of the Bleeding Sorrow", ma altri episodi cosi grezzi rimangono agli atti solo per i fan più accaniti. Gli altri si vadano ad ascoltare il monumentale 'Storm of the Light’s Bane' per meglio capire il corso della storia. (Francesco Scarci)

(Karmageddon Media/Candlelight Records - 2005/Hammerheart - 2018)
Voto: 60

https://hammerheart.bandcamp.com/album/the-past-is-alive-the-early-mischief

venerdì 28 agosto 2020

Iiah - Terra

#PER CHI AMA: Post-Rock
Formatisi nel 2013 in quel di Adelaide, gli Iiah sono un quintetto dedito ad un fluttuante post-rock cinematico, fatto di catartici momenti ambient impreziositi da ottime linee di chitarra. Questo è almeno quello che ci dice "Eclipse", la song che segue a ruota la strumentale ed ipnotica opening track di questo 'Terra', secondo album per la band australiana."Eclipse" è un dolce affresco musicale guidato dai gentili tocchi di chitarra del duo formato da Ben Twartz e Nick Rivett (anche se in realtà pure il vocalist Tim Day si occupa di chitarra e tastiere). Il risultato che ne consegue è il classico post-rock senza particolari sussulti e che anche nella seconda traccia si conferma strumentale. E allora attendiamo di sentire la terza "Aphelion" per capire su quale modulazione si attestano le corde vocali del frontman e comprendere qualcosina in più dei nostri, che musicalmente potrebbero essere collocabili a fianco di formazioni tipo This Will Destroy You, We Lost the Sea o Sleepmakeswaves. La voce di Tim ha una buona timbrica (evocante il cantante degli Anathema) e in questo caso viene raddoppiata dalla voce soave collocata più in sottofondo, di Maggie Rutjens. Il risultato è suggestivo, quanto meno rilassante e ben si adatta con la melodia e le ritmiche sul finale più crescenti. "Sleep" prosegue il mood rilassato abbracciato dalla band che ricorda in un qualche modo le sonorità sognanti dei Sigur Rós, il problema semmai è che alla lunga rischi di divenire troppo ridondante e noioso e la tentazione a skippare al brano successivo si fa più forte che mai. E qui arriviamo a "20.9%", oltre nove minuti di musica che o mi danno una poderosa carica per risvegliarmi o mi spingono definitivamente verso le braccia di Morfeo. Fortunatamente, le chitarre in tremolo picking che esplodono quasi all'inizio del brano, mi fanno propendere per la prima soluzione, facendomi apprezzare le buone linee melodiche imbastite dai nostri, che rimangono tuttavia incellophanate in strutture un po' troppo limitate, senza mai tentare un vero e proprio azzardo musicale. Forse risiede qui il vero limite della band che per quanto sia piacevole, alla lunga stufa perchè privo di un vero e proprio guizzo vincente. Rimangono ancora da ascoltare le conclusive "Luminescence", morbida ma ancor priva di mordente, sebbene nella seconda parte si dia maggior risalto alle chitarre. In "Displacement" ricompaiono le voci in un background musicale fortemente malinconico che trova qualche spunto interessante nella seconda parte che ricorda nuovamente gli Anathema più emotivamente disperati, ma che comunque la elegge a mio brano preferito. L'ultima song è la lunghissima "Lambda", 13 minuti che si aprono con la tribalità del drumming e prosegue all'insegna di un post-rock sognante, emotivamente votato ad una straziante malinconia e che risolleva decisamente le sorti di un disco che nella prima metà stentava davvero a decollare. Sicuramente un passo indietro rispetto al disco d'esordio, ma sono certo che in futuro gli Iiah sapranno rifarsi. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2020)
Voto: 68

https://iiah.bandcamp.com/album/terra

Meshuggah - Catch Thirty Three

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death/Djent
Avevo 16 anni, quando acquistai nell’estate del 1991, il primo Lp dei Meshuggah, 'Contradictions Collapse', un album che era pesantemente influenzato dai primi lavori dei Metallica. Dopo 14 anni, 6 album e 4 EP, all'uscita di 'Catch Thirty Three', il combo svedese era già diventato una delle più importanti e influenti band in ambito estremo, e questo album avrebbe dovuto consacrare definitivamente il quintetto scandinavo. Tuttavia (e qui i fan più accaniti forse verranno a cercarmi a casa), quel lavoro mi deluse. Di primo acchito, ci si rende subito conto che per assimilare i 47 minuti che compongono l’album, servono molteplici ascolti. La musica poi non differisce più di tanto dai precedenti dischi: si rende solo più arzigogolata e schizzata, talvolta snervante al punto tale da farmi spegnere lo stereo e riprendere fiato. E ancora, in altri frangenti (quando la band si ferma, e per minuti si intestardisce a ripetere gli stessi accordi) risulta noiosa e ridondante. Sicuramente questo è l’album più sperimentale dei cinque ragazzi di Stoccolma: allucinati riff di chitarra in primo piano (chitarre a 8 corde, accordate bassissime) sorreggono una batteria totalmente impazzita (ottimo come sempre l’apporto di Tomas Haake dietro le pelli, a conferma del fatto che sia uno dei migliori batteristi in circolazione), e poi i classici controtempi su controtempi tipici dei Meshuggah, i ritmi spezzati, con il cantato urlato di Jens Kidman sopra. Concludendo, non posso dire assolutamente che questo 'Catch Thirty Three' sia un brutto album, però all'epoca mi aspettavo qualcosina in più. Ma d'altro canto, lo sapete anche voi, i Meshuggah si amano o si odiano, voi da che parte state? (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2005)
Voto: 67

https://www.facebook.com/meshuggah

The Pit Tips

Francesco Scarci

Dehà - A FLEUR DE PEAU - I - There is no home
Laetitia In Holocaust - Heritage
Рожь - Один сажень

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Alain González Artola

Ringarë - Sorrow Befell
Midnight Bethrothed - Indulgence in Eternity
Frienholt - The Lady of Light