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venerdì 20 settembre 2013

Sasquatch - IV

#PER CHI AMA: Stoner, Post Grunge, primi Soundgarden
Della serie la prima impressione può essere quella sbagliata. In questo caso la copertina mi aveva un pò fuorviato, in stile steam punk/futuristico che mi faceva presagire una band dedita all'elettronica o alla psichedelia. La psichedelia c'è signori e signore, ma in stile anni '70, come pure il metal e il rock impastati alla vecchia maniera che alle mie orecchie suonano paurosamente stoner. I nostri figliuoli vengono dalla città degli angeli (Los Angeles), ma nel loro caso dire da quella dei demoni. Devo dire che dopo aver studiato per bene gruppetti come Black Sabbath e Soundgarden (quelli vecchi però), i nostri si sono chiusi in garage e ci hanno dato dentro dal 2001 ad oggi. Sabbia, lunghe strade bagnate dal torrido sole californiano, rappresentano l'ecosistema perfetto dove il mitico bigfoot (altro modo in cui viene chiamata la mitica creatura dei boschi) può vivere e proliferare. "The Message" è la prima track di questo "IV" che sarà in vendita dal 24 Settembre 2013, anche se Amazon ha combinato qualche cagata e lo ha reso già disponibile (!!!). Il brano mette subito tutti in riga, veloce quanto basta e graffiante da far tremare i muri. Ottime chitarre che ricreano quel sound del passato che non vuole affievolirsi, figuriamoci scomparire. La perfetta antitesi delle moderne distorsioni, il tutto in totale armonia melodica con la parte ritmica che è ricca di bassi a non finire. Lo stesso vocalist incarna il culto dei 70's e sfrutta al meglio il suo timbro per contrastare la parte strumentale che naviga tra gli hertz percepibili dall'orecchio umano. "Smoke Signal" è un pezzone che inizia in doom style, ma ha ben sette minuti e mezzo per evolversi richiamando chiaramente le sonorità del celebre "Superunknown" della band di Seattle. Comunque tutto ben fatto e sempre molto personale, questo per farci capire che se sei ben piazzato, ti puoi permettere di fare il verso ai grandi del genere. Chi riuscirebbe a mettere un semplice coretto a tre quarti di traccia e infilarci pure suoni noise-psichedelici senza sembrare un pazzo? Ovviamente i Sasquatch. Che lo compriate in digitale o in cd, questo "IV" merita un posto nella vostra armeria musicale. Almeno lo potrete usare come arma di difesa contro l'avanzata inarrestabile dei prodotti commerciali che non fanno altro che offendere le nostre povere orecchie. (Michele Montanari)

(Small Stone Records - 2013)
Voto: 85

http://www.sasquatchrock.us/

mercoledì 26 giugno 2013

Deville - Hydra

#PER CHI AMA: Stoner, Queens of the Stone Age
Questo cd gira già da qualche giorno nella mia macchina, mi porta al lavoro, durante il week-end e via dicendo. Giuro, è difficile separarsene e ancora dopo un paio di settimane non mi molla. Questo è l'effetto Deville, simile ad una sindrome di Stendhal, ma meno garbata e più ruvida. I Deville sono quattro ragazzoni svedesi che calcano la scena stoner dal 2003 in dieci anni di attività e che hanno una sana dipendenza da live pesanti e furibondi. Anche l'attività in studio non è da meno, ma impallidisce di fronte al numero di concerti fatti in questi anni. Questo fa capire di che pasta sono fatti i Deville e come suonano. "Hydra" è fresco fresco di release e in undici pezzi vi catapulterà in quel mondo sabbioso e pieno di bassi che contraddistingue lo stoner. La peculiarità dei Deville è quella di aver dato una leggera sferzata di stile rispetto al classico stile svedese con l'aggiunta di sonorità più raffinate e uno studio ad hoc per la sezione arrangiamenti. Ma lasciamo perdere le chiacchiere e passiamo al sodo. "Lava" è la prima traccia ed è stata scelta a dovere perchè oltre ad essere la più orecchiabile, sicuramente è quella che incarna meglio il Deville-style. Ritmica a go go, riffoni grossi di chitarra con distorsioni meglio definite delle classiche da stoner e cambi di direzione che vi porteranno alla fine del brano in un baleno. Qua inizia la sindrome da dipendenza che vi porterà nella spirale del dover ascoltare il resto quanto prima. Poi è il momento di "The Knife" che apre con un bel basso distorto e una vaga influenza Queens of the Stone Age a livello melodico, questa però scompare immediatamente con il break che odora di post rock. Il trucco funziona alla grande perchè i riff che seguono sembrano ancora più cattivi. Ringraziamo il dio chitarra, inginocchiamoci tutti e adoriamo. Con "Over the Edge" si ritorna alle origine, grazie ad un bel giro melodico che fa molto hard rock-blues e permette di rispolverare il wah-wah e un solo di chitarra tra l'iper tecnico e il ruffiano. Breve, ma intenso, come il sesso consumato nel bagno di un polveroso bar nel bel mezzo del deserto. Chiudiamo con "Imperial", pezzo impegnato e tecnico per le diverse sfaccettature melodiche e sonore che in sei minuti abbondanti ci portano a spasso attraverso il mondo dei Deville. La ritmica è più cadenzata e lenta rispetto ai pezzi precedenti, ma siamo lontani anni luce dal doom. Il cantato è sempre all'altezza e riesce a staccarsi dalla melodia principale rendendo questa traccia e le altre sempre godibili. Devo dire che l'album è di pregevole fattura, ottimi suoni e gran lavoro di arrangiamento e mastering, difficile trovare difetti. Ora la palla passa a voi, nel frattempo "Hydra" rimarrà nel mio stereo per molte settimane ancora. (Michele Montanari)

