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mercoledì 29 maggio 2013

Winternight - Pestilenz

#PER CHI AMA: Black, Abigor, Gehenna, Altar of Plagues
La band germanica arriva dalla Thuringia/Baden – Wurttenberg e questo è il primo full lenght del 2010 licenziato da Obscure Abhorrence Productions. Nel 2013 hanno pubblicato per la stessa etichetta un altro full lenght dal titolo “Todhen Uopal” che speriamo di recensire presto. Premesso che il cd ha un artwork dalla scrittura graficamente indecifrabile e discutibile che li rende alquanto e volutamente anticommerciali, possiamo dire a gran voce che la musica del duo tedesco ha un buon feeling, glaciale, sulle orme di un classic black metal dalle tinte epiche e battagliere con uno screaming al limite della schizofrenia, violentissimo e tagliente, un tiro costante e ferreo come la migliore scuola impone. La traccia due è lunghissima e velocissima, undici e più minuti di epica sinfonia distorta e interminabile cantato in antico alto tedesco come del resto tutti gli altri brani. Niente di nuovo a livello compositivo ma tanta rude potenza nera distesa in questo lavoro, duro e diretto, senza compromessi e senza pietà. Intromissioni cinematografiche in lingua tedesca e ambient sparse qua e là, chitarrone zanzara e velocità, questa la summa dell'intero album divisa con qualche stacco di rallentamento come nel caso della traccia quattro che arriva ad un finale sperimentale di folk rumorista/ ambient minimalista. Album che suona come i migliori Altar of Plagues, Gehenna, Gorgoroth e Abigor. La traccia sette sfodera tutte le qualità della band, l'ipnosi statica e rumorosa, la velocissima esecuzione ritmica, la nera ossessività e sgangherati cori fino ad arrivare alla quasi intima morbosità dell'esperimento conclusivo della traccia numero otto che chiude il lavoro in maniera decisamente anomala ma con gusto, lasciandoci esterrefatti e allucinati dall'azzardo sonico di tale strana composizione, tanto malinconica quanto liberatoria. Il brano è giocato tra una stordente chitarra in sottofondo, dei feedback, rumori e un lontano clavicembalo cosmico circondato da esuli, drammatici cori fantasma. Album di belle premesse, band con buone possibilità di evoluzione... aspettiamo curiosi il nuovo lavoro... (Bob Stoner)

(Obscura Abhorrence Productions)
Voto: 70

http://wintarnaht.bandcamp.com/album/pestilenz

Wo Fat - The Black Code

#PER CHI AMA: Stoner, Doom, 70’s Hard Rock
Primo lavoro dei Texani Wo Fat per la Small Stone (e quarto in totale), etichetta che è ormai sinonimo di sano, genuino, schietto stoner. Così come il ben noto eroe del fumetto francese Obelix era caduto da piccolo nel pentolone della pozione magica che dona forza sovrumana, così i Wo Fat (il nome sembra derivi da un personaggio della serie televisiva “Hawai Five-O”) sembra abbiano fatto lo stesso, ma con un ipotetico pentolone del fuzz più spinto. Classica formazione in power trio, i Wo Fat sono una pianta carnivora, con le radici ben piantate nei classici stilemi dell’hard blues anni ‘70 della sacra triade Hendrix-Sabbath-ZZ Top, nutrita con dosi criminali di stoner e doom, in agguato nelle paludi del delta del Mississippi, pronta a stritolare qualsiasi cosa gli capiti a tiro con le sue fauci appiccicose, ad ingerirlo e risputarlo fuori sotto forma di riff devastanti, ritmiche da treni merci carichi di minerali di ferro e improvvise digressioni chitarristiche uscite da una jam acida sotto il sole del deserto del Mojave. Solo cinque brani, tre dei quali superano i dieci minuti, dal peso specifico altissimo e la temperatura davvero rovente. Menzione d’obbligo per “The Shard of Leng”, assolutamente spettacolare per come accelera e rallenta ripetutamente nel corso di 12 minuti che vorresti non finissero mai, condensandovi tali e tante idee sulle quali altri gruppi avrebbero costruito un disco intero. Tutte le tracce sono comunque notevoli, dal blues saturo di “Hurt at Gone”, alla monolitica coltre di feedback che seppellisce la title track prima che cominci il suo inesorabile incedere. A fronte di queste maratone, l’iniziale “Lost Highway”, sembra quasi un pezzo “radio friendly”, con in suoi soli 5 minuti di tempesta desertica (sembra quasi di sentire lo spostamento d’aria calda proveniente dagli amplificatori). Il più grande torto che si possa fare a questo album, sarebbe quello di prestargli un orecchio distratto e catalogarlo frettolosamente come l’ennesimo disco stoner senza nulla da dire. Qui c’è molto di più, e se è vero che la parola “innovazione” non trova posto nel vocabolario dei Wo Fat, quello che mi trovo tra le mani è uno di quei lavori che sono sicuro riascolterò certamente, anche tra qualche anno. (Mauro Catena)

