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mercoledì 29 dicembre 2010

To a Skylark - To a Skylark


Quando meno te lo aspetti, ecco un fulmine a squarciare un orizzonte terso, sgombro da ogni nuvola e con un sole accecante che si staglia lassù, nel cielo azzurro. Questo è l’effetto che ha suscitato in me l’ascolto dell’album di debutto dei talentuosi vicentini To a Skylark. Già il nome della band rievoca la bellissima poesia di Percy B. Shelley, la bravura e la sensibilità poi di questi cinque ragazzi (che ho avuto anche il piacere di conoscere e vedere dal vivo), fa’ il resto. La band, formatasi nel 2003, rilascia un album eccezionale, che l’occhio lungo e vigile della Worm Hole Death (sottoetichetta della Aural Music) non si è lasciata scappare. Dopo la breve intro, si parte alla grande con “Icarus’ Redemption”, lunga traccia (di poco più di 10 minuti) che rappresenta un po’ la sintesi della musica dei nostri: ritmiche non troppo sostenute, arricchite da melodie fluttuanti, parti atmosferiche/acustiche, qualche sfuriata death, una prova eccellente dei singoli (con un plauso particolare al batterista e alla strepitosa prova di Alessandro alle vocals, con uno stile vocale, sia nel clean che nel growling molto vicino al cantante degli spagnoli Nahemah), non fanno che garantire 45 minuti di musica di gran classe. Non ho già più parole per descrivere le emozioni che questo sound è in grado di trasmettermi. Si prosegue con il breve sognante intermezzo “Hic et Nunc” che finisce per esplodere in “At Dusk, by Lake Walden”, dove è sempre la batteria a dettare i tempi mentre i due chitarristi disegnano trame allo stesso modo di come Picasso pennellava, in modo geniale, le sue tele: suoni progressive si amalgamano alla perfezione con visioni lisergiche di “Pink Floydiana” memoria, lo sludge claustrofobico alla Isis si unisce alla ripetitività ipnotica dei Meshuggah, impressionante è l’esito finale di questo brillante lavoro. Che piacere sentire musica ben suonata, capace di travolgerci con la sua elevata carica emotiva, musica che parte e arriva diretta al cuore. Si prosegue con la brutale “The Aftermath” (forse il pezzo meno eccelso del lotto) e con un secondo angelico intermezzo che apre alla lunghissima “The Fading Process”, la perfetta sintesi dei suoni di Porcupine Tree, ultimi Katatonia e Opeth, song che sancisce la grandezza di una band che per quanto giovane sia, mi auguro possa raggiungere un successo straordinario. “To a Skylark” è un lavoro meraviglioso (supportato anche da un’ottima produzione ai West Link Studios di Pisa) che tutti gli amanti di sonorità metal (non solo estreme sia ben chiaro, ma anche avantgarde, progressive, gothic, black) dovrebbero far loro. Ripetersi sarà veramente difficile, ma quanto sentito in sede live promette altri fulmini in quel bellissimo cielo azzurro… (Francesco Scarci)

(Worm Hole Death)
Voto: 85

Infected Malignity - Re:bel


Un inizio arpeggiato e melodico mi lascia presagire che, quello che ho fra le mani, deve essere uno di quei dischi sludge psichedelici che tanto vanno di moda oggi. Mi basta poco per capire che il quartetto giapponese degli Infected Malignity è in realtà, un combo dedito al brutal death, di quelli tra l'altro, più ferali e marciulenti. Dalla seconda “Fictitious Follower (And Conceit Man)” infatti, la band di Kouhei Watanabe (vocalist niente male, per altro), ci stordisce con il loro sound spaccaossa e tritabudelle, fatto di chitarre violentissime, talvolta soffocanti, ma dalla ritmica ben strutturata e varia. Anche se vario è una parola grossa in questo genere, la band del Sol Levante si destreggia bene attraverso i sette brani contenuti in “Re:bel”, costruendo songs veloci, ma contraddistinte anche da qualche oscuro e intelligente rallentamento, che ci dà giusto il tempo di rifiatare; i brani comunque rimangono ben impressi nel cervello e in grado di scatenare un violentissimo pogo. Ineccepibile da un punto di vista tecnico, l'act giapponese, nonostante la giovane età, dimostra di avere una discreta personalità e qualche buona idea, che se sfruttata bene, potrebbe ridare nuova linfa alla scena. Interessanti, da risentire molto presto... (Francesco Scarci)