(Small Stone Records)
Voto:90

http://smallstone.bandcamp.com/album/hydra

mercoledì 29 maggio 2013

Wo Fat - The Black Code

#PER CHI AMA: Stoner, Doom, 70’s Hard Rock
Primo lavoro dei Texani Wo Fat per la Small Stone (e quarto in totale), etichetta che è ormai sinonimo di sano, genuino, schietto stoner. Così come il ben noto eroe del fumetto francese Obelix era caduto da piccolo nel pentolone della pozione magica che dona forza sovrumana, così i Wo Fat (il nome sembra derivi da un personaggio della serie televisiva “Hawai Five-O”) sembra abbiano fatto lo stesso, ma con un ipotetico pentolone del fuzz più spinto. Classica formazione in power trio, i Wo Fat sono una pianta carnivora, con le radici ben piantate nei classici stilemi dell’hard blues anni ‘70 della sacra triade Hendrix-Sabbath-ZZ Top, nutrita con dosi criminali di stoner e doom, in agguato nelle paludi del delta del Mississippi, pronta a stritolare qualsiasi cosa gli capiti a tiro con le sue fauci appiccicose, ad ingerirlo e risputarlo fuori sotto forma di riff devastanti, ritmiche da treni merci carichi di minerali di ferro e improvvise digressioni chitarristiche uscite da una jam acida sotto il sole del deserto del Mojave. Solo cinque brani, tre dei quali superano i dieci minuti, dal peso specifico altissimo e la temperatura davvero rovente. Menzione d’obbligo per “The Shard of Leng”, assolutamente spettacolare per come accelera e rallenta ripetutamente nel corso di 12 minuti che vorresti non finissero mai, condensandovi tali e tante idee sulle quali altri gruppi avrebbero costruito un disco intero. Tutte le tracce sono comunque notevoli, dal blues saturo di “Hurt at Gone”, alla monolitica coltre di feedback che seppellisce la title track prima che cominci il suo inesorabile incedere. A fronte di queste maratone, l’iniziale “Lost Highway”, sembra quasi un pezzo “radio friendly”, con in suoi soli 5 minuti di tempesta desertica (sembra quasi di sentire lo spostamento d’aria calda proveniente dagli amplificatori). Il più grande torto che si possa fare a questo album, sarebbe quello di prestargli un orecchio distratto e catalogarlo frettolosamente come l’ennesimo disco stoner senza nulla da dire. Qui c’è molto di più, e se è vero che la parola “innovazione” non trova posto nel vocabolario dei Wo Fat, quello che mi trovo tra le mani è uno di quei lavori che sono sicuro riascolterò certamente, anche tra qualche anno. (Mauro Catena)

(Small Stone Recordings, 2012)
Voto: 75

http://smallstone.bandcamp.com/album/the-black-code