(Small Stone Recordings, 2012)
Voto: 75

http://smallstone.bandcamp.com/album/the-black-code

Jizzlobber - Jizzlobber EP

#PER CHI AMA: Thrash, Sludge, Post-hardcore
I Jizzlobber sono un quartetto francese originario della città del piumino, Colmar (scusate ma dovevo fare questa battuta idiota, ora posso tornare ad essere sgradevolmente serio).Piumino o no, debuttano con questo EP disponibile su Bandcamp, iTunes e fruttivendoli vari per contaminare l'etere già al limite della sopportazione e saturarci con il loro rozzo verbo nel nome del metal/post hardcore. In effetti questo EP è una vera e proprio sfuriata di potenza che nei miei stereotipi non associo a gentil popolo francese. Forse il galletto è stufo di esser preso per la sua aria sostenuta e quindi vai di distorsioni, riff e sudore a più non posso. "2:20 AM" inizia con un riff chitarra/basso dal sapore molto blues che lascia il marchio per tutti i quattro minuti ci brano, il pezzo diviene poi vero e proprio thrash, con tanto di assolo e basso sempre grosso e presente. Indovinato anche il cantato, ruvido e vissuto come piace a me. La quinta e ultima traccia "Nerd" è più old school rispetto alle precedenti e richiama i vecchi Metallica, ma i Jizzlobber non se la giocano male, dosando velocità e potenza che chiamano il pogo. Nulla da ridire a livello di tecnica e suoni, quindi ascoltateveli senza problemi e poi fatevi un'idea. Non seguite alla lettera quello che dichiarano sulla loro pagina, potreste restare un po’ spiazzati dal loro proclama sludge metal/doom. Tra dire e fare... (Michele Montanari)

domenica 26 maggio 2013

Acrimonious - Sunyata

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Watain, Agalloch, Belphegor
Gli Acrimonious sono una band greca fondata nel 2003 che ci fa pervenire questo bel lavoro di alta qualità tecnica e sonora. “Sunyata” è il nuovo album uscito nel 2012 per Agonia Records ed è il secondo full lenght dopo una seria di demo. La band svincola tutta la sua furia subito dopo l'intro iniziale fatto di quattro interminabili, gloriosi minuti di tappeti tastieristici neri come la pece che fin dall'inizio si fa notare per una certa somiglianza con il sound dei Watain, anche se i nostri rendono la musica più sofisticata e di ampio respiro. Una visione sonora che mira e punta molto in alto, che vanta un buon impatto esecutivo e che mostra similitudine con le idee di Agalloch ma ne aumenta la potenza, ricordando i Belphegor in una forma più armonica, con una voce molto potente e caratterizzante anche se non sempre originale, comunque di buona estensione. I brani sono di media molto lunghi e frastagliati con cambi d'atmosfera anche contrastanti tra loro, l'organo ecclesiastico che taglia in due “Lykaria Hecate” è straordinario come la metà del brano che segue. Indubbiamente il collettivo si muove molto bene nei brani più lenti o mid-tempo, d'atmosfera pesanti e gotici dove riesce ad essere originale e convincente al cento per cento. Là dove il sound vira lievemente verso sonorità cupe e post metal, il suono diventa pieno e tonante (il lavoro delle chitarre è straordinario), cosa che in alcuni momenti più violenti e tirati non riesce a pieno come se la veste di puri black metallers stesse molto stretta al gruppo. L'indole sperimentale prevale spesso, i continui ottimi cambi di velocità rendendo l'intero album un calderone di chiaro scuri e continue inaspettate varianti che tramortiscono l'ascoltatore e lo immergono totalmente in una calata agli inferi. Da notare come il coro mistico nel finale di “Adharma” crei uno stop tetro e visionario seguito da una bordata di malignità nascosta tra la limpida velocità e la bella interpretazione del cantato di “Glory Crowned Son of the Thousand Petalled Lotus”. Brani lunghi dicevamo, dalla composizione contorta e complicata, una notevole propensione alla sperimentazione, un velato e ricercato retro gusto “iron maideniano” nelle chitarre, un solido impianto di moderno black metal e un'attitudine al brano progressivo. Una band che convince con un'ora di musica così impegnativa non è da sottovalutare! Qualità, esecuzione e intelligenza al punto giusto, un disco per black metallers colti, molto colti... (Bob Stoner)