(Anticulture)
Voto: 65

Drivhell - A Journey as a Life


"A Journey as a life" è il terzo album dei lecchesi Drivhell, formazione progressive metal dallo spessore artistico e tecnico degno di nota. Il sestetto nasce nel 1998 e ha affinato un sound di tutto rispetto negli anni e devo dire che questo album racchiude il duro lavoro fatto da musicisti per passione che oramai non sono più ragazzini. E la maturita c'è tutta, dal primo pezzo "Pictures on a Score", classico prog metal, passando per "A Journey as a Life", impreziosito da un ottimo sitar introduttivo che accarezza e lascia subito il posto a potenti chitarre e tastiere. Proprio quest'ultime (plurale perchè i tastieristi sono due/Ndr) generano dei veri e propri "tappeti" musicali che aumentano l'atmosfera dell concept album e regalano melodie mai banali. Concept album perchè i stessi autori lo dichiarano apertamente ispirato a " Le Città Invisibili" di Italo Calvino. Tutto è ben bilanciato, batteria da manuale e un vocalist con il giusto appeal per il sound dei Drivhell. Unica pecca forse la timbrica tipicamente dei gruppi vecchi di quarant'anni, ma ovviamente è un opinione puramente personale. Probabilmente a tanti piace così com'è. Quindi ottimo cd dei Drivhell a cui auguro di continuare a suonare e cercare quel qualcosa di personale che potrebbe renderli eccellenti. (Michele Montanari)

(Casket Music)
Voto: 80

martedì 28 dicembre 2010

Fear Factory - Obsolete


La guerra tra macchine e umani continua! Ricordo che quando ho avuto il cd fra le mie mani, ero scettico. Dopo “Soul of a New Machine” e “Demanufacture”, mi sono detto: “mmm... mi sa che questo concept non mi piacerà come gli altri due”. Ho guardato l’artwork del grandissimo Dave McKean in copertina e mi sono deciso ad ascoltarlo. Ha girato subito bene, i Fear Factory avevano sfornato (ricordo che era il 1998) un nuovo album fedele al loro stile, ma non uno pseudo-clone. Idealmente una release che chiudeva una trilogia con i due precedenti, quindi ne segue il solco, tuttavia mostrando una sua personalità. Mi sbilancio: una sua originalità. Procede con una sua linea e le canzoni si alternano piacevolmente dando una sensazione di non ripetitività, non semplicissimo considerando il genere. Undici tracce di un eclettico industrial metal con forti infiltrazioni elettroniche, tra cui si alternano pezzi molto duri (“Hi-tech Hate”, “Edgecrusher”) a pezzi più melodici (“Descent”). Interessante l’evoluzione del cantante Burton C. Bell, che riesce ad alternare sempre più parti growl ad altre più pulite in maniera efficace. Gli altri componenti rimangono a ottimi livelli di esecuzione, forse meno tirati che nei lavori precedenti: non fraintendete, spaccano lo stesso. La chitarra di Dino Cazares, in particolare, suona più bassa del solito. La finezza dell’album risiede nella commistione sempre più profonda con i suoni elettronici: davvero più ricercati che nei lavori precedenti. Il risultato migliore di tale miscela si può trovare nella bella (ma non velocissima) “Resurrection”: davvero si ha la sensazione di perdersi e ritrovarsi. I testi sono coerenti con il concept dell’album: la guerra tra macchine e umani. Sebbene già presente in precedenza, in questo lavoro si concretizza e si dispiega completamente in tracce come “Securitron”, “Smasher/Devourer” e “Obsolete”. Quest’ultima davvero manifesto di questo lavoro. Da notare la finale “Cars”, cover dell’omonimo pezzo del 1979 di Gary Numan che partecipa anche a questa interpretazione. Come riportato all’inizio, menzione speciale per tutto l’artwork di quest’album, veramente coerente con la parte musicale ma per nulla scontato. Confermatissimi! (Alberto Merlotti)

(Roadrunner)
Voto: 75

The Dark Shine - Last Chance


Adesso mi ricordo cosa odiavo delle band anni ’90 tipo “Elastica”. E pensare che avevo rimosso. Qui siamo alla clonazione, o giù di lì. Parto con tutta la buona volontà, sono italiani, vicino alle mie parti (bergamaschi) e hanno una cantante che suona la chitarra. L’adolescente che è in me si risveglia! Dopo due minuti, l’adolescente saluta tutti e va vedersi un film di Edwige Fenech e Lino Banfi (senza offesa). Il primo lavoro di ampio respiro di questo gruppo non ha niente di originale: tutto già sentito, voce femminile da ragazzina tipo Avril Lavigne, con qualcosa di più ambiguo anche se ci prova con qualche acuto, specie nella quasi punk “Haunting”. In altre songs la vocalist esagera e scopre tutti i propri limiti. Sonorità un po’ buttate lì, accordi semplici che, purtroppo, non hanno il pregio di incastrarsi nella mente. Il pentolame è in linea col resto delle sonorità, semplice lineare, anonimo. Discorso simile per gli assoli di chitarra, messi quasi come una foglia di fico, anche nelle canzoni più tirate (vedi “Redrum”). Da dire che alcune volte funzionano, ad esempio nel lentone “Cries Cries”, dove tuttavia le linee di chitarra non nobilitano la canzone più di tanto. Meglio nella più intimista “City” dove alcuni giri sono azzeccati. Schema compositivo classico, che funziona da scheletro da canzoni altrimenti destinate all’amorfismo ameboide totale. Cosa si può salvare? Bé, diciamo che sono coerenti, nel senso che lo stile quello è, e quello rimane per tutto il lavoro: ne consegue che se a uno piace il genere, è a posto per tutto il CD. Ascoltate anche la ghost track in italiano in coda alla traccia dieci. Ecco cosa potrebbero esplorare: un ritmo più classico, suoni più caldi e meno arrabbiati. Come dite? Vi ricorda vagamente “Down by Law” dei SuperB? Anche a me. La produzione è buona, rispetto a lavori che sembrano registrati in una grotta (non volutamente), qui tutto si sente decentemente. Le liriche passano come acqua. Un “ni” per l’artwork e il packaging: qualcosina di buono colpisce, ma poco. Spero che il titolo “Last Chance” non sia profetico: cioè, se questa era la loro ultima possibilità, mi sa che se la sono giocata. Forse può essere utilizzato per una festina tra ragazzini... adesso provo con i figli dei miei vicini... (Alberto Merlotti)

(Hurricane Shiva)
Voto: 40

Lord Agheros - As a Sin


Decisamente uno dei prodotti più affascinanti usciti nel 2008 quello di Evangelou Gerassimos, mastermind polistrumentista dei catanesi Lord Agheros. Dopo l’esordio del 2007, “Hymn”, la My Kingdom Music ha messo gli occhi su uno dei talenti italiani, a mio avviso, più promettenti. Ne è uscito “As a Sin”, viaggio suggestivo e intimistico, attraverso nove tracce ricche di feeling, pathos e molto mistero, capaci di spingerci con la mente in oscure epoche medievali, bagnate da un tiepido sole autunnale. Dopo l’intro “Drama Begins”, si aprono le danze con un trittico di meravigliosi brani, dove classiche ambientazioni si fondono a vocalizzi black (l’unica parte da migliorare) e spunti etnico-tribali (ascoltare “Sacrilegium” per godere di una appassionante musica araba). Romantico, epico, struggente e talvolta folkloristico, “As a Sin” è un caleidoscopico viaggio nel tempo: potremo prendere come punto di riferimento il capolavoro “Kveldsfanger” degli Ulver e renderlo un po’ più elettrico nel suo incedere, con una vasta gamma di sperimentazione avanguardistiche (techno-noise) di prima classe. Non c’è niente da fare, questo disco l’ho ascoltato e riascoltato, apprezzandone di volta in volta le mille sfaccettature che ogni suo ascolto è in grado di offrire. Mettetevi le cuffie e lasciatevi cullare dalla musica di Gerassimos, in un commovente turbinio di emozioni, ne resterete ammaliati. Una inattesa piacevole sorpresa. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music)
Voto: 80