Verbal - Verbal

#PER CHI AMA: Post Rock, Math Rock, Neopsichedelia, Groove Jazz
Ero inizialmente andato al Radio Onda D'Urto Festival per vedere gli Orange Goblin, ma dopo la loro prematura chiusura di concerto e il mio successivo vagabondare per stand, mi son imbattuto in una band degna delle migliori attenzioni, i Verbal. Come ipnotizzato, sono stato per tutto il loro concerto davanti ad un piccolo palco stracolmo di strumentazione di qualsiasi genere ad osservare la loro performance non convenzionale, e come al solito a fine concerto li ho istruiti riguardo la buona novella del Pozzo e mi son fatto passare questo disco che sto recensendo per voi. Il disco è introdotto da "Double D Marvin", traccia adrenalinica che introduce al sound del combo bergamasco ricco di armonizzazioni, groove e linee strumentali differenti. Sulla stessa scia prosegue "Kaspar Hauser", che aprendo con un basso groovy, si slega rivelando la prima vena melodica del disco, stoppandosi poi a metà canzone, in cui si possono ascoltare le prime linee vocali, ovvero la stessa frase che in crescendo, che si trascinerà fino all'inizio della terza traccia. Essa emerge per una tranquillità evocata in primis grazie al ritmo moderato, ma soprattutto agli armonici che ne addolciscono notevolmente il suono; il cambio verso la chiusura era atteso ma sinceramente non me lo aspettavo così violento. "Orwell" apre con una strana ritmica dettata da uno strano suono, e subito mi balza alla mente la chiusura di concerto a cui ho assistito in quella notte d'agosto: una cariola sopra il palco. Ovviamente al primo incontro rimasi estasiato da ciò, ma poi sinceramente mi son chiesto se non andasse bene ugualmente usare il charleston o la campana del ride. La traccia ha una gran bella apertura grazie all'ipnotico sound “cariolesco” ed il basso che ci ricama sopra dei groove accattivanti; a mio parere però si perde la carica iniziale nella seconda parte della canzone causa una mancata legatura con la prima parte ed una troppo differente struttura. La parte finale del disco viene affidata a "Benny Hill (Hates Sports)" e "Kobayashi", due canzoni simili che presentano un'introduzione atmosferica delegata a synth e chitarre, anche qui abbondanti di armonici e arpeggi, che in un rovente crescendo, ingigantiscono il muro sonoro del gruppo. La prima fa più affidamento alla rabbia e velocità delle chitarre mentre la seconda chiude con il binomio xylofono-basso che sul pestare della batteria chiude l'album. Una band interessantissima su disco, ed altrettanto in sede live; auspico un vinile per assaporare meglio i suoni. (Kent)

(NeverLab)
Voto: 80

http://www.verbalband.com/

Vredehammer - Pans Skygge

#PER CHI AMA: Black/Epic, Falkenbach, Borknagar, Amon Amarth, Behemoth
I norvegesi Vredehammer sono già una band di culto pur avendo all'attivo solamente tre EP, di cui uno appena uscito e datato 2013. “Pans Skygge” è l'album che lo precede del 2012 ed è composto di cinque brani potenti e carichi di feroce black/death metal macinato a dovere, targato Obscure Abhorrence Productions. La fama di cult band è comprensibile per i Vredehammer, che si fanno notare fin dalla grafica fumettistica/noir che ricorda le avventura di Jack lo Squartatore, anche se qui è ritratto con un martello insanguinato, praticamente un richiamo al loro nome che più o meno tradotto dal norvegese fa: Ira del martello (!?!). Dai titoli i nostri cantano in madre lingua e lo fanno con gusto come del resto la qualità della produzione è più che buona, molto coinvolgente con marcate venature di classic metal, viking metal e prog metal ma con virate ad un sound moderno, dinamico e coinvolgente. L'intro cinematografico dal titolo “Oktober” ci proietta in una città nebbiosa e umida dove sicuramente succederà qualcosa di molto grave e sanguinoso. La successiva velocissima e sinistra “Misantrop” apre le danze con un sound efficace studiato ad arte per far scuotere la testa, con quei cori puliti ed epici in stile Borknagar o Falkenbach e quella doppia cassa da pole position. Tutti i brani scorrono senza intoppi e si lasciano ascoltare di getto anche le parti più progressive sono di sicuro interesse come gli assoli che non mancano di stupire e farsi notare. L'intero lavoro ruota sulla conciliazione e l'equilibrio perfetto di suoni moderni e metal di classica fattura, con innesti d'atmosfera e ipnotici pilotati da cori cupi e profondi. Il cantato possente e ruvido rende tutto molto curato e credibile, le tastiere e lo sporadico e moderato uso di soluzioni ed effetti elettronici accrescono la credibilità di questo bel disco, un mix tanto originale e potente di epic/black/death metal norvegese che soddisferà tanti palati fini. Attendiamo con ansia di recensire il nuovo EP dal titolo “Mintaka” e magari al più presto il primo full lenght di questa fantastica band perché questo “Pans Skygge” dura circa ventuno minuti e noi di musica così ne vogliamo di più! Molta di più! (Bob Stoner)

(Obscura Abhorrence Productions)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Vredehammer