Ecnephias - Haereticus

#PER CHI AMA: Death/Black atmosferico, Rotting Christ, Septic Flesh
A distanza di poco più di un anno da “Dominium Noctis”, ritornano gli Ecnephias, portabandiera di un magistrale death/black, dalle forti tinte horror sinfoniche. Questo “Haereticus” non è un vero e proprio full lenght, ma un Ep di 7 pezzi della durata di 26 minuti. Dopo la declamazione in latino della breve intro “De Natura Deorum”, attacca selvaggiamente la title track, il pezzo, a mio avviso, migliore dell’album, capace di alternare la furia black death dei nostri, con orchestrazioni granguignolesche, ideali per un film di Dario Argento: spettacolare è infatti l’epicità della parte centrale del pezzo, con una bellissima e teatrale invocazione mista di latino e italiano; da pelle d’oca direi. Segue poi la maestosa “Deviations”, dove i nostri confermano essere, oltre ad abili esecutori, anche musicisti dotati di una eccellente creatività: tenebrose atmosfere, notturne evocazioni ed epici cori, fanno di questa traccia e in generale di “Haereticus”, un lavoro interessantissimo che potrà di certo piacere ai fan del black metal in toto e non solo ai patiti del sound sinfonico e gotico a la Cradle of Filth. Le orchestrazioni simili ai primi Limbonic Art, certe atmosfere che richiamano il death ellenico dei primi Rotting Christ o Septic Flesh, la sempre magnifica voce di Mancan, con il suo alternarsi tra il growling più cupo (che richiama però in certi frangenti Dani Filth) e le parti più pulite (cantate in italiano o declamate in latino), confermano la bontà di un lavoro che deve essere assolutamente ascoltato dagli amanti di sonorità estreme. L’intermezzo “Eterno Silenzio”, dove compare la suadente voce di una gentil donzella, preparare l’ascoltatore a “A Darkened Room”, la canzone più brutale del cd, quella che più richiama i Rotting Christ di “Thriarchy of the Lost Lovers”. “Hills on a Desert” sesta traccia del cd, è un mid tempos melodico e ragionato, che si chiude con un enigmatico assolo. “Ave Maestro” infine, celebra con oscuri versi, la degna chiusura di un’opera che non fa altro che aumentare la mia attesa, per l’ascolto del nuovo full lenght degli Ecnephias. Se il buon giorno si vede dal mattino, il nuovo album sarà sicuramente un capolavoro… (Francesco Scarci)

(Nekromantik Records)
Voto: 75

http://www.ecnephias.com/

Symbolyc - Engraved Flesh


Bombastico!!! Questo è il suono che esplode nelle casse del mio stereo, non appena premo il tasto play su “Engraved Flesh”, primo full lenght dei napoletani Symbolyc. Già a partire dalla cover del cd, si capisce che il quintetto partenopeo ha voluto fare le cose in grande e inizialmente privi di qualsiasi supporto di etichetta (ora con My Kingdom Music), ha sfoderato un’ottima prova collettiva. Nati come cover band di Sepultura, Slayer e Metallica, i Symbolyc hanno saputo evolvere e virare il proprio sound verso le sonorità tipiche del death metal polacco, che ha dato la fama a band del calibro di Vader, Behemoth e degli sfortunatissimi Decapitated. Partiamo quindi dal tipo di sound: brutale, ipertecnico, con le chitarre a innalzare montagne di riffs e la batteria a cercare di abbattere questi muri insormontabili. Il death che ne esce fuori è monolitico, diretto e scevro di ogni tipo di sperimentazione, ma estremamente efficace. Dopo l’ascolto di ogni traccia, mi ritrovo col fiatone, tanta è l’energia in grado di trasmettere questo lavoro. Le ottime growling vocals di Diego Latino richiamano, per stile di canto, il vocalist dei Vader; gli assoli ci rimandano invece ad un brutal death di stampo americano, stile Monstrosity: precisi, taglienti ma sempre melodici. Trovano spazio, in taluni frangenti, anche mid tempos più ragionati (vedi “Suffering”), dove i nostri sembrano quasi spingerci sull’orlo del burrone, per poi affossarci con una mortale spallata. Violenti, adrenalinici, energici, potenti (complice anche la registrazione strepitosa ai 16th Cellar Studios), i Symbolyc ci regalano una eccellente prova di sapiente e brutale death metal iper tecnico, a dimostrare ancora una volta che la penisola italiana è in grado di offrire band di eccellente livello, che possono tranquillamente tenere il passo dei gruppi internazionali, ma ahimè ancora una volta, mostra l’insufficienza, che regna sovrana, nel supportare valide realtà italiane, ancora prive di contratto… Un peccato se non raggiungessero il successo che meritano (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music)
Voto: 75

Lapsus - Moments of Aberration


Sembra il suono di un carrion quello ad aprire il cd dei Lapsus, ensemble italico già in giro da un lustro, che dopo un demo cd e una serie di fortunati concerti (culminati con il “Gods of Metal” del 2007), giunge finalmente al tanto agognato full lenght, dopo aver coltol’interesse di diverse webzine e case discografiche. La cover del cd e il look dei 5 ragazzi di Torino, non so per quale motivo, ma mi richiamano i Darkane; la musica che esce dalle mie casse non vai poi cosi tanto distante dalla proposta dei godz svedesi. Il sound del quintetto piemontese infatti è una sorta di thrash stile Bay Area, “sporcato“ dal classico rifferama swedish death e da alcune soluzioni ritmico e vocali tipiche della scena italiana. Una ritmica sincopata contraddistingue tutto il lavoro dei nostri che, per caratteristica del sound, mi ricorda il debut cd dei marchigiani Edenshade, non raggiungendo ahimè le loro inarrivabili vette di genialità. Tuttavia, la musica che salta fuori nelle 11 tracce qui proposte non è niente male, per quel suo suono moderno, a tratti violento e veloce, ma il più delle volte estremamente melodico e di classica impostazione (Iron Maiden docet). Insomma, non vi è ancora chiara l’idea di cosa suonino i Lapsus? A dire il vero è abbastanza disorientante anche per me per certi versi, comunque immaginate una sorta di Soilwork molto melodici, con qualche giro di chitarra alla Darkane, soluzioni vocali vicine agli Edenshade, contaminazioni thrash di chiara ispirazione americana, cosi come pure qualche rimando ad altri gods (i Korn) è percebile nelle note di questo “Moments of Aberration”. L’abilità dei nostri sta nel far convivere tutte queste influenze in un unico lavoro senza snaturare la propria identità, e senza offrire alla fine un cd che suoni cosi particolarmente eterogeneo. Anzi proprio qui sta il pregio dei Lapsus, convogliare una serie di affluenti/influenze in un unico fiume di passione e vivacità che rendono assai appetibile questo lavoro, che forse vi terrà incollati allo stereo per qualche tempo, per poi ahimè stancarvi, all’uscita dell’ennesimo lavoro di questo stampo (vera spina del fianco di questo genere). Forza e coraggio, sperimentando qualcosina in più, si possono ottenere ottimi risultati… (Francesco Scarci)

(Uk Division Records)
Voto: 70